Io
ne avrei voluta una piccina, abbastanza spaziosa per tutti ma non una reggia.
Sono riuscita ad imporre il mio volere per poco, finché eravamo noi due soli.
Non ho fatto in tempo a dirgli che ero incinta che, ancora con le lacrime agli
occhi e un braccio intorno alla mia vita, apriva un giornale stracolmo di
annunci di ogni tipo. Prettamente babbano commentai solo per il gusto di farmi
lanciare un’occhiataccia. A quel pensiero sorrido, ma un attimo dopo me ne sono
pentita e mi sento in colpa. In fondo per me questi sbalzi d’umore sono
normali. Ma per combatterli ho un metodo infallibile.
Apro
piano una porta, ed eccolo lì, il mio stupendo raggio di sole. Max. Come…come
nessuno. Non conosco nessuno che si chiami così. In realtà il primo impulso era
stato quello di chiamarlo come un nonno, un amico scomparso, ma il suo papà
l’aveva salvato.
“Voglio
che abbia una vita sua, una propria identità, senza trascinarsi dietro i
fantasmi del passato”. E così era stato, Max.
“Un
bellissimo bambino biondo” gli dicevo io con un sorrisetto malizioso.
“A
preso il meglio da entrambi” mi rispondeva lui con la stessa espressione sul
viso. La tenda della stanza del piccolo si sposta, e tanto mi basta per
rivedere il suo volto, contratto dal freddo e il suo corpo avvolto in un lungo
mantello nero.
Chissà
cosa sta facendo, in che guaio si sta cacciando. Sapevo benissimo che non
avrebbe mai lavorato dietro ad una scrivania, che sarebbe uscito la sera e
forse sarebbe tornato la mattina, forse. Lo sapevo perché fu lui a dirmelo
quando mi chiese di sposarlo.
Vengo
di nuovo catapultata in un posto lontano, sulla sponda del lago di Hogwarts
alla fine del mio settimo anno.
“Tesoro…”
“Si, dimmi!”
“Io
volevo dirti, si insomma”
“Mh…”feci
io per incoraggiarlo.
“Sai
che la mia vita fuori di qui sarà, come dire, tutt’altro che semplice”cercò di
sdrammatizzare. “Quello che voglio fare nella vita, quello che è sempre stato
il mio unico scopo non mi consentirà di avere un’esistenza normale. In fondo
sono contento. Io voglio qualche cosa di speciale. E vorrei averlo con te.”
Non
riuscivo a pensare, sentivo solo la sua voce, le sue parole. Capivo e non
capivo. Lo amavo da impazzire, lo amo da impazzire.
“Io
vorrei…”lui parlava ma io ero ancora assorta nei miei pensieri, nei miei dubbi.
“Insomma…”avevo
mille domande che mi ronzavano in testa, sapevo che quel momento, quello del
confronto, della verità, sarebbe arrivato. Ma non sapevo comunque cosa dire,
fare, pensare.
“Vorresti…”
“Si.”Dissi
con una naturalezza che non mi apparteneva, specialmente in un’occasione del
genere.
Lui
non potè far altro che tirare fuori dalla tasca una fascetta dorata, infilarla
al mio anulare sinistro in gesto simbolico e baciarmi trasmettendomi tutto
l’amore che provava, e prova, nei miei confronti, ancora stupito di quanto in
fondo fosse stato facile.
Il
rumore della pioggia mi riporta alla realtà. Mi ritrovo a pensare che mio
marito non ha l’ombrello. Idiota, mi dico da sola. Potrebbe avere una bacchetta
puntata alla gola, prendersi un raffreddore sarebbe il meno. So perfettamente
di essere patetica, ma è nella mia natura di mogliettina preoccuparmi per lui.
Già
che ci sono metto in tavola qualche cosa da mangiare. Solitamente non ha fame
ma se dovesse cambiare idea…
Mi
ritrovo così a pensare ai primi tempi. Così giovani, già sposati, io non sapevo
cucinare neppure due patate bollite. Non so per quanto tempo abbiamo resistito
grazie ai manicaretti provenienti da casa Weasley, vivevamo di avanzi.
Rido,
ma le mie guance sono bagnate, rigate dalle lacrime che sembrano non aver
intenzione di smettere. Come farò ad andare avanti così?
“Come?”dico
portandomi le mani al viso e continuando a singhiozzare.
“Ce
la faremo insieme.”
Mi giro di scatto. Non l’ho neppure sentito arrivare troppo presa come sono dalle mie crisi di nervi. “Io…”vorrei potergli dire qualche cosa, che era solo un momento di sconforto, che lo capisco, che non deve preoccuparsi anche di quella sciocca di sua moglie, ma non ci riesco.
E così con uno dei suoi gesti semplici che mi sconvolgono la vita, mi abbraccia forte. Ho la faccia schiacciata contro il suo petto che è inaspettatamente caldo, e sa di pioggia. Una vocina nella mia testa mi chiede che diavolo di profumo abbia la pioggia. Non so rispondere e sorrido a quel battibecco interiore.
“Sai una cosa” mi dice lui che ormai si accorge di ogni mio più impercettibile movimento “non ti fanno per niente bene questi sbalzi d’umore…Lunatica”.
Gli punto un dito contro la fronte e con un mezzo sorriso gli rispondo “Non provocarmi bambino sopravvissuto, potresti non essere così fortunato la seconda volta!”
“Colpo basso…”i suoi occhi sono stanchi ma felici. E’ tornato. Lo amo. Forse questa notte riuscirò a riposare.