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Autore: Black Swan    21/11/2008    1 recensioni
Junayd Kamil Alifahaar McGregory ha tutto.
E’ l’unico punto di contatto fra due delle più potenti famiglie del paese, ha ricchezza, bellezza, intelligenza, una posizione di prestigio.
Junayd Kamil Alifahaar McGregory ha le idee chiare.
Sa cosa deve o non deve fare, ha imparato molto presto come far girare il mondo nel verso che gli fa più comodo, ha preso la decisione di condurre una doppia vita a soli quindici anni e custodisce segreti che i suoi genitori neanche immaginano lui possa conoscere.
Junayd Kamil Alifahaar McGregory è convinto di avere già tutto quello di cui ha bisogno: i pilastri della sua vita sono già stati piantati, i confini già marcati. Si renderà conto che anche lui può sbagliare.
Junayd Kamil Alifahaar McGregory non ha mai fatto i conti con il suo cuore. Si accorgerà quanto prima dell’errore commesso.
Junayd Kamil Alifahaar McGregory non ha mai realmente ascoltato il suo cuore. Scoprirà che non è mai troppo tardi per cominciare…
Genere: Avventura, Azione, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 4

Non E’ Mai Troppo Tardi

4

 

 

 

 

 

 

 

 

La mattina successiva arrivò in ufficio poco prima delle dieci e Alison lo accolse con il solito sorriso più felice del solito.

Si sentiva a pezzi, erano anni che non gli succedeva di sentirsi così stanco… dentro.

Stava invecchiando male.

«Hanno già telefonato Drake che ti richiama più tardi, ti sei scordato di accendere il cellulare vero? Il signor Carson per un consiglio e un certo signor Aaron che non ha lasciato detto nulla.»

Aaron? Matthew cominciava a calare in quanto a fantasia.

Represse un sorriso al pensiero, «Passameli tutti quando richiamano.»

«Non hai una bella cera stamani.»

La preoccupazione nella voce della ragazza lo allarmò: doveva essere proprio evidente. «Grazie per avermelo fatto notare. Tu per contro partita sembri catarifrangente da come brilli.»

«Non sto scherzando Juna, tu non stai bene.»

«Sono solo stanco, ho un po’ di mal di testa» si aggrappò automaticamente alla scusa “madre” del suo repertorio, «passerà. Cosa mi aspetta stamani?»

«Non hai appuntamenti. Devi sbrigare le solite scartoffie.»

«Grandioso, non sono dell’umore adatto per stare in compagnia.»

«Sulla scrivania ti ho messo la bozza di un paio di preventivi per l’acquisto di due nuovi computers e almeno quattro nuovi hardwares per il quindicesimo piano che devi controllare e approvare…»

«Sai come mai?»

«I due nuovi computers sono per i due nuovi consulenti che entrano oggi e gli hardwares… beh, sembra che ci siano ancora problemi con la memoria: troppi dati.»

Sospirò, «Dobbiamo deciderci a creare archivi di altro genere o per tenere tutti i dati degli ultimi dieci anni in corsa finiremo con l’uscire noi per far posto ai computers. Ci deve essere una soluzione. Devo parlarne a papà.»

«Ti ho lasciato anche un appunto su quello che vuole Carson, quando ritelefona almeno sai già cosa ti aspetta. Ti porto un caffè?»

«Ottima idea. Prima che me ne scordi: verso l’una arriverà mio nonno. Fallo passare, lo aspetto.»

«Che è sta novità?»

«Pranzo con lui.»

«Mi autorizzi a svenire?»

«No.»

«Armistizio?»

«Forse un trattato di pace.»

«Addirittura, ma dai.»

Sparì dentro la sala riunioni prima che potesse ribattere.

Alison era entrata perfettamente nella mentalità del suo datore di lavoro.

Lo raggiunse in ufficio, Juna era già seduto alla scrivania con un paio di fascicoli aperti davanti. «Il tuo caffè.»

«Grazie.»

Il telefono squillò, la segretaria nascosta in Alison saltò fuori alla velocità della luce prendendo la cornetta a pochi centimetri da lui, ancora prima che lui avesse il tempo di muovere un muscolo.

Dopo poche battute, coprì la cornetta con una mano, «E’ il signor Aaron di prima.»

Le fece cenno di passargli la cornetta ed Alison uscì silenziosamente dalla stanza.

«Ciao» esordì allentandosi il nodo della cravatta e sganciandosi il primo bottone della camicia.

«Ovviamente sapevi che ero io» disse Matthew.

Sprofondò nella morbida poltrona di pelle nera. «Al momento sei l’unico Aaron della mia vita. Stavo giusto pensando che la tua fantasia sta cominciando a calare.»

«Oh, grazie. Come stai ragazzo?»

Accidenti, si era proprio scordato di accendere il cellulare.

«Non posso lamentarmi.»

«Hai sentito Drake?»

Aveva già smesso di usare il nome in codice al telefono. Brutto segno?

«Ancora no. Ieri sera non mi ha chiamato, stamani quando ha chiamato qui non ero ancora arrivato… il solito sincronismo per cui siamo famosi dalle tue parti» concluse serafico.

Inquadrò un foglio sulla scrivania, lo prese e gli diede un’occhiata, ma era inutile: lo accartocciò e con un aggraziato gesto del polso lo fece atterrare nel cestino della carta straccia, uno dei cinque che aveva strategicamente sparso in tutta la stanza.

A volte anche lui peccava di pigrizia, Dio gli aveva concesso un’ottima mira… perché non approfittarne?

Matthew ancora ridacchiava. «Ti confermo che è tutto a posto. Tutto sistemato. L’ultimo affare è andato in porto come ti avevo già accennato, si complimentano tutti. A costo di suonare ripetitivo, ma penso ancora che dovresti incontrare anche gli altri sai? Ti chiedo di non preoccuparti... e di tenere acceso il cellulare, benedetto ragazzo. Come promesso ci sentiremo fra… un po’. Riposatevi.»

«D’accordo.»

La comunicazione s’interruppe.

Fece appena in tempo ad appoggiare di nuovo la cornetta che Alison fece capolino, «Sono più veloce di te» lo informò tutta soddisfatta.

«E’ stata solo fortuna. Come sta Stephen?» chiese mentre accendeva il cellulare.

«Bene. Da quando ti ha visto poi, sta benissimo. Pensa che gli sei anche simpatico, è proprio evidente che non ti conosce. Era geloso di te, ma ora…»

«Evidentemente si è accorto che la leggenda sul mio fascino è appunto solo una leggenda» la interruppe ignorando il poco gentile commento iniziale. Bevve un sorso di caffè e sorrise. «Ma la cosa migliore, ragazza mia, è che ora non potrai proprio fare a meno di invitarmi al tuo matrimonio!»

Alison scosse la testa, «No, la leggenda sul tuo fascino non è stata minimamente intaccata, anche lui ha ammesso che sei bellissimo. Ha semplicemente scoperto che io sono immune!»

Stavolta squillò il suo cellulare e non ebbe problemi ad arrivarci per primo. «Pronto?»

Alison lasciò discretamente la stanza, si rilassò di nuovo contro lo schienale della poltrona.

«Come va la vita?» chiese Drake.

«Come il solito.»

«Hai anche il coraggio di annoiarti?»

Le labbra si piegarono in un sorriso, «Tu come stai?»

«Da Dio, ho dormito ventiquattr’ore di fila!»

«Ah, ora capisco.»

