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Autore: _Pulse_    18/01/2015    4 recensioni
[Dal Capitolo 2]
«Come sta?», gli chiese Alex, rompendo quel silenzio che l’avrebbe fatta diventare matta se sommato all’innocente bellezza degli occhi di Merlino.
«Molto meglio. Ora dorme».
«Bene. Come hai detto che si chiama?».
«Artù».
«E tu e lui… vi conoscete da molto?».
«Da sempre».
Alex sollevò di scatto gli occhi e trovò i suoi luminosi, anche se velati di lacrime. Si chiese se fosse il caso di continuare con quell’interrogatorio o se fosse più opportuno aspettare che fosse Merlino a parlarle di lui. Dopotutto l’aveva soccorso – se non salvato – e l’aveva ospitato a casa sua: qualche informazione in più era un suo diritto, se la meritava.
Ma forse l’unica vera ricompensa che desiderava era proprio quella che Merlino le offrì, prendendole inaspettatamente una mano e stringendola forte tra le sue, facendo sì che i loro occhi si incatenassero.
«Ti sei tuffata nel lago per aiutarlo, vero?».
Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Buongiorno a tutti! 

No, non state sognando: sono proprio io, sono tornata. Molti di voi mi avranno data per dispersa (lo avrei fatto anche io) e non mi dilungherò troppo nello spiegarvi il perché della mia prolungata assenza; sappiate soltanto che non ho mai smesso di scrivere, cercando di ritagliare una fetta del mio - poco - tempo libero per dedicarlo all'attività che amo di più al mondo. 

Sono tornata con una nuova avventura, una sfida che mi mette i brividi di eccitazione e di paura.

Non ricordo esattamente come ho scoperto il telefilm Merlin, ma so per certo che è entrato nel mio cuore con una prepotenza che non ritenevo possibile. Non scherzo, dicendovi che è diventato il mio preferito e che non smetterei mai di guardarlo. Per questo scrivere una long in questo fandom (comincio subito alla grande) mi rende felice e spaventata allo stesso tempo. Sarò mai all'altezza? Sarò in grado di non andare OOC? Questo non posso saperlo, ma di una cosa sono certa: in ogni capitolo, in ogni paragrafo, in ogni riga, c'è un pezzetto del mio cuore. Spero che lo si capisca.

Questa storia non è ancora conclusa ma, contrariamente al mio modus operandi, ho deciso di iniziare a pubblicarla ugualmente come incentivo a me stessa: è un progetto che voglio portare a termine nel migliore dei modi e visto che mi sento un po' bloccata al momento, magari il vostro sostegno e i vostri consigli saranno in grado di darmi una scrollata. Sempre se vi piacerà...

Ora, visto che ho già farneticato abbastanza, un paio di piccole precisazioni prima che iniziate a leggere - finalmente - il primo capitolo:
1) fino a cinque minuti fa, questa storia non aveva un titolo: non è per giustificarmi, ma almeno sapete il perché faccia così pena;
2) la storia è ambientata nel futuro, ai giorni nostri, con Merlino alle prese con la vita e i problemi che ognuno di noi potrebbe avere;
3) i personaggi di questa storia non mi appartengono (ho pregato e pregato al mio altare della BBC, ma è stato inutile,
sob) e le loro azioni e i loro pensieri sono del tutto inventati da me medesima, secondo il mio particolarissimo punto di vista e la mia fantasia sfrenata (ogni commento in proposito è ben accetto). Tutto è scritto senza alcuno scopo di lucro, anche ogni riferimento a persone e a fatti reali.

Ora vi lascio davvero e spero che sia di vostro gradimento. Grazie per aver letto fino a qui, se ci siete arrivati. 

Un abbraccio enorme.

