CAPITOLO
2:
“New acquaintances”
A
tre giorni
dallo spiacevole incontro con la Cadillac nera la caviglia di Isabelle
continuava a dolerle fastidiosamente.
Non era un male insopportabile, tale da costringerla a
letto, ma le
rendeva difficoltosi tutti i movimenti e, facendo la cameriera tutto il
santo
giorno, arrivava alla sera con una caviglia gonfia come gli hamburger
farciti
che passava la giornata a distribuire. Per di più aveva
giurato a sé stessa di
non guardare la sua casella di posta per un’intera settimana,
e mantenere
questo proposito si stava rivelando più arduo del previsto.
E se Gold avesse
risposto con un notevole ritardo, ma comunque risposto? Era stata forse
troppo
frettolosa e immatura? In fondo che ne sapeva lei delle agende
impegnate degli
uomini importanti?
Persa
tra i
suoi pensieri Isabelle non aveva notato che Ruby si stava avvicinando
alla
seggiola sulla quale si era accasciata per massaggiarsi un poco la
caviglia,
durante un momento morto nel suo turno.
“Oddio
Belle,
quella caviglia è enorme! Neanche quelle della nonna sono
così”
“Ehi
ragazzina guarda che ti sento”
Una
voce che
voleva sembrare minacciosa ma riusciva a far trasparire solo ironia
suonò dalla
cucina, facendo sorridere Ruby, mentre Belle era decisamente
concentrata sulla
sua gamba dolorante.
“Seriamente
Belle, dovresti farla vedere a qualcuno, magari hai qualcosa di
rotto!”
“Non
dire
sciocchezze Ruby! Se fosse rotta me ne sarei già
accorta…” ma dal tono sembrava
che la ragazza cercasse di convincere sé stessa
più che l’amica.
“A
maggior
ragione non sarebbe meglio farsi dare una controllata?”
Isabelle
fece
una smorfia di dolore e infine acconsentì
“E
va bene,
andrò dal medico di famiglia
domani…contenta?”
“Neanche
un
po’!” si infiammò Ruby “una
cosa del genere” proseguì la ragazza
“richiede
quantomeno una visita al pronto soccorso”
“Addirittura?”
Belle spalancò gli occhi azzurri in segno di stupore, ma
riflettendo convenne
con l’amica che forse sarebbe stata la cosa migliore.
“Ok,
hai ragione,
probabilmente non è nulla, ma tanto vale controllare per
bene…” emise un
sospiro e concluse “vicino a casa mia
c’è un piccolo ospedale con un pronto
soccorso, andrò lì stasera
credo…”
Ruby
la
guardò con sdegno e replicò “neanche
per sogno Belle! Molto meglio andare al
Boston Medical center, lì sì che i dottori sanno
quello che fanno…”
Notando
che
lo sguardo dell’amica si era fatto un po’ troppo
sognante per star pensando a
caviglie gonfie e pronti soccorsi Isabelle fece un sorrisetto
“stiamo parlando
del corpo medico in generale o hai qualcuno in mente?” chiese
divertita.
“No,
nessuno
in particolare, perché?”
“Nulla”
fece
quella con un’alzatina di spalle “beh, in ogni caso
andrò in quello vicino a
casa mia, è comodo e i medici sono
bravissimi…”
“Eh
no Belle,
davvero, non puoi prenderla sottogamba, insisto perché tu
vada al Boston
Medical Center, anzi ti porterò io stessa stasera, nonna
posso prendere la
macchina stasera?”
“Dove
vorresti andare signorina?”
“Ad
un rave
party” sbuffò la ragazza seccata “nonna,
accompagno solo Belle al pronto
soccorso per quella caviglia…”
Granny
sbucò
dalla cucina per squadrare le due ragazze e lanciare uno sguardo alla
famigerata caviglia di Belle.
“E
va bene,
effetti sarebbe meglio se ti facessi dare un’occhiata
Belle…” commentò, e poi,
spostando l’attenzione su Ruby “Anche se non so
quanto una serata in macchina
con mia nipote possa giovare alla tua salute” e
tornò alle sue lasagne.
Ruby
le fece
una smorfia e poi tornò ad occuparsi della sua amica.
“Allora,
stasera ti passo a prendere a casa alle nove, va bene?”
“Ok,
Ruby…spero davvero che ne valga la pena!”
“Ci
puoi
giurare!”
Tre
giorni
prima
Quando
Ashley
aveva visto il suo capo uscire dall’ufficio alle 14:34 aveva
immaginato che non
lasciasse presagire nulla di buono. Generalmente Gold non lasciava il
suo ufficio
prima delle 19:30, si faceva portare il pranzo in ufficio e chi voleva
incontrarlo era pregato di scomodarsi, l’avvocato non si
schiodava dalla sua
lussuosa ma non pacchiana scrivania per alcuna ragione al mondo.
“Signorina
Boyd?”
“Sì,
Mr.
Gold?”
“Non
è
passata nessuna ragazza di nome French chiedendo di un appuntamento con
me alle
14:30?”
