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Autore: FreDrachen    19/01/2015    3 recensioni
SOSPESA
La vita scorreva lenta e noiosa per Nidafjoll,principessa della Terra del Sole. L'unico a capirla é la sua viverna, Ratatoskr con cui aveva stretto un legame eterno.
La vita di corte così assillante per la sua natura indomabile,viene scardinata dall'arrivo di San eroe di una guerra combattuta anni prima di cui la principessa è all'oscuro. L'uomo sembra l'unico disposto a darle spiegazioni alle strane visioni sulla Gilda degli Assassini, annientata cinquant'anni prima.
Gli eventi crolleranno quando Nida verrà a sapere di un'atroce verità su di sé e il suo passato che la trasformeranno dalla principessa indomita che era,in una guerriera pronta a tutto per ottenere vendetta.
Della sua rabbia e del suo rancore approfitteranno gli elfi per riconquistare il Mondo Emerso.
Forze millenarie determineranno le sorti del mondo.
Nida riuscirà a scegliere tra la dannazione e la salvezza del suo mondo?
[crossover Mondo Emerso/Ragazza Drago]
Dal prologo:
Dubhe brandì la spada e la trapassò da parte a parte. I suoi uomini la imitarono.
La Gilda degli Assassini aveva cessato di esistere portandosi con sé questa tremenda previsione. In elfico.
Il nostro tempo tornerà.
Genere: Dark, Fantasy, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dubhe, Nuovo personaggio, Rekla, San
Note: Cross-over, OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 7
Lutto