_Pulse_

 

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 1. The knight of the lake

 

Una mano leggera, delicata come una piuma, si posò sulla sua spalla sinistra.
«Merlino», lo chiamò piano Alex, china di fianco al suo orecchio, su cui sentiva il suo respiro caldo ed aromatizzato al caffè.
«Merlino, svegliati».
Il ragazzo trattenne abilmente un sorriso. Abilmente perché ormai mentire era diventato il suo più grande talento, visto il tempo che aveva avuto per fare pratica.
Non aveva dormito quella notte, ma non era un problema per lui. Non più. Lo faceva ancora e il suo corpo richiedeva qualche ora di sonno quando tirava troppo la corda, ma un essere immortale come lui non era per forza costretto a vivere secondo i bisogni fisici dei mortali.
Finse quindi di svegliarsi all’improvviso, rendendosi conto pian piano di dove si fosse addormentato, e quando voltò il capo verso Alex accennò un sorriso, stropicciandosi gli occhi con i pugni.
«L’ho fatto di nuovo?», domandò, schiarendosi un poco la voce.
«A quanto pare», rispose lei, offrendogli un bicchierino di caffè.
Merlino la ringraziò con una semplice occhiata e la guardò mentre si dirigeva verso le finestre per scostare le tende e lasciar entrare la luce del sole appena sorto.
«Al meteo davano pioggia per oggi, ma credo proprio che si siano sbagliati».
«Lo spero», commentò Merlino. «Ho l’auto dal meccanico e non la riavrò prima di giovedì».
«Ecco perché sei venuto in bicicletta, ieri». Alex sorrise birichina e si fermò al suo fianco, gli occhi posati su Steve e Gabriel, i bambini che dormivano profondamente nei loro lettini con le sbarre rialzate, le coperte accuratamente rimboccate fin sotto il mento.
«E io che pensavo volessi tenerti un po’ in forma…».
Merlino sollevò gli occhi, improvvisamente venati di tristezza.
Non smetteva mai di pensare ad Artù – il re del passato e del futuro, il suo migliore amico, il destino che aveva compiuto solo a metà – ma c’erano momenti in cui i ricordi lo travolgevano come un’onda anomala, lasciando il suo cuore ad annaspare in un mare di nostalgia e dolore.
Quella battuta era stata lo scossone che aveva agitato le acque di solito quiete nel suo animo, riportando a galla spezzoni della sua ormai lontanissima vita a Camelot.
Ciononostante ripeté le stesse parole che si era sentito dire troppo tempo prima, improvvisando persino un tono di voce vagamente offeso: «Stai dicendo che sono grasso?».
Alex arricciò le labbra, trattenendo una grassa risata. «Tu, grasso? Sei magro come un chiodo! Dovresti fare seriamente un po’ di palestra, ecco cosa».
Merlino inarcò un sopracciglio, sogghignando. «Ti sorprenderesti, se vedessi che cosa c’è sotto questi vestiti».
Riuscì a farla boccheggiare, rossa d’imbarazzo fino alla punta dei capelli, e quando se ne accorse il mago ridacchiò e le pizzicò più volte il fianco, facendola scostare con una risata stretta tra le labbra e il viso rivolto verso il pavimento.
Quindi finì il caffè bevendolo tutto d’un fiato e si stiracchiò sulla poltroncina che aveva portato accanto al letto la sera prima. Solo in quel momento si rese conto del plaid arancione che aveva sulle gambe.
Era sempre la stessa coperta, e compariva solo quando Alex faceva il turno di notte e lo trovava addormentato in una delle tante stanze del reparto di oncologia infantile, con il suo libro di favole ancora tra le mani o semplicemente rannicchiato con la testa abbandonata su una spalla.
La guardò di sottecchi e la ringraziò mentalmente, conscio che l’avrebbe messa ancora una volta in imbarazzo se l’avesse fatto ad alta voce. Un tempo avrebbe reagito allo stesso modo. Un tempo.
Piegò con cura la coperta e si alzò per gettare il bicchierino di plastica vuoto nel cestino e recuperare il libro di favole che aveva lasciato sul comodino.
«Merlino».
Il ragazzo si voltò verso Alex e gli bastò un’occhiata per capire che avrebbe fatto l’ennesimo tentativo e lui avrebbe dovuto rifiutare ancora, facendo sì che un’altra piccola crepa si aprisse sul suo cuore.
«Che ne diresti di una colazione vera e propria? Il caffè della macchinetta è pessimo».
Merlino annuì, dirigendosi verso la porta. «Sì, lo è».
Era già nel corridoio ancora deserto ed immerso nella quiete della mattina presto, quando la voce di Alex lo costrinse a fermarsi sul posto.
«Non hai risposto alla mia domanda».
Merlino chiuse gli occhi e respirò profondamente. Quanto avrebbe voluto dire di sì, quanto avrebbe voluto poter stare con lei come entrambi desideravano. Ma ci aveva già provato e sapeva come sarebbe andata a finire: il suo cuore sarebbe andato in pezzi e ci sarebbe voluto troppo tempo, troppa fatica, troppe lacrime, prima che riuscisse a rimetterlo insieme alla bell’e meglio.
Si voltò di tre quarti, guardando distrattamente l’orologio che aveva al polso. «Credo di non riuscire a fare in tempo», esclamò, stiracchiando un mezzo sorriso. «Ho proprio bisogno di una doccia e conosci la signora Begum: durante l’orario di lavoro non si fanno i propri comodi».
Alex si sforzò di sorridere a sua volta, ma i suoi occhi, verdi come l’erba nuova in primavera, erano incapaci di mentire, e Merlino li conosceva troppo bene ormai per non accorgersi della delusione che aveva tolto loro la solita luminosità.
«Sarà per la prossima volta, allora».
Merlino annuì con un breve cenno del capo e sollevò una mano in segno di saluto, poi si allontanò a passo svelto lungo il corridoio.