“Ehm,
no…non
è passato nessuno da quando la signora Mills se
n’è andata…se fosse passato
qualcuno l’avrei avvertita”
“Non
ne
dubito” rispose Gold con il suo miglior tono sarcastico, che
i suoi avversari
in tribunale conoscevano molto bene. “Beh, a quanto pare lei
non è l’unica a
riuscire a rimanere bloccata nel nostro modernissimo ascensore che
impiega
esattamente 6 secondi per passare dal piano terra al
trentesimo”
“Io…”
“Ad
ogni modo,
se arriva entro quattro minuti la faccia entrare, in caso contrario le
dica che
ho cose più importanti da fare che adeguarmi al distorto
concetto di puntualità
di un’adolescente con problemi sentimentali”
“Come
desidera Mr. Gold”
Tre
giorni e
due ore prima
Non
era
facile cancellare l’espressione compiaciuta dal volto di
Regina Mills, ma Gold
si faceva un vanto di riuscirci nella quasi totalità dei
loro incontri.
In
realtà la
loro era una lotta tra pari, dal risultato spesso incerto e combattuto;
a fare
la differenza era il fatto che, nonostante le circostanze avverse, era
molto
difficile che l’avvocato perdesse il suo ghigno soddisfatto e
la fiducia in sé
stesso e nelle sue capacità oratorie.
E
in quel
preciso istante Regina Mills avrebbe dato qualsiasi cosa per veder
sparire quel
maledetto ghigno dal volto del suo interlocutore.
“E’
inutile
Regina, il tuo caso non mi interessa”
“Ci
guadagneremmo entrambi, e tu lo sai”
“Non
vedo il
mio profitto”
“La
tua
popolarità aumenterebbe, insomma, essere
l’avvocato difensore di una società
come la mia, per la tua immagine…”
Gold
scoppiò
a ridere di una risata amara
“Dearie,
pensi davvero che io abbia bisogno di popolarità? Insomma,
se c’è un nome più conosciuto
del tuo qui in città, quello è il mio”
“Appunto
per
questo. Uniamo le forze”
“Preferisco
lavorare da solo, cara, chi fa da sé fa per tre. Inoltre
mettere le mani in
quel letamaio che chiami società non mi solletica
proprio…chissà cosa verrei a
scoprire sui tuoi traffici
illeciti”
“Tutti
dobbiamo adeguarci al mondo in cui viviamo, per cui evita di recitare
la parte
dell’agnellino innocente, sappiamo entrambi che non lo
sei.”
“Può
darsi,
dearie. Ma di certo nascondo le tracce meglio di te”
“Solo
perché
hai i mezzi e le conoscenze giuste, se unissimo queste tue
capacità al mio
impero noi…”
“Impero?
Oh,
vorrei che tua madre ci avesse pensato meglio prima di affibbiarti
questo nome,
Regina, credo non avesse messo in conto i tuoi possibili deliri di
onnipotenza”
“Non
osare
parlare di mia madre!” ringhiò Regina, ma Gold non
si scompose neanche un po’.
“Tu non la conoscevi, non sai di cosa parli”
aggiunse più pacata.
“No,
certo
che no, dearie. Ma tornando a noi, rifiuto la tua offerta una volta per
tutte, ti
pregherei di non venire più a reiterarla nel mio ufficio a
settimane alterne,
questi siparietti sono una piacevole distrazione dal lavoro, ma alla
lunga
diventano un po’ ripetitivi”
La
Mills lo
guardò con odio misto a disprezzo, raccolse la sua borsetta
Vuitton, si rimise
il capotto e si avviò alla porta decisa, fermandosi a
qualche centimetro dalla
porta, per voltare lentamente la testa, chiaramente con
l’intenzione di
lasciare la stanza con una frase ad effetto che la facesse risultare
comunque
vincitrice.
“Ce
la farò
Gold. Un giorno scoprirò il tuo punto debole, e allora
riuscirò a usarlo a mio
favore”
“Accomodati
dearie, sono davvero curioso di vedere cosa riuscirai a
trovare…ah, nel
frattempo, salutami il caro Henry…vorrei poter dire che ha
gli occhi di sua
madre, ma temo che non lo scopriremo finché non
scapperà di casa per cercarla”
Il
sottofondo
per la smorfia soddisfatta di Gold fu la porta sbattuta da Regina Mills.
Come al solito,
1 a 0 per lui.
“Un
paio di
guanti neri, un berretto di lana, un pacchetto di sigarette, una penna
rossa e
venticinque dollari. Questo è tutto” disse
l’inserviente con voce meccanica
porgendo a Neal un sacchetto bianco, nel quale aveva riposto tutti gli
oggetti
mentre li elencava. “Ora firmi qui e poi esca dalla porta
principale, lì sulla
destra”
“Grazie”
borbottò Neal mentre firmava frettolosamente il modulo. Poi
prese il sacchetto
e si diresse verso l’uscita indicatagli.
Dieci
anni.
Dieci anni che non respirava il profumo della libertà. Dieci
anni che non
entrava in un negozio a comprare (o a rubare) un pacchetto di
sigarette. Dieci
anni che non vedeva il mare. Dieci anni che non mangiava hamburger e
marshmallow.
Dieci anni che non baciava Emma.
Emma.
