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Autore: Sheep01    19/01/2015    3 recensioni
“Sempre insieme, eternamente divisi. Finché il sole sorgerà e tramonterà, finché ci saranno il giorno e la notte.”
Questa è la storia di un falco, di un lupo e di una ladra. Di come quest'ultima, in fuga da una delle prigioni più inespugnabili del regno, si troverà, suo malgrado, coinvolta in una tragica storia, alimentata da forze oscure e misteriose. Fra le sue mani, il destino di due amanti, oppressi dal maleficio di un vescovo crudele e senza scrupoli, che li costringe a una semi vita fatta di albe e tramonti che si rincorrono.
[Clintasha – Medieval AU]
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nick Fury, Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 3

The Chase

 

“Mia signora, ma tu sei vera… o sei solo un sogno?”

 

*

 

La notte era scesa con una rapidità quasi sconcertante. Forse perché non aveva fatto altro che spellare conigli tutto il giorno, o perché aveva dovuto restare cauta per non spazientire nostra signora dallo sguardo di ghiaccio.

Ma ora che, al calar della notte, non erano altro che gli ululati dei lupi e il sibilo del vento a farla da padrone, sentiva la necessità quasi fisica di cercar riparo. Peccato ne fosse pressoché impossibilitata. Natasha sembrava molto più che determinata a tenerla con sé, tanto che al tramonto, prima di allontanarsi per andare a fare chissà cosa, si era premurata di legarla a una grossa quercia per impedirle di fuggire. O anche solo di allontanarsi troppo.

Il problema reale era non avere alcuna protezione contro gli animali selvatici delle zone. E forse, più preoccupante ancora, l'impossibilità di andare a svuotare le vescica in agonia, prima di cadere vittima del sonno o dell'ibernazione.

Era dunque ancora impegnata in manovre tutt'altro che edificanti, per cercare di allentare quelle funi tanto strette da segarle i polsi, che un movimento alle sue spalle non colse la sua attenzione. Una sensazione fin troppo frequente, in quell'ultimo periodo.

Se per un attimo pensò ancora a quel grosso lupo della sera precedente o peggio a una delle guardie del vescovo in perlustrazione, non riuscì a non rilasciare un sospiro si sollievo quando, illuminata dalla luce della luna, fu una testa bionda a entrare nel suo campo visivo.

“Signore!” esclamò allora, per attirare la sua attenzione, nel caso fosse troppo preso a correr dietro quella lepre per accorgersi di lei. “Sir Barton.”

L'uomo alzò lo sguardo, senza sforzarsi troppo per riuscire a individuarla.

“Ma tu guarda... la ragazzina della stalla”, la apostrofò un po' sorpreso e un po' divertito. “Che ci fai laggiù?”

“Ahm... prendo un po' di fresco. Legata a un albero, nientemeno.”

“Un'attività interessante...” si fece vicino, sistemando degli stracci attorno ai piedi a fargli da stivali improvvisati. “Deve essere la nuova moda dei giovani di queste parti, non rammento attività simili ai miei tempi.”

“Mio signore, è che ci provo a seguire le mode, ma chissà come, finiscono sempre per deludermi grandemente...”

Lo guardò raggiungerla e studiare perplesso le corde che la tenevano ben avvinghiata al tronco dell'albero.

“Che è successo?” le domandò allora, lasciando perdere le ciance.

“Oh, non ci crederesti. Un gruppo di guardie del vescovo. Erano tantissime. Una lotta tremenda. Non sono riuscita a contrastarle tutte.”

“E come mai non ti hanno uccisa?” indagò divertito, prendendo ad arrotolare le maniche di una casacca, sicuramente non sua, che gli andava un po’ troppo grande.

“Come mai... ? Eh... come mai...” cercò di racimolare una risposta sufficientemente credibile, “Hanno detto che preferivano lasciare al vescovo... questo onore.”

“Oh, capisco...” le si inginocchiò di fronte, di nuovo quel sorriso caldo a illuminargli il viso. Si chiese come fosse possibile che quell'uomo comparisse solo durante le ore notturne. Si sarebbe detto più adatto al giorno, alla luce del sole, che non alla lugubre notte.

“Un sant'uomo, questo vescovo...” dichiarò, studiandola. Ancora divertito ma subdolamente sarcastico a riguardo.

