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Autore: Dragon_Flame    16/01/2015    6 recensioni
Firenze, luglio 2013.
La vita di Lidia Draghi, adolescente alle prese con l'ultima estate prima degli esami e con la fine di una relazione sofferta, prende una svolta inaspettata nell'incontro con Ivan Castellucci, padre di Emma, che deve affrontare un difficile divorzio.
Una strana alchimia li lega e la certezza di aver trovato la propria metà si fa pian piano strada nei loro cuori. L'unico problema sta nella loro differenza d'età: vent'anni. Lidia ha diciott'anni, Ivan trentotto. Aggiungiamo poi una madre impicciona, un ex-ragazzo pedante, un fratello inopportuno e pseudo ninfomane, un'ex-moglie inacidita che cerca di strappare a Ivan la loro unica figlia e mixate il tutto.
Mille difficoltà ostacoleranno la relazione segreta fra i due protagonisti, ma il loro sentimento sarà più forte del destino che sembra contrario al loro amore?
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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30.



 

"Papà, ma perché quest'anno non posso passare il Natale con te?"

La difficile domanda fu posta a Ivan da sua figlia Emma in un giorno di metà dicembre, quando Alessia, dopo essere venuta a fare visita all'ex-marito per ricordargli di preparare una piccola valigia per la bambina, che sarebbe stata con la madre per tre settimane, le aveva annunciato che avrebbe trascorso insieme a lei e a Giacomo le vacanze invernali. La reazione della bambina era stata scontenta e refrattaria e la risposta della donna concisa e indiscutibile: poteva scordarsi le vacanze con il padre, almeno per quel Natale. Quindi Alessia s'era sbattuta la porta alle spalle, abbandonando la casa condivisa a lungo con figlia e marito, fulminando Ivan con uno sguardo carico d'odio e astio.

"Fiorellino mio, anche se io e Alessia non andiamo tanto d'accordo, lei è pur sempre la tua mamma e tu dovresti volerle bene. Perché invece non vuoi trascorrere le vacanze con lei? La vedi così poco, ultimamente..." aveva commentato, cercando di evadere la questione posta dalla figlia. Era dura risponderle che per colpa della madre della bambina stessa non potevano vedersi sempre, figuriamoci aggiungere pure che le vacanze, almeno per lui, sarebbero state tristi e deprimenti. "Ti divertirai con la mamma. Lei ti porta sempre in posti divertenti: al luna park, o da qualche parte fuori Firenze... magari se riesci a convincerla quest'anno ti porta pure a Mirabilandia" aggiunse, sperando di distrarla dal pensiero iniziale.

Ma Emma era come suo padre, troppo intelligente per farsi raggirare così facilmente.

"Ma io voglio stare con te, mica con la mamma. Lei è sempre attaccata a Giacomo, e poi lui è così antipatico! Pensa di comprarmi coi regali, ma mica io sono come mamma. Sono piccola, ma so già che i soldi non fanno la felicità. Me lo dici sempre tu" gli rimproverò la bambina, andando a stringere affettuosamente la vita del padre con le braccia sottili.

Ivan ricambiò l'abbraccio, afferrandola con sicurezza e coinvolgendola in una giravolta spericolata. Emma, eccitata, urlò e insieme rise tra le braccia dell'uomo, scacciando momentaneamente l'amarezza e la rabbia. Funzionava sempre così tra loro: se c'era qualcosa che non andava o che la faceva incollerire, il padre la sollevava tra le braccia e le faceva fare un volteggio, finendo poi per ridere insieme. Emma adorava quei momenti: si sentiva protetta, amata, confortata. E poi Ivan era il padre più tenero e presente del mondo, e nonostante le difficoltà crescenti cercava sempre di mettere la serenità della figlia al primo posto come fine della sua vita. Da qualche tempo, tuttavia, la felicità di Emma aveva trovato un rivale nei sentimenti che l'uomo provava per una certa persona, e alla piccola, perspicace ed intuitiva nonostante la giovanissima età, quel cambiamento sottile ma inequivocabile non era sfuggito.