Fu il
suo primo pensiero mentre sorpassava quelle mura che nei suoi sogni
aveva
scavalcato milioni di volte.
Ho un figlio, qui fuori, da qualche parte.
Mille
sensazioni si addensarono nella sua testa e nel suo stomaco, facendogli
provare
una vertigine spaventosa.
Per
prima
cosa aveva bisogno di un posto in cui stare, una casa, una stanza
d’albergo,
una roulotte, una macchina…ebbe una morsa allo stomaco
ricordando il maggiolino
giallo, il loro maggiolino giallo. In ogni caso, con quali soldi? Tutto
era un
problema, aveva giusto quei 25 dollari per arrivare alla sera, ma poi?
Ironia
della
sorte, la soluzione più semplice e al tempo stesso meno
gradita a Neal gli si
palesò davanti agli occhi mentre leggeva un giornale usato
su una panchina al
parco. Un articoletto in sesta pagina recitava “Lo squalo
delle aule da
tribunale di Boston trionfa ancora: una vittoria in più
nell’arsenale di Robert
Gold”. L’uomo emise uno sbuffo di ironico disprezzo
nello scorrere velocemente
l’articolo; a volte si chiedeva quante cose potessero essere
cambiate in quei
dieci anni, ma aveva la certezza che una persona fosse rimasta quella
di
sempre: suo padre, Robert Gold.
Piuttosto
che
chiedere il suo aiuto Neal sarebbe morto di fame. Non voleva avere a
che fare
con lui, mai più, per nessuna ragione al mondo.
Mary
Margareth era una donna puntuale, estremamente puntuale. Alcuni
avrebbero
trovato questo aspetto della sua personalità vagamente
noioso, ma lei lo
riteneva una semplice forma di rispetto verso il prossimo, pure se
spesso
questa forma di rispetto non veniva ricambiata.
In
verità Mary
aveva deciso di essere lievemente in anticipo per quel particolare
appuntamento, nella speranza di poter accusare l’uomo che
doveva incontrare di
eccessivo ritardo. Il motivo di un tale comportamento (un poco
infantile a dire
il vero) non sapeva spiegarlo neppure a sé stessa. Forse era
perché quel
giovane la irritava moltissimo. Forse perché le piaceva che
la irritasse
moltissimo. Forse perché odiava che le piacesse che la
irritasse moltissimo,
dato che era lì per un matrimonio. Matrimonio. La ragazza si
concentrò sulla
parola che più la richiamava al lavoro, dimenticando per un
attimo gli occhi
azzurri affascinanti e le spalle larghe di James Charming.
Fece
per
tirare fuori dalla borsa le chiavi dell’agenzia, quando,
voltando l’angolo lo
vide, appoggiato al muro, un sorriso irritantemente rassicuratore sul
viso, gli
occhi azzurri che la fissavano divertiti.
La
ragazza
tentò di reprimere un moto di sorpresa, ma gli occhi,
lievemente più spalancati
del normale, la tradirono, rendendo l’espressione sul volto
dell’uomo ancora
più marcata.
Mary
Margareth si riprese all’istante “Scusi se
l’ho fatta attendere, mi pareva che
l’appuntamento fosse fissato per le tre, il mio orologio
segna ancora le tre
meno dieci”
“E’
così
infatti. Solo sono uscito con molto anticipo da casa e non sapevo dove
andare
per far passare il tempo”
“Capisco…entriamo?”
Charming
le
tenne la porta aperta mentre passava e Mary dovette trattenersi dal
pensare che
effettivamente quell’uomo aveva qualcosa di più
dell’aspetto, di un principe
azzurro.
“Si
accomodi
pure, così iniziamo subito…”
“Benissimo”
“Allora”
iniziò diligentemente Mary Margareth tirando fuori il suo
quadernetto di
appunti e l’elegante stilografica “mi dica tutto
quello che devo sapere per
organizzare al meglio il vostro matrimonio”
James
la
fissò per qualche secondo, poi inspirò
profondamente, con uno sguardo
rassegnato, come se si stesse preparando ad una difficile confessione.
“Credo
sia
giusto spiegarle subito la situazione particolare in cui ci troviamo io
e la
mia fidanzata…”
Mary
lo
guardò con aria interrogativa ma non replicò
nulla.
“Dunque,
Kathryn, la donna che sposerò, è già
stata sposata con un uomo, dal quale ha
avuto un figlio, Tommy, di cinque anni ormai. Il padre, e marito,
morì
tragicamente in un incidente stradale qualche anno fa. Da allora il
padre di
Kathryn vive in uno stato vegetativo totale, si pensa per il senso di
colpa che
lo tormentò dall’incidente in poi, dato che egli
ne fu parzialmente
responsabile”
Mary
corrucciò le sopracciglia, colpita da quella storia
così tragica e interessata
a capire dove sarebbe andata a parare.
“Da
allora
Kathryn e Tommy hanno vissuto una vita particolarmente difficile da
molti punti
di vista…non è facile essere una madre single
senza neanche un parente a dare
una mano”
La
wedding-planner
annuì comprensiva.
“Io
entro in
scena a questo punto, se così si può
dire…” La ragazza si aspettava un
prosieguo della storia, ma vedendo che l’uomo esitava, come
imbarazzato, lo
incoraggiò con una domanda.