«E’ possibile che sia una lieve nota di rimprovero misto ad ironia quella che sento nella tua voce? … Ok, ti ho dato buca ieri sera e mi dispiace, per farmi perdonare t’invito a pranzo!»

Juna aggrottò la fronte, con il gran casino che era nato dall’assassinio di Estrada si era scordato di aggiornare l’amico sugli ultimi sviluppi della sua situazione familiare.

«Ehm, Drake, mi sono scordato di…» esordì.

«Ecco, lo sapevo: sono sempre l’ultimo a sapere le cose! Mh, è bionda?»

«Chi?»

«No. Rossa?»

«No Drake, non ci siamo.»

«Giuro su Dio che se ti azzardi a uscire con una mora ti stacco la testa Mac. Mi sembrava che fossimo d’accordo su…»

«Non è una ragazza.»

«Ah, pranzo d’affari, allora non m’interessa.»

«Pranzo con mio nonno.»

Drake rimase qualche secondo in silenzio, poi riprese vita, «Aaaah, Mansur! Si ferma molto? Mi piacerebbe salutarlo!»

Juna sorrise, uno poteva aggrapparsi a tutto!

Si sistemò meglio sulla poltrona, «Ho capito Drake: devo portartici per gradi. Noi dove viviamo?»

«A Boston, l’ultima volta che ho controllato.»

«E la famiglia di mia madre?»

«Los Angeles…»

Seguì un silenzio totale.

«E mio nonno attraverserebbe il continente per un pranzo? Siamo d’accordo sul fatto che mi adora, però…» lasciò in sospeso la frase e prese la tazza. «Drake?» chiamò poi visto che il ragazzo non dava segni di vita. Bevve un sorso di caffè.

«Che stai cercando di dirmi?» disse finalmente il ragazzo «Che pranzi con Patrick McGregory?»

«Esattamente» scandì. «Ho solo due nonni all’attivo, sai?»

«Sto per svenire.»

«Anche tu? Almeno Alison ha avuto la cortesia di chiedermi l’autorizzazione.»

«E tu le hai dato l’autorizzazione?»

«No.»

«Ah, mi sembrava. Se si vuole qualcosa da te, non bisogna chiederla. Ok, mi racconterai tutto quando ti chiamo stasera vero?»

«Mi chiami?»

«Sì, stasera.»

«Hai presente che giorno è oggi, vero?»

«Juna, per quanto tempo pensi di rinfacciarmela la buca di ieri?»

«Non molto: fino alla prossima.»

«Sei intollerabile Mac, sul serio.»

«Ognuno ha gli amici che si merita…»

Drake ridacchiò, «Bella consolazione davvero.» Schioccò la lingua «Ti telefono dopo le nove e mezzo.»

«A dopo allora.»

 

Quando si aprì la porta dell’ascensore, Alison non riuscì a mascherare del tutto un sussulto.

Non ebbe bisogno di spostare lo sguardo dal monitor per sapere chi fosse entrato: era l’una e la puntualità era una prerogativa McGregory elevata alla massima potenza.

Continuò a digitare la relazione al computer.

Non riusciva proprio ad esternare simpatia per il patriarca. Non riusciva a non pensare che Juna stesse dando tanto alla compagnia del nonno, praticamente la mandava avanti lui, e in cambio riceveva cattiveria e sprezzante ironia.

Voleva troppo bene a Juna per poter ignorare tutto questo.

Aveva sempre sperato che le cose si sarebbero sistemate, ma negli anni la situazione era andata a peggiorare. La speranza si era riaccesa quel giorno, specie dopo l’ultimo scambio di idee con Juna… ma…

«Buongiorno Alison» salutò una voce profonda.

«Buongiorno a lei signor McGregory.» Spostò lo sguardo sul pannello di pulsanti alla sua destra e vide che la spia della linea interna di Juna era accesa «In questo momento Juna è al telefono, appena riattacca lo avverto del suo arrivo. Desidera un caffè, un tea o altro?»

«No, grazie, sono a posto così.»

«Preferisce aspettare seduto?»

«Questo sì, le mie ossa non sono più quelle di una volta.»

 

Si ricordava Alison come una ragazzina, era cresciuta molto dall’ultima volta che l’aveva vista.

Se pensava a quante storie aveva fatto per l’assunzione di quella ragazza… come al solito Connor aveva visto giusto: quella ragazza e Juna erano un team vincente.

Suo nipote riusciva a istaurare rapporti basati sulla più feroce lealtà: era sicuro che quella ragazza non ci avrebbe pensato due volte a rimbalzarlo fuori da quell’ufficio se Juna non l’avesse avvisata in anticipo che lo aspettava.

Alison continuò il suo lavoro tenendo contemporaneamente d’occhio la spia, quando questa si spense all’improvviso, premette il pulsante del citofono. «Juna, è arrivato tuo nonno.»

«Fallo passare Ali, grazie» rispose la voce di suo nipote resa metallica dall’apparecchio.

Alison si rivolse a lui, «L’accompagno?» chiese semplicemente.

«Non ti disturbare Alison, grazie.»

Entrò nell’ufficio di suo nipote e come al solito si meravigliò del perfetto caos che quel ragazzo riusciva ad organizzare intorno a sé, la cosa più incredibile era che poi riuscisse a capirci qualcosa e a rimettere tutto a posto in pochi secondi.

In quel momento se ne stava seduto dietro la scrivania e aveva l’aria di uno che cerca qualcosa che non trova, «Ciao nonno, posteggiati da qualche parte, arrivo subito.»

«Cosa stai cercando?» chiese sedendosi in una delle due poltrone davanti a lui.

Notò la foto di sua madre che teneva sulla scrivania, un paio di foto con Mansur e suo padre attaccate al muro, in un’altra era circondato dalle sue cugine da parte Alifahaar… da quanto non entrava in quell’ufficio?

Dio quanto tempo aveva perso con quel ragazzo… la paura di viziarlo gli aveva preso la mano.

«Una statistica.»

«Qualcosa di grave?»

Juna sbuffò, «La ricordo a memoria, potrei scriverla e darla ad Ali per batterla a macchina, ma è quello che comunemente definisco perdita di tempo.» Mosse altre due o tre cartelline di vario colore e alla fine alzò trionfante un ciclostilato di quattro o cinque fogli «Tombola! Sapevo di averlo messo qui!»

«Juna… veramente sai a memoria quei fogli?» chiese senza riuscire a nascondere una certa sorpresa.

«Nonno, tu forse non lo sai, ma a me basta guardarlo un foglio per impararlo a memoria. Si chiama in generale memoria visiva. Dispongo anche della cosiddetta memoria eidetica

Quella sorta di rimpianto tornò a farsi sentire. «So che sai fare cose prodigiose… ma temo di essere un po’ fermo sulla teoria.»

«Ci credo. Questa è la prima volta da quando sono nato che parliamo da persone civili.» Lo vide chiudere gli occhi e mormorare qualcosa. «Cominciamo bene.» Alzò le mani in segno di resa abbandonandosi contro lo schienale della poltrona «Scusami, mi è scappata. Come non detto.»

«Figurati, è vero.»

Mise il ciclostilato in una cartellina che gli porse e che lui prese di riflesso, mise a posto il resto della roba che affollava il piano della scrivania e lo guardò. «Devo portare quella cartellina a papà e poi possiamo andare.»

Uscirono dalla stanza e Alison alzò subito gli occhi, «Visto che è qui signor McGregory lo ricordo anche a lei: domani l'altro mattina lei, Connor e Juna avete quell’appuntamento con il responsabile degli acquisti.»