Trovò tutti fuori dalla porta. C’era anche Amhal, con il viso funereo.
Nida fece per entrare, quando Dubhe la fermò.
«Non si può entrare. Dentro c’è il Supremo Officiante. Sta cercando di salvarlo».
«Potrei provarci io. Se sapessi di che veleno si tratta, potrei preparare un antidoto»s’interruppe subito. Si era tradita.
«E tu che cosa ne sai di veleni?»domandò Dubhe, con faccia indecifrabile.
Nida fu tentata di rivelarle i suoi incontri segreti con Tori, ma tacque. Non le sembrava il momento giusto, e poi, era sicura che le avrebbero impedito di continuare gli studi.
«Ho letto qualcosa su dei libri»rispose vagamente. In realtà non era una bugia vera e propria. Passava molto del suo tempo libero in biblioteca e aveva letto molti libri su quell’argomento.
«Non basta leggere libri. Lascia che se occupi un’esperta».
Nida si arrese. Notò in un angolo Amina in compagnia di Adhara. La sorella sembrava caduta in una specie di trance.
Continuava a mormorare ripetutamente:«Non ho sentito niente… Mi volevo solo divertire, nient’altro…».
Sentiva anche Adhara, che insisteva:«Non è colpa tua. È stato un agguato».
Non appena si avvicinò, Adhara s’inchinò. Nida le rispose con un cenno di capo.
«Eravate con lui, quando è successo?».
Fu Adhara a rispondere.«Si».
«Raccontami».
Adhara non avrebbe voluto. Ricordare, pensare a se stessa come un automa dispensatore di morte. Fu scarna, essenziale, cercando di soffocare le emozioni. Le raccontò di come Mira fosse caduto a terra privo di sensi, dopo essere stato colpito dal dardo avvelenato, di come si fosse frapposta tra Amina e l’assassino intercettando, con il pugnale un secondo dardo e di come l’avesse ucciso alle spalle. Le uniche reazioni da parte di Nida furono un lungo sospiro e una piccola lacrima dall’occhio destro.
La porta si aprì nel primo pomeriggio. Un cigolio lento, che sapeva di resa. Theana ne uscì pallida, stremata. Tutti fecero campanello intorno a lei.
«Il veleno ha avuto la meglio poco fa. Non si è più ripreso. Ho fatto tutto il possibile»
Un paio di gemiti, sospiri, e un rumore sordo, rimbombante. Nida volse lo sguardo verso l’origine del suono. Era Amhal che aveva colpito con violenza la porta con un pugno. E un altro, un altro ancora, mentre stringeva gli occhi con violenza.
«Amhal… Va tutto bene»sussurrò Nida dolcemente, trattenendo le lacrime.
Ma Amhal non l’ascoltava. Urlò al cielo il suo “perché”disperato e colmo d’ira. Poi si chiuse nella stanza in cui il suo maestro era morto.
Sentì il grazie sentito dei suoi genitori ad Adhara.«Non fosse stato per te nostra figlia adesso sarebbe morta. Non hai idea di quanto ti siamo riconoscenti». Vide lo sguardo pieno di gratitudine dei suoi nonni.«Ti dobbiamo la vita di nostra nipote». Ma soprattutto, sentì la conversazione tra Adhara e Amina.
«Io ti devo la vita e tu sei stata fantastica. Ho visto come ti sei battuta, sembrava che ballassi». Mentre parlava, mimava le mosse precise.
«Non è stato un gioco»le aveva risposto Adhara.
«E chi sta dicendo che lo è stato. Ti sto dicendo invece che sei stata…eroica»
«È morto un ragazzo».
Vide Amina sgranare gli occhi.«Un ragazzo? Quello mi voleva uccidere».
Nida non volle sentire altro. Il giorno dopo era andata a vederlo, nell’obitorio dove lo avevano portato. In fondo si trattava di Jalo, un suo compagno d’armi e spia al servizio di sua nonna.
Già sua nonna. Nida si chiese come l’aveva presa la scoperta che l’assassino di Mira era uno dei più fidati collaboratori. Ma soprattutto si chiese cosa avesse spinto uno come lui a compiere un atto simile. Lo avevano pagato? O forse era stato semplicemente un gesto di pura follia? Ancora domande, pesanti come macigni.
E poi c’era Amhal. Era semplicemente scomparso. Era rimasto chiuso nella stanza con Mira per tutta la notte. Ne era uscito solo la mattina, senza degnare di uno sguardo nessuno, neppure lei. Si era rintanato in Accademia e passava dalla sua stanza alla sala in cui si allenava. Non voleva vedere nessuno, neppure lei. Era emerso alla luce una volta soltanto, il giorno del funerale del suo maestro. C’era tanta gente. Vide Amhal in disparte, gelido e silenzioso. Da una parte aveva Adhara, dall’altra San. Nida avrebbe tanto voluto avvicinarsi, abbracciarlo e cercare qualcosa che potesse alleviare un poco il dolore, ma davanti al suo volto scavato e ai suoi occhi gonfi e cerchiati, non trovò nulla da dire.
Parlò il re, il Supremo Generale, parlò suo padre. Per lei erano solo parole sparse al vento, parole inutili che non potevano descrivere totalmente ciò che era stato Mira. Poi la processione delle torce. Amhal fu il primo, silenzioso e composto. Portò la fiamma, poi tornò al proprio posto a contemplare il fuoco che dilaniava una parte della sua esistenza.
Nida, appartenendo alla casa reale, era obbligata a partecipare a quel rito, ma in fondo lo faceva per quel suo amico che l’aveva sempre sostenuta in ogni occasione. Tornò al suo posto e gli scoccò un’occhiata. Lui continuava a guardare davanti a sé il corpo del suo maestro che piano, piano, diventava cenere, che si disperdeva al vento. Non l’aveva mai visto così lontano.