“Come
vi
siete incontrati, lei e Kathryn?”
“Noi,
ecco…
senta prima di raccontarle questa storia ho bisogno di sapere che lei
non mi
giudicherà e, soprattutto, che quanto le sto per dire non
uscirà da questa
stanza”
“Ha
la mia
parola” rispose Mary rapita, senza riflettere un istante.
James
la guardò
un istante, avvertendo un primordiale senso di fiducia emergere dentro
di lui.
“Io
vengo da
una famiglia molto unita, ma molto povera. I miei genitori avevano una
piccola
tenuta, nelle campagne del Maine. Non abbiamo mai avuto molto, ma quel
poco ce lo
facevamo bastare. Poi però mio padre decise di investire i
nostri risparmi in
nuovi territori; sembrava che il valore fosse destinato a crescere e
che ne
avremmo ricavato parecchi soldi, almeno quanto bastava per mandare me e
mio
fratello al College, come volevamo. Mio padre si fece prestare dei
soldi da
George Lannister, un luogotenente della zona che presta soldi a chi
vuole
espandere le sue attività.
Per
farla
breve, non è andata come doveva. Il valore del territorio
scese, non erano
fruttiferi come si pensava e noi ci ritrovammo con un debito immenso da
pagare.
A
quel punto
George minacciò di pignorarci la casa… a meno che
mio fratello David non
sposasse sua figlia Jacqueline. E che io non corteggiassi la figlia di
un suo
amico, tale Midas.
Inutile
dirle
che io e mio fratello acconsentimmo. Kathryn non sa nulla di tutto
ciò; George
è il suo padrino e non la voleva più
sola… così trovò questa soluzione. Io
finsi di incontrarla e iniziammo una relazione. Alla fine mi sono
affezionato a
lei e a suo figlio e… insomma mi sembra giusto sposarla.
Saremo felici insieme”
Mary
rimase
interdetta per qualche istante. Aveva parecchie cose da dire sulla
faccenda ma
non sapeva cosa tenere per sé e cosa condividere.
“Perché
non
avete denunciato questo George??”
“Con
quali
soldi? Gli avvocati costano e i Lannister hanno agganci. Poi non
è andata così
male… ora i miei vivono sereni e io ho trovato una donna che
tiene a me, non
sono solo.”
“E le basta? Non essere solo?”
“Capisco.
Quindi… per il matrimonio questo cosa significa?”
“Significa…
matrimonio semplice, senza fronzoli. Capisce cosa intendo?”
“Ma
certo, Mr.
Charming, capisco benissimo.”
Nella
casa di
riposo per malati mentali gravi di Boston c’era sempre un
odore rivoltante. Non
che ci fosse una puzza di vomito, o che gli invalidi lì
ricoverati non
venissero ben lavati dagli infermieri. Al contrario, si respirava un
odore di
perfezione, di massima pulizia, di cura dei dettagli. Tutte cose che
non
rispecchiavano quello che conteneva l’edificio. Jefferson
trovava questo
aspetto particolarmente ripugnante; avrebbe forse preferito arrivare in
un
edificio trascurato, con i muri cadenti e un tanfo che gli causasse
conati di vomito,
piuttosto che quei
pavimenti ben lucidati, le luci soffuse, l’odore di ammoniaca.
“Signore?
…Signor
Hatter?” un infermiera dal viso spigoloso lo stava fissando,
con un’espressione
visibilmente annoiata e irritata.
“Mi
scusi,
ero sovrappensiero, stava dicendo?”
“Sua
moglie è
stata trasferita. Sono arrivati nuovi ospiti e abbiamo dovuto
raggruppare i
pazienti; non c’era più spazio nelle camere
femminili, così è stata messa in
camera con un paziente uomo. Capisco che la cosa possa generarle
qualche
turbamento ma l’uomo in questione è assolutamente
innocuo e le posso assicurare
che in ogni caso la sorveglianza sarà costante, non ha nulla
di sui
preoccuparsi”
Jefferson
annuì, in realtà poco rassicurato, e la
seguì verso una porta bianca.
“Ecco,
questa
è la nuova stanza. Se dovesse avere qualsiasi problema o
reclamo suoni a questo
campanello. Può restare fino alle 17:30.”
Senza
attendere una risposta la donna si allontanò velocemente,
lasciandolo davanti
alla porta, titubante, come lo era sempre da nove anni a questa parte.
Jefferson prese coraggio, respirò brevemente e
aprì la porta, trovandosi in una
stanza il cui bianco alle pareti era tale da risultare accecante.
Subito
vide
Alice, seduta sul letto, come sempre, che fissava nel vuoto, mormorando
tra sé
parole prive di significato.
“Il
giardino
dei Larrinson è veramente ben fornito signorina, le
consiglio di visitarlo…oh
no, non potrei mai avere un cane, Johnny è allergico al
pelo…due zollette
grazie…no, non credo proprio che ci trasferiremo in
campagna, non prima che
Toby abbia finito l’università…il
vestito della moglie del sindaco sembra fatto
di pura seta...”
