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Autore: nari92    18/01/2015    3 recensioni
[AU] A Boston vivono Robert Gold, spietato avvocato, Regina Mills CEO di una grande multinazionale, Belle French, ragazzina sognatrice con la passione del giornalismo, Emma Swan, giovane madre pronta a lottare per un futuro con suo figlio, Victor Whale, primario di un ospedale, Kathryn Nolan, giovane vedova, Mary Margareth Blanchard, proprietaria di un'agenzia di matrimoni, e molti altri.
I loro destini si intrecciano in modo permanente, facendo sbocciare amori, nascere amicizie, riaffiorare vecchie tensioni e scatenando una serie di eventi imprevedibili...
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Emma Swan, Regina Mills, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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          CAPITOLO 2: “New acquaintances”

 

 

 

 

 

A tre giorni dallo spiacevole incontro con la Cadillac nera la caviglia di Isabelle continuava a dolerle fastidiosamente.  Non era un male insopportabile, tale da costringerla a letto, ma le rendeva difficoltosi tutti i movimenti e, facendo la cameriera tutto il santo giorno, arrivava alla sera con una caviglia gonfia come gli hamburger farciti che passava la giornata a distribuire. Per di più aveva giurato a sé stessa di non guardare la sua casella di posta per un’intera settimana, e mantenere questo proposito si stava rivelando più arduo del previsto. E se Gold avesse risposto con un notevole ritardo, ma comunque risposto? Era stata forse troppo frettolosa e immatura? In fondo che ne sapeva lei delle agende impegnate degli uomini importanti?

Persa tra i suoi pensieri Isabelle non aveva notato che Ruby si stava avvicinando alla seggiola sulla quale si era accasciata per massaggiarsi un poco la caviglia, durante un momento morto nel suo turno.

“Oddio Belle, quella caviglia è enorme! Neanche quelle della nonna sono così”

“Ehi ragazzina guarda che ti sento”

Una voce che voleva sembrare minacciosa ma riusciva a far trasparire solo ironia suonò dalla cucina, facendo sorridere Ruby, mentre Belle era decisamente concentrata sulla sua gamba dolorante.

“Seriamente Belle, dovresti farla vedere a qualcuno, magari hai qualcosa di rotto!”

“Non dire sciocchezze Ruby! Se fosse rotta me ne sarei già accorta…” ma dal tono sembrava che la ragazza cercasse di convincere sé stessa più che l’amica.

“A maggior ragione non sarebbe meglio farsi dare una controllata?”

Isabelle fece una smorfia di dolore e infine acconsentì

“E va bene, andrò dal medico di famiglia domani…contenta?”

“Neanche un po’!” si infiammò Ruby “una cosa del genere” proseguì la ragazza “richiede quantomeno una visita al pronto soccorso”

“Addirittura?” Belle spalancò gli occhi azzurri in segno di stupore, ma riflettendo convenne con l’amica che forse sarebbe stata la cosa migliore.

“Ok, hai ragione, probabilmente non è nulla, ma tanto vale controllare per bene…” emise un sospiro e concluse “vicino a casa mia c’è un piccolo ospedale con un pronto soccorso, andrò lì stasera credo…”

Ruby la guardò con sdegno e replicò “neanche per sogno Belle! Molto meglio andare al Boston Medical center, lì sì che i dottori sanno quello che fanno…”

Notando che lo sguardo dell’amica si era fatto un po’ troppo sognante per star pensando a caviglie gonfie e pronti soccorsi Isabelle fece un sorrisetto “stiamo parlando del corpo medico in generale o hai qualcuno in mente?” chiese divertita.

“No, nessuno in particolare, perché?”

“Nulla” fece quella con un’alzatina di spalle “beh, in ogni caso andrò in quello vicino a casa mia, è comodo e i medici sono bravissimi…”

“Eh no Belle, davvero, non puoi prenderla sottogamba, insisto perché tu vada al Boston Medical Center, anzi ti porterò io stessa stasera, nonna posso prendere la macchina stasera?”

“Dove vorresti andare signorina?”

“Ad un rave party” sbuffò la ragazza seccata “nonna, accompagno solo Belle al pronto soccorso per quella caviglia…”

Granny sbucò dalla cucina per squadrare le due ragazze e lanciare uno sguardo alla famigerata caviglia di Belle.

“E va bene, effetti sarebbe meglio se ti facessi dare un’occhiata Belle…” commentò, e poi, spostando l’attenzione su Ruby “Anche se non so quanto una serata in macchina con mia nipote possa giovare alla tua salute” e tornò alle sue lasagne.

Ruby le fece una smorfia e poi tornò ad occuparsi della sua amica.

“Allora, stasera ti passo a prendere a casa alle nove, va bene?”

“Ok, Ruby…spero davvero che ne valga la pena!”

“Ci puoi giurare!”