«Brava Ali» disse Juna, «devo salire su da mio padre e lo ricordo anche a lui e ad Anne. Tornerò a capo di tre o quattr’ore circa, ma se mi cerca qualcuno, io rientro in ufficio domani a pranzo, ok? Ci occupiamo della Worldcaft oggi pomeriggio.»

«Ok, ciao Juna, a dopo. Buonasera signor McGregory.»

«Buonasera Alison.»

Suo figlio li accolse con un sorriso, «Ciao papà. Ah, ti sei ricordato quella statistica, campione! Menomale, Anne era già pronta a scendere!»

«Papà, ti ricordi quella riunione con Bart domani mattina vero?» chiese Juna.

«Alle dieci» confermò suo figlio. «Ci vediamo più tardi.»

La limousine li stava aspettando all’uscita, Ken, l’autista, li salutò e li fece accomodare dentro l’abitacolo tenendo la portiera aperta.

«Sai nipote, ancora non ci credo che siamo andando a pranzo insieme!»

«Se è per quello non ci credo neanch’io. Inoltre non so immaginare di cosa mi devi parlare.»

«Di tante cose Juna, ma abbiamo tempo stando a quello che hai detto ad Alison.» Sospirò «In fondo ho perso quasi diciannove anni, da qualche parte mi devo rifare.»

Juna gli sorrise in risposta.

Arrivarono all’Empty Space e dopo un caloroso benvenuto, furono accompagnati al tavolo.

Ordinarono e il silenzio si protrasse per qualche secondo.

«Puoi cominciare con le domande nonno.»

Sorrise, suo nipote aveva stile.

«Hai una ragazza fissa?»

«No.»

«No?»

«No» ribadì.

«Qualcuna che potrebbe diventare la tua ragazza?»

Fu Juna a sorrise, «Nessuna all’orizzonte.»

«Ti stai guardando intorno almeno?»

«Certo. Non perdo un’occasione.»

Alzò gli occhi al cielo, non per il fatto che suo nipote avesse indiscutibilmente successo con le ragazze, quanto per il fatto di dover dire a sua moglie che le sue attenzioni non erano rivolte ad una particolare esponente del gentil sesso. «Beata gioventù! Chi la sente tua nonna adesso?»

Juna non riuscì a trattenere una risata, «Ah, ora capisco, questa parte del discorso l’ha richiesta lei!»

«Hai già diciannove anni Juna, questo è innegabile.»

«Nonno, non ho già diciannove anni, ne ho solo diciannove, per la miseria!» sbuffò «E li devo ancora compiere!» aggiunse «Mi bastano mia madre e tua moglie, ti prego!»

«Io mi sono fidanzato a sedici anni e tua nonna ne aveva tredici.»

«Davvero? Si spiega perché vi amate così tanto.»

«Siamo cresciuti insieme. Non puoi sposare la prima che passa ti pare?»

«Sposare? Tiro il freno a mano nonno. Mio padre si è sposato a ventisei anni, ricordi?»

«Già, e perché ha avuto la fortuna di incontrare Manaar. Tu assomigli molto a Connor: teneva alla sua libertà più che a qualsiasi altra cosa… ma quando a quella festa posò gli occhi su tua madre…»

«Fortuna? Da quando è diventata una fortuna?»

«E’ una di quelle cose che io e te oggi metteremo finalmente in chiaro, se sei d’accordo.»

«Ti ascolto.»

«Io e tuo padre abbiamo parlato a lungo durante il fine settimana, e siamo finalmente riusciti a spiegarci.»

«E la mamma?»

«Manaar doveva solo perdonarmi per averla… usata, in un certo senso, per forgiare te. Ho avuto parole cattive per lei, ma da quando sei al mondo tu, io non ho avuto più nulla contro di lei… in fondo la mia è sempre stata solo rabbia verso tuo padre. Prova a metterti nei miei panni Juna: con tutte le ragazze del mondo proprio della figlia di Mansur Alifahaar doveva andarsi ad innamorare? Per certi versi mi è crollato il mondo addosso. Tua madre è una donna intelligente e ha capito tutto dall’inizio, è bastato parlarci per capirlo. Se ce l’avessi veramente avuta con te, nel modo in cui l’ho sempre data ad intendere, non ti avrebbe mai chiesto di ignorare la situazione: ti avrebbe spronato a difenderti.» Scosse la testa con un sorriso, «Tua nonna è tutta una vita che me lo dice e avrei dovuto darle retta molto tempo fa. L’istinto materno è una cosa meravigliosa, quello femminile in generale ha dell’incredibile. Una delle caratteristiche Alifahaar per eccellenza è proprio l’orgoglio, Manaar non avrebbe mai abbassato la testa se fosse stato in pericolo suo figlio. L’ho sottovalutata parecchio, tua madre… credevo di avere in mano la situazione, mentre invece era lei a tenere sotto controllo il centro di tutta la faccenda: tu.» Sorrise di nuovo, «Il tuo sfogo di tre giorni fa mi ha finalmente aperto gli occhi: sei diventato quello che sognavo, quindi adesso posso far crollare il muro che ti ho costruito intorno. Forse ho aspettato anche troppo.»

«Nonno, temo di non afferrare la situazione nel suo insieme.»

Nel silenzio che seguì arrivarono i camerieri e furono costretti ad interrompere la conversazione.

«Cominciamo dall’inizio, vuoi? Quando Connor sposò Manaar andai su tutte le furie, solo le preghiere di tua nonna mi portarono a quel matrimonio. Mansur era sempre stato, a seconda dei punti di vista, il peggiore o migliore avversario della McGregor Investments e all’inizio presi quel matrimonio come un atto di ribellione di tuo padre nei miei confronti: Connor sapeva di essere l’erede designato, essendo il primogenito. Poi tua madre accettò di venire ad abitare a villa McGregory, quando tuo padre mi aveva detto a chiare note che sua moglie non l’avrebbe vista se non in foto. C’era qualcosa che non quadrava. Stendiamo un velo pietoso sugli aborti che ha sopportato tua madre, posso dirti solo che stavo da cani a vedere mio figlio e mia moglie in quelle condizioni… e adesso posso ammettere che già allora ero affezionato a tua madre. Sono arrivato a dare la colpa all’intera stirpe Alifahaar, renditi conto. Manaar ha rischiato la vita per dare la vita a te, dopo che avevo sentito mio figlio dire che non gliene fregava nulla di avere un erede se doveva rimetterci la moglie. Se mi fossero rimasti dei dubbi circa l’amore, la devozione che tua madre ha nei confronti di mio figlio, beh, sarei proprio un idiota: sarebbe morta per dargli quello che desiderava. Quando arrivasti tu, presi la decisione che avrei fatto di tutto per non farti diventare un viziato egocentrico… le premesse che tu lo diventassi c’erano tutte: avevi tre giorni di vita quando il quaranta per cento dell’impero di tuo nonno è passato sotto il tuo nome!»

«Sono l’unico nipote maschio di cui dispone, e le idee di mio nonno sono quelle che sono. Non credere che fra me e lui non vi siano discussioni nonno: siamo troppo simili per andare d’amore e d’accordo. Quando sarà il momento, stai certo che le mie cugine avranno la loro parte.»

«Mansur Alifahaar è diventato un altro» concesse. «Tanto per dirne una, cominciò a rivolgermi la parola.»

«Mia madre è sempre stata la sua preferita. Non le ha mai negato nulla, ma questo non ha fatto di lei una viziata egocentrica.»