 
Inforcata la bicicletta, aveva pedalato a più non posso, così forte da farsi venire il fiato grosso, e nonostante non ne avesse il tempo aveva deciso di fare il giro largo per tornare a casa, quello che, seguendo la pista ciclabile senza tagliare in stradine secondarie, l’avrebbe portato a passare davanti al lago.
Il sole appena sorto oltre le colline tingeva il cielo di rosso, rosa ed arancione, e la nebbia che si sollevava sopra le acque tranquille di Avalon era così fitta da nascondere l’isola posta proprio al centro di esso.
Merlino rimase per diversi minuti fermo sulla strada, ancora in sella alla propria bici e stretto nel giubbotto blu, ad osservare quel paesaggio che nonostante il passare dei secoli non era mai cambiato, intoccato.
Per quanto ne sapeva, era uno degli ultimi posti in cui la forza della Religione Antica non era ancora svanita del tutto, uno degli ultimi posti in cui poteva sentirsi un tutt’uno con la terra, il cielo e l’acqua e la magia scorreva irrefrenabile dentro le sue vene, cercando uno sbocco qualunque e trovando solo resistenza.
Non era più lo stesso Merlino di una volta: i sensi di colpa, la nostalgia, la sofferenza e il tempo – in modo particolare il tempo – l’avevano cambiato, inevitabilmente; soprattutto,  gli avevano tolto la speranza.
Lui che una volta riusciva a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno e che lottava fino a che ne aveva le energie, senza arrendersi di fronte alle difficoltà, ora non aveva niente per cui combattere, nulla per cui essere ottimista.
Si limitava ad occupare il tempo, aspettando un qualcosa che probabilmente non sarebbe mai accaduto, nonostante il grande drago Kilgharrah avesse predetto il contrario. Ma come poteva fidarsi ancora delle sue parole, dopo aver realizzato che tutto ciò che aveva fatto per aiutare Artù a costruire Albione era stato vano, dato che il suo re se n’era andato senza avere il tempo di godere dei frutti dei loro sforzi?
Il rumoroso passaggio di un camion alle sue spalle lo riscosse dai propri pensieri.
Tirò fuori le mani dalle tasche del piumino e rendendosi amaramente conto che certe cose, invece, sarebbero sempre state delle costanti nella sua vita immortale – come per esempio il suo arrivare continuamente in ritardo e le lavate di capo che per questo riceveva dai propri superiori – riprese a pedalare.