 

 

 

 

 

 

 

Tre giorni prima

 

Quando Ashley aveva visto il suo capo uscire dall’ufficio alle 14:34 aveva immaginato che non lasciasse presagire nulla di buono. Generalmente Gold non lasciava il suo ufficio prima delle 19:30, si faceva portare il pranzo in ufficio e chi voleva incontrarlo era pregato di scomodarsi, l’avvocato non si schiodava dalla sua lussuosa ma non pacchiana scrivania per alcuna ragione al mondo.

“Signorina Boyd?”

“Sì, Mr. Gold?”

“Non è passata nessuna ragazza di nome French chiedendo di un appuntamento con me alle 14:30?”

“Ehm, no…non è passato nessuno da quando la signora Mills se n’è andata…se fosse passato qualcuno l’avrei avvertita”

“Non ne dubito” rispose Gold con il suo miglior tono sarcastico, che i suoi avversari in tribunale conoscevano molto bene. “Beh, a quanto pare lei non è l’unica a riuscire a rimanere bloccata nel nostro modernissimo ascensore che impiega esattamente 6 secondi per passare dal piano terra al trentesimo”

“Io…”

“Ad ogni modo, se arriva entro quattro minuti la faccia entrare, in caso contrario le dica che ho cose più importanti da fare che adeguarmi al distorto concetto di puntualità di un’adolescente con problemi sentimentali”

“Come desidera Mr. Gold”

 

 

Tre giorni e due ore prima

 

Non era facile cancellare l’espressione compiaciuta dal volto di Regina Mills, ma Gold si faceva un vanto di riuscirci nella quasi totalità dei loro incontri.

In realtà la loro era una lotta tra pari, dal risultato spesso incerto e combattuto; a fare la differenza era il fatto che, nonostante le circostanze avverse, era molto difficile che l’avvocato perdesse il suo ghigno soddisfatto e la fiducia in sé stesso e nelle sue capacità oratorie.

E in quel preciso istante Regina Mills avrebbe dato qualsiasi cosa per veder sparire quel maledetto ghigno dal volto del suo interlocutore.

“E’ inutile Regina, il tuo caso non mi interessa”

“Ci guadagneremmo entrambi, e tu lo sai”

“Non vedo il mio profitto”

“La tua popolarità aumenterebbe, insomma, essere l’avvocato difensore di una società come la mia, per la tua immagine…”

Gold scoppiò a ridere di una risata amara

“Dearie, pensi davvero che io abbia bisogno di popolarità? Insomma, se c’è un nome più conosciuto del tuo qui in città, quello è il mio”

“Appunto per questo. Uniamo le forze”

“Preferisco lavorare da solo, cara, chi fa da sé fa per tre. Inoltre mettere le mani in quel letamaio che chiami società non mi solletica proprio…chissà cosa verrei a scoprire sui tuoi traffici illeciti

“Tutti dobbiamo adeguarci al mondo in cui viviamo, per cui evita di recitare la parte dell’agnellino innocente, sappiamo entrambi che non lo sei.”

“Può darsi, dearie. Ma di certo nascondo le tracce meglio di te”

“Solo perché hai i mezzi e le conoscenze giuste, se unissimo queste tue capacità al mio impero noi…”

“Impero? Oh, vorrei che tua madre ci avesse pensato meglio prima di affibbiarti questo nome, Regina, credo non avesse messo in conto i tuoi possibili deliri di onnipotenza”

“Non osare parlare di mia madre!” ringhiò Regina, ma Gold non si scompose neanche un po’. “Tu non la conoscevi, non sai di cosa parli” aggiunse più pacata.

“No, certo che no, dearie. Ma tornando a noi, rifiuto la tua offerta una volta per tutte, ti pregherei di non venire più a reiterarla nel mio ufficio a settimane alterne, questi siparietti sono una piacevole distrazione dal lavoro, ma alla lunga diventano un po’ ripetitivi”

La Mills lo guardò con odio misto a disprezzo, raccolse la sua borsetta Vuitton, si rimise il capotto e si avviò alla porta decisa, fermandosi a qualche centimetro dalla porta, per voltare lentamente la testa, chiaramente con l’intenzione di lasciare la stanza con una frase ad effetto che la facesse risultare comunque vincitrice.

“Ce la farò Gold. Un giorno scoprirò il tuo punto debole, e allora riuscirò a usarlo a mio favore”

“Accomodati dearie, sono davvero curioso di vedere cosa riuscirai a trovare…ah, nel frattempo, salutami il caro Henry…vorrei poter dire che ha gli occhi di sua madre, ma temo che non lo scopriremo finché non scapperà di casa per cercarla”

Il sottofondo per la smorfia soddisfatta di Gold fu la porta sbattuta da Regina Mills.

Come al solito, 1 a 0 per lui.

 

 

 

 

“Un paio di guanti neri, un berretto di lana, un pacchetto di sigarette, una penna rossa e venticinque dollari. Questo è tutto” disse l’inserviente con voce meccanica porgendo a Neal un sacchetto bianco, nel quale aveva riposto tutti gli oggetti mentre li elencava. “Ora firmi qui e poi esca dalla porta principale, lì sulla destra”

“Grazie” borbottò Neal mentre firmava frettolosamente il modulo. Poi prese il sacchetto e si diresse verso l’uscita indicatagli.