“Ritorneranno...” si affrettò allora a battere il ferro finché era caldo, “ritorneranno e per me sarà veramente la fine. E se non saranno loro, ci penseranno i lupi. Tutti questi lupi, non li senti, signore? Ti prego, liberami...” e nel dirlo cercò di sfoggiare il suo miglior sguardo abbattuto, “te ne prego...”

L'uomo inspirò a fondo, valutando quella proposta. Ma non sembrò aver bisogno di molto tempo per prendere una decisione definitiva.

Estrasse un lungo coltello e si avvicinò alle funi, recidendole senza troppe cerimonie.

“Grazie infinite, signore... Dio te ne renderà merito.” si prodigò Kate, balzando in piedi, proprio mentre, da un ammasso di alberi poco distante, non arrivò di nuovo quel basso ululato tanto atteso. Tanto bastò a distrarre Clint, che si lasciò sfuggire l'attimo per domandare di più alla giovane.

Kate invece non si lasciò certo scappare la succulenta occasione. Una volta libera, prese a correre lontano, decisa ad arrivare laddove nessuna guerriera vermiglia o ammaestratore di lupi si sarebbe mai spinto a cercarla: “Salutami Lady Romanoff!” si concesse però il tempo di gridargli mentre andava ad affondare nella folta boscaglia, “è un diavolo a fare i nodi!”

Clint, preso alla sprovvista, sbottò qualcosa in risposta, cercandola fin dove riusciva a spingere lo sguardo.

“Natasha mi ucciderà...” esalò solo, avvilito, prima di decidersi a prendere l'iniziativa di un inseguimento.

Raggiunse il cavallo e prese con sé arco e frecce.

“Andiamo bello! Dobbiamo riprenderci la ragazzina!” montò rapido e partì al galoppo nella notte.

 

*

 

Passò almeno un'ora prima che Kate si decidesse a uscire dal bosco e prendere la via verso l'aperta vallata. Aveva sentito il cavallo partire al suo inseguimento, si era camuffata fra le rocce per non farsi individuare e solo quando era stata certa di aver scampato il pericolo, aveva deciso di riprendere concretamente la sua fuga.

Ad essere completamente sinceri, era dispiaciuta per il modo in cui si era conclusa quella strampalata collaborazione ma, d'altro canto, mai e poi mai avrebbe assecondato quella folle missione suicida. Sebbene grande, enorme fosse la sua curiosità a riguardo. Troppe le domande che le si affastellavano nella mente: dalla motivazione per la quale Natasha aveva preso una decisione tanto ardita quanto pericolosa, a quali fossero le cause che tenevano lontano il cavaliere biondo dalla giovane e non meno importante, il legame che univa i due misteriosi individui, e li avvinghiava con tanta furia al destino dello spregevole vescovo. Un mistero del quale, sfortunatamente, mai sarebbe venuta a capo. Certo preferiva tener cara la vita. Una cosa non tanto semplice da restituire, una volta perduta.

Si fermò nei pressi di una veduta collinare. La pianura sottostante rivelava, fra le ombre notturne, un accampamento. Si nascose fra l'erba alta, senza avere grosse difficoltà a distinguere il vessillo della guardia del vescovo.

“Addirittura?” sgranò gli occhi sconcertata dal gran dispiego di mezzi, “Mio Signore, ti prego smentisci la mia presunzione, mandandomi un segno che quelle persone non sono qui per me. O per Lady Romanoff...”

“Io dico che invece tuo Signore ha voluto solo darti un avvertimento.”

Una grossa mano guantata andò a coprirle la bocca per impedirle di urlare.

Kate non ebbe nemmeno bisogno di chiedersi chi fosse. Quell'odore nauseabondo di carne e fumo non poteva appartenere a nessun altro che il capitano delle guardie del vescovo. Quell’orribile pelatone di Sitwell. Allargò le labbra, per quanto le permettesse la pressione di quella mano repellente e ci affondò i denti, con tutta la forza della sua mandibola.

Lo sentì gridare e il momento di sorpresa le permise di allontanarsi quel tanto che bastava per sfuggire al suo secondo attacco.