“Buongiorno
Alice, amore mio…”
“No,
non me
ne intendo di ornitologia, ma mio padre andava spesso a
caccia…”
“Come
vanno
le giornate qui? Io purtroppo, come al solito, lavoro dal mattino alla
sera e
ancora non ottengo il permesso dal giudice per vedere
Grace...”
“Ma
certo
caro! Ci farebbe molto piacere avervi a cena la prossima settimana, a
patto che
portiate anche Lawrence, la nostra Amy sembra avere un debole per
lui…”
“Grace.
Nostra figlia. La ricordi?”
“I
miei fiori
preferiti sono le peonie, ma amo anche le margherite appena raccolte
dal campo”
No.
Non
ricordava, non ricordava nulla. Jefferson non sapeva perché
si ostinava a fare
quella dannatissima domanda tutte le volte che andava a trovarla, dato
che la
risposta, o meglio, la non-risposta, era sempre la stessa. Ne aveva
bisogno.
Non riusciva a rinunciare alla flebile speranza, al desiderio, ormai
solo
accennato, che tutto sarebbe ritornato ad essere come un tempo.
I
singhiozzi
di Jefferson si mischiarono alle frasi senza senso di Alice, creando
uno strano
contrasto.
“Mi
scusi…ha
bisogno di un fazzoletto?”
Jefferson
si
rese conto solo in quel momento che oltre la tenda che separava i due
letti
presenti nella stanza c’era una donna, presumibilmente una
parente o conoscente
dell’uomo con cui era stata sistemata Alice.
“Mi…mi
dispiace, io non mi ero accorto che ci fosse
qualcuno…”
La
donna
sorrise dolcemente.
“Non
ha nulla
di cui scusarsi. Prenda un fazzoletto”
Jefferson
posò il mazzo di fiori che aveva portato per Alice sul
comodino accanto al
letto e si avvicinò alla donna, accettando il pacchetto di
kleenex che questa
gli stava porgendo.
“Grazie…”
“Non
c’è di
che…”
“Mi
dispiace
che la persona che è venuta a visitare sia costretta a stare
in stanza con
Alice…sentire le sue frasi sconnesse per tutto il giorno
può mandarti fuori di
testa…” Jefferson si bloccò spaventato,
rendendosi conto della terribile gaffe
che aveva appena fatto, ma la donna, invece di offendersi,
accennò una risatina
“Beh, per fortuna mio padre non ha più questo
problema”
Jefferson
sorrise e la guardò più attentamente. Era bionda,
alta poco meno di lui, e
molto bella. Una bellezza austera, un po’ distante
l’avrebbero trovata alcuni,
a lui sembrava solo molto nobile e molto triste, con quel velo di
malinconia
sopra ai meravigliosi occhi zaffiro.
“E’
suo padre
quindi…?”
“Sì,
sì mio
padre…E lei è…?”
“Mia
moglie”
“Oh…mi
dispiace…è successo da poco?”
“No,
no…nove
anni fa a dire il vero. E suo padre?”
“Cinque
anni
fa circa…da allora non ha mai pronunciato una
parola”
I
due
stettero in silenzio per un poco, poi Jefferson riprese la parola.
“Sa
qual è la
cosa più difficile? Smettere di sperare. Smettere di
credere. Ed è difficile
perché, vede” in quel momento Jefferson
dimenticò che conosceva quella donna da
poco più di tre minuti, si dimenticò che neppure
conosceva il suo nome e si
dimenticò che lei non gli aveva chiesto nulla riguardo cosa
fosse più o meno
difficile. Si dimenticò di tutte queste cose e
continuò. “Alcune delle cose che
dice, che Alice, che mia moglie dice…sono vere. In mezzo
alla valanga di cose
senza senso dice delle cose che sono vere.”
La
donna lo
guardò con interesse e Jefferson si sentì
incoraggiato a continuare
“I
suoi fiori
preferiti sono davvero le peonie e le margherite, vede?”
disse indicando il
mazzolino abbandonato accanto alla moglie, peonie rosa e margherita di
campo.
Lo
stomaco di
Robin Hale fece un salto nel vuoto, mentre l’aereo affrontava
un vuoto d’aria;
la sgradevole sensazione lo risvegliò completamente dal
dormiveglia in cui era
scivolato poco dopo il decollo e lo riportò alla
realtà. Immediatamente l’uomo
si girò verso il finestrino e ringraziò
mentalmente il pilota o chiunque avesse
causato la brusca manovra, per avergli permesso di osservare uno dei
fenomeni
più spettacolari che gli fossero mai capitati, il tramonto
visto direttamente
dal cielo. Mentre si godeva il panorama si preparava psicologicamente
al
rientro, e a tutto ciò che questo comportava.
Ancora
poche
ore e finalmente sarebbero atterrati al JFK, ancora poche ore e avrebbe
potuto
abbracciare Roland: dopo tutte quelle settimane gli pareva un sogno.
Certe
volte si chiedeva se non fosse sbagliato, lasciare suo figlio per
così tanto
tempo con la nonna, dopo che aveva già perso la madre in
tenera età. Ma
d’altronde era il suo lavoro che lo
“costringeva” a passare così tanto tempo
fuori casa, e Roland era un bambino molto intelligente, capiva che se
suo padre
era spesso lontano era solo per aiutare i bambini meno fortunati di lui.
