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Autore: HellWill    18/01/2015    0 recensioni
(Ho visto questa challenge (goo.gl/XBoRTK) e non potevo non farla.)
"Spense il cellulare, sul quale campeggiavano i messaggi pieni di faccine che le inviava Rose, e chiuse gli occhi: il ronzio era diventato mal di testa, e si massaggiò le tempie mentre l’aereo si posizionava sulla pista. Non aveva mai avuto paura di volare, ma dopotutto lei non aveva mai volato.. per cui quando il trabiccolo prese velocità e si staccò da terra, Luce guardò spasmodicamente fuori dal finestrino, vedendo le case e i campi sfrecciare sotto di lei più lenti di quanto avesse pensato, man mano che si rimpicciolivano. Quando si rimise ferma sul sedile, si rese conto di avere il batticuore: non si sentiva più impaurita, bensì eccitata. Sì, stava viaggiando da sola! Una cosa che non pensava di fare così giovane, e per di più per un motivo che le sembrava parecchio.. serio. Una determinazione forte e fredda come l’acciaio prese il posto dell’ansia: stava viaggiando da sola verso una destinazione ignota, verso il suo futuro.. e la sua vendetta."
Genere: Azione, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '365 DAYS WRITING CHALLENGE'
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17 gennaio 2015
Traveling alone

Luce aprì la porta e si voltò a guardare la casa che abbandonava: era la casa in cui era cresciuta, con la luce che penetrava da innumerevoli finestre e rimbalzava morbida sulle pareti bianche, e il minimo indispensabile in fatto di mobili. Essendo in sei in famiglia, vi erano ben due divani ed un televisore piatto, appeso alla parete vicino la porta d’ingresso, e da dove Luce si trovava in quel momento poteva intravedere la cucina, sempre perfettamente pulita perché mai nessuno vi cucinava. In quella casa aveva trascorso i migliori anni della sua vita, con il suo gemello Aindir, e poi quelli peggiori, dopo che lui era scappato senza preavviso.
La ragazza posò la valigia a terra e si portò le mani al volto: si sentiva vuota, e quel vuoto che aveva nell’anima pulsava. Non si sentiva addolorata, perché sapeva che la sua partenza era necessaria; non le veniva nemmeno da piangere, e ciò la faceva sentire abbastanza in colpa perché, al contrario, sua madre stava facendo di tutto per trattenere le lacrime, vicino all’auto con suo padre. Lentamente guardò l’arco che le scale descrivevano per andare al piano di sopra e sentì una fitta al cuore nel pensare solamente quante cose aveva lasciato lì, abbandonandole perché non gli sarebbero servite.
Con un sospiro, chiuse gli occhi ed anche la porta: si trascinò dietro la valigia e si passò una mano fra i capelli bianchi, con il viso impassibile. Anche sua sorella maggiore, Esmèra, meglio conosciuta come Rose Mary – un nome che gli esseri umani comprendevano molto meglio –, era lì per salutarla: le prese le mani e, con uno dei suoi dolci sorrisi, la abbracciò.
«Ci mancherai, Luce» mormorò, e la ragazza sorrise: Rose aveva solo quattro anni in più di lei, e aveva deciso di continuare la scuola per insegnare alle elementari: le mancava solo un anno di tirocinio per poter iniziare a fare supplenze. Luce, invece, aveva una vocazione diversa, e aveva deciso di abbandonare gli studi al secondo anno di biologia, per seguirla.
Suo padre le prese la valigia dalla mano con delicatezza e la piazzò nel bagagliaio, avvicinandosi solo per scompigliarle i lunghi capelli bianchi; sua madre, invece, le abbracciò entrambe e le due ragazze si sorrisero, sinceramente dispiaciute della separazione imminente; Luce guardò la madre negli occhi viola, gli stessi che aveva lei, forse solo un po’ più scuri, e poi suo padre, da cui invece aveva preso i capelli candidi come la neve, e sorrise stringendo la mano della sorella.
«Andiamo?» chiese, con un sottile filo d’ansia. Suo padre fece un breve cenno e le dedicò un mezzo sorriso, mentre salivano tutti e quattro in auto.
«Noah?» chiese Mihael, allacciandosi la cintura, e la moglie rispose soprappensiero.
«Dormiva… l’ho lasciato con Gabriel».
«Lasciamo un leopardo mannaro in casa con nostro figlio minore?» l’uomo inarcò un sopracciglio, mentre metteva in moto l’auto e Sue sorrideva.
«Sì, è un amico fidato e non è la prima volta che ci fa da baby-sitter.. devi esserti dimenticato di quando leggeva le fiabe a Luce e ad Esméra» ridacchiò, e Mihael tamburellò le dita sul volante.
Luce sospirò, guardando fuori dal finestrino, e man mano che si avvicinava all’aeroporto sentiva l’ansia crescere: tutto ciò da cui partiva la sua ricerca era un biglietto da visita, che l’avrebbe portata a New York. Era un viaggio che sarebbe durato qualche ora, ma non era quello a preoccupare Luce: il punto era che quel biglietto da visita aveva almeno dieci anni, e non aveva idea di cosa avrebbe trovato una volta arrivata all’indirizzo segnato.