“Brutta sgualdrina da quattro soldi... se credi che questa mossa ti aiuterà a cavartela ancora una volta, ti sbagli di...” le sue parole vennero bloccate da un colpo da maestro. Il sibilo prodotto da quella che non poteva esser altro che una freccia, che aveva finito per passare da parte a parte la mano del capitano delle guardie.

L'urlo dell'uomo stavolta fu decisamente più sguaiato. E nonostante Kate sentisse il bisogno di appagare l'istinto che le suggeriva di gridare in segno di vittoria, non ebbe quasi il tempo di godersi l'attimo. Le guardie tutt'intorno furono allertate dal richiamo, scatenando... l'inferno.

“Tutto bene?” le gridò Clint Barton, trottando verso di lei, a bordo del cavallo di Natasha.

“Mai andata peggio di così, signore!”

“Vedremo di migliorare allora!” le porse una mano che Kate non rifiutò. Saltò in sella, di fronte a lui, mentre Clint spingeva il cavallo a galoppo, attraverso il marasma di guardie armate.

“Tieniti forte, ragazzina!”

“Kate! Mi chiamo Kate, dannazione!” gridò per farsi sentire, fra i fischi delle frecce che venivano scagliate loro contro e il galoppare di altri cavalli all'inseguimento notturno.

“Guidalo tu, Golia!” le gridò offrendole le briglie, con una fiducia disarmante.

“Chi cavolo è Golia, adesso?!”

“Il cavallo, Golia è il cavallo!”

Lo sentì allentare la presa e, se per un attimo ebbe il terrore di vederlo cadere dalla sella e fare un ruzzolone disastroso al suolo, con la coda dell'occhio lo vide impugnare di nuovo arco e frecce per stendere, uno dopo l'altro, i cavalieri all'inseguimento.

“Questa è...”

“Una cosa fantastica?” le suggerì lui, una mezza risata a rallegrargli la voce.

“... follia! Questa è follia!” gli gridò contro, indecisa se dar definitivamente di matto o urlare per l'esaltazione di quell'attimo pazzesco.

Il rumore degli zoccoli all'inseguimento continuava a diminuire e per un attimo nemmeno si rese conto di quell'unico, folle cavaliere che veniva loro incontro, sbucato da chissà dove.

“Cazzo.” esalò, prima che potesse anche solo deviare il percorso. “Clint! A ore dodici! Ne abbiamo uno a ore dodici!” strillò senza riuscire a individuare via di scampo. Solo quando ormai si diede per spacciata ecco che un'ombra oscura saltò addosso al cavallo dell'avversario. E solo quando questo fu a terra, assieme al suo destriero, si rese conto che quello che aveva attaccato il cavaliere, non era altri che un grosso lupo nero.

Frenò senza risparmiarsi, sentendosi gravare addosso tutto il peso di Clint che, preso alla sprovvista,  mancò l'ultimo dei cavalieri alle loro spalle. La freccia scoccata andò a disperdersi nel vento.

“Kate!” gridò solo, prima che l'ennesimo dardo della balestra dell’inseguitore non andasse a segno sulla spalla del suo compagno d'armi. Mentre un altro, ben meno clemente, si fece strada oltre loro, andando a colpire il lupo che non stava risparmiando nessuna pena dell'inferno alla guardia morente al suolo.

In un attimo l’atmosfera mutò.

“NO!” il grido che Clint produsse fu talmente sgraziato da stringerle lo stomaco in un funesto riflesso.

Lo vide scendere da cavallo, uccidere il cavaliere ancora armato con una freccia dritta in fronte per poi correre verso il lupo, strappandosi la freccia dalla spalla senza un lamento. Come se il colpo a lui inferto non fosse stato altro che una puntura di scarsa importanza.

Lo vide chinarsi sul lupo, posare una mano sul suo nero mantello e accarezzarlo con la stessa amorevole cura che gli aveva visto mostrare la notte prima.

“Andrà tutto bene...” le sembrò di sentirlo mormorare.

Kate scese dunque da cavallo, impigliandosi nelle staffe, prima di riuscire a raggiungerlo.

La scena le sembrò talmente surreale che non seppe far altro che restare ferma ad osservarli, intimorita da tanta pena.

E di nuovo quella terribile sensazione di assistere a qualcosa di miracoloso e demoniaco assieme, tornò a tormentarle le viscere.