Rekla imboccò il tunnel indicatole poco prima dalla Suprema Guardia, per raggiungere in poco tempo Makrat. Era agitata. In fondo era la sua prima missione da assassina, non doveva fallire. Emerse nei sotterranei del palazzo reale, e imboccò la scalinata che portava ai giardini reali.
Giunta alla meta indicatole, c’era Dohor ad attenderla, con lo stesso sorriso stampato in faccia del giorno precedente.
«Ansiosa di cominciare?»
Rekla, davanti a quei magnifici occhi, non trovò niente da dire. Il re la condusse nel piazza letto dove c’era una magnifica carrozza, di fattura semplice ma finemente elaborata. Le aprì la portiera, dove c’era impresso il marchio della Casa Reale, un cerchio di rubino con attorno a una parte di essa, tre foglie di ferro.
«Possiamo andare»disse rivolto al cocchiere.
Dohor decise di tagliare per la Grande Terra, per raggiungere il più velocemente possibile Assa. In quell’arco di viaggio, nella carrozza regnò il silenzio finché:«Possiamo fermarci un momento?». Dohor acconsentì, e non appena il veicolo si fermò, Rekla scese immediatamente, guardandosi intorno. Era ancora là, come l’aveva lasciata l’ultima volta.

Quando l’aveva vista crollare, mattone dopo mattone, era con Yeshol. Stavano studiando insieme antichi tomi elfici, quando sentirono una terribile scossa. Rekla vide il volto dell’uomo, era una maschera di puro terrore. Yeshol ricordò le ultime parole del suo maestro, prima di lasciarlo allo scontro contro la mezzelfo superstite al massacro dei suoi simili.«Porta mia nipote lontano da qui. Non so se la vittoria sarà mia o della Sheireen, quindi prenditi cura di lei». Yeshol fece per andarsene quando Aster lo bloccò:«Un’ultima cosa. Dille che le voglio bene, che gliel’ ho sempre voluto da quando è venuta a vivere qui».
Yeshol la prese per un braccio, e la trascinò per un corridoio che portava all’esterno.
«Cosa sta succedendo?»domandò Rekla, ancora tredicenne, che non riusciva a capire la situazione in cui si trovavano, o almeno cercava di non pensarci.
«Hanno attaccato la rocca. Dobbiamo andare via».
«Ma il nonno…»ma la frase le morì in gola. Sapeva cosa stava accadendo, e la risposta di Yeshol le gelò il sangue. «È finita. Sheireen è venuta a compiere ciò che tuo nonno aveva sempre temuto» e le riferì ciò che gli aveva detto qualche ora prima.
«Non è vero. Non è morto. Non può essere morto»urlò la ragazza, tra le lacrime.
Appena furono fuori raggiunsero una collinetta poco distante, non controllata dai nemici. Solo allora Rekla si volse e vide la Rocca, la sua casa diventare un cumulo di polvere.
Fu allora che urlò tutta la sua disperazione.

«Brutti ricordi?». Dohor la riportò nella realtà. Rekla rimase in silenzio, e raccolse un po’ di quella terra, dove un tempo sorgeva imponente la sua casa. In mano si ritrovò solo della comunissima terra venata da sottili paiuzze di cristallo nero, tutto ciò che era rimasto della Rocca.
«Dobbiamo rimetterci in marcia. Altrimenti non arriveremo ad Assa in tempo»disse Dohor, a disagio. Non voleva violare l’intimità della sua compagna di viaggio. Ripresero il cammino.
Solo quando la terra brulla della Grande Terra, Dohor si decise a parlare:«Mi dispiace». Sapeva la sua storia, gliel’aveva raccontata Yeshol, e aveva sentito il suo dolore come proprio. Rekla gli rispose con una scrollata di spalle.
«Ne vuoi parlare?».
Rekla sorrise tristemente.«Non capiresti».
«Dammi almeno una possibilità».
Rekla lo guardò,e vi lesse un sincero interesse e una sincera preoccupazione. Poi, con un sospiro si arrese davanti alla sua ostinazione e gli raccontò tutto. Lei sapeva che la sua vita gli era già nota, eppure gli raccontò tutto sin dal principio, dalla morte dei suoi genitori alla distruzione della Rocca.
«Io c’ero e l’ho vista radersi al suolo. Ma ciò che mi brucia di più sono le urla di gioia lanciate dall’esercito nemico. Loro non sapevano chi fosse veramente colui che chiamavano Tiranno, non sapevano che avrebbero provocato dolore. A loro interessava solo il proprio obiettivo, distruggerlo.». Dohor rimase in silenzio. Non c’erano parole che potessero allietare il dolore che portava nel cuore.