Il
dottore
sorrise tra sé, per suo figlio lui era quasi un eroe, perso
in terre lontane a
salvare vite umane.
In
realtà se
ripensava al motivo per cui aveva iniziato a coinvolgersi in quel
progetto si
vergognava un po’ di sé stesso. La causa della sua
devozione all’associazione umanitaria
che raccoglieva medici di tutte le tipologie e li collocava alcune
settimane
all’anno nei paesi più arretrati del mondo aveva
lunghi capelli corvini, un
colorito leggermente pallido ed un forte accento canadese. Si chiamava
Marian
Campbell ed era la specializzanda più appassionata che
avesse mai incontrato; i
due si erano scontrati spesso, per ragioni professionali, ma la ragazza
aveva
acceso nel dottore ormai istituzionalizzato un nuovo interesse per il
suo
lavoro. Lo costringeva a lavorare fino a tardi, ad imbarcarsi in nuove
ricerche
e progetti, e non smetteva mai di proporgli incessantemente di
lavorare, ameno
part-time, come faceva lei, per l’associazione ****. Marian
riteneva che fosse
la parte più gratificante del suo lavoro, poter partire e
andare qualche mese
in Africa, a scontrarsi con una realtà totalmente diversa.
Alla
fine
Robin aveva accettato di partecipare ad una riunione di presentazione,
ma più
che altro per scorgere un luccichio soddisfatto negli occhi della bella
collega
e per riuscire a passare più tempo con quella donna che non
smetteva di
suscitare il suo interesse.
Pensava
che
avrebbe passato due ore a cercarla con lo sguardo, aspettando che un
vecchio
dottore in pensione smettesse di piagnucolare su quanto ingiusta fosse
la fame
nel mondo, e invece fu totalmente colto di sorpresa. John Little, che
con i
suoi 120 chili rappresentava la prova vivente che nomen omen non
è una regola
sempre valida, non accennò neanche un secondo alla fame nel
mondo (Robin
rifletté in seguito che non sarebbe stato neanche troppo
credibile), ma
trascinò i suoi ascoltatori in un viaggio rivelatore sulla
situazione attuale
di alcuni tra i paesi in condizioni più tragiche
dell’Africa. Robin rimase
talmente scosso da quei racconti di vita vissuta, da quelle foto, da
quelle
testimonianze registrate, che neppure per un secondo perse
l’attenzione. Capì
in quell’istante che lui aveva un dono. Un dono con cui
doveva fare qualcosa.
Il
giorno
dopo stava prenotando i biglietti aerei e una settimana dopo lui e
Marian si
trovavano in uno sperduto villaggio dello Zimbabwe a somministrare alla
denutrita popolazione un vaccino per la malaria, che non smetteva di
mietere
vittime. Fu un punto di svolta nella sua vita, finalmente aveva
ritrovato la
passione per il suo lavoro e una nuova motivazione; inoltre la sua
affascinante
collega stava iniziando a guardarlo con occhi diversi, e non ci volle
molto
perché il dottore, di qualche anno più vecchio di
lei, la convincesse a
sposarlo.
Gli
avvertimenti di Granny sulla guida di Ruby si rivelarono in fondo
piuttosto
azzeccati, rifletté Belle facendo un piccolo salto in avanti
a causa
dell’ennesima frenata brusca della sua amica; non che Ruby
non ci sapesse fare
al volante, solo aveva un’esagerata fiducia nel prossimo. La
brunetta sorrise
tra sé, se c’era un difetto che si poteva
attribuire alla sua amica era
probabilmente proprio quello.
Arrivate
al
BMC e parcheggiata la vecchia utilitaria le due ragazze si diressero
verso
l’entrata del pronto soccorso; Belle prese posto accanto ad
un ragazzo che si
guardava un dito con uno strano taglio mal fasciato ogni cinque
secondi, mentre
Ruby lanciava sguardi indagatori per tutta la sala d’attesa.
“Avanti,
mi
vuoi dire come si chiama?” chiese Belle a metà
esasperata e a metà divertita,
“Come
si
chiama chi?”
Osservando
l’occhiata eloquente dell’amica finalmente Ruby si
decise a vuotare il sacco.
“Quattro
giorni fa, quando mi ero dimenticata di prendere le medicine per la
nonna sono
corsa qui al pronto soccorso” iniziò la mora
sedendosi accanto all’amica.
“Ah!
Ecco
perché non hai chiamato quella sera!”
“Esatto.
Beh
ero davvero disperata e un dottore è stato così
gentile da darmi una scatoletta senza ricetta”
“Illegale”
“Romantico!”
Belle
non
poté trattenere un sorriso
“Ok,
ok
romantico, vai avanti”
“Non
c’è
molto altro, io ho flirtato un po’ con lui, lui sembrava
interessato ma la cosa
è finita lì…avevo voglia di
rivederlo”
“Che
tipo è?”
“Beh
magro,
non troppo alto, capelli castani, occhi azzurri, uno sguardo un
po’ malinconico
ma molto dolce…”
“E
una
piccola cicatrice sulla mano destra...?”