Il modo in cui Clint guardava quel lupo, il modo in cui cercava di rassicurarlo, assisterlo, come se l’animale potesse capirlo e trarne conforto, fece nascere qualcosa di molto simile alla commozione nel suo petto.

“Kate”, si sentì richiamare, “portami il mantello... che trovi nella sacca vicino alla sella.” le ordinò, scuotendola da quella impasse.

Non si chiese nemmeno cosa avesse intenzione di farne... eseguì solo quel penoso ordine e lo raggiunse con il mantello. Lo vide avvolgerci il lupo, cercando di evitare di urtare la freccia, tanto vicino a quello che poteva essere solo il cuore. Una sola mossa azzardata e per l’animale, probabilmente, non ci sarebbe stato più niente da fare. Il respiro affettato, la lingua penzoloni: non un buon segno sul suo stato di salute.

Lo vide alzarsi, con il grosso lupo fra le braccia e avvicinare il cavallo.

“Kate, voglio che lo porti con te.”

“C-con me? Dove? Come?”

“Dritto da quella parte, verso est. A poche miglia da qui troverai una rocca... apparentemente disabitata. Lì c'è un uomo... un vecchio monaco. Chiamalo a gran voce se non ti risponde al primo richiamo. Fai il mio nome, fai quello di Lady Romanoff, lui... lui saprà cosa fare...” e nel dirlo levò su di lei uno sguardo tanto angosciato che non riuscì nemmeno a rispondergli, sulle prime.

“M-ma signore, il p-poverino è spacciato...”

“Non dirlo!” esclamò questo, ora di nuovo animato da una luce vivida negli occhi. “Non dirlo…”

“P-perché non c-ci pensi tu? Io non ho familiarità con Golia... e di certo non ne ho con i lupi. E se... se mi attaccasse?”

“Non lo farà. Kate, per l'amor di Dio... questo lupo non ti farà niente. Ho bisogno che tu lo porti a quella rocca. Che lo porti in salvo. Io...” lo vide scuotere la testa, “fra poco farà giorno e non potrò essere utile.”

Se quelle parole le sembrarono insensate sulle prime, il terrore che gli vide serpeggiare nello sguardo le diede la spinta a prendere una folle decisione.

“D'accordo”, gli concesse allora, prima di prendere saldamente le briglie del cavallo, mentre Clint sdraiava il lupo, con tutta la delicatezza possibile, sulla sella.

“Prendi con te il mio arco e le mie frecce”, gliene fece dono, dopo averla aiutata a salire “e per l'amor del cielo, fa che non capiti niente di male a questo lupo. O quanto è vero Iddio... t-ti verrò a cercare.”

Una minaccia appena abbozzata. Più che preavviso di reale intento, come il disperato tentativo di costringerla a portare a termine il suo compito.

Kate si allontanò dunque, occhieggiando appena Clint che era rimasto fermo a osservarla accanto ai cadaveri delle due guardie.

Lo guardò mentre si allontanavano, incerta sulle motivazioni che lo inchiodavano al suolo, impossibilitato a seguirli.

Sarebbe stata una lunga galoppata.

Quando tornò a guardare dritto di fronte a sé, l'alba era in procinto di sorgere.

 

*

 

Il sole cominciava a sbucare dalle cime delle montagne quando Kate raggiunse l’unica rocca che si poteva scorgere nell’arco di miglia.

“Non può che essere questa, che dici, lupetto?” mormorò.

Kate non aveva fatto altro che chiacchierare per tutto il tragitto, cercando di mantenere sveglio il lupo a cui Clint sembrava tenere tanto. L’animale non le aveva mai risposto, però sembrava reagire, in qualche modo, alle sue inutili ciance con dei guaiti piuttosto penosi.

Anche questa volta non mancò di ringhiare qualcosa che, per la prima volta, ebbe il potere di intimorirla.

“Non mi giocherai qualche brutto scherzo proprio ora che siamo arrivati, eh?” domandò, fermando il cavallo prima del portone dismesso e tarlato che chiudeva quel rudere antico.

“Spera che Clint non abbia preso un abbaglio…” esalò, decidendo di smontare dalla sella, un po’ per allontanarsi dal lupo, un po’ perché provata dalle piaghe sul fondoschiena, prodotte dalla galoppata.

