“Mikeymaledettofermatiimmediatamentetiuccido!” riecheggiò nel rifugio, come una maledizione.
Michelangelo
correva come un dannato, veloce come solo lui sapeva essere, ma
nonostante tutto, Raphael gli era alle calcagna, nero di rabbia come
non mai.
Se
lo avesse preso, ne avrebbe pagato le conseguenze.
“Era
uno scherzo, Raphie! Non sai più stare ad uno
scherzo?” esalò,
girando appena la testa per controllare a quanta distanza fosse suo
fratello: Raph era ad appena qualche metro, con la morte negli occhi.
Con
uno strillo preoccupato, cercò di correre più
veloce, superando con
un solo balzo il laghetto, miracolosamente.
“Aspetta
che ti prenda e poi ti faccio vedere come so scherzare!” lo
minacciò l'altro, con la mezza intenzione di tirargli
addosso uno
dei Sai per inchiodarlo al muro; poi, se per sbaglio lo avesse
colpito, sarebbe stato davvero così terribile?
Superò
anche lui il laghetto e cercò di avvicinarsi ancora, con la
rabbia
che pompava il sangue nei muscoli con più foga.
Mikey
aveva appena scartato a destra, correndo sotto il portico del piano
terra, evitando la zona video con balzelli calcolati, lui proprio
dietro.
E
se la rideva, nonostante un po' fosse terrorizzato, prendendolo solo
più in giro.
Con
uno scatto deciso si gettò a testa bassa, acquistando
velocità.
E
l'avrebbe preso, per certo, se la porta del dojo non si fosse aperta
repentinamente, dritta sulla sua faccia.
Ci
fu un tonfo epocale che riecheggiò ovunque, seguito dalla
sua caduta
a terra e la risata fragorosa e incredula di Mikey, che faticava a
tenersi in piedi per la troppa ilarità.
Lo
avrebbe ucciso. Appena quelle lucine avessero smesso di balenargli
davanti agli occhi e la testa avesse smesso di aprirsi dolorosamente
in due.
Stava
trattenendosi con tutte le sue forze per non urlare e imprecare, con
le mani premute sulla testa, cieco e sordo ad ogni altra cosa che non
fosse il dolore.
Poi
sentì qualcosa di morbido sfiorarlo, se ne accorse perché
qualunque
cosa fosse si stava portando via la sofferenza, lasciandolo con una
estatica sensazione di pace e benessere; perciò, con calma,
abbassò
le mani e aprì gli occhi, di colpo in perfetta salute.
Isabel
era accucciata di fronte a lui, gli occhioni castani che lo
scrutavano con un misto di esasperazione e preoccupazione, e lui
capì
che era stato un suo bacio magico a guarirlo.
“Cosa
diamine state combinando?” gli chiese sospettosa,
occhieggiando la
sua fronte, dove sapeva che poco prima ci fosse un principio di
bernoccolo.
“Sto
cercando di uccidere Mikey” confessò, alzandosi in
piedi e tirando
su lei. Era in completo da palestra e in una mano teneva i Tessen
chiusi.
“Sì,
le vostre urla si sentivano sin dentro il dojo. Ma perché lo
vuoi
uccidere? Insomma, più degli altri giorni” si
informò la ragazza,
girandosi verso Mikey, che nel frattempo era rimasto poggiato alla
colonna vicino al dojo, ridendosela della grossa.
Quando
aveva visto che Isabel aveva curato il fratello, comunque, era
scivolato per sicurezza indietro, giusto per essere pronto in vista
di un suo nuovo scatto.
“Lui
lo sa” fu la cauta risposta, molto inusuale, di Raph.
Isabel,
infatti, sollevò un sopracciglio e voltò lo
sguardo da uno
all'altro, come se volesse leggere la risposta sui loro volti: a
destra c'era Mikey, il cui sorriso diventata sempre più
grande via
via che passavano i secondi, a sinistra Raph, sempre più
torvo e
minaccioso, come se lo stesse avvertendo di non aprire bocca.
“Ho
messo una cavalletta nel letto di Raph e lui si è svegliato
urlando
quando gli è finita in faccia!” confidò
tutto d'un fiato Mikey,
che stava bruciando dalla voglia di dirglielo.
Il
fratello chiuse la mano a pugno, desiderando ardentemente schiantarlo
contro la sua testaccia, ma quando lei si voltò a guardarlo,
fece
finta di niente, e attese: Isabel gli sorrise, un sorriso normale,
nessuna presa in giro sottaciuta, e gli si fece vicino.