Dieci anni. Dieci anni che non respirava il profumo della libertà. Dieci anni che non entrava in un negozio a comprare (o a rubare) un pacchetto di sigarette. Dieci anni che non vedeva il mare. Dieci anni che non mangiava hamburger e marshmallow. Dieci anni che non baciava Emma.

Emma. Fu il suo primo pensiero mentre sorpassava quelle mura che nei suoi sogni aveva scavalcato milioni di volte.

Ho un figlio, qui fuori, da qualche parte.

Mille sensazioni si addensarono nella sua testa e nel suo stomaco, facendogli provare una vertigine spaventosa.

Per prima cosa aveva bisogno di un posto in cui stare, una casa, una stanza d’albergo, una roulotte, una macchina…ebbe una morsa allo stomaco ricordando il maggiolino giallo, il loro maggiolino giallo. In ogni caso, con quali soldi? Tutto era un problema, aveva giusto quei 25 dollari per arrivare alla sera, ma poi?

Ironia della sorte, la soluzione più semplice e al tempo stesso meno gradita a Neal gli si palesò davanti agli occhi mentre leggeva un giornale usato su una panchina al parco. Un articoletto in sesta pagina recitava “Lo squalo delle aule da tribunale di Boston trionfa ancora: una vittoria in più nell’arsenale di Robert Gold”. L’uomo emise uno sbuffo di ironico disprezzo nello scorrere velocemente l’articolo; a volte si chiedeva quante cose potessero essere cambiate in quei dieci anni, ma aveva la certezza che una persona fosse rimasta quella di sempre: suo padre, Robert Gold.

Piuttosto che chiedere il suo aiuto Neal sarebbe morto di fame. Non voleva avere a che fare con lui, mai più, per nessuna ragione al mondo.

 

 

 

Mary Margareth era una donna puntuale, estremamente puntuale. Alcuni avrebbero trovato questo aspetto della sua personalità vagamente noioso, ma lei lo riteneva una semplice forma di rispetto verso il prossimo, pure se spesso questa forma di rispetto non veniva ricambiata.

In verità Mary aveva deciso di essere lievemente in anticipo per quel particolare appuntamento, nella speranza di poter accusare l’uomo che doveva incontrare di eccessivo ritardo. Il motivo di un tale comportamento (un poco infantile a dire il vero) non sapeva spiegarlo neppure a sé stessa. Forse era perché quel giovane la irritava moltissimo. Forse perché le piaceva che la irritasse moltissimo. Forse perché odiava che le piacesse che la irritasse moltissimo, dato che era lì per un matrimonio. Matrimonio. La ragazza si concentrò sulla parola che più la richiamava al lavoro, dimenticando per un attimo gli occhi azzurri affascinanti e le spalle larghe di James Charming.

Fece per tirare fuori dalla borsa le chiavi dell’agenzia, quando, voltando l’angolo lo vide, appoggiato al muro, un sorriso irritantemente rassicuratore sul viso, gli occhi azzurri che la fissavano divertiti.

La ragazza tentò di reprimere un moto di sorpresa, ma gli occhi, lievemente più spalancati del normale, la tradirono, rendendo l’espressione sul volto dell’uomo ancora più marcata.

Mary Margareth si riprese all’istante “Scusi se l’ho fatta attendere, mi pareva che l’appuntamento fosse fissato per le tre, il mio orologio segna ancora le tre meno dieci”

“E’ così infatti. Solo sono uscito con molto anticipo da casa e non sapevo dove andare per far passare il tempo”

“Capisco…entriamo?”

Charming le tenne la porta aperta mentre passava e Mary dovette trattenersi dal pensare che effettivamente quell’uomo aveva qualcosa di più dell’aspetto, di un principe azzurro.

“Si accomodi pure, così iniziamo subito…”

“Benissimo”

“Allora” iniziò diligentemente Mary Margareth tirando fuori il suo quadernetto di appunti e l’elegante stilografica “mi dica tutto quello che devo sapere per organizzare al meglio il vostro matrimonio”

James la fissò per qualche secondo, poi inspirò profondamente, con uno sguardo rassegnato, come se si stesse preparando ad una difficile confessione.

“Credo sia giusto spiegarle subito la situazione particolare in cui ci troviamo io e la mia fidanzata…”

Mary lo guardò con aria interrogativa ma non replicò nulla.

“Dunque, Kathryn, la donna che sposerò, è già stata sposata con un uomo, dal quale ha avuto un figlio, Tommy, di cinque anni ormai. Il padre, e marito, morì tragicamente in un incidente stradale qualche anno fa. Da allora il padre di Kathryn vive in uno stato vegetativo totale, si pensa per il senso di colpa che lo tormentò dall’incidente in poi, dato che egli ne fu parzialmente responsabile”

Mary corrucciò le sopracciglia, colpita da quella storia così tragica e interessata a capire dove sarebbe andata a parare.