“Dicessi che ci sono abituata, mentirei. Mi domando come faccia lady Romanoff a passarci su tante ore…” il pensiero della donna arrivò e scomparve, quando alle sue spalle, il lupo ringhiò di nuovo qualcosa.

“Okay, okay…”

Guardò verso l’alto. Sbirciò oltre le finestre e le merlature della torre, senza trovare la benché minima traccia di vita.

“Ehilà!” gridò allora. La sua voce andò a disperdersi in un’eco distorta oltre le mura. “C’è nessuno?”

Si passò una mano fra i capelli, cominciando a sentire l’impazienza premerle contro lo sterno.

“Tutte queste emozioni finiranno per uccidermi…” mormorò, prima di decidersi a riprovarci: “C’è nessuno di casa? Ehilà!”

Colse l’improvviso movimento alla sua destra. Fece scattare lo sguardo in quella direzione, finché non vide una testa sbucare da una delle balaustre più alte.

“Chi è la?” la domanda arrivava direttamente da un uomo. La pelle talmente scura da essere appena distinguibile nella semi oscurità. Kate non ci fece caso, presa com’era ad accogliere il sollievo di quell’improvvisa apparizione. Clint Barton non si era sbagliato.

“Buona sera!” esordì per non risultare sgarbata.

“Io direi più buongiorno!”

Il sole ormai stava dispiegando i suoi pigri raggi, regalando una rosea aurora.

“H-ha ragione buongiorno. Credo di aver bisogno del vostro aiuto!”

“Credi o lo sai?” indagò questo, il tono sbrigativo di chi non è affatto incline alle chiacchiere.

“I-io… lo so! Lo so! Ho bisogno di aiuto. Ho qui con me… un lupo!”

“Un lupo? E che dovremmo farcene di un lupo? Pellicce? Con questo freddo è un grande investimento! Portalo su che ti aiuto a scuoiarlo!”

“No! No, nessuna pelliccia, il lupo è stato ferito, mi manda da voi un uomo!”

“Un uomo?”

“Sì, un uomo, mi ha detto che mi avreste aiutato a salvare l’animale. Il suo nome è Clint Barton!”

Vide il monaco esitare per poi muoversi lungo il passaggio sulle mura.

“Clint Barton.” Lo sentì esalare con del sincero sconcerto, “Che stai aspettando, ragazzina! Porta dentro il lupo, muoviti!”

L’urgenza nella sua voce non la fece temporeggiare per un solo istante. Il monaco doveva aver capito la gravità della situazione più che la possibilità di ricavarne un morbido mantello di pelo. Kate si fece strada oltre la porta dissestata e poi dentro la rocca.

Vide l’uomo venirle incontro con un’agilità del tutto in contrasto con la sua stazza. L’espressione sconcertata non era mutata di una virgola. Si rese conto solo in quel momento che uno dei suoi occhi era coperto da una benda nera.

Affiancò il cavallo e con una delicatezza fuori dal comune, prese l’animale fra le braccia.

“Vieni…” disse solo, passando oltre un ponticello che correva sopra un fossato vuoto, “Lascia il cavallo, tieni la sinistra e non guardare di sotto.” Le ordinò, prendendo a salire una scala tutta fatta di pietra.

Kate non si fece ripetere l’ordine una seconda volta. Oltre alla curiosità di scoprire che diavolo stesse succedendo, il freddo le aveva talmente intorpidito le ossa che sperò di trovare un focolare scoppiettante ad attenderla. E magari anche un pasto caldo. L’esigenza di riposare e rifocillarsi molto più che martellante.

Entrò in quella che pareva l’unica stanza arredata dell’intera struttura. Cianfrusaglie in ogni dove, libri sparsi ovunque.

Nel camino un vivo fuoco e un giaciglio fatto di pelliccia poco distante. Fu lì che il monaco distese il lupo che non mancò di rivolgergli un lungo guaito.

“Ssssh, andrò tutto bene, bellezza… andrà tutto bene.” Lo sentì pronunciare; sul viso la stessa identica pena che aveva intravisto in quello di Clint.

E tutto per un lupo.

Una lupa… ?