«Il problema è che ti ho adorato dal primo istante in cui ti ho visto, avvolto in quella copertina blu. Eri tutto occhi da piccolo! Non lo scorderò mai quel momento: eri il primogenito del mio primogenito. Tua nonna alza gli occhi al cielo quando mi sente parlare così, dice che tutti i nipoti sono uguali, ma i McGregory sono una dinastia e nelle dinastie i primogeniti sono quelli che prendono in mano le redini della famiglia quando il più vecchio passa a miglior vita. Per Mansur è la stessa situazione. Hai due cognomi proprio per questo motivo… sei il figlio del primogenito McGregory e l’unico erede maschio da parte dei Alifahaar. Avresti avuto, in breve, due nonnini ricchi sfondati che avrebbero fatto a gara a regalarti il mondo.»

«Siamo arrivati al momento in cui mi tirerai una mazzata vero?»

«Hai il potere di farti amare dalle persone che ti stanno intorno.»

Nascose una risatina in uno sbuffo, «Oh sì. Lo zio Paul effettivamente mi adora.»

«In ultima analisi ho usato anche lui. Paul non mi fa domande, e io ne ho approfittato in modo vergognoso. Il modo in cui lo hai trattato però lo ha fatto riflettere, per la prima volta da quando è nato, ha messo in dubbio che stessi facendo la cosa giusta. Mi ha chiesto se non fosse il caso di sistemare la situazione. Ebbene, la situazione va sistemata, e comincerò a sistemarla da te.»

«Ho l’impressione che tu abbia già tutto chiaro nella tua mente.»

«Comincerò con il dividere le azioni della compagnia fra i figli e i nipoti. Comincio ad essere vecchio, non voglio più troppe responsabilità sulle spalle: passerà tutto sotto il vostro controllo, io mi godrò i frutti.»

«Mh, e…?»

Come tutti i McGregory che si rispettassero, Juna andava diritto al sodo.

Lasciava la compagnia in ottime mani.

Sorrise al pensiero, «Posso ritenere sistemata la nostra situazione?»

Juna scosse le spalle, «Se ti ha perdonato mia madre, non vedo perché non dovrei farlo io. Ti ho sempre detto chiaramente cosa pensavo di te nonno, ho la coscienza a posto.»

«Ho fatto il miglior affare della mia vita. Mansur me lo ha detto.»

«Ne avete parlato?»

«Quella settimana e mezzo lo scorso mese, io e tua nonna siamo andati un po’ in vacanza a Los Angeles.»

«Questa poi…» commentò con un sorriso scuotendo la testa.

«Appena sono riuscito a farmi ascoltare gli ho spiegato cosa avevo cercato di fare in questi anni e quella testa dura è andato su tutte le furie… sono propenso a credere che sia essenzialmente perché l’idea non è stata sua!»

Risero.

«Non credevo tu fossi anche spiritoso nonno…» commentò Juna alla fine. «Oggi sembra essere la giornata delle sorprese.»

«Ah, le cose andranno diversamente da ora in poi. Saremo una famiglia a tutti gli effetti, unita e compatta.»

«Nonno, ne parli come se si trattasse di girare un interruttore… non credo che sarà così facile.»

«Se ti riferisci a tuo zio Paul, credimi: lo sarà. Per Paul sarà come ritornare a quando lui e Connor erano ragazzi. Adora il fratello maggiore e se lo conosco come penso di conoscerlo, la sua ammirazione per lui non è che aumentata in questi anni. Tu e tuo padre siete gli unici che mi contraddicono.»

«Come pensi di metterla con Justin e Georgie? Ti rendi veramente conto di quello che hai fatto? Con il senno di poi nonno, posso dirti che mi hai precluso un’infanzia normale. Non sto parlando del fatto che a quattro anni discutevo con papà di finanza, sto parlando del fatto che sono figlio unico, ma almeno con i miei cugini ci sarebbe potuto essere un rapporto completamente diverso da quello che c’è stato… se si può definire rapporto

«Capisco cosa vuoi dire Juna… e so che non basta chiederti scusa per questo, ma quando ho cominciato mai avrei pensato di arrivare fino a questo punto. Il fare di te l’erede dei McGregory mi ha preso la mano, lo riconosco. Per fortuna Justin è un ragazzo intelligente. E’ da un po’ che ho iniziato a parlare con tuo cugino e Justin ti vuole bene. So che può suonare assurdo per quante ve ne siete dette fino ad oggi, ma tuo cugino ti vuole bene e non aspetta altro che poterti trattare come amico. Inoltre, ha già ben chiaro quale sarà il suo ruolo nella McGregory Investments.»

«Davvero? Ti va di illuminarmi?»

«Perché credi che stia studiando giurisprudenza?»

Il sopracciglio di suo nipote scattò all’istante. «Sarà il legale della compagnia?»

Annuì lentamente, «Entrerà a far praticantato da Warren e prenderà in mano il lato legale della McGregory Investments.»

Juna non staccò gli occhi da lui, poi fece un sorrisino che era una smorfia, «Devo chiedertelo nonno?» Al suo silenzio assunse un’espressione rassegnata, «Ok. Come si evolveranno le alte cariche della società senza di lui?»

Era davvero arrivato il momento di mettere le carte in tavola con quel ragazzo.

«Tu diventerai il presidente dopo tuo padre. Drake prenderà il tuo posto, ormai gli manca poco alla laurea, avrà tutto il tempo di farsi le ossa accanto a te prima che tu prenda il posto di tuo padre.»

Ebbe la soddisfazione di vedere quel monumento all’auto controllo che era suo nipote veramente sorpreso… scioccato quasi. «Cooosa?»

«Hai capito benissimo. E se te lo stessi chiedendo, ho preso questa decisione quando Drake ha annunciato di voler prendere la laurea in economia e commercio… e tu sei il primo al quale lo dico.»

«E se Drake non fosse d’accordo?» chiese dopo qualche secondo di silenzio.

Suo nipote aveva un tempo di ripresa a dir poco stupefacente.

Gli era cascata fra capo e collo la notizia più sorprendente della sua breve esistenza, l’ultima cosa che si sarebbe aspettato potesse accadere e aveva già ripreso totalmente il controllo di sé, poteva sentire le rotelline del suo cervello da dove era seduto.

«Rifiuterebbe di lavorare gomito a gomito con te? In pratica mio figlio e Manaar hanno due figli.»

Un lampo indescrivibile passò negli occhi di suo nipote… un lampo che gli fece mancare il respiro.

Dolore? Possibile che fosse…?

«Come pensi di giustificare una cosa del genere con lo zio Paul e lo zio Ryan?»

«I tuoi zii non capiscono niente di finanza, saranno più che felici di questa soluzione. Forse, con il tempo, potranno prendere in mano un settore della compagnia… ma in quelle due poltrone servono elementi che sanno quello che fanno. E poi Drake è uno di famiglia. Giusto ieri Paul si è chiesto perché non viene a cena da noi da almeno una settimana.»

«Quando pensi di parlarne a Drake?»

«Pensavo lo volessi fare tu.»

«No nonno, scordatelo: questa è una cosa che devi dirgli te.»

Gli annuì. Era vero, ma voleva rendersi conto di quanto suo nipote lo tenesse in considerazione.

Forse non era arrivato troppo tardi.

«Possiamo passare ad altro, vero nonno?»

«C’è una cosa che mi sta molto a cuore, ne ho volutamente accennato ieri dopo cena.»

L’espressione di suo nipote si fece improvvisamente attenta.