Le sue riflessioni furono interrotte dall’arrivo in aeroporto: senza rendersene conto, infatti, si era appisolata e i suoi pensieri erano diventati lentissimi, della consistenza della melassa, prima di svegliarsi di colpo e guardare le pareti di vetro scintillante. Suo padre era già sceso dall’auto e le stava prendendo la valigia: uno spiffero gelido che sapeva d’inverno le entrò nella sciarpa e la fece rabbrividire, mentre scendeva anche lei e si affrettava a seguire la madre e la sorella che, dritte, erano andate a chiedere informazioni in merito al suo volo. Suo padre le si affiancò e sbuffò: il suo fiato divenne una nuvola bianca che si condensava nell’aria, ma nei suoi occhi brillava una luce che si indovinava contenta di quella temperatura.
«E così vai via» mormorò l’uomo, e Luce sentì una fitta nel petto a quelle parole, quasi li stesse abbandonando tutti.
«Sì».
«Per vendicare Samuel?».
Luce si sentì mancare il fiato e sollevò lo sguardo sul padre, che però, impassibile, guardava dritto dinanzi a sé.
«Io..».
«Non devi giustificarti, non con me» l’uomo si fermò così improvvisamente che Luce sussultò e si voltò a guardarlo. «Però sappi che la vendetta non ti porta da nessuna parte» mormorò dolcemente l’uomo, carezzandole il viso. Luce sentì salirle le lacrime agli occhi e abbracciò Mihael, affondando il viso nel suo petto, e il padre la strinse forte a sé. «Qual è il tuo piano, bimba?» le chiese, e Luce sollevò lo sguardo, stupita.
«Mi aiuterai?».
«Solo se hai un buon piano. Se non ce l’hai, ti aiuterò a crearne uno. Abbiamo due ore di attesa, è un tempo sufficiente per delineare ciò che dovrai fare una volta a New York» le spiegò lui, impassibile e con gli occhi verdi attenti ad ogni singola mossa della figlia. La ragazza sorrise e annuì.
«Ehy, siamo qui!» Rose si sbracciava davanti una coda e Mihael le fece un cenno.
«Arriviamo» disse, serafico, poi si chinò di nuovo sulla figlia. «Perché New York?» chiese, e Luce tirò fuori il biglietto da visita sgualcito e rovinato che aveva raccolto quella notte, quando Samuel era stato ucciso da un vampiro.
«Qui, c’è un indirizzo. Questo biglietto lo ha perso il vampiro scappando, mentre io ero paralizzata dal terrore, e l’ho conservato per dieci anni».
«Hai controllato su internet che la società esistesse ancora?».
«Sì, esiste. Si occupa di.. import-export».
«Un modo elegante per dire commercio di droga o cose peggiori. Ben fatto. Cosa vuoi fare?».
Luce affilò lo sguardo e serrò la mascella.
«Distruggere tutto ciò che ha, costringerlo a guardare tutto ciò che ama bruciare, e poi ucciderlo» mormorò la ragazza, gli occhi viola improvvisamente duri e freddi, ostili, e il padre sorrise.
«La gente aveva ragione quando diceva che da due assassini non poteva che nascere il sangue» mormorò l’uomo, dirigendosi senza preamboli al check-in; Luce rimase imbambolata a fissare il padre e lo inseguì, cercando di calmare il suo cuore che batteva furioso contro lo sterno.
«Tu e mamma..» gli sussurrò, raggiuntolo, e Mihael si limitò a sorride e a baciare Sue, che gli fece un sorriso dolce.
«Allora, sei emozionata?» le chiese, senza che il padre potesse darle una risposta.
I minuti del check-in passarono in fretta, fra una chiacchierata con Rose su bambini ed armi bianche – i loro argomenti preferiti –, e quando si diressero al check-in suo padre fece chiaramente capire a Sue di aver bisogno di tempo da solo con Luce.
Si sedettero su una panchine, quindi, mente la donna e sua figlia maggiore andavano a prendere qualcosa da mangiare, e Luce si voltò verso il padre.
«Tu e mamma..» ripeté, e suo padre sorrise appena, tirando fuori dalla tasca un pacchetto di biglietti da visita.
«Sì. Questi sono dei contatti che abbiamo accumulato durante i nostri contratti a New York, puoi usarli quanto vuoi per qualsiasi cosa ti serva».
Luce aprì appena la bocca ed accettò il pacchetto, sentendo l’ansia montarle dentro.
«Il mio è.. un buon piano?».
«Non credo, riguardo la parte del “distruggere tutto ciò che ama”, dal momento che è cosa conosciuta che i vampiri non provino emozioni complicate come l’amore, ma.. per il resto mi sembra un buon piano. Complicato da attuare senza i giusti mezzi, ma buono. Su quali armi puoi contare?».