Le domande cominciavano a diventare un po’ troppe. Non era abituata a pensare tanto, era scappata dal convento dove avrebbero dovuto insegnarle a leggere e far di conto per quello stesso motivo! E adesso invece… i ragionamenti si erano fatti così fitti e ingarbugliati da procurarle perfino degli sgradevoli capogiri.

“Signore, se posso fare qualcosa…”

“L’unico Signore che conosco, ragazzina, è colui che sta nei cieli. Il mio nome è Nicholas Fury. E tutto ciò che possiamo fare per ora… è aspettare.”

Lo guardò in tralice per qualche istante, ma non obiettò. Aspettare avrebbe significato la fine del lupo. Non era forse per quello che si era tanto affrettata a correre da lui? A bordo di quella durissima sella che ora le procurava gravi problemi a tenere le gambe ritte? Subendo perfino le stentate minacce del bel ragazzo che parevano in conflitto con la sua spensierata natura?

Si vide spinta fuori dall’accogliente stanzone, di nuovo nel gelido bagliore dell’alba.

“Torno subito”, le disse il monaco, “tu non muoverti da qui, ragazzina.”

“E dove vuoi che vada… ?” domandò, quando l’uomo fu abbastanza lontano da non sentirla. Sbuffò qualcosa, solo per veder il suo respiro compattarsi in una nuvola bianca.

Il sole l’accecò per un istante, quando finalmente volle concederle l’onore della sua comparsa oltre le montagne.

Lo guardò accarezzare le cime dei monti, scaldarne le nevi e scivolare giù fino alla vallata, a dare nuova luce alla natura.

“Certo, fantastico…” si trovò a commentare, serrando le braccia per scaldarsi, “ma di albe ne ho viste parecchie, e non vedo perché debba starmene qui fuori a patire il freddo, mentre il lupo se ne sta dentro a godere delle fiamme del camino…” sbottò, guardando il punto in cui il monaco era sparito.

Esitò solo un momento, prima di decidere di averne avuto abbastanza, di quell’insensata decisione.

Tornò sui suoi passi e aprì la porta, per poter rientrare di nuovo nella stanza arredata.

Il calore del fuoco le fu di nuovo di conforto, ma quando andò a cercar con lo sguardo il povero lupo trafitto, dovette trattenere un grido di stupore nel trovare niente meno che la guerriera vermiglia, sistemata sotto una coltre di coperte di pelliccia.

“Mio Signore, dimmi che questo è solo un incubo.” Si trovò a sibilare, camminando rasente il muro per avere una visuale migliore della donna.

Eppure no, non si sbagliava! Era Lady Romanoff quella che riposava accanto al camino. Ed era proprio una freccia, quella che spuntava dal suo petto, a trafiggerle la carne morbida del seno.

Si portò una mano alle labbra, quando la vide alzare il capo e aprire gli occhi, appannati dalla stanchezza e dal patimento.

“Clint… come sta Clint?” la sentì pronunciare flebilmente, una fatica immane a pronunciare poche parole.

“Sta bene. Sta bene, mia signora… c’è stata un inseguimento terribile. Ma lui ha lottato come un leone.” Le rispose come se si sentisse in dovere di alleviarla almeno di quella pena, “Il lupo… il lupo è stato… colpito. Ma questo lo sai… non è così?”

“Sì… lo so.” Mormorò questa distogliendo lo sguardo che andò a perdersi per un attimo fra le lingue di fuoco del camino.

“Mia signora, ma tu sei vera… o sei solo un sogno?” si ritrovò a chiederle, mentre la luce delle fiammelle danzavano sul suo viso creando suggestive ombre su quella pelle fatta di porcellana.

Natasha cercò i suoi occhi, una sorta di rassegnata comprensione nel suo sguardo: “Io sono dolore…”

La sua voce le fece correre un brivido lungo le braccia e poi sulla schiena, fra i capelli.

Quando la porta si aprì alle sue spalle, sobbalzò come colpita da un fulmine.

“Che cosa ti avevo detto, ragazzina?” tuonò la voce del monaco, che ora recava in mano una ciotola ricolma di erbe medicinali.

“M-ma lei… io… l-lei…” balbettò, arretrando, indecisa se restare e domandare chiarimenti su quel maleficio o se scappare a gambe levate, e pretendere di aver solo sognato.