 

***

 

Alex lanciò con ben poca delicatezza la borsa sul divano e si sciolse la coda di cavallo.
Si sentiva una stupida, una perfetta idiota, e quello che le faceva più rabbia era che non poteva comportarsi diversamente quando c’era Merlino nei paraggi: era più forte di lei.
Frustrata più che mai, salutò a malapena Artù, il piccolo gattino randagio che aveva trovato una mattina, di ritorno dall’ospedale, e che non aveva più avuto la forza di lasciare.
Quel piccolo batuffolo di pelo nero su cui risaltavano due magnetici occhi azzurri aveva ben poco in comune col valoroso re di Camelot, ma quando aveva dovuto decidere come chiamarlo le era sembrato inopportuno dargli lo stesso nome del ragazzo di cui non aveva proprio potuto fare a meno di innamorarsi.
Sarebbe stato quantomeno imbarazzante se un giorno – anche se non riusciva nemmeno ad immaginare un motivo per cui sarebbe mai potuto accadere – avesse dovuto presentarglielo: «Merlino, questo è Merlino. L’ho chiamato come te perché i suoi occhi mi ricordano terribilmente i tuoi».
L’unico altro nome che le era venuto in mente era stato per forza di cose Artù, il protagonista delle favole che Merlino non si stancava mai di raccontare ai bambini dell’ospedale, così ricche di dettagli, colpi di scena mozzafiato e passione da far pensare che avesse vissuto quelle avventure in prima persona.
Seguendo la borsa, si gettò a peso morto sopra il piccolo divano in salotto e sbuffò rassegnata: non avrebbe mai trovato il coraggio di dire a Merlino ciò che provava ogni volta che lo vedeva o gli stava vicino e tantomeno l’avrebbe trovato per dirgli che se lui non ricambiava i suoi sentimenti avrebbe fatto meglio a metterlo in chiaro fin da subito. Probabilmente Alex non sarebbe più riuscita ad essergli amica se le avesse spezzato il cuore in quel modo, perciò era contenta, più o meno, che Merlino trovasse sempre qualche scusa per non trovarsi da solo con lei fuori dall’ospedale – in quello che le sarebbe sembrato un appuntamento, illudendola – anziché schiaffarle in faccia che non era interessato.
Merlino non si sarebbe mai comportato così. A volte aveva la netta impressione di conoscerlo come le sue tasche, altre che venisse da un altro mondo e che nascondesse mille e più segreti dietro quei suoi limpidi occhi azzurri e i suoi mezzi sorrisi spesso e volentieri intrisi di tristezza.
Quello di cui era convinta, era che Merlino avesse l’animo di un cavaliere e che mai, mai l’avrebbe fatta soffrire intenzionalmente. Per questo forse era arrivato il momento di comportarsi da adulta e di smetterla di illudersi, sognando notte e giorno quell’amore evidentemente unilaterale. Doveva sforzarsi di reprimere qualsiasi sentimento provasse per Merlino, per il bene della loro amicizia e soprattutto del suo cuore.
Artù si accoccolò sul suo addome e Alex sorrise teneramente, accarezzandogli il soffice pelo nero e tirandogli le piccole orecchie.
«Troverò anch’io il mio cavaliere un giorno, vero Artù?».
Il micio iniziò a fare le fusa e prima che se ne rendesse conto Alex si addormentò.

 
Solo la sveglia che fortunatamente si era dimenticata di disattivare il pomeriggio precedente fu in grado di destarla dai propri sogni.
Raccattò la borsa che vibrava sotto i suoi piedi e una volta trovato il cellulare la spense, massaggiandosi poi il viso gonfio di stanchezza.
Si sentiva distrutta, ogni osso ed ogni muscolo le dolevano, tanto che pensò che sarebbe stato meglio se non avesse dormito affatto.
Con uno sforzo sovraumano si alzò e si trascinò in bagno, dove si sciacquò la faccia e si rese conto di essere più che assetata. Si attaccò direttamente al rubinetto e fu un vero piacere sentire l’acqua gelata scorrere nella sua gola arida. Quando ne ebbe abbastanza, si guardò allo specchio e si sistemò sulla fronte la frangetta un po’ bagnata.
Controllò l’ora ancora una volta e capì che solo una cosa le avrebbe ridato l’energia giusta per affrontare l’ennesima nottata in ospedale: correre.