«Penso di comprare una Desert Eagle appena arrivata a New York» Luce si portò i capelli dietro un orecchio a punta, nervosa, e si rigirò nelle mani il pacchetto di biglietti da visita. «Hai messo anche gioiellieri e argentieri? Mi serviranno anche coltelli e proiettili almeno rivestiti in argento».
Mihael sorrise appena e annuì.
«Lo avevo intuito, per cui sì, li ho messi».
Luce sorrise debolmente e sistemò i biglietti in borsa.
«Ho paura» confessò, in un soffio, e Mihael le prese le mani con una sola enorme e calda mano.
«È naturale che sia così» mormorò dolcemente, rassicurante. «Se tu non ne avessi saresti un’incosciente, e non ti avrei mai lasciato partire. La paura ci guida alla prudenza, l’incoscienza solo all’avventatezza».
La ragazza restò a fissare il padre, sentendo un piccolo calore crescere nel petto, e abbracciò l’uomo, che la strinse forte. Pochi secondi dopo, Mihael la stava già istruendo su come trovare un hotel e come usare i documenti falsi che si sarebbe procurata per trovare lavoro nell’impresa di pulizie che si occupava degli uffici del vampiro, su come raggiungerlo e scoprire l’indirizzo di casa e poi la tomba, i modi migliori per ucciderlo e far sì che restasse morto; Mihael, su quest’ultimo punto, sosteneva che era indispensabile solamente staccargli la testa, mentre Luce, per star sicura con l’ansia che le divorava il cuore, aveva intenzione di staccargli la testa, bruciarla, buttare le ceneri in un fiume, bruciare anche il corpo e buttare le ceneri in un altro fiume. Ridendo per l’esagerazione, Mihael le aveva riferito che l’acqua in generale li ustionava, così come il sole, e che quindi i vampiri non potevano attraversare i corsi d’acqua a nuoto. Mihael si assicurò che Luce non invitasse mai nessuno ad entrare nella sua stanza d’hotel esplicitamente, perché non poteva sapere chi fosse un vampiro e chi no, e i consigli che le diede erano tutti di questo genere; quando Sue ed Esmèra tornarono con delle crocchette di pollo, patatine fritte e diet-coke, Luce aveva la testa che le ronzava e non riusciva a pensare. Mentre mangiavano tutti e quattro insieme, l’ultimo pasto che avrebbero fatto uniti, un silenzio carico di ansia si insinuò fra loro come un filo di fumo mefitico, e quando dichiararono il suo gate aperto, Luce balzò in piedi dritta come un fuso, rigida come un ciocco di legno.
«Devo andare?» chiese, stupita che il tempo fosse passato così in fretta, desiderando riavvolgere il nastro: aveva venti anni, era giovane, troppo giovane per morire, e non voleva andare a New York. E se l’aereo fosse caduto, e con lui tutte le speranze ed i sogni che portava?
Luce si diresse al gate con tutta la sua famiglia come imbambolata; li salutò con baci ed abbracci e si sentiva fluttuare come in un sogno, la testa leggera e vuota, che si limitava a ronzare; attraversò i tornelli elettronici con due passi veloci e vide sua madre stringersi a suo padre, quasi nascosta nel suo abbraccio, con gli occhi rossi e le guance bagnate, mentre lui la salutava con la mano alzata e un mezzo sorriso di buon augurio. E sua sorella, invece, che faceva voltare con i suoi capelli azzurri tutti i bambini e la salutava con un sorriso dolce che sapeva già di nostalgia. Luce si voltò e si diresse all’aereo, verso il gate 07, e trattenne le lacrime che infine erano arrivate.
Quando, dopo un’altra buona mezz’ora di attesa solitaria, riuscì infine a salire sull’aereo, si sentì sperduta: essendo la prima volta che viaggiava da sola, per di più in aereo, si sentiva impacciata e goffa, tanto che dovette aspettare le istruzioni delle hostess per capire come si allacciasse la cintura.
Spense il cellulare, sul quale campeggiavano i messaggi pieni di faccine che le inviava Rose, e chiuse gli occhi: il ronzio era diventato mal di testa, e si massaggiò le tempie mentre l’aereo si posizionava sulla pista. Non aveva mai avuto paura di volare, ma dopotutto lei non aveva mai volato.. per cui quando il trabiccolo prese velocità e si staccò da terra, Luce guardò spasmodicamente fuori dal finestrino, vedendo le case e i campi sfrecciare sotto di lei più lenti di quanto avesse pensato, man mano che si rimpicciolivano. Quando si rimise ferma sul sedile, si rese conto di avere il batticuore: non si sentiva più impaurita, bensì eccitata. Sì, stava viaggiando da sola! Una cosa che non pensava di fare così giovane, e per di più per un motivo che le sembrava parecchio.. serio. Una determinazione forte e fredda come l’acciaio prese il posto dell’ansia: stava viaggiando da sola verso una destinazione ignota, verso il suo futuro.. e la sua vendetta.
   
 
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