24.
Logica e forza
Gli iniziati erano
stati radunati e chiusi in una stanza scarsamente illuminata e non troppo
grande, in cui tutti erano vicini fra loro e il chiacchiericcio copriva ogni
altro suono. Aria si portò indietro i ciuffi ribelli di capelli corvini, si passò
una mano sulla fronte e sospirò, fino a quando una porta venne aperta e fece il
suo ingresso il capofazione.
Ovviamente, il capo
in questione era Eric.
Gli altri ragazzi,
soprattutto gli iniziati interni, si zittirono all’istante e si voltarono verso
di lui per prestargli attenzione, ed Aria si chiese se fosse per paura o per
rispetto.
-Verrete chiamati in
ordine, dal primo all’ultimo, in base alla classifica finale del primo modulo!-
Esordì Eric, schietto e letale come suo solito.
-Perché in base alla
classifica del primo modulo e non del secondo?- chiese qualcuno.
-Dato che il primo
in classifica ci ha lasciati…- continuò Eric, riferendosi all’incidente
capitato ad Edward. –Il primo è Peter. Uriah? Preparati per dopo.-
Aria si voltò,
individuando subito la massa di capelli neri lucidi che identificava Peter, e
lo guardò con disprezzo. Dopo il loro ultimo scontro, e dopo aver saputo che
aveva fatto la spia su di lei ed Eric, non si erano più rivolti la parola.
Non si erano nemmeno
guardati per sbaglio, era come se si fossero trasferiti su fronti opposti della
città.
Uriah, poco
distante, fece un sorriso e piegò la testa da una parte all’altra per stendere
i muscoli del collo. Il ragazzo che si era classificato terzo, tremava da capo
a piede.
E, dopo loro tre,
Aria sapeva che sarebbe stato il suo turno.
Tutti gli altri
iniziati si spostarono da un lato mettendosi in fila, mentre lei, avvolta nei
suoi pensieri, si era distratta ed era rimasta ferma davanti alla porta.
Per un attimo guardò
Eric che stava uscendo, era pronta ad abbassare lo sguardo per non farsi vedere
da nessuno, ma lui si girò verso di lei e la guardò a sua volta.
Le lanciò uno sguardo
penetrante, era già nel corridoio, solo lei che gli era davanti poteva vederlo.
Così, prima di chiudersi dietro la porta, Eric fissò i suoi occhi grigi in
quelli di Aria e avvicinò una mano alla testa indicandosi la tempia, picchiettando
tre volte il dito indice.
Per un attimo la
ragazza piegò la testa senza comprendere, ma poi capì che non era solo un gesto
con cui le diceva di usare la testa e, soprattutto, che le stava comunicando
qualcosa.
Qualcosa di
importante.
Le altre persone,
normalmente, si sarebbero indicate la testa per invitare qualcun altro a
ragionare, ma gli Eruditi avevano un segreto. Ogni fazione aveva un suo codice
nascosto che permetteva ai suoi componenti di indentificarsi fra di loro.
Eric non si era solo
indicato la fronte, l’aveva toccata con il dito per tre volte ad un ritmo
particolare, prima due colpi veloci e poi, dopo un attimo, il terzo tocco.
Quello era il gesto
identificativo fra gli Eruditi, veniva anche usato come suggerimento ad usare
la testa e la logica fino a risolvere ogni problema.
Non gli davano solo
il significato comune, era inteso come un ragionamento più profondo.
Indicando la logica
e la sua forza.
Era una cosa da
Eruditi.
In un attimo le
ritornarono alla mente frammenti di ricordi, come il giorno del suo compleanno
in cui Eric le aveva medicato con cura la schiena e fasciato la caviglia con
maestria. Quando erano andati in infermeria, la donna che si sarebbe dovuta
occupare di lei aveva lasciato tranquillamente il compito al ragazzo, dicendo
che sapeva benissimo che era in grado di farcela da solo.
Ma perché mai un
Intrepido avrebbe dovuto intendersene di medicina, quando solo gli Eruditi
ricevevano un istruzione generale che li rendeva in grado di affrontare
qualsiasi circostanza, e che comprendeva
principalmente le nozioni scientifiche e le tecniche di primo soccorso medico?
E come dimenticare
il modo in cui Eric si era messo a ridere? Quello stesso giorno, Aria gli aveva
espresso il suo personale risentimento per gli Eruditi, accusandolo di non
essere in grado di capire cosa volesse dire crescere per sedici anni in quella
fazione.
Poi, come un fulmine
a ciel sereno, si ricordò del metodo con cui il ragazzo le aveva confidato di
aver affrontato le sue paure durante la sua iniziazione, anni a dietro. Le
aveva detto che anche lui usava la logica per ristabilizzare il battito
cardiaco e per superare la simulazione, ma come era possibile che un Intrepido
convinto e spietato come lui, si fermasse a ragionare?
Persino il modo in
cui portava i capelli era sospetto, si era in parte rasato la testa certo, ma
teneva in ordine i ciuffi più lunghi pettinandoli all’indietro come gli
Eruditi.
