Fanfic su artisti musicali > Avenged Sevenfold
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Autore: Sassanders    18/01/2015    3 recensioni
Dal capitolo I:
Mentre sto per tirare la maniglia, la porta si apre e un uomo di cui non riesco a vedere il viso mi urta, facendomi strillare e versare il liquido sulla camicia bianca, ritirata ieri dalla tintoria.
Urlo come impazzita, imprecando e alzando lo sguardo. Davanti a me ho un ragazzo di venticinque anni circa, con i capelli corvini sparati in aria, due occhi castani, delle labbra sottili e un piercing alla narice sinistra.
-Sei un fottuto idiota!- esclamo, infuriata.
-Sei stata tu a finirmi addosso! Guarda dove cammini!- mi risponde, alzando un sopracciglio. Devo trattenermi dal prenderlo a pugni.
-Sei tu che non guardi dove vai!-
-Senti, dolcezza, scusa per la camicia, ma non ho tempo da perdere.- replica, sorridendo beffardo.
A quelle parole perdo letteralmente le staffe. Mi ha urtato, mi ha fatto macchiare la camicia pulita da poco, e fa anche lo strafottente?
-Sai che ti dico, tesoro?- dico, sottolineando il nomignolo. -Vaffanculo!- esclamo, con un sorrisetto e mollandogli un pugno abbastanza forte sul naso.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Synyster Gates, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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             EVERY BREAKING WAVE.

                                    Capitolo 3.

Mi dirigo verso l’uscita della sede, prendendo il pacchetto delle mie Winston e cercando l’accendino nelle tasche dei jeans, mentre compongo il numero di Julie.
Accendo la sigaretta e la porto alle labbra, aspirando avidamente.
-Pronto, Julie.-
-Soph, ti sei ricordata che abbiamo un pranzo no?-
-Assolutamente, ma c’è un problema.-
-Dimmi tutto.-
-Jessica è fuori dall’ufficio e io non posso allontanarmi di molto perché magari arriva qualche chiamata importante e poi, chi la sente quella stronza? Tra l’altro ho delle persone importanti qui, che ho invitato a pranzo, tu vuoi ancora venire?- pronuncio queste parole mentre vedo Brian uscire dalla sede e venire verso di me. Tiro una boccata alla sigaretta e espiro verso l’alto.
-Va benissimo, ma non è che sono di troppo? Cioè, chi sono questi qui?- mi chiede, impaziente e curiosa. Intanto mi volto verso il chitarrista che ha messo una mano nella mia tasca, prendendo il pacchetto delle sigarette. Ne sfila una, mi toglie l’accendino dalle mani e se la accende. Mi sorride sarcasticamente, fumando tranquillamente e riponendo il pacchetto e l’accendino al proprio posto.
-No, ma fai con comodo eh.- gli mimo con le labbra.
-Mi sono finite.- alle sue parole sbuffo e sobbalzo quando sento la voce di Julie richiamarmi dall’altro capo del telefono.
-Sì, ci sono. Dicevo, stai tranquilla, non sei di troppo e sai che non ti dirò chi sono fin quando non arriverai qui.-
-Sei proprio una stronza.-
-Esatto, come te.- Mi arriva un’altra chiamata sempre sullo stesso cellulare e prego Julie di sbrigarsi, chiudendo la conversazione e aprendo l’altra. Ancora Logan, che strano. Di solito ci sentiamo a malapena due volte al giorno. Intanto Brian mi osserva e io spengo la sigaretta con la punta della scarpa.
-Logan, che succede?-
-Niente, amore, volevo solo avvisarti che ho anticipato la partenza e che stasera sarò lì da te.-
-Davvero? Ma è una notizia fantastica! Rimani comunque una settimana?
-Sì.-
-Perfetto. Ora scusami, ma devo andare, ci vediamo oggi pomeriggio.-
-Okay, ti amo.-
-Ti amo anch’io.- pronuncio, mentre chiudo la chiamata. Prendo di nuovo il pacchetto delle sigarette e ne sfilo due,  sospirando. Non so perché, ma sono nervosa. A volte mi capita di sentirmi così nervosa da piangere. E, se piango ora, è davvero la fine. Le accendo entrambe e ne porgo una Brian, che accetta volentieri, anche se mi guarda perplesso.
