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Autore: HellWill    17/01/2015    0 recensioni
(Ho visto questa challenge (goo.gl/XBoRTK) e non potevo non farla.)
"«È possibile viaggiare in un altro mondo? Un mondo specifico?» sussurrò Aindir, e la sua voce fredda quasi rinforzò il vento che spifferava ovunque minacciando di spegnere il già debole fuoco.
«Non è questione di tempo.. è questione di soldi» ammiccò ancora la vecchia, e Aindir si irrigidì mentre lei tendeva una mano. «Ed ora di soldi ne hai abbastanza.. servono per l’incantesimo, a me va poco e nulla» sorrise lei, e l’assassino si alzò, porgendole la prima borsa: la vecchia sparse nel braciere tondo una grossa quantità di un’erba azzurra e viola, che colorò il fumo di verde, e quando vi gettò dentro anche i soldi l’oro si liquefece. Aindir sentì stringersi il cuore vedendo tutta la sua fatica di quindici anni trasformarsi in oso fuso, ma restò immobile e solo quando gli fu richiesto porse la seconda borsa e poi la terza; l’oro sembrava avere vita propria, muovendosi e rimescolandosi nel braciere come se fuggisse dall’erba."
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
- Questa storia fa parte della serie '365 DAYS WRITING CHALLENGE'
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16 gennaio 2015
Money

Aindir affilò lo sguardo, mentre il coltello affondava ancora una volta nel petto dell’uomo; si portò la lama al naso, per inspirare l’odore di ruggine e sale del sangue, che gli agitò lo stomaco e gli fece venire l’acquolina in bocca. Senza distogliere lo sguardo dagli occhi spalancati nel buio della sua ennesima vittima, restò accanto a lui finché la luce non li abbandonò, rendendoli simili a due biglie di vetro. Non gli chiuse gli occhi, e lasciò una rosa blu sul petto dell’uomo, quasi con sprezzo e fretta, esaurita la sua sete di sangue, mentre usciva dalla stanza e, circospetto, dalla casa.
Al suo ritorno alla catapecchia che usava come base da ormai due anni, pulì le armi e bruciò i vestiti, si lavò nel fiumiciattolo che scorreva a mezzo miglio da casa e si rivestì, intirizzito per il freddo ma indifferente alla temperatura.
Quando fece il suo ingresso in città sul proprio cavallo, una giumenta completamente nera, tutti evitarono il suo sguardo e lui fece altrettanto, concentrato solamente sul compenso che avrebbe ottenuto da quell’omicidio; e quando fermò l’animale e lo legò ad un palo con abbeveratoio, fu solo vicino ad una rinomata locanda dove bazzicavano solo brutti ceffi. Aindir si calcò il cappuccio sulla testa, incurvando le spalle e prendendo il suo solito tavolo; non passò molto tempo prima che una discreta compagnia si riunisse attorno a lui, discutendo su chi avesse la precedenza, così sollevò le mani e i cinque uomini si zittirono, fissandolo in attesa.
«Chi deve darmi soldi viene per primo, perché ci si sbriga prima» disse, secco, e due uomini sorrisero mentre tiravano fuori dalle borse due sacchetti d’oro per ciascuno. Aindir li prese e li aprì con calma, guardandone il contenuto e agitandolo per controllare che non fossero gonfi di segatura.
«Benissimo. Signori, è stato un piacere fare affari con voi. Voi tre, cosa avete da propormi?».
I due uomini che avevano pagato si alzarono e con calma se ne andarono, senza dare nell’occhio, mentre i tre rimasti si guardarono in cagnesco fra di loro; uno si alzò e andò a prendere una birra al bancone della locanda, e lì rimase, mentre gli altri due si sfidavano silenziosamente con lo sguardo. Sbuffando, l’ultimo andò a mangiare altrove.
Aindir si fece illustrare velocemente in cosa consisteva il contratto e così anche per gli altri due, uno dopo l’altro, e solo una volta passata la Settima Ora, ovvero il pranzo, Aindir lasciò la locanda con un bel gruzzolo in borsa e nuovi sei contratti.
Lavorò alacremente per il resto del giorno, svolgendo indagini e furterelli qui e lì, che affidò poi ai ricettatori per accumulare quando più danaro possibile, concentrato sul suo scopo a lungo termine, e disposto a qualsiasi cosa pur di raggiungerlo.