Incredibilmente, in
quel momento, tutto aveva trovato una spiegazione.
Eric era stato un
Erudito.
Proprio come lei,
era nato nella fazione degli astuti per poi trasferirsi fra gli Intrepidi.
Quando spalancò gli
occhi per lo stupore, Eric sogghignò divertito e si chiuse finalmente la porta
alle spalle.
Quando chiamarono il
suo nome, Aria avanzò in silenzio a testa bassa, fino a quando il corridoio non
si aprì su un salone enorme. Era una stanza circolare con ampie vetrate in alto
e guardie che supervisionavano ovunque. Grandi monitor quadrati erano sistemati
a semicerchio di fronte a lei, con gruppi di persone dietro ogni schermo,
pronti ad analizzare la sua allucinazione della paura.
Al centro della
sala, su un piano rialzato, l’attendeva una poltrona come quella su cui si era
già seduta durante le sue precedenti simulazioni. Ma questa non era imbottita,
era rigida ed emanava una luce propria tra il giallo e l’arancione.
Ed era decisamente
più spaventosa.
La metteva in
agitazione e le faceva tremare le mani.
Avanzò decisa,
rifiutandosi di guardare il gruppo di capifazione radunati dietro ad un
monitor, per paura di incrociare lo sguardo di Eric, fino a quando non
raggiunse la pedana e si avvicinò alla poltrona.
-Siediti pure!- la
invitò Tory.
Sapere che quella
donna era la stessa che le aveva tatuato il collo e parte della schiena, le
diede una certa tranquillità, d'altronde una persona capace di decorarle con
maestria la pelle, non poteva certo farle del male.
Ma sapeva che non
era di lei che doveva preoccuparsi, ma del siero che le sarebbe stato iniettato.
Si sedette sulla
poltrona e si distese in pozione, rimanendo il più immobile possibile, ma le
scappò un sussultò quando venne punta dall’ago e chiuse gli occhi mentre le
veniva fatta l’iniezione.
Si concentrò sul
proprio respiro, aspettando che accadesse, mentre cercava con tutta sé stessa
di non perdere la calma.
Ma perse coscienza e
si ritrovò fra i suoi peggiori incubi…
La sedia su cui era
adagiata era rimasta, ma era diventata di sabbia, sotto ad una distesa d’acqua
che le copriva gli arti e parte del busto fino ai fianchi.
Strinse i pugni e si
sforzò di respirare con calma, quando si accorse di tutte le siringhe che aveva
conficcate sulla pelle delle braccia e delle gambe.
Voleva liberarsi, quando
si accorse della siringa che era appesa sopra la sua testa. Penzolava
lentamente, luccicando minacciosa.
Forse, se avesse trovato
il coraggio di usare contro di lei quella siringa pericola, Avrebbe ottenuto
qualcosa.
Ma non riusciva a
toccarla.
Scosse la testa, aveva
paura delle iniezioni di sonnifero che le faceva sua madre, non degli aghi di
per sé.
Prese di scatto la
siringa e se la conficcò in gola, il secondo dopo tutte le altre erano
scomparse.
Ma accadde qualcosa di
altrettanto spiacevole, la poltrona di sabbia su cui sedeva iniziò ad
assorbirla e il livello dell’ acqua salì lentamente.
Stava affondando, ma
le importava veramente?
A quel punto capì
che non aveva paura di sprofondare nella sabbia, ma nei suoi tormenti interiori.
E l’acqua che
rischiava di soffocarla non era niente, non era quello il problema, ma i suoi
stessi sentimenti.
Chiuse gli occhi,
riportò il battito cardiaco ad un livello nella norma e capì che quella paura
era del tutto immotivata. In un attimo, quando fu capace di accettare il suo
destino con coraggio, la sabbia e l’acqua sparirono.
Riaprì gli occhi
ritrovandosi su un letto comodo, con la trapunta color lavanda. Sentì il rumore
di una porta che si chiudeva e di una serratura che scattava.
Saltò giù dal letto
e corse verso la porta, ma non ci fu verso di aprirla. Si guardò intorno, era
nella sua cameretta quando viveva ancora con la sua famiglia, riconobbe le
pareti azzurre, il tappeto e lo scaffale stracolmo di libri.
Poi vide la finestra
aperta e si avvicinò.
Oltre non si vedeva
nulla, non si scorgeva il terreno, né i dintorni e tanto meno il cielo. Si
vedeva solo una massa di bianco sconfinato.
L’ignoto.
Aria guardò un’
altra volta la porta chiusa, non voleva rimanere lì dentro, schiava delle
follie dei suoi genitori che potevano decidere di tenerla chiusa nella sua
camera per ore. Non c’era niente di peggio, il nulla fuori dalla finestra non
le faceva per niente paura.
Si arrampicò sul
davanzale e saltò fuori, perdendosi nella nube bianca.
Atterrò su un
pavimento liscio senza farsi alcun male, ritrovandosi in una stanza buia. Agli
angoli erano accese fiaccole che emanavano la luce rossastra del fuoco, che
illuminarono i tre scheletri che avanzarono dinoccolati verso di lei.