-Tu sei stressata. Fin troppo.-
-Sono stressata ma amo il mio lavoro. Mi piace la mia vita e sono felice.- dico, mentre una lacrima scende dall’occhio destro, e la caccio subito via con il dorso della mano. Merda.
-Infatti. Uno se è felice, piange.- dice. Ma che vuole ora?
-Ma mi lasci in pace? Sei qui per farmi da psicologo? Non ne ho bisogno, grazie. Sei pregato di farti i cazzi tuoi.- urlo, fuori di me, mentre altre lacrime scorrono sul mio viso.
-Certo che sei strana. Prima dici che sei felice e che non sei stressata, poi piangi e poi fai la pazza isterica. Stavo solo cercando un argomento di conversazione, che, visto il tuo caratteraccio, non si può trovare.-
-Quando hai finito, avvisami.- dico, mentre vedo una macchina blu entrare nel parcheggio della sede in cui lavoro. Spengo la seconda sigaretta con la punta della scarpa e mi avvio verso l’auto di Julie. La vedo scendere dall’auto, con indosso una canotta nera, dei leggins neri, gli anfibi neri e un chiodo di pelle dello stesso colore. Le vado incontro e la abbraccio, ridendo. Ride anche lei, e dopo esserci staccate, stringe gli occhi, mettendo a fuoco qualcosa. Mi giro e vedo che sta cercando di capire chi è l’uomo appoggiato al muro, non molto distante da noi. Lei spalanca gli occhi e mi guarda interrogativa. Faccio spallucce e man mano che ci avviciniamo noto due cose: il sorrisetto bastardo sempre più evidente sulle labbra di Brian, e gli occhi di Julie sempre più spalancati.
-Ma che cazzo…?- chiede la mia amica. –Mi hai invitato a pranzo con gli Avenged Sevenfold?-
Ma come fa ad aver riconosciuto Brian? Intanto, proprio quest’ultimo sorride e squadra Julie.
-Vedi Sophie? A quanto pare sei l’unica a non averci riconosciuti. Piacere, dolcezza, io sono Brian.- dice, mentre tende una mano verso di lei, che sorride di ricambio. Ma che diamine fa?
-Piacere, Julie.-
-Perfetto, ora che hai conosciuto questo idiota, vieni che ti presento gli altri.- dico, mentre la tiro velocemente verso i divanetti, dove trovo tutti gli altri seduti a ridere e scherzare.
-Ragazzi, volevo presentarvi la mia amica che oggi pranzerà con noi, Julie.- annuncio.
-Ciao, io sono Jimmy, lui è Johnny, lui è Zacky e lui è Matt.- dice, indicando i membri del gruppo uno ad uno.
-Sì, lo so.- ribatte lei, ridendo. Ci dirigiamo verso il piccolo ristorante di fronte alla sede, e ci sediamo ad un tavolo per sette persone. Matt a capotavola, alla sua destra Julie, poi io, Brian (mio malgrado), Jimmy, Zacky e Johnny.
Dopo un breve imbarazzo iniziale, il ghiaccio, finalmente, si rompe. In fondo, passiamo un pranzo piacevole, con qualche battuta e tutto ciò che dovranno fare e dire nell’intervista. Abbiamo anche mangiato abbastanza bene, semplicemente con una pizza a testa, molto buona.
Io dopo circa un’oretta sono costretta a ritornare in ufficio, e quindi a congedare tutti quanti, dandoci appuntamento a mercoledì. Tra l’altro abbiamo invitato anche Julie ad assistere all’intervista che ha approfittato, visto che quel giorno non doveva lavorare. Julie è la direttrice di un asilo nido qui a Los Angeles e il mercoledì è la sua giornata libera. I bambini le sono sempre piaciuti, infatti, mi ricordo che quando andavamo ancora a scuola, lavorava come baby-sitter e si divertiva molto.