 
Faceva freddo, dannatamente freddo, ma Alex non poteva davvero farne a meno.
Adorava sentire il cuore batterle più forte nel petto, col sangue che le riscaldava i muscoli e le arrossava le guance; adorava correre immersa nel verde, vedere il paesaggio non cambiare mai e cambiare in continuazione, riempirsi i polmoni del profumo della natura, anche gelata com’era ai primi di marzo, svuotare la mente da qualsiasi preoccupazione ed ascoltare le sue canzoni preferite con le cuffiette calcate nelle orecchie, sotto il cappellino di lana.
Il loro era un piccolo paesino, in confronto la vicina Caerleon sembrava una metropoli ben più interessante, perciò non si sorprese di non incrociare anima viva dopo le cinque del pomeriggio, orario di chiusura dei piccoli negozi del centro. Ma se anche ci fosse stato in giro qualcuno di sicuro non le avrebbe fatto compagnia: era lei l’unica matta in grado di fare jogging a qualsiasi ora, giorno e stagione dell’anno.
Era quasi a tre quarti del suo percorso abituale, nelle vicinanze del lago – avvolto dalla nebbia e tetro più che mai, – quando si rese conto del vento che alzandosi aveva portato con sé delle minacciose nuvole scure, probabilmente cariche di pioggia. Doveva affrettarsi, prima di ritrovarsi a dover correre per non prendersi una bella lavata anziché per il piacere di farlo. Anzi, forse avrebbe fatto meglio a prendere l’autobus per tornare a casa, giusto per non rischiare. Decise che quella era la soluzione migliore e che, se non ricordava male, aveva ancora dieci minuti buoni prima che il mezzo raggiungesse la fermata una ventina di metri più avanti.
Si appoggiò al muretto in pietra che delimitava il giardino di una villetta a due piani e respirando profondamente fece un po’ di stretching, piegando le gambe al petto, stirando i polpacci e roteando le spalle.
All’improvviso un fulmine dalla potenza dirompente, in grado di illuminare a giorno l’intera superficie del lago e di far tremare la terra, la fece trasalire.
Si strappò le cuffie dalle orecchie e dimentica dello stretching si appoggiò al muretto, una mano stretta sul cuore che le batteva furiosamente nel petto. Aveva i brividi, brividi che non c’entravano nulla col freddo, ma piuttosto con lo spavento che si era presa.
Provò a calmarsi, dicendosi che nonostante fosse caduto davvero vicino a lei – forse proprio sull’isola al centro del lago – era ancora tutta intera e non c’era davvero nulla di cui aver paura. Ci provò, ancora e ancora, invano. Avvertiva una sgradevolissima sensazione alla bocca dello stomaco, come se il peggio dovesse ancora venire, ed infatti una manciata di secondi dopo l’acqua scura e fredda sotto lo spesso strato di nebbia iniziò a ribollire, in un modo tutt’altro che naturale, come dopotutto lo era stato quel terribile fulmine.
In quel momento avrebbe tanto voluto fuggire, correre via sotto la debole pioggerellina che aveva iniziato a cadere, ma le sue gambe sembravano come paralizzate, i suoi piedi ben radicati al suolo.
Ad un tratto, proprio nel bel mezzo di quel furioso ribollire, emerse una figura annaspante e senza fiato, con i capelli biondi incollati al viso e puro e semplice terrore negli occhi blu.
Per quanto fosse incredula e spaventata, non dovette nemmeno pensarci prima di lasciar cadere il lettore mp3 sull’erba e correre verso il lago, spogliandosi del giubbotto e del cappellino e lasciando che la pioggia, ora più forte e scrosciante, la bagnasse da capo a piedi.
Si tuffò nell’acqua gelata e nuotò più in fretta che poté verso il ragazzo che non faceva altro che agitarsi, guardandosi intorno e respirando affannosamente. Probabilmente stava avendo un attacco di panico.
«Sto arrivando! Calmati!», urlò per farsi sentire sopra il rumore del temporale.