Arrivarono ad Assa dopo tre giorni di viaggio, forzando le soste.
Erano lì perché Dohor voleva screditare le voci che circolavano sul suo conto, almeno fino a quando la Terra del Fuoco non fosse stata nelle sue mani .
Vennero accolti dalla Regina Aires in persona.
Rekla rimase di sasso. Si aspettava una vecchia, invece si ritrovò davanti una donna sulla trentina, con lunghi capelli neri, raccolti in una morbida treccia, che le arrivava fino a metà schiena, occhi nocciola e fisico morbido, ma allo stesso tempo asciutto da guerriero. Fu allora che si ricordò di lei. Aveva guidato la rivolta in quella terra nello stesso periodo della Battaglia d’Inverno, cioè quando aveva perso suo nonno. “Ecco uno dei colpevoli della sua fine”pensò Rekla, con rabbia.
«Benvenuti ad Assa»li salutò cordialmente la regina, con un sorriso fasullo.
«Lieti di essere qui»rispose al saluto Dohor.
«Chi sarebbe questa donna che ti porti appresso? Non sembra vostra moglie Sulana»chiese Aires, squadrando Rekla con occhio critico.
La ragazza sentì la rabbia aumentare senza che potesse farci nulla, davanti a quello sguardo indagatore. Stava pensando se fosse una buona idea sguainare il pugnale che teneva nascosto nello stivale e squarciarle la gola, quando Dohor s’intromise:«è mia sorella. Mia moglie è dovuta rimanere a Makrat per questioni urgenti».
Aires non aggiunse altro e li condusse personalmente negli alloggi preparati appositamente per loro.
«Vi lascio il tempo di ambientarvi un po’ nel mio palazzo. Ci vediamo all’ora di cena». Detto questo, la regina girò sui tacchi, e seguita dai ministri, che fino ad allora erano stati in silenzio,lasciò soli gli ospiti.
Appena furono lontani, Dohor si accostò all’orecchio di Rekla.«Inizia ad ambientarti, e a trovare la camera da letto della regina, perché abbiamo poco tempo».
La ragazza annuì e imboccò il corridoio, che poco prima avevano preso la regina e i due ministri. Attraversò corridoi identici tra loro, e ben presto perse l’orientamento.
“E poi mi lamento della Casa. Questo posto non è molto meglio”pensò con un moto di stizza.
Prese dei cunicoli a caso. Si bloccò. La regina Aires uscì da una delle porte dell’immenso corridoio in cui era finita. Rekla rimase di sasso. Lassù qualcuno l’amava. Appena Aires se ne fu andata, Rekla si precipitò dalla porta, da cui l’aveva vista emergere. Aveva la fortuna dalla sua. Aveva trovato la stanza che stava cercando. Sorrise tra sé e sé. Ritornò sui propri passi finché non trovò Dohor, nella stanza che gli era stata assegnata.
«L’ho trovata»disse semplicemente.
«Ora non mi resta che studiare i turni e le abitudini delle guardie, e il gioco è fatto»aggiunse.
«Sapevo di poter contare su di te. Ottimo lavoro»le rispose Dohor, con un sorriso.
Rekla gli sorrise di rimando, ma furono interrotti da un paggio della regina.
«Sua Maestà vi attende nella sala da pranzo».

Trovarono Aires seduta ad un capo di un lunghissimo tavolo.
«Prego, accomodatevi»li invitò cordialmente la regina.
“Filthy Schlange!*”.
Consumarono il pranzo in silenzio. Rekla notò che Aires le riservava sguardi indagatori, a cui rispondeva con sguardi di fuoco. Sentì un’intima esultanza nell’uccidere quella donna.
“Non è che l’inizio. Presto riuscirò a uccidere tutti i colpevoli della morte di mio nonno”.
Durante tutto il pasto, Rekla si concentrò su questo pensiero. Sapeva che era meschino Ma se lo meritavano, e, giurò a se stessa, avrebbe fatto di tutto per portare a termine il suo desiderio.