 

Una strana sensazione s’impossessò di lui, era quella che lo avvisava di un pericolo in arrivo. Con un certo sforzo s’impose di ignorarla.

Non ne aveva già avute abbastanza?

Non riusciva ad immaginare la reazione di Drake davanti ad una notizia come quella che aveva appena saputo.

«Come stanno Jeremy e la sua famiglia?»

Suo nonno sorrise, evidentemente lieto che avesse capito al volo «Adesso bene. Il piccolo è sotto shock ovviamente, continua a parlare di due guerrieri neri, forti e coraggiosi, che lo hanno salvato… parla degli agenti dell’F.B.I. che lo hanno trovato e riportato a casa, ovviamente. Io stesso ho parlato con il generale interno all’F.B.I. che coordinava la missione… si vede che Jeremy è un pezzo grosso, scomodano i generali per lui, ed è stato con immenso sollievo che l'ho riconosciuto: Richard Lewing. Hai ancora contatti con lui?»

Dovette guardare suo nonno in maniera indescrivibile, perché per la prima volta da quando lo conosceva, Patrick McGregory apparve insicuro… e abbassò lo sguardo. «Beh» riprese, «qualche anno fa ad una festa tu e Drake avete parlato con lui e sono sicuro che mi ha riconosciuto stamani…»

Era già abbastanza grave, diciamo anche che rasentava quasi la catastrofe, che suo nonno avesse in qualche modo collegato lui e Drake a Richard, ma per Dio, non poteva chiedergli di… questa proprio non l’aveva preventivata.

Eppure sapeva perfettamente che suo nonno gli avrebbe in pratica chiesto di indagare o quanto meno sondare il terreno per scoprire la sua identità e quella di Drake.

«Abbiamo amici in comune» stroncò il fiume di parole che stava ancora uscendo dalla bocca di suo nonno… e del quale lui non aveva afferrato niente. «Ma non siamo amici, se è questo che vuoi sapere.» Tanto valeva andare direttamente al punto, suo nonno sapeva che non usava giri di parole e comunque il peggio lo aveva già ammesso. «Nonno, Jeremy non vorrà sapere i nomi di quei due agenti vero?»

«Juna, credimi quando ti dico che le ho provate tutte per convincerlo a non impuntarsi, ma è fuori dalla grazia di Dio, lui e Sarah vogliono ringraziarli.»

«Nonno, per quale ragione Lewing dovrebbe dirli a me?»

«Non te li dirà sicuramente, ma voglio essere in grado di dire a Jeremy che le ho provate tutte, capisci? Se per una volta in vita tua fallisci in qualcosa, significa che ciò che ti ho chiesto è veramente impossibile

Scosse la testa, era semplicemente pazzesco.

A quel punto era autorizzato a sentirsi infallibile?

«Non ho neanche la più vaga idea di come rintracciarlo, questo Lewing» mentì.

«Non hai certo limiti di tempo Juna, so di chiederti l’impossibile» ci fu una pausa. «Come hai conosciuto un pezzo grosso dell’F.B.I.?» chiese poi.

«Te l’ho detto, abbiamo amici in comune... e comunque l’essere un McGregory mi rende praticamente fosforescente.»

«Sei una miniera inesauribile di sorprese nipote. Dico sul serio.»

«Ho ripreso il meglio dei McGregory.»

«Su questo siamo d’accordo!»

Si guardarono e scoppiarono a ridere.

Alla fine anche a lui sarebbe toccata una notizia sconvolgente per Drake.

 

Dopo cena si alzò da tavola e, allo sguardo interrogativo di suo nonno, rispose semplicemente che doveva fare una telefonata.

Non considerò neanche il telefono di casa.

Drake fu sorpreso di sentirlo così presto… alla fine del racconto era senza parole.

«Chiamalo e spiegagli cos’è successo, io non posso: mi staranno già aspettando per la prima riunione di famiglia che i McGregory ricordino negli ultimi venticinque anni.» Fece una pausa e al silenzio dell’amico continuò «Drake, hai capito cosa ti ho detto?»

«Temo proprio di aver capito tutto» fu la risposta. «Stiamo scivolando nella fantascienza. Questo è puro delirio.»

E non sapeva tutto.

«Richiamami sul cellulare appena fissi con loro, qualsiasi ora tu faccia, lo lascio acceso, intesi?»

«A più tardi.»

Riattaccò e tornò in sala.

Lo stavano aspettando.

Prese posto nel divano fra suo padre e sua madre e Melissa, che lo aveva aspettato in piedi, gli si sistemò in collo.

«Bene» cominciò Patrick. «Questa riunione familiare ha uno scopo ben preciso, ma prima di passare ad illustrarvelo, devo rendere ufficiali un paio di cose: intanto io e Connor abbiamo appianato i nostri ultra ventennali dissapori, poi la situazione fra me, Juna e Manaar si è definitivamente sistemata» fece una pausa. «E’ una premessa necessaria per spiegare la decisione che ho preso.» Si guardò intorno. «Paul?»

Il figlio lo guardò, «Sono senza parole papà.»

«Sei contento di questo?» chiese Madeline.

L’uomo sospirò, «Certo che lo sono mamma. Ho pensato molto durante questo fine settimana. A ciò che mi ha detto Juna prima di partire, intendo… e per la prima volta ho realizzato che a me, personalmente, Manaar e Juna non avevano fatto nulla che giustificasse il mio comportamento nei loro confronti. E tanto meno ho scusanti per come mi sono comportato con mio fratello. Mi sono semplicemente limitato ad appoggiare mio padre, come ho sempre fatto.» Guardò il fratello maggiore, «E’ questo che volevo dirti a quattr’occhi se non ci fosse stata questa riunione: mi dispiace. Non mi sono comportato lealmente nei tuoi confronti, altrimenti ti avrei spalleggiato in tutto e per tutto, perché è evidente che sei felice e che il tuo matrimonio non ha assolutamente nuociuto alla famiglia» lanciò una breve occhiata al nipote, «anzi.» Guardò la cognata, «Scusami anche tu se puoi, e scusa anche Lennie perché il suo comportamento è interamente colpa mia: essendo mia moglie si è sentita in dovere di appoggiarmi anche in questa guerra fredda, senza fermarsi a pensare se fosse giusto o sbagliato.»

Manaar sorrise, «E’ tipico di una donna che ama Paul. Mi butterei sul fuoco se Connor me lo chiedesse e il concetto giusto o sbagliato sarebbe l’ultimo dei miei pensieri.»

«A proposito di giusto o sbagliato» riprese Paul, dopo un sorriso alla cognata, «devo fare una precisazione. Non è un mistero che abbia sempre seguito il volere di mio padre… e tu lo sai meglio di chiunque altro Lennie.»

Sentendosi chiamare direttamente in causa la donna alzò lo sguardo e lo puntò sul marito, che continuò, «Voglio però che su un punto tu non abbia dubbi: non ti ho sposata perché mio padre mi ha detto che eri la donna della mia vita. Ti ho sposata perché ti amo, testardaggine e snobismo inclusi.» Sorrise, «Immagino che avrei dovuto dirtelo già parecchio tempo fa, ma tendo a dare parecchie cose per scontate. Non vorrei che tu fossi veramente convinta che solo matrimoni contrastati come quelli di Connor e Manaar siano matrimoni d’amore.»

Lennie aveva gli occhi pieni di lacrime.

Justin guardava i suoi genitori come se li vedesse per la prima volta, Georgie guardava la madre come se avesse due teste.

«Quando lo hai capito?» chiese Lennie in un sussurro.