"Papà, perché non mi porti in vacanza da qualche parte? Almeno la mamma non sa dove siamo e non può venire a prendermi per passare il Natale con lei e Giacomo... dài" lo pregò, sbattendo con finta innocenza gli occhi aurei orlati da lunghe ciglia nere.

"Emma, sai che non posso."

Le speranze della bambina andarono in frantumi. Emma s'arrese all'evidenza, sapendo di non poter scampare a quella terribile prospettiva.

"Tu invece dove passerai il Natale, papà?" gli chiese rassegnata, sperando che almeno lui potesse divertirsi un po'.

"Dalla nonna e da Giovanni, come tutti gli anni prima che tu nascessi, piccola mia." Ivan accarezzò la testolina mora della figlia, sorridendole nostalgico. Quanto erano lontani quei tempi.

"Mi mancherai. Mi manchi già."

"Su, non dire queste cose. Tanto ci rivediamo presto. E poi ti telefonerò tutti i giorni e magari, se Alessia è d'accordo, vengo pure a prenderti un pomeriggio e andiamo a vedere un bel film insieme. Che ne dici?"

"Dico che si può fare." A dispetto di ciò che aveva appena affermato, Emma mise il broncio e incrociò le braccia davanti al petto il segno di arrendevole disaccordo.

Ivan si costrinse a sorridere, malgrado anche lui fosse contrario a quella lunga separazione.

"Su, non farmi quella faccia, altrimenti le meringhe in forno si squagliano tutte" ironizzò, facendole l'occhiolino.

Emma rise appena.

"Ma tu sei bravo a fare i dolci, papà! Sei il mio chef personale, non puoi sbagliare! Altrimenti, se me le fai male, mi devi confidare un segreto per punizione."

"Ricattatrice" la prese in giro il padre, prendendole la mano destra nella propria sinistra e riconducendola con sé in cucina per controllare la cottura delle meringhe.

Ivan reimpostò i gradi di cottura aumentandoli, poi notò una traccia di umidità sulla teglia e decise di lasciare aperto il forno appena un po' per permettere ai dolci di asciugarsi bene. Quindi andò a sedersi con la figlia sugli sgabelli nuovi di zecca che aveva acquistato poche settimane prima per riarredare la casa, completamente spogliata dei soprammobili quando Alessia si era trasferita a casa di Giacomo portando con sé un sacco di cose dalla sua precedente abitazione.

"Le meringhe vengono male, papà. Non cuociono bene" lo riprese con aria professionale la bambina, che teneva tra le mani un grande tomo sulla pasticceria.

"Pazienza, tesoro. Ne faremo delle altre" la rabbonì il moro, aspettandosi già una domanda impertinente su di sé da parte della piccola.

"Però non stanno venendo bene, quindi mi dici un tuo segreto" ingiunse Emma, lanciandogli un'occhiata tremenda.

In fondo, assomigliava parecchio anche ad Alessia: ne condivideva la curiosità morbosa per tutto ciò che gli altri avevano di intimo e personale, la vanità, la testardaggine e una forte dose di orgoglio e alta considerazione di sé.

Ivan sospirò rassegnato. E adesso che vorrà sapere?

"Dimmi" la incitò sbuffando.

"Papà, tu vuoi bene a Lidia?" gli chiese senza tanti preamboli, andando dritta al sodo. Si accigliò di colpo e la sua espressione divenne intensamente seria.

Ivan rimase sconcertato di fronte a quella domanda che non si sarebbe mai immaginato. Proprio non se l'aspettava.

"Perché me lo chiedi?" replicò sulla difensiva l'uomo, cercando disperatamente di non dover rispondere.

Ma sfuggire ad Emma era assai difficile. Il volto della bambina si fece rigido.

"Perché le voglio bene. E mi sono accorta che anche lei ce ne vuole tanto: a me, ma sopratutto a te. Non farla soffrire, papà. Lei non merita questo."

Il bruno rimase esterrefatto.

"E in che modo la farei soffrire, scusami?"

"Tu hai voluto tanto bene alla mamma, ma ora non ci vai d'accordo. Non fare così anche con Lidia, per favore."

La bambina scivolò giù dall'alto sgabello rosso su cui era faticosamente salita un minuto prima, portandosi davanti al padre.