“Una
cavalletta?” domandò cortesemente, aprendo poi la
strada verso la
sua camera da letto.
Entrò
con sicurezza, mentre lui e Mikey rimanevano fuori in attesa; un
lieve tramestio, una corsetta, poi la ragazza uscì, con le
mani
unite a formare una conchiglia, un riparo sicuro.
“Ecco
fatto” annunciò contenta, avvicinandosi.
“Ecco
cosa? Non hai preso la cavalletta, vero?” urlò
sconvolto Raph,
indietreggiando inconsciamente.
Isabel
si fermò e lo guardò stranita.
“Io...
odio gli insetti” confessò dopo qualche attimo di
silenzio, con un
groppone in gola di vergogna.
Di
nuovo, si era aspettato che lei ridesse. Invece, avvicinandosi
velocemente, Isabel si tese in punta di piedi e gli scocciò
un bacio
sulla guancia, sempre tenendo le mani ben chiuse per non lasciarsi
scappare la cavalletta.
“Sei
terribilmente carino!” chiosò felice,
allontanandosi a grandi
passi, diretta verso l'uscita del rifugio, per liberare la
bestiolina.
Raph
si toccava la guancia con fare distratto, seguendo la sua uscita,
meditabondo.
“Oh,
vedi? E tu a fare tante storie... guarda che vera donna!”
sentì la
voce di Mikey colpita, da qualche parte vicino a lui. Tanto vicino
che, se fosse stato completamente in sé, avrebbe potuto
allungare un
braccio e strozzarlo, per certo.
Invece
guardava l'entrata del rifugio, in trance, con un lieve fastidio nel
petto.
“Ha
detto che sono carino” continuava a ripetere come una nenia,
sempre
più offeso.
Raphael
sapeva di star facendo un dramma dal nulla. Ma Isabel lo aveva
definito carino. Nello stesso senso con cui ci si rivolgeva ad un
bambino paffuto e tenero, o ad un cane che faceva sciocchi giochetti.
E lei non poteva pensare di accomunarlo a cose simili.
Era
un uomo, grosso e rude, non era carino. Si era incrinato qualcosa
quando lei gli aveva detto quella parola, solo perché lui
aveva
paura degli insetti.
E
non poteva lasciar perdere. Doveva riacquistare credibilità
ai suoi
occhi!
Doveva
solo trovare una sua debolezza, un qualcosa di cui lei avesse paura e
usarlo contro di lei, nell'ombra, per poi apparire da nulla e
salvarla con galanteria.
Sì,
era stupido. Ma lui non era carino. Lei avrebbe potuto dirgli
qualsiasi altra cosa, ma non carino.
Si
sentì un po' meschino quando si intrufolò nella
sua stanza, con un
piccolo pacchetto nelle mani; poggiò il suo contenuto sul
letto, poi
sgattaiolò velocemente fuori, nascondendosi al piano terra,
dietro
una delle colonne, in attesa.
Isabel
tornò a sera inoltrata, come di consueto, salutando a voce
alta:
passò nel laboratorio per lasciare gli appunti delle lezioni
e le
videoregistrazioni a Donnie, poi cercò lui in giro,
chiamandolo con
apprensione.
Scivolò
fuori dall'ombra, solo lievemente colpevole.
“Bentornata!”
le disse, sinceramente felice.
Era
sempre bello quando lei tornava a casa, un po' stanca per le
massacranti lezioni, ma indubbiamente contenta di rivederlo: lo
poteva leggere nel suo sguardo e si emozionava, ogni volta. Non
importava quante volte la scena si fosse già ripetuta, il
suo cuore
batteva più forte non appena lei rimetteva piede a casa.
Quel
giorno però, sentiva anche un po' di vergogna.
Isabel
gli corse incontro e gli scoccò un bacio, chiedendogli di
aspettare
che si cambiasse per chiacchierare un po'.
Raph
annuì, poi la osservò in silenzio mentre andava
nella propria
camera, ignara.
Attese
col magone, aspettando l'urlo di terrore di lei. Un minuto, poi due,
poi tre. Ma dalle stanze di sopra non arrivava alcun rumore.
E
se fosse svenuta per la paura? Lui non sapeva certo le fobie di
Isabel, e se l'avesse spaventata più del dovuto? Non era
strano
svenire come meccanismo di difesa.