«Mamma!» esplosero Justin e Georgie con un sincronismo perfetto.

«Sono un gran testone amore mio, ma quando m’impongo di pensare come Dio comanda, non sono poi da buttare via.»

Il coro dei due si ripeté, stavolta sotto forma di papà! e Paul li guardò, «Sì?»

Justin e Georgie si guardarono.

«Tu ci hai capito qualcosa?» chiese Justin alla sorella «Perché ho l’impressione che finita questa riunione dovrebbe cominciarne un’altra con soli quattro presenti!»

«Dio solo sa se noi quattro abbiamo bisogno di parlare, e lo faremo, statene certi» disse Paul.

Georgie guardò il padre, «Papà, sei proprio tu?»

«Georgie!» esclamò Lennie.

Ryan ridacchiò, «Non sei la sola a chiedertelo, nipote…» Rise apertamente, «Posso dire solo una cosa? Era ora gente!»

Patrick sorrideva, «V’interessa sapere cosa ho deciso?»

«Spero niente di troppo sorprendente» disse Justin. «Per oggi ho già avuto abbastanza emozioni. Se devo essere onesto devo ancora riprendermi dal fatto che ieri Juna si è trovato d’accordo con me!»

Juna scosse la testa, «Mi spieghi dove lo tenevi nascosto il senso dell’umorismo? In questo sei pari pari tuo nonno!»

«Quando qualcuno mi fa incazzare raramente riesco ad essere spiritoso.»

«Justin!» esplose Lennie.

«Ok mamma: infervorare. Quando qualcuno mi fa infervorare…»

«T’insegnerò che l’ironia usata bene è la migliore arma per scatenare… le infervorazioni degli altri» promise Juna.

«Sono certo sarai un maestro di prim’ordine: non ho problemi a riconoscere che tu sei un asso in questo.»

«Grazie Justin.»

«Prego Juna.»

«Nonno, io voglio sapere cosa hai deciso» disse Melissa, «ma se fossi in te mi sbrigherei a dirlo adesso che stanno zitti.»

Tutti risero… e a memoria di Juna quella era la prima volta che qualcosa faceva ridere tutti i membri della famiglia.

«Grazie Lissa, farò tesoro del tuo consiglio» disse Patrick. «Come già sapete, Connor e Juna detengono le cariche più importanti all’interno della compagnia. Ho intenzione di portare grandi cambiamenti, ma questo resterà invariato… almeno fino a quando mio figlio non si sentirà pronto per la pensione. A quel punto Juna diventerà presidente e Drake entrerà al posto di Juna alla vice presidenza.»

Non volò una mosca per qualche secondo, poi fu Connor a parlare, «Juna, vuoi ripetermi cosa ha appena detto mio padre per cortesia? Lentamente e scandendo bene le parole. L’unico Drake che conosco è il tuo migliore amico nonché eterno complice, che Dio mi aiuti.»

«Hai capito benissimo Connor» ribatté Patrick. «Drake è fatto della stessa pasta di Juna e li ho visti all’opera in diverse occasioni: sono inarrestabili. Drake inoltre ha un legame affettivo che lo lega a mio nipote come è più profondamente di un fratello. Solo questo lo rende la persona più fidata.»

«Ha la sua logica» convenne Manaar nel silenzio che seguì. «Ma Drake lo sa? Patrick, ha detto adesso che è fatto della stessa pasta di mio figlio e non creda per un solo istante che in questi anni i sentimenti di quel ragazzo nei suoi confronti siano…»

«Lo so Manaar. Mi sarei meravigliato del contrario, visto la feroce lealtà che ha verso Juna, ma visto che la società passerà sotto il controllo dei miei figli e dei miei nipoti, Drake non lavorerà per me, lavorerà con Juna

«L’hai veramente studiata bene papà» ammise Paul con una chiara nota di ammirazione nella voce. «Ecco perché non hai opposto resistenza quando Justin ha scelto giurisprudenza.»

«L’unico che potrebbe avere da ridire potrebbe essere appunto Justin, in quanto erede maschio» riprese Patrick, «ma ho già parlato da solo con lui in varie riprese negli ultimi mesi e alla prospettiva di prendere in mano la società gli passava l’appetito», concluse.

Justin inaspettatamente sorrise, «Vuoi farmelo dire ad alta voce davanti a tutti eh? Ti ho già promesso che appena laureato entrerò a fare praticantato da Warren e con il tempo prenderò io in mano il lato legale della società. Il fatto di Drake è solo un optional per me.»

Paul guardò esterrefatto il figlio, «E quando lo avresti deciso?»

«Il giorno che ho deciso di iscrivermi a giurisprudenza, papà. Secondo te perché mi sono intestardito a non dare più di tre esami l’anno? Voglio il massimo dei voti.»

«Ma non mi hai detto nulla!»

«Devo ammettere che quando Juna ha cominciato a collezionare lauree la mia sicurezza è stata un po’ minata, di proposito non ne ho parlato…» sorrise al coro di risatine che seguì l’affermazione, poi riprese «lo sapevano solo Georgie e Diana di questo progetto, ma a questo punto lui sarà il presidente, che prenda o no una laurea in giurisprudenza, avrà bisogno di un legale a tempo pieno.»

Connor guardava il nipote come se letteralmente non lo avesse mai visto prima, «Quanti esami hai dato finora?» chiese.

«Me ne mancano solo tre, zio, e la tesi… ma credo di farcela in un paio d’anni includendo anche la tesi: ho lasciato di proposito gli esami più facili in fondo.»

Paul era semplicemente allibito. «Da quanto non do un’occhiata al tuo libretto universitario?» chiese con una nota di rammarico nella voce.

«Se ti va puoi rimediare stasera stessa.»

«Contaci.»

Patrick si schiarì la voce, il patriarca era decisamente commosso. «Prima finiamo qui e prima lo farai, giusto Paul?»

«Giusto papà.»

«Fino ad oggi ho sempre detenuto la totalità delle azioni della società, due settimane fa ho fatto preparare i documenti per spartire queste azioni fra i miei figli e i miei nipoti.»

Juna sussultò, «I documenti sono già pronti da due settimane?» chiese.

Patrick gli sorrise, «Sapevo di aver scordato qualcosa a pranzo. Gli occhi hanno cominciato ad aprirmisi quando mi sono reso conto che eri arrivato ad un tale punto di saturazione che solo il fatto che ti respirassi vicino ti faceva andare in bestia. Avrei voluto dare questa notizia a cena, la sera che non sei tornato… ecco perché ti ho aspettato sveglio. Il terrore di contribuire a fare di te un ricco egocentrico e viziato mi ha preso la mano Juna, te l’ho detto. Sono giorni che cerco di parlarti, credo che Mansur avesse proprio ragione quando parlava di giustizia divina: ti ho avuto sotto lo stesso tetto da quando respiri, ma quando ho deciso di parlarti, non c’è stato verso di acchiapparti per settimane.»

Juna scosse la testa.

«Roba da pazzi?» suggerì Georgie.

«Mi hai letto nel pensiero cugina.»

«E’ più facile di quanto credessi.»

Per la prima volta da quando erano al mondo si sorrisero con convinzione.

Possibile che suo nonno avesse ragione? Che bastasse così poco a far crollare i muri?