“Da allora Kathryn e Tommy hanno vissuto una vita particolarmente difficile da molti punti di vista…non è facile essere una madre single senza neanche un parente a dare una mano”

La wedding-planner annuì comprensiva.

“Io entro in scena a questo punto, se così si può dire…” La ragazza si aspettava un prosieguo della storia, ma vedendo che l’uomo esitava, come imbarazzato, lo incoraggiò con una domanda.

“Come vi siete incontrati, lei e Kathryn?”

“Noi, ecco… senta prima di raccontarle questa storia ho bisogno di sapere che lei non mi giudicherà e, soprattutto, che quanto le sto per dire non uscirà da questa stanza”

“Ha la mia parola” rispose Mary rapita, senza riflettere un istante.

James la guardò un istante, avvertendo un primordiale senso di fiducia emergere dentro di lui.

“Io vengo da una famiglia molto unita, ma molto povera. I miei genitori avevano una piccola tenuta, nelle campagne del Maine. Non abbiamo mai avuto molto, ma quel poco ce lo facevamo bastare. Poi però mio padre decise di investire i nostri risparmi in nuovi territori; sembrava che il valore fosse destinato a crescere e che ne avremmo ricavato parecchi soldi, almeno quanto bastava per mandare me e mio fratello al College, come volevamo. Mio padre si fece prestare dei soldi da George Lannister, un luogotenente della zona che presta soldi a chi vuole espandere le sue attività.

Per farla breve, non è andata come doveva. Il valore del territorio scese, non erano fruttiferi come si pensava e noi ci ritrovammo con un debito immenso da pagare.

A quel punto George minacciò di pignorarci la casa… a meno che mio fratello David non sposasse sua figlia Jacqueline. E che io non corteggiassi la figlia di un suo amico, tale Midas.

Inutile dirle che io e mio fratello acconsentimmo. Kathryn non sa nulla di tutto ciò; George è il suo padrino e non la voleva più sola… così trovò questa soluzione. Io finsi di incontrarla e iniziammo una relazione. Alla fine mi sono affezionato a lei e a suo figlio e… insomma mi sembra giusto sposarla. Saremo felici insieme”

Mary rimase interdetta per qualche istante. Aveva parecchie cose da dire sulla faccenda ma non sapeva cosa tenere per sé e cosa condividere.

“Perché non avete denunciato questo George??”

“Con quali soldi? Gli avvocati costano e i Lannister hanno agganci. Poi non è andata così male… ora i miei vivono sereni e io ho trovato una donna che tiene a me, non sono solo.”

“E le basta? Non essere solo?”

“Capisco. Quindi… per il matrimonio questo cosa significa?”

“Significa… matrimonio semplice, senza fronzoli. Capisce cosa intendo?”

“Ma certo, Mr. Charming, capisco benissimo.”

 

 

 

 

Nella casa di riposo per malati mentali gravi di Boston c’era sempre un odore rivoltante. Non che ci fosse una puzza di vomito, o che gli invalidi lì ricoverati non venissero ben lavati dagli infermieri. Al contrario, si respirava un odore di perfezione, di massima pulizia, di cura dei dettagli. Tutte cose che non rispecchiavano quello che conteneva l’edificio. Jefferson trovava questo aspetto particolarmente ripugnante; avrebbe forse preferito arrivare in un edificio trascurato, con i muri cadenti e un tanfo che gli causasse conati di vomito, piuttosto che quei pavimenti ben lucidati, le luci soffuse, l’odore di ammoniaca.

“Signore? …Signor Hatter?” un infermiera dal viso spigoloso lo stava fissando, con un’espressione visibilmente annoiata e irritata.

“Mi scusi, ero sovrappensiero, stava dicendo?”

“Sua moglie è stata trasferita. Sono arrivati nuovi ospiti e abbiamo dovuto raggruppare i pazienti; non c’era più spazio nelle camere femminili, così è stata messa in camera con un paziente uomo. Capisco che la cosa possa generarle qualche turbamento ma l’uomo in questione è assolutamente innocuo e le posso assicurare che in ogni caso la sorveglianza sarà costante, non ha nulla di sui preoccuparsi”

Jefferson annuì, in realtà poco rassicurato, e la seguì verso una porta bianca.

“Ecco, questa è la nuova stanza. Se dovesse avere qualsiasi problema o reclamo suoni a questo campanello. Può restare fino alle 17:30.”

Senza attendere una risposta la donna si allontanò velocemente, lasciandolo davanti alla porta, titubante, come lo era sempre da nove anni a questa parte. Jefferson prese coraggio, respirò brevemente e aprì la porta, trovandosi in una stanza il cui bianco alle pareti era tale da risultare accecante.

Subito vide Alice, seduta sul letto, come sempre, che fissava nel vuoto, mormorando tra sé parole prive di significato.