Otto anni, pensò Ivan deglutendo, solo otto anni, e già capisce così tanto. Dio mio.

L'infermiere si chinò sulle ginocchia per raggiungere con il volto il livello di quello della sua amata figlia, ricambiandone lo sguardo gemello del proprio per colore, taglio ed espressione. Gli occhi di Ivan si addolcirono e istintivamente anche i lineamenti di Emma si rilassarono.

"Emma, te lo prometto. Non farò soffrire Lidia, perchè le voglio un sacco di bene, così come ne voglio a te."

La bambina si quietò un pochino, sorridendo tranquilla. Ma poi un altro punto interrogativo spuntò fuori dalla sua mente curiosa.

"Quindi vuoi più bene a Lidia che alla mamma?" gli chiese, un po' ficcanaso, un po' indiscreta, un po' felice per suo padre e per la ragazza.

Quella domanda estremamente personale imbarazzò l'uomo, tuttavia lui rispose, decidendo di essere sincero con la figlia.

"Certo, tesoro, molto più che ad Alessia. Io amo Lidia, e ormai credo che tu lo abbia capito da un po'."

"Non proprio, avevo il dubbio... ma pensavo che fosse così. Vi prendete per mano quando siete insieme e poi vi sorridete sempre" rivelò candidamente la bambina, aggiungendo un dettaglio delicato che fece arrossire Ivan per l'ingenua facilità con cui era stato smascherato.

"Ma tu... tu non lo dirai ad Alessia, giusto? E nemmeno allo zio Luca, a Giovanni, a nonna Miriana, a Giacomo o ai genitori di Lidia, d'accordo? Deve rimanere un segreto."

"E perché?" indagò Emma, improvvisamente sospettosa.

Ivan non poteva certo confessare alla figlia che Alessia, se fosse venuta a sapere della sua relazione con una ragazza di neanche diciannove anni, avrebbe potuto utilizzare quell'asso nella manica nel processo per portargli via la custodia della sua unica figlia. Lui odiava Alessia, ma non poteva far sì che anche Emma detestasse sua madre. Per lei sarebbe stato un trauma terribile ad una così giovane età, una frattura insanabile nel suo animo di bambina. Doveva proteggere l'integrità della sua serenità. Quindi l'uomo pensò in fretta a una scusa qualsiasi per accontentare la morbosa ficcanasaggine della ragazzina.

"Ehm, come tu sai, Lidia ha appena diciotto anni. Io ho il doppio della sua età. Sara e Domenico non sarebbero d'accordo se dicessimo loro che vogliamo stare insieme, perché io sono troppo... be', ecco, troppo grande..."

"Troppo vecchio" lo corresse Emma ingenuamente, e in Ivan si riaprì una cicatrice chiusa, un brutto pensiero sotterrato sotto mille strati di altre preoccupazioni in uno sperduto angolo della mente. Problemi momentaneamente dimenticati ritornavano a far sentire l'eco lontana La differenza d'età.

"Sì, Emma, troppo vecchio." Ivan sospirò pesantemente, avvertendo l'ansia crescergli nel petto come un macigno.

No, non poteva stare con Lidia. Non poteva impedirle di vivere una vita spensierata con amici coetanei e di provare le gioie e le preoccupazioni dell'amore giovanile a causa di una relazione con un uomo più grande di lei di vent'anni con delle responsabilità e preoccupazioni anche opprimenti. Se l'amava non doveva. L'animo gli si gelò a quella prospettiva di una vita senza di lei.

"Però che problema buffo: che c'è di strano? Anche la mamma è più giovane di te, ma i nonni non hanno fatto tante storie quando vi siete sposati. Giacomo è anche più vecchio di te ma nessun gli dice nulla per la differenza di anni con la mamma. E poi lo dicono tutti che l'amore non ha età."

"Questo vuol dire che ci si può innamorare a qualsiasi età, piccola mia, e non che due persone con tanta differenza di anni possano stare insieme" osservò con amara semplicità Ivan, accarezzando distrattamente l'esile braccio della figlia.