La loro permanenza ad Assa durò tre giorni. Ogni notte Rekla studiava ogni comportamento delle guardie, davanti alla porta della stanza reale, fino a sapere tutto sul loro comportamento. Erano sempre due, a cui veniva dato il cambio ogni tre-quattro ore. Le prime erano le più vigili e attente ad ogni singolo e minimo rumore, mentre le altre, per la maggior parte del tempo sonnecchiavano, una addirittura ronfava. E la mattina tornavano le prime, forse per far credere alla regina la loro serietà sul lavoro. Doveva agire quando c’erano le guardie meno sveglie. Le avrebbero facilitato il compito.
«È un peccato che dobbiate andarvene via così presto»disse la regina, davanti al cancello reale.
«Le questioni politiche chiamano»rispose Dohor.
«Spero di rivedervi presto». Aires rivolse a Rekla un sorriso fasullo.
«Altrettanto»sibilò la ragazza cercando di non far trapelare il suo odio.
Non appena fuori dalla città, si fermarono in un boschetto. Dohor si volse verso Rekla.
«Adesso tocca a te».
«Ti dispiacerebbe uscire dalla carrozza?».
«Perché?». Dohor la guardò senza capire.
«Non penserai mica che agisca conciata in questo modo?!»ribatté Rekla, con tono ironico, indicando il vestito rosso che indossava.
Dohor ubbidì e scese dalla carrozza, ancora dubbioso. Rekla né uscì pochi minuti dopo. Dohor ebbe un tuffo al cuore. Era abbigliata come il giorno in cui l’aveva incontrata, e la trovava bella. Molto bella. Fu Rekla a riportarlo alla realtà.
«Allora, niente “Buona fortuna”, niente di niente?».
«Ah…si… Buona fortuna». La vide inoltrarsi nella vegetazione. Dohor non se la sentì di lasciarla andare così.
«Aspetta!». Rekla si girò verso di lui. Si ritrovò davanti il suo viso, i suoi occhi che brillavano di una luce tutta loro. Gli mancarono per un attimo le parole.
«Fa attenzione»le disse semplicemente. La ragazza gli rispose con un sorriso schietto e sincero e si incamminò verso Assa. Dohor sospirò, e pregò Thenaar o gli altri dei, se mai esistevano, di fare in modo che non le accadesse nulla.