Il monaco le venne in aiuto andando al giaciglio di Natasha: “Per favore, lasciaci soli…” disse solo, senza più guardarla.

Decise di seguire il suggerimento, senza farsi troppe domande.

Fu di nuovo all’esterno, immersa nella luce del giorno. Si sedette fuori dalla stanza e congiungendo le mani, prese a formulare una silenziosa preghiera.

 

*

 

Fury sedeva accanto alla donna.

Un taciturno patto ad animare il silenzio.

Cominciò a preparare la mistura nauseabonda per ammorbidire la ferita e darle l’illusione di temporaneo sollievo prima del momento fatidico.

 

A qualche miglio di distanza, il vescovo di Aguillon si agitava nel suo ricco letto d’ebano. Le lenzuola a fargli da sadico sudario.

Le mani frementi, ad aggrapparsi a alla morbida stoffa damascata del baldacchino.

Al suo fianco una figura avvolta di tenebre l’osservava curiosa e carica d’attesa.

 

Le mani del monaco andarono ad afferrare la freccia, ancora affondata nelle carni della giovane.

Natasha gli rivolse uno sguardo rassegnato, colmo di pena. Una raccomandazione silente.

Lo vide esitare, il volto umido di sudore, inorridito dalle probabili conseguenze del suo gesto.

Ella sollevò una mano, andando a coprire quella tremante, incerta di lui.

Sulle labbra, una sola, secca richiesta: “Adesso.”

 

Il vescovo esalò un lungo gemito, il tormento fisico, opprimente quanto quello mentale.

La figura al suo fianco si chinò su di lui, adombrandolo con la sua imponente presenza.

Un ghigno trionfante sulle labbra, che già pregustavano quella seppur temporanea, insoddisfacente vittoria.

 

Un ultimo sguardo le diede Nicholas Fury, prima di serrare le labbra e spegnere ogni ragionamento. Assicurò la presa al dardo fatale e con un brusco, lacerante gesto, lo sradicò dalle carni della donna.

 

Gridò Natasha.

 

Gridò il falco, in volo verso la rocca.

 

Gridò Katherine, le mani strette alle tempie.

 

Gridò il vescovo, destandosi, mentre la roca risata del demonio alle sue spalle si spegneva e le porte della sua stanza venivano spalancate.

“Vostra grazia, vogliate scusarmi… è arrivato Rumlow.” Annunciò una delle guardie.

Il vescovo fissò la figura ammantata, con gli occhi che ancora avevano in sé la maschera di dolore della fanciulla dai capelli di fuoco.

 

Continua…

 

___

 

Note:

Mi sono resa conto di aver ingenuamente dato per scontato che i lettori sapessero chi è Kate Bishop. Quando scontato non lo è affatto, non essendo presente nell’MCU. Me ne scuso.

Kate Bishop non è un personaggio originale, Kate Bishop fa parte dell’universo Marvel, ma solo a livello di comics. Il suo personaggio è conosciuto negli Young Avengers con il nome di battaglia di Hawkeye. Anch’ella maestra nel manovrare arco e frecce, una storia diversa da quella del nostro arciere preferito ma che ne ha saputo raccogliere l’eredità. Nei fumetti di Fraction (e non solo) collabora con Clint Barton, entrambi mantengono il nome in codice e, proprio in virtù di questa simpatica e riuscitissima collaborazione fumettistica, ho voluto costruire una trama che li riunisse, nonostante i tratti prettamente Clintasha della storia. E questo è tutto. Per ulteriori informazioni, su Wikipedia trovate tutto il necessario per farvi un’idea più precisa del personaggio.

Conclusa questa precisazione, mi appresto ai ringraziamenti: come sempre a tutti i cari lettori, recensori e alla mia entusiasta beta (che in questo periodo, santa donna, si sta sorbendo anche tutti i miei scleri marveliani e non). Per chi seguisse l’altra mia storia “Sleep Twitch” una sola rassicurazione: la sto scrivendo. A rilento e con qualche difficoltà, ma non è mia intenzione abbandonarla. Avevo solo bisogno di scrivere una storia più leggera e lasciar in pace il mio cervello che è un po’ saturo per tanti, troppi motivi. Detto questo vi lascio. Alla prossima!

 

 

  
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