"Ma papà, è un problema tanto semplice da risolvere! State insieme e basta" constatò con disarmante allegria Emma, rivolgendogli un sorrisone. "E io sono contenta che tu sei innamorato di Lidia. Lei è simpatica e mi vuole bene. E poi ti insegna a cucinare, quindi meglio di così non può andare" lo prese in giro, strappandogli una risata forzata.

"Se solo fosse così facile..."

"No, papà, è facile. Siete voi adulti a rendere le cose così difficili. E' tutto molto semplice" ribatté con decisione la morettina, interrompendo un'altra volta la debole replica paterna.

Ivan tacque e rifletté sulle parole della figlia. Emma non aveva tutti i torti: anche se non poteva certo essere a conoscenza delle reali difficoltà che loro due vivevano, Lidia e Ivan potevano continuare a frequentarsi di nascosto da tutti ma liberamente, senza porsi troppi problemi a parte quello della segretezza.

"Forse hai ragione. Ma deve comunque rimanere un segreto, perché se qualcuno lo scopre e lo va a dire ai genitori di Lidia, poi loro si arrabbiano con me e non mi parlano più" gli ricordò l'uomo, decidendo di non dare ascolto alle voci nella sua testa che gli suggerivano masochisticamente di chiudere la relazione con la sua fidanzata.

Ivan ricordò le parole di Lidia e si sentì rinfrancato. Aveva tradito un'amicizia e ormai non sarebbe potuto più tornare indietro nemmeno lasciando la ragazza, perciò era inutile farsi tormentare dal rimorso. E inoltre non intendeva più anteporre la felicità degli altri, escludendo quella di Lidia ed Emma, alla propria. Perciò non avrebbe troncato la loro relazione.

Forse sono egoista ad agire così, ma io la amo e non voglio rinunciare a lei, si disse mentalmente, ritrovando un po' di serenità.

"Ma certo! Anzi, sai che ti dico? Facciamo un giuramento, adesso. Sì, papà, ora, e non guardarmi come se ti avessi detto chissà che. Vieni qui." Emma fece una pausa, pensando alle parole da pronunciare per suggellare la promessa. "Giuro che manterrò il segreto e che non dirò nemmeno alla nonna chi è che ti piace. Ma tu giura che quando uscite insieme mi portate via con voi, perché io mi sono stancata di essere sempre dalla nonna o dai miei amici ogni pomeriggio. Io voglio stare anche col mio papà!" protestò con vivacità la bambina, suscitando la lieta ilarità del padre.

"D'accordo, lo giuro."

"Bene. Ora incriociamo i mignoli. E adesso batti cinque con me" aggiunse la ragazzina, compiendo il gesto con l'ampia mano dell'uomo.

Ivan sollevò la testa e annusò l'aria della cucina con uno sguardo pensieroso negli occhi, ricordandosi improvvisamente delle meringhe.

"Cavoli, le meringhe! Ho scelto una temperatura di cottura troppo alta!" e schizzò veloce verso il forno per rimediare al guaio combinato prima che fosse troppo tardi, ma il danno era già fatto.

Spense lo strumento e tirò fuori la teglia con un guantone, sventolando la mano sinistra per allontanare il filo di fumo nero che si stava sollevando dal disastro di pasticceria appena realizzato. Lanciò un'occhiata demoralizzata alle forme scure e bruciacchiate sparse sul foglio di carta da forno, quindi sospirò rassegnato.

"Ok, sono da buttare via."

Emma si avvicinò per osservare il disastro, arricciando il naso, crucciata.

"Sembravano così buone... e tu le hai rovinate. Per fortuna che Lidia cucina bene e vuole insegnarti come si fa, perché altrimenti mi devo preoccupare seriamente per la mia salute" ironizzò, rivelando un insospettabile sarcasmo.

"Che dolce aspide abbiamo fatto nascere io ed Alessia" replicò Ivan alla battuta della figlia, posando con finta noncuranza la teglia annerita e il guantone accanto all'acquaio.

"Oh-oh, mi sa che adesso ti vendichi" lo anticipò la figlia, correndo verso il nuovo divano di un caldo color arancio sistemato in salotto, scegliendolo come barriera difensiva.

"Diamo inizio alla battaglia del solletico!" annunciò a voce alta l'infermiere, rincorrendo la bambina nella stanza attigua e afferrandola con scherzosa rapidità per i fianchi.