Dopo una più che stancante giornata lavorativa, torno a casa in fretta, per poter preparare la cena, visto che stasera torna Logan. Arrivo, mi faccio una doccia veloce e mi metto in tenuta da casalinga, con un pigiamone blu e lego i capelli in uno chignon molto disordinato, per evitare di sporcarli. Decido di cucinare una semplice teglia di patatine fritte e un po’ di roast beef che avevo comprato ieri e avevo messo nel congelatore. Apparecchio la tavola accuratamente e dopo un po’ mi squilla il cellulare. E’ un sms del mio ragazzo.
“Amore, scusami tanto ma ci vediamo domani, stanotte rimango da mia madre. Ti amo, e scusami ancora. Buonanotte
Ovviamente. Lo fa praticamente ogni volta: mi dice che sarebbe passato da casa, ma alla fine non succede mai, rimane sempre o in ufficio oppure da sua madre. Tutto ciò mi da’ terribilmente fastidio. Faccio ogni volta davvero tutto ciò che posso per cercare di stare insieme il più tempo possibile e poi lui mi da’ buca. Sento delle lacrime infrangersi sulle mie guance che mi affretto ad asciugare con il dorso della mano, ma subito sono seguite da altre, che mi fanno letteralmente scoppiare in un pianto liberatorio. Mi stendo sul divano, poso la testa sul cuscino e singhiozzo piano, come se qualcuno possa sentirmi, nonostante sia sola in casa. E’ un pianto provocato da tante ragioni: ormai, nella mia vita, tutto ruota intorno alla carriera. La mia, indiscutibilmente stressante, e quella di Logan, altrettanto stancante, e che ci porta via troppo tempo. Non riusciamo quasi mai a stare insieme per via della carriera, che entrambi poniamo al primo posto della classifica delle cose che riteniamo più importanti. Sempre e solo la carriera. Ho pensato varie volte di lasciare il mio posto, ma ho subito scartato quell’idea per paura di deludere mio padre e di ritrovarmi sotto i ponti da un giorno all’altro. Mio padre ha sempre fatto così tanto per me, che, sinceramente, non me la sento di lasciare il lavoro e magari andare da lui per farmi prestare i soldi o tornare a vivere a casa sua. Causerei solo più problemi di quanti già ne ha ed è l’ultima cosa che voglio. Alzo lo sguardo verso l’orologio e noto che sono solo le 21.30, magari potrei andare in un bar e bere qualcosa, mi servirebbe proprio. Chiamo Julie che potrebbe venire con me, ma non mi risponde. Lascio perdere, sarà sicuramente occupata. Mi dirigo nel bagno e mi fisso allo specchio. Ho il viso arrossato e delle occhiaie spaventose, con alcune ciocche rosse appiccicate al viso e l’immancabile trucco sbavato. Apro la fontana e, dopo aver sciacquato il viso, passo delicatamente un asciugamano su di esso. Vado in camera, apro il guardaroba e indosso una canotta viola e lunga, un jeans nero, un giubbotto di pelle e delle comode Vans dello stesso colore della canotta. Pettino i capelli, lasciandoli sciolti e applico una semplice linea di eyeliner intorno agli occhi castani. Prendo una borsa blu, ci infilo chiavi, cellulare e robe a cui nemmeno faccio caso, ed esco di casa. Mi fermo un secondo per pensare a quale bar andare e poi mi viene in mente un bar piccolo, che ho frequentato un paio di volte, con Julie. Ricordo abbastanza bene la strada e mi metto in macchina, accendendo il motore. Quando arrivo a destinazione, dopo circa venti minuti, mi guardo attorno. Assieme al bar, c’è qualche negozietto qua e là, come in ogni luogo di Los Angeles. Qui, ovunque vai, c’è sempre tanta gente e tanti negozi illuminati. Entro nel locale, venendo subito investita dal solito odore dei pub, di cibo e anche di birra. Tiro su con il naso, e vedo il bancone, qualche metro più a sinistra. C’è parecchia gente, a partire da famigliole che mangiano, sino ad arrivare a uomini che bevono tranquillamente il proprio drink. Vado a sedermi nell’angolo più remoto possibile del bancone e ordino una Heineken che mi arriva subito dopo, ghiacciata. La mando giù a brevi sorsi, mentre fisso un punto indefinito, riflettendo. All’improvviso sento chiamarmi e voltandomi verso la direzione della voce, noto una figura femminile che non riesco a riconoscere. Una ragazza, o meglio una cameriera, dietro il bancone. Mi fermo un attimo ad osservarla: capelli ramati, occhi verdi, bocca sottili e una cicatrice sul mento. Cicatrice sul mento… Claire!