«Tornando a noi» riprese Patrick. «A me e a mia moglie rimarrà il venti per cento delle azioni. A Connor, Paul, Ryan, Georgie, Justin e Melissa il dieci per cento a testa e a Juna il restante venti, almeno fino a quando Drake non entrerà nella compagnia. Per quanto riguarda la quota di Melissa, la gestirà Juna fino al compimento della maggiore età della bambina. Il consiglio d’amministrazione sarà composto dagli azionisti al completo. Credo vi rendiate conto che a Juna, in sede decisionale, basterà avere dalla sua me e con la quota di Lissa avrà l’appoggio del cinquanta per cento delle azioni…»

«La maggioranza è il cinquantuno però» fece notare Juna.

«Cugino, credi veramente che sia così pazza da darti contro in un campo in cui non ci capisco nulla?» chiese Georgie «Saranno comunque il nonno o lo zio Connor a fare la differenza, grazie a Dio.»

Paul annuì.

«E’ vero» continuò Ryan. «Le quote di Juna, papà, Connor e Lissa formano il sessanta per cento del totale.»

«Non voglio sapere niente di queste cose» disse Melissa. «Io sono troppo piccola.» Nascose il viso contro il torace di Juna «Ho già mal di testa.»

«Oh Dio!» esclamò Madeline «L’avete spaventata!»

«Le decisioni le prenderà Juna al posto tuo» la tranquillizzò il padre.

«Ryan, io, te e Connor dovremo poi parlare di un fondo per Lissa, dove finiranno gli utili della sua quota» disse Patrick.

«Quando vuoi papà.»

«Voi tutti dovrete fornire a Juna le vostre coordinate bancarie per i versamenti» riprese il patriarca. «Firmeremo tutti il contratto durante la prima riunione che fisseremo nei prossimi giorni» concluse poi.

Il suono del suo cellulare lo fece sobbalzare. Matthew.

Ah. Fantastico.

Si alzò. «Scusate un attimo.»

«Chi è?» chiese sua madre.

«Non una futura cognata mamma, stai tranquilla.»

Uscì dalla stanza seguito dagli sguardi di tutta la famiglia e prese la telefonata. «Pronto?»

«Ciao ragazzo.»

«Ciao.»

Il comandante Matthew Farlan era nervoso. «Che stia per finire il mondo? Ho fatto in tempo a dire che non ci saremmo sentiti per un po’ che ne stanno capitando di tutti i colori. Passerò a prenderti in ufficio alle due domani, fatti trovare fuori ok?»

«Ok, a domani.»

Riattaccò e tornò in salotto.

Elisabeth cercava di convincere Melissa ad andare a letto e la bambina non ne voleva sapere.

«Lissa, è tardi. Avevi promesso che dopo la riunione non avresti fatto storie.»

«Juna, chi era?» chiese suo nonno.

«Ha accettato di vedermi domani.»

Suo nonno capì all’istante, «Stai scherzando? Così presto? E menomale non sapevi dove rintracciarlo!»

«Essere un McGregory serve a qualcosa nonno.»

«Di chi state parlando? Chi vedi domani?» chiese Melissa mollando la madre a parlare da sola.

Dannazione.

«I discorsi della società non sono i soli per i quali sei troppo piccola tesoro. E’ una faccenda delicata.»

«Ma tu non sei in pericolo, vero?»

Rimase troppo sorpreso dalla domanda per ribattere subito. «Non dire sciocchezze Melissa» la prese in collo e le posò un bacio sulla guancia. «Fai la brava, vai a letto.»

Melissa lo guardò negli occhi, l’agente segreto si svegliò di botto e sostenne quello sguardo.

La bambina sorrise debolmente, «Va bene. Buonanotte Juna.»

«Buonanotte pulcino.»

La consegnò alla madre.

«Juna, vuoi il caffè?» gli chiese sua zia Lennie.

«Sì, grazie.»

«Juna…» lo chiamò suo nonno.

Rispose alla domanda ancora prima che venisse formulata, nella vaga… e ne era certo anche vana speranza che il discorso si chiudesse senza scendere in particolari davanti a sua madre «Non ho idea di come si svolgeranno le cose nonno. Non farmi domande assurde, ok?»

 

«Di cosa state parlando?» chiese Connor.

Patrick guardò il nipote e colse un qualcosa nei suoi occhi, una freddezza che lo scosse.

Era chiaro che suo nipote non voleva che il discorso venisse trattato davanti ai suoi genitori… e non poté fare a meno di chiedersi il perché.

Forse Melissa aveva intuito qualcosa che…?

Poi si disse che non era possibile: la domanda di Melissa lo aveva fatto rimanere male, ma suo nipote non poteva trovarsi in pericolo per parlare con qualcuno dell’F.B.I.… vero?

«Nulla Connor, Juna mi sta facendo un favore.» Sorrise salottiero, «A proposito, lo sai che tuo figlio s’impara le statistiche a memoria?»

«La cosa ti ha proprio sconvolto eh?» chiese Juna sedendosi accanto alla madre «E’ un qualcosa che non controllo nonno, guardo un foglio e quello mi si imprime nella memoria.»

«Ti capita con qualsiasi cosa?» chiese Ryan interessato.

«Qualsiasi. A volte è scocciante perché mi ritrovo la testa piena di cose che non m’interessano minimamente, per fortuna George mi ha insegnato a…»

«George?» chiese sua madre.

«Ma sì, dai mamma, George Cowley: il professore che mi segue negli esercizi per i tests di I.Q..»

Manaar e Connor si guardarono un attimo, poi ricordarono, «Già!» dissero ad una voce.

«Sai cugino, comincio a capire perché a scuola avevi tutti nove e ti si vedeva sui libri sì e no per due ore al giorno…» commentò Justin.

«Quanto sonno ci hai perso per questo?» s’informò simpaticamente sua sorella.

«Parecchio.»

Juna ridacchiò.

Arrivò il caffè e Juna decise evidentemente di spostare il discorso lontano da sé, «Mi chiedevo: avete impegni per domani l'altro mattina verso le dieci?»

«Con chi ce l’hai?» gli chiese «Io, te e tuo padre sì, se non ricordo male.»

«Mi chiedevo se agli zii e a Justin e Georgie non facesse piacere assistere a una riunione riassuntiva sul settore acquisti della società per i primi quattro mesi dell’anno.»

Connor guardò i fratelli e i nipoti, «Non male, potrete cominciare a farvi un’idea di cosa vi aspetta.»

Paul guardò il fratello maggiore, «Sai come infondere coraggio Connor, complimenti.»

«Io sono troppo curioso» disse Ryan, «accetto.»

Sorrise.

Da sempre Ryan era stato il piccolino di famiglia. Il ragazzino coccolato e vezzeggiato dai fratelli maggiori.

Doveva aver passato l’inferno vedendo Connor e Paul darsi costantemente contro. Sembrava rinato in quel momento.

«Va bene lo stesso se sono dei vostri a partire dalle dieci e mezzo?» chiese Justin «La lezione mi finisce alle nove e mezzo.»

«Nessun problema» lo tranquillizzò Connor. «Troverai la mia segretaria ad aspettarti all’ingresso.»

Juna finì il caffè e si alzò, «Io vado a nanna.»

Uscì seguito da un coro di risposta.

 

Uscì seguito da un coro di risposta. Era la prima volta che gli succedeva in quasi diciannove anni di vita.

Si trovò da solo in camera e optò per una doccia.

Aveva bisogno di riflettere.

Quella era stata veramente la giornata delle sorprese, a dire il vero qualcuna l’avrebbe evitata volentieri, ma non si poteva avere tutto dalla vita.

Dall’indomani lo attendeva una vita completamente nuova dal punto di vista familiare, si rendeva conto che da quel momento l’intero nucleo familiare si sarebbe interessato a lui… e in tutta onestà non poteva affermare che la cosa gli dispiacesse, come non poteva fare nulla per impedirlo o rifiutarlo.