Trascinandola a stendersi sul sofà, cominciò a tormentare il suo ventre e le ascelle con le dita, ed Emma, dopo le iniziali grida di protesta, si lasciò ben presto andare alle risate più fragorose e allegre degli ultimi giorni, arrivando anche a piangere per il troppo ridere.


 

***


 

"Buondì, amore" esordì allegramente Lidia non appena Ivan alzò la cornetta del telefono.

"Buongiorno, stella mia" la salutò l'uomo, rilassandosi contro il letto sbadigliando sonoramente.

Erano le otto di mattina e Lidia era già a scuola, seduta al suo banco nell'aula ancora deserta. Invece Ivan aveva deciso di tornare a dormire ancora un po', dopo aver accompagnato la figlia alle elementari. Infatti, avendo un turno notturno previsto proprio per quel giorno, preferiva accumulare qualche ora di sonno per non dormire in piedi durante la notte, quando ci sarebbero potuti essere casi gravi o emergenze improvvise da affrontare.

"Scommetto che sei ancora a letto" lo prese in giro la ragazza, cogliendo nel segno.

Ivan rise, accucciandosi sotto le coperte ancora lievemente tiepide per creare un po' di calore e scacciare il gelo che avvertiva sulla pelle scoperta. Essendo abituato a dormire solo con boxer e canottiera anche in inverno, sentiva sempre freddo.

"Touché. Ma sai che stanotte ho il turno di lavoro... preferisco guadagnare qualche ora di sonno."

"Emma quindi non va a scuola?"

"No, l'ho già accompagnata."

"Potevi risparmiarle questo trauma, poverina. Non sai quanto la compatisco. Sei crudele."

"Grazie. Mi ricorderò della tua opinione di me quando dovrò farti il regalo di compleanno" replicò con finta stizza il moro, suscitando la lieta risata della giovane.

"Come sta Emma?" gli chiese poi lei, spostando la loro conversazione su un altro argomento.

"E' un po' giù perché deve accettare il fatto di trascorrere le vacanze con Alessia e Giacomo, ma si è rassegnata all'idea... comunque sospetto che abbia in mente qualcosa per sabotare il loro piano feriale."

"Chissà da chi avrà ripreso... Alessia le ha trasmesso proprio i geni giusti" e Lidia rise ancora.

"Ah già, a proposito di Emma... devo parlarti di una cosa importante. Sei libera per oggi pomeriggio?"

"Non so, dovrei studiare con Céline che mi rispiega un argomento di matematica... semmai le chiedo se vogliamo coprirci l'un l'altra, così lei si vede con Heydar e io con te senza che le nostre rispettive famiglie lo sappiano" disse pensosa, riflettendo su come evadere quella penosa prospettiva di trascorrere il pomeriggio a studiare una materia così odiosa.

"Allora posso tranquillamente dirti dove ci incontriamo" concluse ironicamente Ivan. "Alle quattro e mezza davanti all'Osteria delle Tre Panche in centro storico, va bene?"

"Hey, lascia a me l'onore di decidere, per una buona volta! Dunque... si può fare. Ma non ti confermo nulla. Poi ti richiamo io oggi pomeriggio."

"Va bene. Magari se ci riesci prima delle tre mi fai un favore, perché poi devo anche preparare una borsa per Emma: stasera va a dormire da mia madre, non posso lasciarla sola a casa."

"A proposito di ciò che mi devi dire... di che cosa si tratta?"

Ivan si ritrovò a sorridere teneramente sentendo la sfumatura preoccupata nella voce della ragazza.

"Sarà una sorpresa" le disse per tenerla sulla corda.

"Stronzo. Buona o cattiva?"

"Positiva, sta' tranquilla."

"Ti conviene" lo minacciò lei per scherzo, ma non poté proseguire perché vide entrare Aurelia in classe e si affrettò a chiudere la chiamata. "Adesso devo andare, ma ti richiamo io più tardi. Buona giornata, baci, ciao!"

E riattaccò senza nemmeno dargli il tempo di pronunciare una sola sillaba, lasciandolo a parlare con il tuu tuu ripetitivo della linea libera del fisso.