Il ragazzo biondo si voltò verso di lei e Alex rischiò quasi di annegare, stordita dalla bellezza di quegli occhi blu come il mare. Si costrinse a fare ancora qualche bracciata, sentendo i muscoli intirizzirsi ora che l’adrenalina stava abbandonando il suo corpo. Sapeva di non potersi fermare, o sarebbero arrivati i crampi e sarebbe stato davvero il colmo se quel ragazzo fosse stato costretto a doverla salvare, quando lei si era gettata apposta per salvare lui.
«Sai nuotare, vero? Ti prego, dimmi di sì!».
Il ragazzo annuì con un cenno del capo e Alex sospirò di sollievo, allungandogli una mano. Il biondo la fissò per qualche secondo, intimorito o forse solo in stato confusionale, fino a quando Alex non gridò ancora, gettando un’occhiata preoccupata verso il cielo, terrorizzata dalla possibilità che un fulmine colpisse l’acqua: «Non è la giornata migliore per una nuotata, magari il prossimo week-end!».
Quelle parole, o forse il tono scherzoso con cui aveva cercato di pronunciarle, riuscirono a far breccia nell’animo del ragazzo, il quale decise di fidarsi ed afferrò la sua mano, iniziando a nuotare insieme a lei verso la riva.
Erano all’incirca a metà strada dal loro agognato traguardo, quando Alex sentì avverarsi il suo peggior incubo: i crampi. La corsa e quella folle nuotata avevano sfiancato i muscoli dei suoi polpacci, che ora le dolevano facendole vedere letteralmente le stelle.
Si voltò sulla schiena, provando a respirare profondamente per stare a galla e a nuotare solo con le braccia, ma la stanchezza era troppa. Per un attimo finì sott’acqua, gli occhi increduli ancora aperti. Fu solo un attimo però, perché il ragazzo la recuperò e stringendosela al petto con un braccio riuscì a raggiungere la riva.
Entrambi senza fiato e allo stremo delle forze rimasero sdraiati nell’acqua bassa, tra le canne e la ghiaia che pungolava loro la pelle ricoperta di brividi, fino a quando Alex non sentì i denti batterle così forte nella bocca da farla tornare alla realtà. Guardò il ragazzo che avrebbe dovuto salvare e che invece aveva salvato lei e solo in quel momento si rese conto del suo stranissimo abbigliamento: sembrava una specie di uniforme da cavaliere, molto realistica, con tanto di armatura, maglia di ferro e un lungo mantello rosso, ma era logorata dal tempo e chiazzata qua e là di verde, come se vi fossero cresciute sopra delle alghe.
Mille e più domande le affollarono la mente, ma le scacciò via tutte quante, rimandandole a più tardi, quando si accorse che anche lui stava andando in ipotermia.
Lo sforzo che aveva fatto quando poche ore prima si era alzata dal divano dopo il pisolino le era sembrato “sovraumano”, ma allora non aveva la minima idea di quanto potesse essere spossante tuffarsi in un lago gelato per cercare di tirarci fuori qualcuno.
Con immensa fatica si alzò a quattro zampe e poi in piedi, nonostante il cerchio alla testa e i crampi. Il ragazzo sollevò le palpebre sentendola muoversi e la guardò quasi incredulo, con le labbra blu che tremavano, prima di perdere del tutto conoscenza.
Alex raggiunse il giubbotto che aveva lasciato cadere qualche metro più in là, vicino al ciglio della strada, e cercò freneticamente il cellulare.
Avrebbe dovuto chiamare un’ambulanza, sarebbe stata la cosa migliore da fare viste le loro condizioni, ma gettando un’occhiata a quel ragazzo emerso all’improvviso dal lago, con indosso quegli strani indumenti, decise di non farlo. Selezionò invece il primo numero memorizzato nella sua rubrica, nonostante non l’avesse mai chiamato negli ultimi sei anni. Ma quella era una vera e propria emergenza, e aveva bisogno del suo aiuto.

   
 
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