Stava
rimuginando e iniziando a sentirsi in colpa, sempre più, di
più,
tanto che non sentì il suono dei passi in avvicinamento,
finché il
suo campo visivo non fu solo verde. Verde chiaro con chiazze scure,
confuse e pulsanti e che gracidava.
Si
tirò indietro con una scartata decisa, sorpreso, e mise a
fuoco la
ranocchia dall'aria svampita che la ragazza gli aveva praticamente
spiaccicato in faccia dalla foga di mostrargli.
Con
un sorrisone a trentadue denti che non si era di certo aspettato di
trovare sul viso di lei.
“Guarda
com'è carina! Era nella mia stanza”
strillò euforica,
sventolandogliela sotto il naso.
Raphael
annuì in trance, più perché la
allontanasse che davvero perché la
stesse ascoltando, mentre una parte del suo cervello si malediceva
per il fallimento del suo piano.
Ok,
non pensava che Isabel potesse davvero avere paura delle rane, ma
almeno disgusto. Ribrezzo. Schifo.
Invece
se ne andò via con il piccolo anfibio ben stretto nelle
mani, come
se fosse un tenero cucciolo di foca, mormorandogli parole carine per
rassicurarlo mentre andava a liberarlo.
Raph
si passò una mano in faccia, con un sonoro sospiro.
Ora,
lasciar perdere sarebbe stata la cosa migliore, -con una ragazza che
non temeva gli insetti e gli animali viscidi, cosa si aspettava di
ottenere?- ma c'era una buona componente di idiozia e testardaggine
nel suo DNA, che lo costringeva ad andare fino in fondo.
Perciò,
nei giorni a seguire, non ci fu mattina in cui non sgusciava nella
camera di lei, un'aria furba e cospiratrice in volto, un pacchettino
nuovo nella mano.
Isabel
trovò, nell'ordine: un serpente, due topolini, tre
lucertole, quattro scarafaggi, ma mai, mai, mai diede un minimo
accenno di paura o repulsione, di fastidio o ribrezzo, una scintilla
di disgusto.
Niente.
Toccava quegli animali a mani nude, -tranne gli scarafaggi,
ovviamente- e li liberava uno dopo l'altro, dando ogni volta,
inconsapevolmente, una stoccata al suo ego.
Doveva
rassegnarsi, stava con Wonder Woman e lui non avrebbe mai potuto
riscattare quel “carino” in nessun modo, mai
più nella vita.
Doveva farsene una ragione!
Gli
bruciava, da morire, ma dovette ammettere che probabilmente non ci
sarebbe riuscito in alcun modo e che sarebbe stato meglio lasciar
perdere, prima di perdere ancora più la faccia.
Se
ne stette con il broncio per un paio di giorni, mentre lei gli
trotterellava dietro per farsi dire cosa avesse, giusto per farla
sentire in colpa anche senza confessarle perché.
Poi,
a mano a mano che i giorni passavano e si trasformavano in settimane,
avercela con lei non era la cosa più importante, non quando
poteva
averla con sé e parlarci e abbracciarla, toccarla, amarla.
Perciò,
quel carino venne dimenticato abbastanza in fretta, tutto sommato. Di
certo non ci aveva più pensato da molto, quando infine
successe.
Era
sera, Isabel era appena tornata dalle lezioni, aveva lasciato come di
consueto gli appunti a Don e un bacio a lui, poi si era diretta verso
la camera per cambiarsi, con la promessa di racconti mirabolanti su
una lezione buffa, un professore calvo e una gaffe linguistica che
aveva tutta l'aria di una barzelletta.
Le
era andato dietro, smanioso di parlare con lei, di ascoltarla ridere,
di gioire della sua vicinanza, e attendeva appena fuori, ciondolando
di qua e di là, mentre lei continuava a parlottare, la voce
troppo
flebile perché lui la sentisse, ma comunque felice del suo
chiacchiericcio.
Poi,
un urlo terrorizzato lo raggiunse e lo allarmò e Isabel
uscì come
un fulmine dalla sua stanza, la maglia infilata al contrario, i
capelli sconvolti e un terrore che poche altre volte le aveva visto
in viso: gli si fiondò letteralmente tra le braccia, e si
accorse
che un po' tremava.
“Isa...
cosa...”
“C'è
un... c'è un... un...” balbettò lei,
premendo la faccia contro il
suo torace, come se cercasse di seppellircisi contro per non vedere
mai più cosa l'avesse spaventata.
“Un...?”
incalzò lui, cercando di capire.