Erano passati ben dieci anni da quando aveva finito il proprio addestramento da sicario e aveva iniziato a lavorare, eppure Aindir era continuamente insoddisfatto, come se i soldi non bastassero mai; lentamente si era fatto un nome e tutti lo chiamavano “l’Ombra Blu”, per via del colore dei suoi capelli, scuri come la notte.
Quando si presentava dalla Sacerdotessa per verificare lo stato del suo incantesimo, Aindir riceveva sempre la stessa risposta:
«Non è questione di tempo.. è questione di soldi» ammiccava, e Aindir avrebbe tanto voluto piantarle un coltello in un occhio e vedere quanti soldi le mancavano in quel caso. Ma si limitava ad alzarsi ed andarsene, portandosi dietro il denaro.
E così, ben quindici anni dopo essere fuggito via di casa, ritornò per l’ennesima volta dalla vecchia sacerdotessa, rannicchiata in un nido di coperte e cuscini per proteggersi dal freddo pungente dell’inverno e della neve che spingevano contro la tela della sua tenda: dal braciere si levava un sottile fumo bianco e le quattro borse piene d’oro ingombravano la tenda sino a riempirla. La donna fissò in viso l’uomo, sorridendo e ammiccando.
«È possibile viaggiare in un altro mondo? Un mondo specifico?» sussurrò Aindir, e la sua voce fredda quasi rinforzò il vento che spifferava ovunque minacciando di spegnere il già debole fuoco.
«Non è questione di tempo.. è questione di soldi» ammiccò ancora la vecchia, e Aindir si irrigidì mentre lei tendeva una mano. «Ed ora di soldi ne hai abbastanza.. servono per l’incantesimo, a me va poco e nulla» sorrise lei, e l’assassino si alzò, porgendole la prima borsa: la vecchia sparse nel braciere tondo una grossa quantità di un’erba azzurra e viola, che colorò il fumo di verde, e quando vi gettò dentro anche i soldi l’oro si liquefece. Aindir sentì stringersi il cuore vedendo tutta la sua fatica di quindici anni trasformarsi in oso fuso, ma restò immobile e solo quando gli fu richiesto porse la seconda borsa e poi la terza; l’oro sembrava avere vita propria, muovendosi e rimescolandosi nel braciere come se fuggisse dall’erba.
«Sono soldi cattivi, questi» mormorò la sacerdotessa, senza alzare lo sguardo dall’incantesimo. «Soldi pregni di sangue» sussurrò, e Aindir quasi temette che stesse per ritirarsi. «Non nascerà nulla di buono da questa chiave» disse piano, e l’ultima borsa fu svuotata solo per metà, mentre l’altra metà la vecchia la nascose nel suo nido di coperte.
«Funzionerà?».
«Taci, assassino. Le tue mani sono sporche e le tue intenzioni cattive».
Aindir serrò la mascella e tacque, contrariato, mentre l’oro si agitava e tremava; la sacerdotessa chiuse gli occhi e prese a mormorare una melodiosa litania: l’oro andò a plasmarsi da solo in cinque chiavi, una più fine e arzigogolata dell’altra, e la Sacerdotessa sospirò mentre dal braciere estraeva altre due chiavi, così semplici da parere quasi una presa in giro rispetto alle prime cinque.
«Queste sono sette chiavi del Tempio delle Porte».
Aindir affilò lo sguardo degli occhi viola, fissandoli in quelli bianchi della vecchia, che sorrise sghemba.
«La prima chiave è quella a forma di fiore: apre il Tempio delle Porte, in qualunque luogo tu ti trovi: ti basta girarla tre volte in senso orario, e quattro in senso antiorario».
«Non ha più senso girarla una volta in senso antiorario?» ironizzò l’uomo, e la donna fece un gesto secco.
«Non funzionerebbe, ma puoi provare. È tutto simbolico: nella propria vita bisogna fare tre passi in avanti e quattro indietro, per capire realmente ciò che si fa nella vita. La seconda chiave aprirà la prima porta che ti troverai davanti nel Tempio delle Porte, ma stai attento: ci saranno molte porte, e non tutte necessiteranno di chiavi».
«Quindi?».
«Quindi dovrai riconoscere quando usare la seconda chiave, e così la terza e la quarta, e la quinta e la sesta».
«Devo attraversare sei porte?».
«Ne attraverserai infinite, a seconda delle porte che sceglierai, se il tuo animo non è limpido».
Aindir restò in silenzio, pentendosi di aver chiesto aiuto a quella sacerdotessa e di aver sprecato quindici anni della propria vita ad accumulare tutto quell’oro per avere in cambio sette chiavi e un futuro incerto.
«Dunque come saprò che le porte sono quelle giuste? Se ho due porte chiuse a chiave, quale apro?».
«Le chiavi aprono una porta ed una soltanto. Dovrai soltanto provare».
«E tu come fai a saperlo?».
«Oh, ragazzino, sei così giovane ed inesperto. Non hai idea di cosa questi occhi abbiano visto».
“Ben poco”, pensò Aindir, sorridendo appena, “dal momento che hai le cataratte”.
«Dopo aver aperto la sesta porta?».
«La sesta porta verrà aperta da una di queste due chiavi: alla tua vista esse sono uguali, lo so bene, ma per il Tempio sono due cose ben diverse; il punto è che sono due chiavi ben simili anche per il Tempio, dal momento che non aprono il Tempio su altre porte ma su due Dimensioni ben diverse. Fa parte del contratto dell’incantesimo: la sesta chiave apre la morte, la settima chiave apre la vita. Sta a te distinguere fra le due».
Ad Aindir si rizzarono i capelli sulla nuca, e dei brividi scesero giù per la schiena.
«Potrei morire?».
«Solo se sarai stupido ed avventato».
«Tutti quei soldi.. per sette misere chiavi?» domandò, stupito ed amareggiato. La vecchia lo guardò divertita.
«Non è questione di soldi, ora… è questione di tempo» ridacchiò, con un ghigno in volto. Aindir rimase immobile, interdetto, dopodiché afferrò le sette chiavi e uscì dalla tenda, calcandosi il cappuccio sul viso: tirò fuori dalla tasca la chiave a forma di fiore e se la rigirò fra le mani, indeciso. Sentendosi stupido, la fissò a mezz’aria con una mano e stranamente sentì qualcosa fare resistenza, come se davvero l’avesse infilata in una serratura. Provò a girarla in senso antiorario, ma qualcosa la bloccava; così, si limitò a girarla tre volte in senso orario e poi quattro in antiorario, così come indicato dalla Sacerdotessa. Con un silenzio perfetto, interrotto solo dal sibilio del vento e della neve che gli soffiavano addosso, un rettangolo di biancore si aprì davanti a lui, mentre l’anta a specchio fatta di atmosfera stessa si richiudeva dietro di lui: si sentì solo un cling della chiave a fiore che cadeva nel bianco, e Aindir si ritrovò nel Tempio delle Porte, dove il tempo ed il denaro non contavano nulla.
   
 
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