“Il giardino dei Larrinson è veramente ben fornito signorina, le consiglio di visitarlo…oh no, non potrei mai avere un cane, Johnny è allergico al pelo…due zollette grazie…no, non credo proprio che ci trasferiremo in campagna, non prima che Toby abbia finito l’università…il vestito della moglie del sindaco sembra fatto di pura seta...”

“Buongiorno Alice, amore mio…”

“No, non me ne intendo di ornitologia, ma mio padre andava spesso a caccia…”

“Come vanno le giornate qui? Io purtroppo, come al solito, lavoro dal mattino alla sera e ancora non ottengo il permesso dal giudice per vedere Grace...”

“Ma certo caro! Ci farebbe molto piacere avervi a cena la prossima settimana, a patto che portiate anche Lawrence, la nostra Amy sembra avere un debole per lui…”

“Grace. Nostra figlia. La ricordi?”

“I miei fiori preferiti sono le peonie, ma amo anche le margherite appena raccolte dal campo”

No. Non ricordava, non ricordava nulla. Jefferson non sapeva perché si ostinava a fare quella dannatissima domanda tutte le volte che andava a trovarla, dato che la risposta, o meglio, la non-risposta, era sempre la stessa. Ne aveva bisogno. Non riusciva a rinunciare alla flebile speranza, al desiderio, ormai solo accennato, che tutto sarebbe ritornato ad essere come un tempo.

I singhiozzi di Jefferson si mischiarono alle frasi senza senso di Alice, creando uno strano contrasto.

“Mi scusi…ha bisogno di un fazzoletto?”

Jefferson si rese conto solo in quel momento che oltre la tenda che separava i due letti presenti nella stanza c’era una donna, presumibilmente una parente o conoscente dell’uomo con cui era stata sistemata Alice.

“Mi…mi dispiace, io non mi ero accorto che ci fosse qualcuno…”

La donna sorrise dolcemente.

“Non ha nulla di cui scusarsi. Prenda un fazzoletto”

Jefferson posò il mazzo di fiori che aveva portato per Alice sul comodino accanto al letto e si avvicinò alla donna, accettando il pacchetto di kleenex che questa gli stava porgendo.

“Grazie…”

“Non c’è di che…”

“Mi dispiace che la persona che è venuta a visitare sia costretta a stare in stanza con Alice…sentire le sue frasi sconnesse per tutto il giorno può mandarti fuori di testa…” Jefferson si bloccò spaventato, rendendosi conto della terribile gaffe che aveva appena fatto, ma la donna, invece di offendersi, accennò una risatina “Beh, per fortuna mio padre non ha più questo problema”

Jefferson sorrise e la guardò più attentamente. Era bionda, alta poco meno di lui, e molto bella. Una bellezza austera, un po’ distante l’avrebbero trovata alcuni, a lui sembrava solo molto nobile e molto triste, con quel velo di malinconia sopra ai meravigliosi occhi zaffiro.

“E’ suo padre quindi…?”

“Sì, sì mio padre…E lei è…?”

“Mia moglie”

“Oh…mi dispiace…è successo da poco?”

“No, no…nove anni fa a dire il vero. E suo padre?”

“Cinque anni fa circa…da allora non ha mai pronunciato una parola”

I due stettero in silenzio per un poco, poi Jefferson riprese la parola.

“Sa qual è la cosa più difficile? Smettere di sperare. Smettere di credere. Ed è difficile perché, vede” in quel momento Jefferson dimenticò che conosceva quella donna da poco più di tre minuti, si dimenticò che neppure conosceva il suo nome e si dimenticò che lei non gli aveva chiesto nulla riguardo cosa fosse più o meno difficile. Si dimenticò di tutte queste cose e continuò. “Alcune delle cose che dice, che Alice, che mia moglie dice…sono vere. In mezzo alla valanga di cose senza senso dice delle cose che sono vere.”

La donna lo guardò con interesse e Jefferson si sentì incoraggiato a continuare

“I suoi fiori preferiti sono davvero le peonie e le margherite, vede?” disse indicando il mazzolino abbandonato accanto alla moglie, peonie rosa e margherita di campo.

 

 

 

Lo stomaco di Robin Hale fece un salto nel vuoto, mentre l’aereo affrontava un vuoto d’aria; la sgradevole sensazione lo risvegliò completamente dal dormiveglia in cui era scivolato poco dopo il decollo e lo riportò alla realtà. Immediatamente l’uomo si girò verso il finestrino e ringraziò mentalmente il pilota o chiunque avesse causato la brusca manovra, per avergli permesso di osservare uno dei fenomeni più spettacolari che gli fossero mai capitati, il tramonto visto direttamente dal cielo. Mentre si godeva il panorama si preparava psicologicamente al rientro, e a tutto ciò che questo comportava.