-Claire?- domando, titubante.
-Sophie! Ne è passato di tempo dall’ultima volta che ci siamo viste! Come va?- mi chiede, curiosa, con un sorriso a trentadue denti. Claire era una mia vecchia compagna di college, una delle mie più strette amiche in quel periodo, assieme a Julie. Non ricordo però per quale motivo ci siamo perse di vista. Le racconto di come tra circa sei mesi debba sposarmi, di come il lavoro mi stressi e di tutto quello che è successo in questi tre anni in cui non ci siamo mai incontrate. Lei mi racconta di come si stia ancora specializzando, e di come, pur di non rimanere a carico dei suoi genitori, lavori in questo pub. I suoi genitori li ricordo benissimo, delle persone davvero fantastiche, sempre gentili e hanno sempre voluto un bene dell’anima alla figlia. Dopo circa un’oretta, mi comunica che il suo turno è terminato e che deve andare via. E io, rimango di nuovo sola, trangugiando gli ultimi sorsi della birra presa prima che parlassi con Claire. Sento la porta aprirsi e chiudersi molte volte, segno che questo posto è molto frequentato. Tra l’altro, nonostante sia davvero piccolo come pub, è molto accogliente con della piacevole musica di sottofondo. Mentre sono intenta ad osservarmi intorno, vedo un uomo sedersi sullo sgabello accanto a me, ed ha un’aria piuttosto familiare. Il profilo è bello, mascella leggermente pronunciata, capelli sparati in aria e un nose ring come il mio. Si volta verso di me, ed incrocio gli occhi di Brian. Okay, ritiro tutto. Mentre il mio sguardo si posa subito verso l’alto e sbuffo, lui mi osserva con un sorriso sghembo.
-Ma possibile che sei anche qui? Mi segui, per caso?-
-Io seguire te? Ho di meglio da fare, fidati.- Distolgo lo sguardo e ordino una seconda Heineken, che mi arriva ghiacciata come prima e che trangugio a sorsi più lunghi questa volta e lui ordina, invece, un bicchierino di whiskey.
-Allora, Sophie- dice, sottolineando il mio nome. –Come mai da queste parti, a quest’ora?-
-I cazzi tuoi mai, eh?-
-Rilassati. Stavo solo cercando di fare conversazione. Sei troppo scontrosa.-
Sospiro e bevo un altro sorso.
-Sono qui perché il mio fidanzato mi ha dato buca, facendomi preparare una cena a vuoto e poi dicendomi che restava a dormire dalla madre. E io? Capirai chi se ne frega. Io faccio di tutto per stare con lui il più tempo possibile e poi mi liquida in questo modo.- dico, bevendo e sentendo la birra scorrermi lungo la gola.
-Non so nemmeno perché ti sto raccontando queste cose, ma sembri interessato.- aggiungo.
Lui mi guarda divertito, appoggiando i gomiti sul bancone.
-Beh, che pretendi? E’ ovvio che se la carriera per voi è così importante, queste cose succedono.-
-Si nota così tanto?- chiedo, mordicchiandomi il labbro inferiore. Lui annuisce e io ordino una terza birra.