"Ma perché avrà quest'abitudine di riattaccarmi sempre in faccia quand'è a scuola... Mah" si disse da solo Ivan, sbuffando una risatina.

Da tutt'altra parte, Lidia invece salutò Aurelia con un cenno beneducato, ma senza sorridere o parlarle. Era ancora arrabbiata con lei: dopo un mese la tensione fra di loro non si era ancora sciolta.

"Ciao, Lilli" rispose la compagna di classe, accennando un sorriso che si spense non appena appurò la freddezza del comportamento della castana. La rossa, comunque, tentò di instaurare una conversazione con lei. "Con chi eri al telefono? Se devi parlare, esco un momento" si offrì.

"No, tranquilla... era mia cugina. Oggi compie gli anni e le ho telefonato per farle gli auguri, nulla di che. Anche lei fra poco ha lezione" mentì la liceale, cercando di allontanare fin da subito la curiosità di Aurelia da sé.

"Ma chi, Viktoria Meier? La tua simpaticissima cugina aspide altoatesina? Da quando avreste instaurato un rapporto civile?" indagò scettica Aurelia, sedendosi al proprio posto dietro Lidia, in terza fila.

Lidia fece segno di diniego con il capo, scuotendo le corte ciocche castane che le incorniciavano delicatamente il volto a cuore.

"No. Parlo di Livietta, la figlia di mia zia Emilia. E' la mia cuginetta da parte paterna. Oggi compie cinque anni" inventò ancora, tirando in ballo la figlia della sorella del padre, la sua cugina preferita in assoluto. Livia era una bambina dolce e sensibile che a Lidia ricordava molto Emma, perciò la adorava tantissimo.

"Oh... allora falle gli auguri anche da parte mia, se poi le ritelefoni" replicò imbarazzata Aurelia, rendendosi conto di essere, come al solito, troppo ficcanaso, specialmente con una persona che aveva preso le distanze da lei.

Lidia sospirò, poi si voltò verso la compagna. Come leggendole nella mente, riuscì a intuire subito i suoi pensieri. I suoi occhi azzurri scintillarono quando osservarono le iridi verdastre della ramata, riflettendo una miriade di emozioni.

"Aury, io vorrei darti di nuovo fiducia... ma finché resti legata ad Alessandra so che non potrò. Ti dirò una cosa, adesso, e probabilmente non ci crederai, ma è la verità: Roberto sta con la tua amica solo perché così può frequentare il gruppo di cui faccio parte pure io e controllarmi. Non mi lascia ancora in pace. Ti ricordo che solo un mese fa ci aveva provato con me. Dillo ad Alessandra che si sta illudendo e facendo sfruttare da un idiota e, soprattutto, cerca di farti valere un po' di più in questo rapporto tra di voi che tutto mi sembra tranne un'equa amicizia. Pensaci bene. Io sono disposta a perdonarti, ma solo se ti dimostri capace di pensare con la tua testa e non solo di fare ciò che ti dicono gli altri" le disse stancamente la ragazza, che non vedeva l'ora che tutto ciò finisse e che la loro amicizia potesse ripristinarsi.

Dopotutto, nonostante il torto che le aveva fatto, Aurelia le mancava, perché era una buona amica, forse troppo impicciona e ingenua, ma veramente cara e dolce.

Lei chinò lo sguardo, incapace di sostenere quello dell'amica.

"Mi dispiace, Lidia..." seppe dire soltanto.

Allora la castana allungò la mano per costringerla ad alzare il viso e a guardarla dritto negli occhi. Parlò con voce più fredda e distaccata, sapendo che solo l'indifferenza e la rigidità l'avrebbero spinta a cambiare un po' il suo carattere e a farsi più indipendente mentalmente dall'amica-despota, se ovviamente teneva alla loro amicizia abbastanza da farlo.

"Non basta il pentimento, Aurelia. Io voglio che cambi. Lo voglio per il tuo bene, perché altrimenti sarai sempre sottomessa ai capricci di Alessandra, che non merita un'amica fedele come te. Perciò, svegliati un pochino e fatti valere, oppure possiamo considerarci solamente come delle compagne di classe che nulla hanno da spartire se non trenta ore di lezione a settimana" concluse con tono gelido.