Storse il naso,
ricordava gli scheletri raffigurati sul suo libro di biologia. La faceva
sentire estremamente vulnerabile il pensiero che dentro, sotto gli strati di
pelle, tutti quanti fossero uguali e così disgustosamente fragili.
Prese a calci il
primo che le si avvicinò, poi avanzo verso il secondo e gli diede un pugno
all’altezza delle costole mandandolo in frantumi. Al terzo decise di staccargli
la testa.
Le ossa distrutte
sparirono ma la stanza rimase buia.
Davanti a lei, adesso, c’era un’ urna funeraria.
Il pensiero che le
poche persone a cui voleva bene potessero venirle sottratte dalla morte le
toglieva il respiro. A chi potevano appartenere le ceneri racchiuse in
quell’urna argentata sistema sul pavimento?
A sua sorella, a
Sasha? a Will? Pensò alle braccia forti di Eric che l’abbracciavano e si sentì
mancare.
Strinse i pugni, non
poteva permettere che la sua vita venisse interrotta da una perdita.
La solitudine non
doveva farle paura, dato che l’aveva già combattuta e superata.
Si chinò a
raccogliere l’urna cineraria e la scagliò lontano, vedendola andare in mille
pezzi mentre le ceneri si spargevano nell’aria.
Al posto dell’urna,
ormai distrutta, comparve uno specchio.
Aria si ritrovò
davanti il suo stesso riflesso, ma la sua immagine nello specchio sembrava
avere vita propria e non rispondeva ai suoi movimenti.
Piegò la testa da un
lato, ma la ragazza riflessa non fece altrettanto.
Il sorriso della
ragazza che aveva davanti era arrogante e i suoi abiti erano blu ed eleganti.
Era intimorita da
quella versione anomala di sé stessa, sarebbe diventata fredda e crudele come
tutti gli Eruditi se non avesse cambiato fazione.
Ma l’Erudita sicura
di sé che aveva il suo stesso viso, non aveva certo una pistola appesa alla
cintura.
Lei sì.
La estrasse, la caricò
puntandola verso la versione distorta di sé stessa, e fece fuoco infrangendo lo
specchio.
Quando riaprì gli
occhi dopo lo sparo, si ritrovò in una stanza dalle pareti totalmente bianche
che emettevano luce propria.
Non aveva più la
pistola, ma i palmi delle mani sudate.
Le cedettero le gambe
e si ritrovò in ginocchio.
Iniziò a sentire la
gola restringersi, le mancava l’aria. I polmoni bruciavano poiché non riusciva
a respirare.
Sentì il battito del
suo cuore aumentare, lo sentì rimbombarle nel petto, nelle orecchie, nei polsi,
in gola.
Iniziò a tremare da
capo a piede, a sudare per le forti vampate di calore che la soffocavano, e
sentiva la testa che girava vorticosamente.
Era tremendo.
Insopportabile.
Si portò le mani ai
lati della fronte, era come morire.
No, stava bene. Era
solo un attacco di panico.
Le capitava da
piccola, quando si sentiva sola e prigioniera, priva dell’affetto dei genitori
e di veri amici.
Aveva sempre avuto
paura di perdere il controllo.
Nella sua mente rivide
una bambina bionda che correva in suo aiuto. Le copriva le orecchie con i
propri polsi e, sentire il battito cardiaco rilassato dai polsi di sua sorella, era la chiava per vincere.
Poiché era da sola,
si tappò le orecchie con i polsi e ascoltò il proprio battito fino a quando non
lo sentì nuovamente stabile e tranquillo.
Con uno schiocco
sordo si ritrovò cosciente ed aprì gli occhi. Il suo scenario della paura si
era concluso, aveva superato il test finale.
Batté più volte le
palpebre e si mise a sedere di scatto, era nuovamente al centro dell’ampia sala
tonda, accanto a lei Tory le sorrise e la invitò a tornare dagli altri iniziati
con un gesto della mano.
Saltò giù dalla
sedia e si sforzò di non correre, dirigendosi a passo spedito verso la stanza
in cui erano radunati i suoi compagni, senza voltarsi neppure per un istante
verso gli altri supervisori e verso i capifazione.
Tanto sapeva
benissimo che Eric la stava guardando e che aveva seguito, con particolare
attenzione, tutte le sue paure sullo schermo del monitor.
Continua…
Ciao
a tutti! Volevo consigliarvi, se lo desiderate, di andare a dare un’occhiata al
primo capitolo della storia (che definirei un prologo) perché vi sarà utile
ricordarlo per comprendere meglio i prossimi aggiornamenti...
Inoltre
approfitto dell’occasione per ringraziare di cuore tutti quelli che leggono
questa storia, spero che i capitoli vi piacciono. Mi piacerebbe sapere cosa ne
pensate, e scusarmi per gli aggiornamenti così poco frequenti e per questo
capitolo un po’ breve.
Grazie
ancora davvero. Baci. : )