Rekla si calò completamente nella missione. Riuscì ad aggirare facilmente le guardie all’ingresso della città e del palazzo reale. All’interno del palazzo fu più difficile. Dovette fermarsi più volte per non farsi scoprire dalle guardie. Arrivò, finalmente, nel corridoio dove si trovava la stanza di Aires. Come aveva previsto, c’erano le guardie giuste. Nell’ombra, Rekla tirò fuori due fialette. Le stappò, ed attenta a non respirarne il contenuto le fece rotolare vicino alle guardie ancora sveglie, che si accasciarono a terra senza un lamento, russando rumorosamente. La ragazza, in punta di piedi, entrò nella stanza, e trovò la sua vittima a letto. Dormiva, inconsapevole di ciò che le stava per accadere. Rekla sfoderò il pugnale, ma lo stridio, prodotto dall’arma a contatto con la pelle del fodero, svegliò la regina. La guardò, e Rekla vide montare il terrore nei suoi occhi. Non ebbe il tempo di dare l’allarme, che Rekla la colpì alla gola, facendone uscire un lamento soffocato. La ragazza, come voleva il rito, raccolse un po’ del suo sangue, e come prova decise di prendere l’anello appartenuto da generazioni ai regnanti di quella terra. Si girò per lasciare quel palazzo e raggiungere Dohor, ma ciò che vide la raggelò. Sull’uscio della porta c’era una guardia, che osservava con occhi sgranati la sua regina con uno squarcio alla gola. Lanciò un urlo, subito spento da un colpo al petto da parte di Rekla. Ma ormai l’allarme era stato dato. Rekla si chiuse la porta dietro di sé, raggiunse la finestra e guardò fuori. Il cornicione le parve troppo piccolo per poterlo percorrere. Sentì uno scalpiccio fuori dalla porta.
“No, non ora!”.
Appoggiò le palme delle mani sul muro. Si trovava a un’altezza davvero notevole, ma doveva tentare. Le venne in mente l’incantesimo che faceva al caso suo.
«Stellung»mormorò, e si ritrovò fuori dalle mura della città.
Senza rallegrarsi dello scampato pericolo, corse a perdifiato verso la radura, dove l’attendeva Dohor, che, nel frattempo, aveva contattato Forra, che si trovava nelle vicinanze. Non appena scorse Rekla arrivare, mandò un messaggio magico, con l’ordine di attaccare. Quando Rekla si fermò, senza fiato a pochi passi da Dohor, questi d’impulso l’abbracciò.
«Ce l’hai fatta, ce l’hai fatta! Sapevo che ci saresti riuscita». Si accorse subito dopo ciò che aveva fatto, e si ritrasse subito.
«Vieni. Osserva il risultato della tua opera»disse, per uscire dall’imbarazzo che si era creato tra i due. Al limite del boscetto, Rekla vide i soldati di Dohor avanzare, attaccare e conquistare quella terra e quella città, che da neanche un ora, aveva perso la sua regina. Sentì lo stridore delle spade, l’urlo agghiacciante degli abitanti di Assa. Il combattimento durò poco, e solo dopo che calò il silenzio, Dohor decise di entrarvi.
Radunati nella piazza principale c’erano i pochi abitanti rimasti della città, che rabbrividirono alla vista di Dohor.
«Cittadini di Assa. Oggi la vostra regina è morta, e io, Dohor re della Terra del Sole proclamo il mio potere su questa terra. Non voglio creare allarmismi, vivrete come avete fatto fino ad oggi, ma se vi ribellerete farete compagnia alla vostra regina defunta».
Forse spinta dalla paura, la folla iniziò, prima piano, poi sempre più potente a urlare:«Lunga vita a Re Dohor!». Fu indetto un banchetto per la conquista di Assa.
«Ho mandato i miei uomini a conquistare il resto della terra»disse Dohor a Rekla«il tuo lavoro qui è finito. Puoi tornare a Casa. Ma non sarà l’ultima volta che ci vedremo. Promesso»aggiunse, facendole l’occhiolino. Lei gli sorrise, mentre saliva sulla carrozza che doveva portarla a casa. Rimase a contemplare la città, finché non scomparve all’orizzonte, nascosta dalle nuvole di zolfo, tipiche di quel luogo.