No, da quel punto di vista non era preoccupato… l’unico problema che si profilava all’orizzonte era di riuscire a tenere ancora separata la vita di agente da quella privata.

La prova più lampante di quanto sarebbe stato difficile era stato suo nonno: lo aveva in qualche modo collegato a Richard.

Da quanto aveva cominciato a prestare attenzione alle sue abitudini?

Sarebbe dovuto diventare ancora più cauto, prudente, senza mettere a repentaglio il sottile filo che finalmente cominciava a legare i componenti di quella famiglia.

Uscì dalla cabina e si asciugò, poi indossò un paio di boxer.

Decise di fare il servizio completo e si fece anche la barba.

Era mezzanotte passata quando toccò il letto e crollò all’istante.

 

L’ufficio di Richard si trovava nella sede dell’F.B.I. più nascosta del paese e quel giorno era già la terza volta che Juna e Drake ci mettevano piede.

Matthew li fece entrare da una porta di servizio e li costrinse a mettersi dei passamontagna.

«Non è per niente divertente» commentò Drake.

«Avanti ragazzi, nessuno deve vedervi in viso, lo sapete.»

Entrarono nel piano e la segretaria sobbalzò sulla sedia vedendoli, Matthew li scortò dentro l’ufficio di Richard.

Richard li aspettava sulla porta. «Ci porti subito un caffè Marlene» disse Richard alla segretaria. «Dopo chiuderò la porta a chiave e non ci sarò per nessuno.»

Entrarono nella stanza e, al commento del loro superiore su quanto fossero carini conciati così, risposero con un ringhio sincronizzato.

«Scusatemi ragazzi, è stato più forte di me» cercò di fare ammenda il generale.

«Posso toglierlo?» chiese Juna «Ho dei pessimi ricordi legati a questo aggeggio.»

«Appena chiudo la porta» lo rassicurò Richard.

Marlene entrò nella stanza come se temesse di essere morsa, lasciò il vassoio sulla scrivania di Lewing e uscì alla velocità della luce.

«Lo vedete che ho ragione quando affermo che fate paura?» chiese Matthew.

Richard chiuse la porta ridacchiando e i due ragazzi si tolsero i passamontagna.

«Ti odio» lo informarono ad una voce.

Cominciarono a bere il caffè. «Allora Darkness, per prima cosa, giusto per la forma: perché non hai risposto picche a tuo nonno?» chiese Richard.

«Motivo personale: finalmente fra me e mio nonno sta cominciando a formarsi un rapporto, mi ha chiesto un favore, non me la sono sentita di dirgli di no. Motivo professionale: come temevo il governatore è deciso a sapere chi siamo. E’ testardo come un mulo e ha agganci ovunque. Anche se io dicessi di no, sicuramente cercherebbe altre strade. Preferisco che sappia qualcosa da me che so fino a dove posso spingermi, piuttosto che rischiare che arrivi troppo vicino alla verità da altre strade che non potremmo controllare.»

Tutti gli annuirono.

«Immaginavo una cosa del genere» ammise Matthew.

«Posso parlarci di nuovo io se vuoi» disse Richard. «Dannazione, a quanto pare ho parlato con un muro due giorni fa.»

«Fai provare lui» disse Drake. «Ti garantisco che sa essere quanto meno convincente nelle sue argomentazioni.»

«Ma come accidenti ha fatto tuo nonno a collegarti con Richard?» chiese Matthew.

«Ci ha visto parlare ad una festa» rispose Juna. «So che mio nonno non ha assolutamente capito cosa ha realmente visto.»

Drake scosse la testa, «Roba da pazzi.»

«Darkness, per me hai carta bianca» disse Richard. «Usa tutte le argomentazioni che vuoi… dopo tutto si tratta di te e Falcon.»

«Ma specifica che parli ufficiosamente» continuò Matthew. «Non nominarmi mai, per nessun motivo, Richard è l’unica figura che devono aver presente in questa storia. E sottolinea che nulla di quello che dirai sarà mai confermato.»

«Ovviamente» commentò Juna.

«Ufficiosamente puoi anche minacciare, d’altra parte non è una bugia che tu e Falcon siete troppo preziosi per noi per rischiare che un semplice uomo politico, anche se governatore, vi arrivi vicino» convenne Richard.

Più carta bianca di così.

 

Rientrò in ufficio poco prima delle cinque e Alison era alla scrivania, tazza di caffè accanto, a digitare diligentemente al computer.

«Ciao Ali, novità?»

«Ciao Juna. Beh, in un certo senso. Ha telefonato quattro volte tuo nonno, alla fine gli ho detto che lo avresti chiamato appena rientrato.»

«Lo chiamo subito. Altro?» Al suo cenno negativo riprese, «Faccio quella telefonata e poi vado un paio d’ore in palestra. Se vuoi andartene a casa, fai pure.»

«Usciamo insieme.»

«Dici che è troppo tardi per un caffè?»

«Assolutamente no. Te lo porto subito.»

Entrò nel suo ufficio e si rilassò contro la poltrona, poi formò il numero di casa. Gli rispose Howard.

«Ciao Howard, c’è il nonno?»

«Glielo passo subito.»

Breve silenzio, poi la voce di suo nonno, «Hai saputo qualcosa?»

«Non i nomi, ma ora so più o meno come sono andate le cose. Nonno, Jeremy si sta mettendo nei guai, in guai grossi e dovrò fargli un discorsino piuttosto serio.»

Suo nonno rimase un attimo in silenzio, «Devo avvisarlo anche di questo?»

«Fai come credi.»

«Eventualmente… per stasera ti andrebbe bene?»

«Ok, ma dopo cena. Vado un po’ in palestra adesso, sarò a casa per le otto.»

«Perfetto. A dopo allora… e grazie. Hai già fatto un miracolo.»

«A dopo nonno.»

Riattaccò ed entrò Alison. «Ci beviamo un caffè in santa pace e poi dichiariamo chiusa la giornata di lavoro?» propose.

«Non riuscirò mai a dire di no ad una donna…»

«Allora vai a scaricarti un po’ in palestra?»

«Vado a prendere a pugni qualcosa che non reagisce.»

«Fai del pugilato?! Da quanto?!»

«Non è pugilato. Full contact, sai cos’è?»

«No, ma non mi suona bene, quindi preferisco non saperlo.» Lo guardò un attimo, «Non avrei mai detto che ti piacesse menare le mani, eppure penso di conoscerti.»

«Allenarsi in palestra non è menare le mani Ali, se è per quello pratico anche altre arti marziali: scarico la mia sana aggressività in maniera innocua.»

«Non avrei neanche mai detto che tu fossi aggressivo, se è per quello.»

«Oggi non ti va bene nulla. Ci rinuncio.»

«Ti è passato il mal di testa?»

«Mh? Ah, sì.»

«Lo sapevo: tu non avevi mal di testa stamani.»

«Alison, sono un po’ distratto.»

«Quando qualcosa ti preoccupa non riesci neanche ad essere un bugiardo convincente.»

Questa era proprio una bella notizia…

Le sorrise, «Mi vuoi bene Ali?»

«Certo.»

«Allora non mi psicoanalizzare, potresti cambiare idea.»

La ragazza sbuffò, «Sei intollerabile Juna, sul serio.»

Gli venne da ridere al pensiero che era la seconda persona nel giro di due giorni a dirgli la stessa cosa… era una buona media.

   
 
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