“Sì
esatto
e…aspetta come fai a saperlo??”
Isabelle
sorridendo indicò poco distante da loro, dove il dottor
Whale stava compilando
alcune cartelle cliniche.
“Eccolo!
Ora
vado a dirgli che hai bisogno di lui!”
“No
Ruby,
aspetta che fai!”
Belle
si
pentì di aver fatto uno scatto in avanti per bloccare
l’amica perché la
caviglia le presentò istantaneamente il conto, salato.
Mentre
Isabelle si sedeva lentamente lanciando mentalmente parecchi insulti al
guidatore
della Cadillac, la sua spavalda amica si avvicinava al dottore, assorto
nelle
sue faccende.
“Ehilà!
Come
sta la sua fidanzata dottor Whale?”
“Quale
fid…ah!”
Victor Whale riconobbe immediatamente la bella ragazza dai lunghi
capelli
corvini, che pensava non avrebbe mai più rivisto in vita sua.
“Ruby,
giusto?”
“Per
Lei sì,
dottor Whale” rispose lei facendogli un occhiolino.
“In
cosa
posso esserti utile? Ci hai preso gusto a ricevere medicinali
sottobanco?”
Ruby
sorrise
“No, stavolta non sono qui per me. In realtà
speravo potesse dare un’occhiata
alla caviglia di una mia amica, ha preso una brutta storta
l’altro giorno, e
non vorrei ci fosse qualcosa di rotto… Visto che siamo amici
magari la potrebbe
visitare per prima...?”
“Siamo
amici?” Whale alzò un sopracciglio perplesso
“Ma
certo!”
“Comunque
non
è proprio il mio campo veramente… “
“Oh
andiamo,
scuramente ne sa di più di me e di mia nonna! Aspetti, porto
Belle qua, così la
può conoscere come si deve! Ah, non le accenni il fatto che
non è esattamente un
medico...come si dice? Delle gambe, ecco, non gradirebbe”
Il
dottore
non fece in tempo a fermarla che Ruby aveva trasportato il suo
entusiasmo
presso Belle.
“Eccomi!
Allora, come ti avevo detto è una persona meravigliosa e ti
visiterà! O
comunque ti conoscerà, che è già
qualcosa dai! “
Ruby
si
accorse solo dopo qualche istante che lo sguardo dell’amica
era perso nel vuoto
e non la stava ascoltando, così si voltò
seguendone lo sguardo, fino a posarlo
su un uomo di media corporatura, i capelli castani con sfumature
grigie,
elegantissimo in un completo nero d’alta sartoria, poggiato
su un bastone la
cui impugnatura valeva di sicuro più dell’intero
ristorante Granny’s, con lei e
la nonna comprese.
Un
tipo
decisamente affascinante, stava riflettendo Belle, quantomeno per lei.
Ruby
probabilmente lo avrebbe trovato vecchio e dallo sguardo inquietante. A
lei
invece suscitava uno strano senso di déjà-vu,
quasi si fossero già incontrati.
Magari si era fermato al Granny’s a prendere un
caffè, o..
“Belle?
Belle?”
“C-cosa?”
“Sai,
ti ho
sempre vista immaginata con un uomo più maturo ma credo che
tu stia esagerando”
Lo
sguardo a
occhi spalancati dell’amica la fece indulgere in spiegazioni.
“No
dico, da
quando ti interessano gli over quaranta?” e
inclinò la testa in direzione dell’uomo
poco distante loro.
“Da
mai,
Ruby, ovviamente!” per ovviare al rossore delle guance Belle
sviò rapidamente
il discorso, aggiornando l’amica sulla sua intuizione.
“Ma quel tizio
assomiglia molto a quello che mi ha investita l’altro
giorno!”
“Dici
davvero?
Quello stronzo?”
“Beh
non so
se è lui...me lo ricordo solo vagamente”
“Aspetta
qui,
Cadillac nera giusto? Vado a vedere se ce n’è una
parcheggiata qui fuori”
Belle
non
fece in tempo a confermare modello e colore all’amica che
questa era già corsa
verso il parcheggio.
Dopo
meno di
due minuti riemerse vittoriosa.
“Sì!
Ce n’è
una lì fuori! è senz’altro lui! Vai a
dirgliene quattro Belle!”
La
ragazza
riguardò verso l’uomo e si sentì
lievemente intimorita.
“Non
so Ruby…
e se non è lui?”
“Se
non lo fai tu lo faccio io!”
“Ok,
ok, ora vado!”
“Ehm,
scusi?”
L’uomo non diede cenno di averla sentita. Belle si fece
coraggio, raccolse la
voce e ribadì a tono più elevato
“SCUSI??”
Questa
volta
Belle ottenne uno sguardo tra lo scocciato e l’infastidito
dell’uomo, oltre
alla totale attenzione della sala. Isabelle arrossì
violentemente mentre l’uomo
non distoglieva lo sguardo.
La
ragazza
aspettò una manciata di secondi perché il
chiacchiericcio nella sala
riprendesse normalmente e infine si rivolse all’uomo che la
fissava lievemente
interrogativo
“Ehm,
scusi
sa, mi chiedevo…la Cadillac là fuori è
sua?”