Ancora poche ore e finalmente sarebbero atterrati al JFK, ancora poche ore e avrebbe potuto abbracciare Roland: dopo tutte quelle settimane gli pareva un sogno. Certe volte si chiedeva se non fosse sbagliato, lasciare suo figlio per così tanto tempo con la nonna, dopo che aveva già perso la madre in tenera età. Ma d’altronde era il suo lavoro che lo “costringeva” a passare così tanto tempo fuori casa, e Roland era un bambino molto intelligente, capiva che se suo padre era spesso lontano era solo per aiutare i bambini meno fortunati di lui.

Il dottore sorrise tra sé, per suo figlio lui era quasi un eroe, perso in terre lontane a salvare vite umane.

In realtà se ripensava al motivo per cui aveva iniziato a coinvolgersi in quel progetto si vergognava un po’ di sé stesso. La causa della sua devozione all’associazione umanitaria che raccoglieva medici di tutte le tipologie e li collocava alcune settimane all’anno nei paesi più arretrati del mondo aveva lunghi capelli corvini, un colorito leggermente pallido ed un forte accento canadese. Si chiamava Marian Campbell ed era la specializzanda più appassionata che avesse mai incontrato; i due si erano scontrati spesso, per ragioni professionali, ma la ragazza aveva acceso nel dottore ormai istituzionalizzato un nuovo interesse per il suo lavoro. Lo costringeva a lavorare fino a tardi, ad imbarcarsi in nuove ricerche e progetti, e non smetteva mai di proporgli incessantemente di lavorare, ameno part-time, come faceva lei, per l’associazione ****. Marian riteneva che fosse la parte più gratificante del suo lavoro, poter partire e andare qualche mese in Africa, a scontrarsi con una realtà totalmente diversa.

Alla fine Robin aveva accettato di partecipare ad una riunione di presentazione, ma più che altro per scorgere un luccichio soddisfatto negli occhi della bella collega e per riuscire a passare più tempo con quella donna che non smetteva di suscitare il suo interesse.

Pensava che avrebbe passato due ore a cercarla con lo sguardo, aspettando che un vecchio dottore in pensione smettesse di piagnucolare su quanto ingiusta fosse la fame nel mondo, e invece fu totalmente colto di sorpresa. John Little, che con i suoi 120 chili rappresentava la prova vivente che nomen omen non è una regola sempre valida, non accennò neanche un secondo alla fame nel mondo (Robin rifletté in seguito che non sarebbe stato neanche troppo credibile), ma trascinò i suoi ascoltatori in un viaggio rivelatore sulla situazione attuale di alcuni tra i paesi in condizioni più tragiche dell’Africa. Robin rimase talmente scosso da quei racconti di vita vissuta, da quelle foto, da quelle testimonianze registrate, che neppure per un secondo perse l’attenzione. Capì in quell’istante che lui aveva un dono. Un dono con cui doveva fare qualcosa.

Il giorno dopo stava prenotando i biglietti aerei e una settimana dopo lui e Marian si trovavano in uno sperduto villaggio dello Zimbabwe a somministrare alla denutrita popolazione un vaccino per la malaria, che non smetteva di mietere vittime. Fu un punto di svolta nella sua vita, finalmente aveva ritrovato la passione per il suo lavoro e una nuova motivazione; inoltre la sua affascinante collega stava iniziando a guardarlo con occhi diversi, e non ci volle molto perché il dottore, di qualche anno più vecchio di lei, la convincesse a sposarlo.

 

 

 

 

 

Gli avvertimenti di Granny sulla guida di Ruby si rivelarono in fondo piuttosto azzeccati, rifletté Belle facendo un piccolo salto in avanti a causa dell’ennesima frenata brusca della sua amica; non che Ruby non ci sapesse fare al volante, solo aveva un’esagerata fiducia nel prossimo. La brunetta sorrise tra sé, se c’era un difetto che si poteva attribuire alla sua amica era probabilmente proprio quello.

Arrivate al BMC e parcheggiata la vecchia utilitaria le due ragazze si diressero verso l’entrata del pronto soccorso; Belle prese posto accanto ad un ragazzo che si guardava un dito con uno strano taglio mal fasciato ogni cinque secondi, mentre Ruby lanciava sguardi indagatori per tutta la sala d’attesa.

“Avanti, mi vuoi dire come si chiama?” chiese Belle a metà esasperata e a metà divertita,

“Come si chiama chi?”

Osservando l’occhiata eloquente dell’amica finalmente Ruby si decise a vuotare il sacco.

“Quattro giorni fa, quando mi ero dimenticata di prendere le medicine per la nonna sono corsa qui al pronto soccorso” iniziò la mora sedendosi accanto all’amica.

“Ah! Ecco perché non hai chiamato quella sera!”

“Esatto. Beh ero davvero disperata e un dottore è stato così gentile da darmi una scatoletta senza ricetta”

“Illegale”

“Romantico!”

Belle non poté trattenere un sorriso

“Ok, ok romantico, vai avanti”

“Non c’è molto altro, io ho flirtato un po’ con lui, lui sembrava interessato ma la cosa è finita lì…avevo voglia di rivederlo”

“Che tipo è?”