Arrivò alla Casa dopo due giorni di viaggio. Ad attenderla sulla soglia del tempio, c’era Yeshol che, nel vederla, incrociò al petto le braccia in segno di saluto, tipico degli assassini.
«Ben ritornata. Hai portato a termine la missione che ti è stata affidata, per la gloria di Thenaar?».
«Per la gloria di Thenaar, ho liberato questa terra alui sacra, Da un perdente» completò il rito Rekla.
«Sono felice che tu ce l’abbia fatta»disse Yeshol con dolcezza.«Vieni, andiamo a versare il sangue della tua vittima nelle piscine».
Non appena entrarono nella sala dei sacrifici, con due piscine stracolme di sangue delle loro vittime ai piedi di un enorme statua di Thenaar in cristallo nero, videro venirsi incontro un assassino prossimo al collasso.
«Sua Eccellenza; è successa una cosa terribile! È morta la Guardia dei Veleni, Alioth»riprese fiato. «Ero in missione con lui. Le guardie di servizio ci hanno preso di soppiatto. Erano in tre: una l’ha uccisa lui, ma non si era accorto dell’altra dietro di lui, che l’ha colpito. Io ho ucciso i rimanenti, ma è una fortuna che io sia ancora vivo. E ora siamo senza Guardia dei Veleni».
Rekla si ricordava di Alioth. Basso, grasso, scontroso, tre aggettivi per descriverlo. A nessuno sarebbe mancato. Ma…
«Ora chi preparerà i veleni di ci abbiamo bisogno per gli omicidi?»domandò Yeshol, con fare preoccupato.
«Nessuno Vostra Eccellenza. Alioth non aveva voluto allievi. Tutti noi assassini conosciamo solo i principi base, che no bastano».
Rekla si illuminò. Era arrivata la sua occasione.
«Posso farli io»disse, e i due si voltarono verso di lei, con fare interrogativo.
«I veleni, intendo»aggiunse.
«Tu?»chiese con fare canzonario l’assassino.
«Si, io. Ho letto tutti i libri di botanica della biblioteca, e penso di essere in grado di produrli». Si voltò verso Yeshol«Mettetemi alla prova, che non vi deluderò».
«D’accordo»concesse alla fine Yeshol.
Condusse Rekla nell’alloggio della ex Guardia dei Veleni. In un angolo c’era un letto con le lenzuola ammassate in fondo e un tavolo pieno di boccette e contenitori vari. Là dentro regnava il caos assoluto.
«Qui c’è tutto ciò che ti serve. Prova a creare un veleno ad effetto immediato e un altro ad azione lenta. Se li creerai bene, vedrò di farti diventare la nuova Guardia dei Veleni. Buon lavoro»girò sui tacchi, e lasciò Rekla al suo lavoro.
La ragazza si mise subito all’opera«Per l’immediato mischio un po’ di olio essenziale di salvia,con estratto di fiori di arnica e un pizzico di cumino. Per la lenta un po’ di belladonna… ma come faceva Alioth a capire i contenuti delle boccette in questo caos»borbottò tra sé e sé.
Dopo circa due ore si presentò alla Suprema Guardia con le due boccette.
«Ecco i veleni che mi avete chiesto».
Yeshol fece un breve segno d’assenzo.
«Bene. Li testeremo subito». Chiamò due assassini, a cui Rekla sfuggiva il nome. Il loro compito era vedere se funzionavano.
Tornarono dopo circa quattro ore. Sul volto avevano dipinta una faccia sorpresa.
«Allora?»domandò Yeshol, con fare impaziente.
Rekla incrociò le dita.
«È stato…incredibile! Alioth non sarebbe mai riuscito a produrre una cosa simile».
« Quindi funzionano?».
«Eccome, eccome se funzionano. Non abbiamo mai visto nessuna delle nostre vittime dibattersi e morire in quel modo».
Yeshol si rivolse a Rekla.
«Vedo che hai superato energicamente la prova. Vieni con me». La condusse nella ex stanza di Alioth.
Yeshol tirò fuori dalla cassapanca una divisa.
Rekla non poteva crederci. Era identica a quella che indossava, ma aveva due note di colore:una cintura argentata e i botton rosso sangue del corpetto.
«Da oggi appartiene a te». Gliela consegnò«Sapevo che questo sarebbe stato il tuo destino. Da questo momento in poi, non sarai più una normale assassina. Sarai la nuova Guardia dei veleni».



Aveva sognato. Di nuovo. Non le piacevano questi sogni, erano tutti così misteriosi e non ne capiva il loro significato. Urgeva una lunga chiacchierata con San. Era l’unico che le potesse dare delle risposte.


*lurida serpe




Angolo dell'autrice:
eccomi qui con il capitolo 7(ancora mi chiedo cosa mi passava per la testa sei anni fa? Boh ^^')
Spero vi piaccia ^^
A presto <3
   
 
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