“Sì”
rispose
con scherno l’uomo “ma non la faccio provare alle
ragazzine neopatentate in
cerca di ebrezza”
A
quel punto
Belle sentì montare la rabbia dentro di sé,
respinse ogni timidezza e sbottò
“Beh,
lei non
la farà guidare alle ragazzine neopatentate, ma nel tempo
libero sembra che
cerchi di metterle sotto, guardi qui!” e così
dicendo sollevo lievemente la
gamba del pantalone della tuta che stava indossando per fargli vedere
la sua
caviglia gonfia.
Gold
la
guardò dapprima disinteressato, poi sembrò
ricordare.
“Oh,
quindi
lei è quella ragazza che ha deciso che attraversare sulle
strisce pedonali le
dà il diritto di non controllare neanche se una macchina
è in arrivo?”
“Guardi
che
io avevo controllato, è lei che è sbucato fuori
all’improvviso facendomi cadere
per terra”
“Beh,
spero
le sia servito da lezione, miss, ora mi scusi davvero ma ho affari
più
importanti da sbrigare”
Gold
le passò
avanti piuttosto rapidamente dirigendosi verso la porta degli uffici
privati.
La
ragazza lo
guardò allontanarsi con mille sensazioni nello stomaco.
La
squillante
voce di Ruby la riportò alla realtà.
“Allora?
Sei
riuscita a chiarire?”
“No…ma
non ne
vale la pena discutere con una persona così. E poi non lo
rivedrò mai più in
vita mia”
Non
sapeva quanto
si sbagliava, su tutti e due i versanti.
“Allora,
la
vogliamo controllare questa caviglia o no, miss...?”
Belle
e Ruby
si voltarono di scatto, trovando il dottor Whale, con una mano tesa
verso Belle.
“Oh!
French,
Isabelle French…grazie dottor Whale, le sono infinitamente
grata!”
Whale
si
rivelò in effetti piuttosto utile, visitò
rapidamente Belle, decretando che non
c’era nulla di rotto, fortunatamente, ma che due giorni di
riposo avrebbero
aiutato a far sgonfiare la caviglia, evitando un peggioramento della
situazione.
Infine,
sotto
lo sguardo decisamente rassicurato di Ruby, il dottore le
consegnò una ricetta
per una pomata che avrebbe velocizzato la completa guarigione.
Mentre
Belle
si riallacciava le scarpe e Whale controllava alcune scartoffie Ruby
gongolava,
soddisfatta di aver risolto il problema dell’amica.
“Che
ti avevo
detto? Il miglior ospedale di tutta Boston!”
“Ora
non
esagerare Ruby, era solo una storta…”
“Uff..”
“Ah
ragazze,
dovreste...”
“Dottor
Whale?”
Victor
non
fece in tempo a finire la frase che un infermiera irruppe nella stanza.
“Mr.Hackett
ha avuto un peggioramento improvviso, deve venire subito!”
Ruby
e Belle
si ritrovarono da sole nella stanza senza neanche accorgersi di cosa
stesse
succedendo.
Dopo
qualche
istante fu Belle a prendere parola.
“Cavolo,
non
mi ero accorta dell’ora! Se aspettiamo ancora non riesco a
passare dalla
farmacia e andare al corso di giornalismo!”
Ruby
alzò gli
occhi al cielo.
“Non
è certo
un dramma se salti una lezione Belle! Diventerai comunque la
giornalista più in
gamba del millennio… E poi Victor voleva dire qualcosa prima
di scappare via”
Le
iperboli
di Ruby, una delle poche certezze di questa vita, pensò
Belle chiudendo la zip
la giacca.
“Non
voglio
perdere le lezioni, mi servono davvero… e poi sono certa che
il dottor Whale
non dovesse dirmi nulla di importante. Dai andiamo”
“Signorina
French! Signorina French!” Whale provò inutilmente
a raggiungere le due ragazze
che però erano ormai già arrivate alla macchina
“French??”
Gold sentì qualcosa scattare nel suo cervello
all’udire quel nome.
“Sì,
la
ragazza che era qui poco fa, capelli castani, bassa, occhi azzurri, la
conosce?”
“Quella
ragazza è la signorina French??”
“Sì,
esatto, la conosce?”
“No.
Ma dovrei” rispose
enigmatico Gold, allontanandosi rapidamente dal dottore.
Doveva
ritrovarla
assolutamente. Non solo quella ragazzina aveva rischiato di fargli fare
un
incidente, sbucando fuori dal nulla in un attraversamento pedonale, ma
aveva
perfino ottenuto un appuntamento con lui e non aveva rispetto gli
orari,
peggio, non si era presentata. E poi…
E
poi quegli
occhi azzurri.
NOTE
DELL’AUTRICE: Ehm… cosa si dice
dopo un ritardo così mostruoso? Scusate, la mancanza di
ispirazione si è
abbinata a un anno piuttosto impegnativo dal punto di vista
universitario e ho
dovuto mettere da parte questo progetto. Prometto che d’ora
in poi aggiornerò
molto più frequentemente, spero di non aver perso tutti i
lettori J
Alla prossima!