Il suo volto si fece nuovamente teso, poi Lidia si girò bruscamente, ignorando la sua occhiata avvilita. Aurelia fece per parlare, ma la voce di Andrea, che apparì all'improvviso all'ingresso della classe, la bloccò prima che potesse aprir bocca.

"Buongiorno, ragazze! Ma che sono questi musi lunghi? Su, vi voglio allegre" esordì, entrando con passo svelto e sicuro nella grande aula della quinta linguistico.

"Ti fai le canne già di prima mattina, Ferrero?" osservò sarcasticamente Lidia, sollevando un sopracciglio, dubbiosa.

Il ragazzo però la prese per una battutaccia e non colse la sfumatura caustica dell'intervento della compagna di classe. Quindi fece una risata e si sedette accanto ad Aurelia, cominciando fin da subito a importunarla e a flirtare con lei, come accadeva ogni giorno con qualsiasi essere semovente e respirante munito di airbag pettorali e posteriori che fosse disposto a stare ad ascoltarlo.

Le lezioni trascorsero in fretta e Lidia attese con febbrile irrequietezza la fine delle sei ore giornaliere di tortura scolastica, aspettando ansiosamente lo scoccare delle quattro e mezza. Quindi, non appena la campanella dell'una e trenta trillò assordante, non perse tempo e si fiondò fuori dell'aula, percorrendo le scale di fretta e raggiungendo Céline all'uscita, riuscendo ad acciuffarla per un pelo.

"Hey, senti" ansimò quando l'ebbe agguantata per un braccio.

"Hai corso i duemila metri, per caso? A momenti mi svieni davanti" ribatté la mora, trattenendo Heydar per la di lui mano che stringeva tra le proprie dita.

"Devo chiederti un favore che non potrai rifiutare" chiarì la ragazza, prendendo una profonda boccata d'ossigeno. "Cavoli, sono fuori allenamento... devo tenermi in forma per la gara di aprile" dise poi tra sé, appuntandosi mentalmente di convincere il padre a iscriverla ad una palestra.

"E di che si tratta?" la invitò Céline a farsi avanti, proseguendo con la corrente di studenti in uscita dalla scuola per evitare di essere travolta dai ragazzi più piccoli e vivaci del biennio.

"Oggi ho da fare, non posso venire a casa tua a farmi rispiegare matematica" esordì. "Quindi pensavo che, invece di perdere un pomeriggio in casa, tu puoi tranquillamente dire a tua madre che ci incontriamo da qualche parte. Poi invece ti vedi con Dar, se ovviamente lui non ha da fare" e le fece l'occhiolino, sperando che la sua migliore amica capisse al volo il motivo della sua assenza e non le facesse domande. Sapeva di poter contare sulla discrezione compita dell'iraniano, ma non su quella della mora, ben più chiacchierona.

Céline comprese subito la natura dell'impegno improvviso di Lidia e le lanciò uno sguardo d'intesa, poi levò gli occhi innocenti e teneri sul fidanzato.

"Oggi sei libero, vero? Dài, amore..." lo pregò, strappandogli ben presto un cenno d'assenso.

"Ok, allora siamo d'accordo" disse Lidia dopo essersi accertata della disponibilità dei due.

"Però quando recuperi la spiegazione?" intervenne Heydar.

"Be', ci possiamo vedere sotto le vacanze natalizie, oppure non se ne fa nulla. Al limite posso chiedere a mio zio Andrea: lui insegna matematica in un liceo di Siena... e vado a trovare lui, zia Emilia, i nonni e i cugini durante le ferie con i miei. Quindi non c'è assolutamente alcun problema."

"Ça va, alors" concluse Céline, mettendo tutti d'accordo. "Va benissimo, Lilli. Anzi, se mi copri con i miei mi fai un favore enorme!"

"Non devi nemmeno chiedermelo, Céli: sono la tua migliore amica da una vita."

La castana abbracciò impulsivamente la ragazza più bassa, stritolandola in una stretta affettuosa.

"Adesso vi lascio soli. Mio padre mi aspetta in macchina... a domani!" si congedò frettolosamente, salutando entrambi con un cenno della mano.