-Guarda quelli lì, ad esempio.- dice, indicandomi una famigliola seduta ad un tavolo poco distante da noi. –Sembrano la famiglia perfetta, due figli, biondi e occhi azzurri  e perenne sorriso sulle labbra. A te piacerebbe vivere una vita così perfetta? I casini succedono, e sono quelli che rendono la vita una sfida.-
-Non saresti male come psicologo.- osservo.
-Beh, so semplicemente capire le persone. Anche se ad esempio ti conosco da nemmeno una settimana, so che sei stressata e che vorresti far apparire tutto perfetto, come se tutto ti andasse a meraviglia. Ma non è così. Sei infelice, te lo si legge negli occhi.-
-Mi chiedo come un coglione come te, a cui ho rotto il naso, e che conosco da nemmeno una settimana, riesca a capirlo così facilmente, e Logan, che tra sei mesi sposerò, non sia riuscito ancora a capirlo.- dico, passandomi una mano tra i capelli e ridendo amaramente.
Brian fa spallucce. –Ti sposi?- mi domanda.
-Sì, tra sei mesi. Sai, a questo punto non so nemmeno il motivo della mia infelicità.- dico, mentre una lacrima si fa spazio sul mio volto. La asciugo frettolosamente, ma lui la vede comunque.
-Questo non posso saperlo.- dice, ridendo. Ha un sorriso limpido, assomiglia a quello di un bambino. –Dovresti chiedertelo e vedere un po’ cosa riesci a capire di te stessa.-
Annuisco, tirando su con il naso.
-E tu? Che fa Synyster Gates, in un bar tutto solo?- chiedo, alzando l’angolo destro della bocca.
-Sai, credo che in questo momento non ci sia Synyster Gates a parlare con te, più Brian Haner.- dice, storcendo il naso. –Comunque sono qui perché la mia fidanzata mi ha tradito con uno sfigato a cui ho rotto la mascella.- Scoppio in una risata fragorosa.
-Davvero?- chiedo.
Lui annuisce.
Parecchie birre e parole dopo credo di essere un po’ brilla. Sono appoggiata alle spalle di Brian per non cadere e sto ridendo.
-Hai bevuto un po’ troppo, non credi?-
-Solo un pochino.- dico, singhiozzando e ridendo. Barcollando, ci dirigiamo verso la mia auto e lui sfila le chiavi dalle mie tasche. La apre e mi poggia sul sedile del passeggero, mentre lui si mette alla guida. Rido di nuovo e lui mi guarda divertito, alzando un sopracciglio. Presa da un qualcosa che non so nemmeno io come definire, tiro Brian per la sua maglia con lo scollo V verso di me e quando siamo a pochi centimetri di distanza, rido nuovamente. Lui aggrotta le sopracciglia, sorridendo. Lo tiro ancora di più verso di me e chiudo gli occhi, poggiando delicatamente le mie labbra sulle sue. Le sue labbra sottili sanno di tabacco e whiskey, e vengo inebriata dal suo Hugo Boss. Poggia una mano sulla mia guancia e mi trascina in un bacio più profondo che sono sicura che causerà danni. Ma a chi importa? Ho solo seguito il mio istinto.
 

 
NOTE DELL’AUTRICE:
Buongiorno, carissimi! Come va? Spero bene. Io sono un po’ sotto pressione per via della scuola, ma tutto sommato va tutto bene.
Bando alle ciance, passiamo al capitolo.
Beh, capitolo molto delicato. Vediamo come la protagonista e il nostro chitarrista si incontrano di nuovo e beh, succede quel che succede, diciamo così. Sono contenta che alcuni di voi stiano seguendo questa fanfic, e che recensiscano e mi rendono una persona felice u.u
Mi piacerebbe ricevere qualche recensione in più, giusto per rendermi conto di cosa ne pensate. Ah, e se avete critiche da fare, non esitate minimamente, in modo da sapere cosa vi piace e non di questa merd…, ehm, storia.
Ringrazio chi ha già recensito e aggiunto alle seguite!
A mercoledì.
Un bacione,
Sassanders.
   
 
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