Le
aveva messo nella stanza tutte le creature più orride e
spaventevoli
che conoscesse e lei le aveva portate fuori come fossero stati dei
cuccioli da portare a spasso, perciò cosa poteva esserci di
così
spaventoso da farla tremolare in quel modo?
“Un..
un...”
“Un?”
“Un
ragno” piagnucolò Isabel da qualche parte nel suo
petto, paurosa
al solo pronunciarlo.
“Un
ragno?” ripeté, incredulo, per essere certo di non
aver capito
male. Lei annuì solamente, come se il pronunciarlo per la
terza
volta potesse attirarlo, un po' come Beetlejuice.
“Ma
tu non hai paura degli insetti” esalò lui dopo
qualche secondo,
stupidamente.
Davvero,
ce l'aveva messa tutta, ma non riusciva a capire.
“Non
è un insetto! È un ragno! Sono aracnidi, la
progenie del male,
subdoli e meschini che si muovono in un modo rivoltante e si
nascondono nelle ombre per poi attaccarti mentre sei indifeso e
addormentato ed entrarti nelle orecchie e depositarti le loro uova
e...” strillò lei senza senso, sollevando il viso
folle di paura,
ormai lanciata.
“Ehi!
Ehi! Buona! Non è mica Shredder! Sembra che tu stia
descrivendo un
serial killer!” la fermò, incredulo, provando a
calmarla.
“Ho
paura dei ragni! Sono aracnofobica, mi manda nel panico solo vederne
uno nella stessa stanza” si scusò Isabel,
stringendolo più forte.
“Buttalo
fuori, per favore!” finì come una supplica, con un
tono
implorante.
Raphael
sorrise, senza volere.
La
strinse più forte, in uno slancio improvviso, e
strofinò la guancia
contro la sua fronte.
“Come
sei carina” sussurrò senza averlo previsto,
completamente ebbro
della sua delicatezza.
Solo
dopo qualche secondo, capì cosa aveva fatto. Capì
quel carino che
lei gli aveva detto, capì quel sentimento di dolcezza che
lei doveva
aver provato nel vedere la sua paura, perché non c'era
niente di
male nel mostrare le proprie debolezze a chi si amava, nell'essere
indifesi, sinceri, uno la forza dell'altra, quando ce n'era la
necessità.
Si
sentì di colpo sciocco per essersela presa, per aver provato
a
cercare le sue paure per mostrarsi uomo, la sua roccia.
Ci
fu un lungo attimo di silenzio, nel loro abbraccio totale.
“Allora,
lo cacci via?” chiese dubbiosa Isabel, sollevando il viso
verso di
lui.
Raphael
scosse la testa, con foga.
“Non
mi importa se lo chiami arachide o...”
“Aracnide”
lo corresse lei.
“...
o ragno o come ti pare. Per me rimane sempre uno schifoso insetto e
non intendo avvicinarmici nemmeno morto” confessò
senza
vergognarsi, questa volta.
Isabel
mise un secondo il broncio, guardandolo intensamente.
Poi
entrambi scoppiarono a ridere, per l'assurdità della
situazione.
“E
allora?” domandò alla fine Isabel.
“E
allora... Mikey!” urlò all'improvviso Raph,
sorprendendola e
rintronandola.
Michelangelo
apparve dalla sua camera, allarmato dal suo tono urgente e li
guardò
a turno, ancora stretti nell'abbraccio.
“C'è
un ragno nella camera della tua sorellina! Hai il compito di
catturarlo!” disse solo Raphael, davanti alla sua espressione
stupita.
Poi,
si incamminò con Isabel per mano, senza curarsi del suo
sguardo
vagamente attonito.
“Posso
dormire da te, stanotte?” chiese lei innocentemente, molto
più
rincuorata e felice.
Raphael
ridacchiò, sorpreso dalla sua uscita.
“Fai
anche finta di chiedere il permesso, adesso?” la
schernì, unendosi
poi alla sua risata.
Note:
Dunque,
questo capitolo è parzialmente autobiografico... il mio
Raph, il mio
fidanzato che è un pazzo miscuglio di Raph e Mikey, ha il
timore
delle cavallette (se sa che l'ho detto a qualcuno mi uccide) e una
volta l'ho salvato da una enorme che era entrata in casa.
Però
poi lui mi salva dai ragni, quindi siam pari, no?
Ahahah,
ce li vedo Isa e Raph a battibeccare e Raph non sa davvero perdere,
lo sappiamo.
Vi
abbraccio tantissimo!