Quindi sgattaiolò via nella piazzola brulicante di persone, sfrecciando verso l'auto di Domenico con il cuore leggero e colmo di gioia per il pomeriggio che le si prospettava davanti.


 

***


 

Lidia era seduta da più di un quarto d'ora su una panchina a pochi passi dall'Osteria. Aveva preferito arrivare in anticipo per evitare improvvisi contrattempi. Con indosso una cuffia, il giaccone invernale, un paio di semplici jeans neri e le Air Force azzurre, era vestita in modo sportivo e giovanile che non dava nell'occhio.

A Ivan, comunque, Lidia sembrava sempre bellissima e affascinante, anche con indosso un anonimo cardigan e rigidi pantaloni da collegiale. Infatti fu così che lui la considerò non appena la scorse da lontano, intenta a scrivere un messaggio con il Samsung, completamente concentrata su quell'azione: meravigliosa, così bella da struggere il cuore. Osservò la lieve ruga che increspava la fronte dalle sopracciglia aggrottate e sorrise, trovando la sua espressione attenta assolutamente adorabile.

Mano nella mano con sua figlia Emma, Ivan proseguì fino a quando non raggiunse la panchina su cui era seduta Lidia. Lei alzò il volto, e la felicità inizialmente disegnata sul suo volto si dissolse per lasciare spazio allo sconcerto e al timore quando lo sguardo delle sue iridi celesti si posò su Emma. Tuttavia, nonostante la sorpresa, cercò di dissimulare l'espressione bizzarra che le si leggeva in faccia e sorrise forzatamente ai due.

"Ivan, Emma! Ma che combinazione avervi incontrati qui! Che cosa fate di bello, una passeggiata?" improvvisò, levandosi in piedi e portandosi davanti al duo.

"Lilli, Emma sa tutto di noi" esordì bruscamente Ivan, lasciandola a bocca aperta per la sorpresa e la costernazione.

Cazzo, e ora chi ci assicura che la nostra storia può continuare senza troppi rischi?, pensò con amarezza Lidia, sentendo le prime lacrime pizzicarle gli occhi al pensiero di non poter più vedere l'uomo che amava.

"Ma... ma come, perché... come è successo?" si ritrovò a chiedere, completamente disorientata da quella rivelazione.

"E' una lunga storia" le rispose Ivan, sospirando. Le tese una mano, incitandola a seguirli. "Vieni con noi: abbiamo un po' di cose di cui parlare."


 

***




N.d.A.
Salve a tutti!
Innanzitutto grazie mille per le tante recensioni che ho trovato poco fa: le ho lette tutte e mi hanno commossa l'una più dell'altra *^* grazie mille!
Soprattutto, grazie a Tanny, che si è letta tutte le pagine chilometriche dei capitoli precedenti per riuscire a rimettersi in paro, lasciando sempre dei commenti!
Comunque, mi dispiace per non aver risposto né essermi fatta viva, ma il giro di boa non è ancora arrivato e sono impantanata in una miriade di pagine da studiare, da scrivere, da completare. Insomma, l'inferno dantesco formato scuola. Per fortuna, però, ho trovato il tempo di scrivere questo capitolo. Spero che vi sia piaciuto: ho deciso di inserirvi un momento cruciale, ossia il fatto che Emma scopre la relazione del padre con Lidia e mette al corrente di ciò proprio Ivan per ottenere conferme. Poi l'ho lasciato in sospeso. Chissà, se riesco a scrivere il capitolo prossimo in tempo per venerdì sera forse saprete come andrà a finire, altrimenti nisba.
Boh, fra un po' mi ci sotterrano sotto strati di libri. Ma non è importante. Importante è, per me, ringraziare ognuno di voi che seguite e leggete la storia, in particolar modo Lachiaretta, controcorrente, Emotrilly_Watanka e Tanny, per aver recensito lo scorso capitolo.
Bon, ora mi dileguo, erché altrimenti le note diventano più lunghe e discorsive di questo capitolo xD
Grazie ancora a tutti, a presto! (Forse a venerdì prossimo se riesco, altrimenti metto un avviso! Ah già, risponderò fra poco alle vostre recensioni!)


Flame

  
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