“Beh magro, non troppo alto, capelli castani, occhi azzurri, uno sguardo un po’ malinconico ma molto dolce…”

“E una piccola cicatrice sulla mano destra...?”

“Sì esatto e…aspetta come fai a saperlo??”

Isabelle sorridendo indicò poco distante da loro, dove il dottor Whale stava compilando alcune cartelle cliniche.

“Eccolo! Ora vado a dirgli che hai bisogno di lui!”

“No Ruby, aspetta che fai!”

Belle si pentì di aver fatto uno scatto in avanti per bloccare l’amica perché la caviglia le presentò istantaneamente il conto, salato.

Mentre Isabelle si sedeva lentamente lanciando mentalmente parecchi insulti al guidatore della Cadillac, la sua spavalda amica si avvicinava al dottore, assorto nelle sue faccende.

“Ehilà! Come sta la sua fidanzata dottor Whale?”

“Quale fid…ah!” Victor Whale riconobbe immediatamente la bella ragazza dai lunghi capelli corvini, che pensava non avrebbe mai più rivisto in vita sua.

“Ruby, giusto?”

“Per Lei sì, dottor Whale” rispose lei facendogli un occhiolino.

“In cosa posso esserti utile? Ci hai preso gusto a ricevere medicinali sottobanco?”

Ruby sorrise “No, stavolta non sono qui per me. In realtà speravo potesse dare un’occhiata alla caviglia di una mia amica, ha preso una brutta storta l’altro giorno, e non vorrei ci fosse qualcosa di rotto… Visto che siamo amici magari la potrebbe visitare per prima...?”

“Siamo amici?” Whale alzò un sopracciglio perplesso

“Ma certo!”

“Comunque non è proprio il mio campo veramente… “

“Oh andiamo, scuramente ne sa di più di me e di mia nonna! Aspetti, porto Belle qua, così la può conoscere come si deve! Ah, non le accenni il fatto che non è esattamente un medico...come si dice? Delle gambe, ecco, non gradirebbe”

Il dottore non fece in tempo a fermarla che Ruby aveva trasportato il suo entusiasmo presso Belle.

“Eccomi! Allora, come ti avevo detto è una persona meravigliosa e ti visiterà! O comunque ti conoscerà, che è già qualcosa dai! “

Ruby si accorse solo dopo qualche istante che lo sguardo dell’amica era perso nel vuoto e non la stava ascoltando, così si voltò seguendone lo sguardo, fino a posarlo su un uomo di media corporatura, i capelli castani con sfumature grigie, elegantissimo in un completo nero d’alta sartoria, poggiato su un bastone la cui impugnatura valeva di sicuro più dell’intero ristorante Granny’s, con lei e la nonna comprese.

Un tipo decisamente affascinante, stava riflettendo Belle, quantomeno per lei. Ruby probabilmente lo avrebbe trovato vecchio e dallo sguardo inquietante. A lei invece suscitava uno strano senso di déjà-vu, quasi si fossero già incontrati. Magari si era fermato al Granny’s a prendere un caffè, o..

“Belle? Belle?”

“C-cosa?”

“Sai, ti ho sempre vista immaginata con un uomo più maturo ma credo che tu stia esagerando”

Lo sguardo a occhi spalancati dell’amica la fece indulgere in spiegazioni.

“No dico, da quando ti interessano gli over quaranta?” e inclinò la testa in direzione dell’uomo poco distante loro.

“Da mai, Ruby, ovviamente!” per ovviare al rossore delle guance Belle sviò rapidamente il discorso, aggiornando l’amica sulla sua intuizione. “Ma quel tizio assomiglia molto a quello che mi ha investita l’altro giorno!”

“Dici davvero? Quello stronzo?”

“Beh non so se è lui...me lo ricordo solo vagamente”

“Aspetta qui, Cadillac nera giusto? Vado a vedere se ce n’è una parcheggiata qui fuori”

Belle non fece in tempo a confermare modello e colore all’amica che questa era già corsa verso il parcheggio.

Dopo meno di due minuti riemerse vittoriosa.

“Sì! Ce n’è una lì fuori! è senz’altro lui! Vai a dirgliene quattro Belle!”

La ragazza riguardò verso l’uomo e si sentì lievemente intimorita.

“Non so Ruby… e se non è lui?”

“Se non lo fai tu lo faccio io!”

“Ok, ok, ora vado!”

 

 

 

“Ehm, scusi?” L’uomo non diede cenno di averla sentita. Belle si fece coraggio, raccolse la voce e ribadì a tono più elevato “SCUSI??”

Questa volta Belle ottenne uno sguardo tra lo scocciato e l’infastidito dell’uomo, oltre alla totale attenzione della sala. Isabelle arrossì violentemente mentre l’uomo non distoglieva lo sguardo.

La ragazza aspettò una manciata di secondi perché il chiacchiericcio nella sala riprendesse normalmente e infine si rivolse all’uomo che la fissava lievemente interrogativo

“Ehm, scusi sa, mi chiedevo…la Cadillac là fuori è sua?”

“Sì” rispose con scherno l’uomo “ma non la faccio provare alle ragazzine neopatentate in cerca di ebrezza”

A quel punto Belle sentì montare la rabbia dentro di sé, respinse ogni timidezza e sbottò

“Beh, lei non la farà guidare alle ragazzine neopatentate, ma nel tempo libero sembra che cerchi di metterle sotto, guardi qui!” e così dicendo sollevo lievemente la gamba del pantalone della tuta che stava indossando per fargli vedere la sua caviglia gonfia.

Gold la guardò dapprima disinteressato, poi sembrò ricordare.

“Oh, quindi lei è quella ragazza che ha deciso che attraversare sulle strisce pedonali le dà il diritto di non controllare neanche se una macchina è in arrivo?”

“Guardi che io avevo controllato, è lei che è sbucato fuori all’improvviso facendomi cadere per terra”

“Beh, spero le sia servito da lezione, miss, ora mi scusi davvero ma ho affari più importanti da sbrigare”

Gold le passò avanti piuttosto rapidamente dirigendosi verso la porta degli uffici privati.

La ragazza lo guardò allontanarsi con mille sensazioni nello stomaco.

La squillante voce di Ruby la riportò alla realtà.

“Allora? Sei riuscita a chiarire?”

“No…ma non ne vale la pena discutere con una persona così. E poi non lo rivedrò mai più in vita mia”

Non sapeva quanto si sbagliava, su tutti e due i versanti.

 

 

 

“Allora, la vogliamo controllare questa caviglia o no, miss...?”

Belle e Ruby si voltarono di scatto, trovando il dottor Whale, con una mano tesa verso Belle.

“Oh! French, Isabelle French…grazie dottor Whale, le sono infinitamente grata!”

Whale si rivelò in effetti piuttosto utile, visitò rapidamente Belle, decretando che non c’era nulla di rotto, fortunatamente, ma che due giorni di riposo avrebbero aiutato a far sgonfiare la caviglia, evitando un peggioramento della situazione.

Infine, sotto lo sguardo decisamente rassicurato di Ruby, il dottore le consegnò una ricetta per una pomata che avrebbe velocizzato la completa guarigione.

Mentre Belle si riallacciava le scarpe e Whale controllava alcune scartoffie Ruby gongolava, soddisfatta di aver risolto il problema dell’amica.

“Che ti avevo detto? Il miglior ospedale di tutta Boston!”

“Ora non esagerare Ruby, era solo una storta…”

“Uff..”

“Ah ragazze, dovreste...”

“Dottor Whale?”

Victor non fece in tempo a finire la frase che un infermiera irruppe nella stanza.

“Mr.Hackett ha avuto un peggioramento improvviso, deve venire subito!”

Ruby e Belle si ritrovarono da sole nella stanza senza neanche accorgersi di cosa stesse succedendo.

Dopo qualche istante fu Belle a prendere parola.

“Cavolo, non mi ero accorta dell’ora! Se aspettiamo ancora non riesco a passare dalla farmacia e andare al corso di giornalismo!”

Ruby alzò gli occhi al cielo.

“Non è certo un dramma se salti una lezione Belle! Diventerai comunque la giornalista più in gamba del millennio… E poi Victor voleva dire qualcosa prima di scappare via”

Le iperboli di Ruby, una delle poche certezze di questa vita, pensò Belle chiudendo la zip la giacca.

“Non voglio perdere le lezioni, mi servono davvero… e poi sono certa che il dottor Whale non dovesse dirmi nulla di importante. Dai andiamo”

 

 

 

 

 

 

 

 

“Signorina French! Signorina French!” Whale provò inutilmente a raggiungere le due ragazze che però erano ormai già arrivate alla macchina

“French??” Gold sentì qualcosa scattare nel suo cervello all’udire quel nome.

“Sì, la ragazza che era qui poco fa, capelli castani, bassa, occhi azzurri, la conosce?”

“Quella ragazza è la signorina French??”

“Sì, esatto, la conosce?”

“No. Ma dovrei” rispose enigmatico Gold, allontanandosi rapidamente dal dottore.

Doveva ritrovarla assolutamente. Non solo quella ragazzina aveva rischiato di fargli fare un incidente, sbucando fuori dal nulla in un attraversamento pedonale, ma aveva perfino ottenuto un appuntamento con lui e non aveva rispetto gli orari, peggio, non si era presentata. E poi…

E poi quegli occhi azzurri.

 

 

 

 

 

 

NOTE DELL’AUTRICE: Ehm… cosa si dice dopo un ritardo così mostruoso? Scusate, la mancanza di ispirazione si è abbinata a un anno piuttosto impegnativo dal punto di vista universitario e ho dovuto mettere da parte questo progetto. Prometto che d’ora in poi aggiornerò molto più frequentemente, spero di non aver perso tutti i lettori J

Alla prossima!

 

 

 

   

          

 

 

 

  
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