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Autore: ermete    19/01/2015    5 recensioni
Questa sarà una raccolta di diversi tipi di flash fic: le prime 3 sono reaction-fic alla terza stagione, mentre le altre saranno storielle scemine ispiratemi da gif e fanart varie. Sarà spessissimo presente il tema degli animali (Sherlock gatto per la maggiore XD). Accetto eventuali prompt! Nel capitolo 1 sposterò l'indice :3
Note: johnlock e tomcroft forever
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Quello in cui vivono John e Sherlock è un mondo in cui  è lecito usare la magia, sempre che qualcuno sia abbastanza intelligente da riuscire a farlo, ovvio. Ma, come per quanto riguarda ogni tipo di energia sovrannaturale, non solo ogni magia ha un prezzo proporzionato all’effetto che apporta a quello stesso piano di esistenza, bensì è alquanto variabile e capricciosa. Non è quel tipo di magia che trovi scritta sui libri: non esistono formule e i contro incantesimi hanno la stessa percentuale di rischio di quelli lanciati in precedenza. In generale, non converrebbe dedicarsi alla magia se non in caso di estrema necessità, ma a volte capita, semplicemente grazie ad un pensiero molto intenso. E la gente, si sa, a volte sa pensare molto rumorosamente.

*

Quando John e Sherlock tornano a casa dall’ultimo caso che hanno risolto, sono bagnati da testa a piedi, ma ciò non li ferma dal ridere allegramente.

“Ridicolo,” ghigna Sherlock togliendosi il cappotto appesantito dalla pioggia “veramente ridicolo.”

“Ridicolo, ma divertente!” lo corregge John strofinandosi la testa con un panno asciutto: il risultato è l’aver spettinato i capelli verso l’alto, come se fossero tanti piccoli aculei “Dì la verità: ti sei divertito anche tu.”

Sherlock osserva John di sottecchi e arrossisce di nascosto quando lo vede riemergere dallo strofinaccio tutto spettinato e a sua volta con le guance imporporate “Sì. Scommetto anche che sarà uno dei tuoi post più seguiti sul blog: piacciono sempre quelli divertenti.”

“A-ah!” concorda John avvicinandosi al cilindro appartenuto al loro cliente più recente e che, evidentemente, era stato dimenticato lì “Ho già il titolo in mente: «Il mago di Oz»!”

Sherlock apre la bocca come per ribattere, ma finisce col non dire alcun che.

John spalanca gli occhi “Non hai mai visto neanche Il mago di Oz?”

“Certo!” dissimula Sherlock facendo spallucce “Parla di… un mago… che vuole trovare il numero atomico, Z, dell’ossigeno, O.”

“Certo che…” inizia John, intrecciando le braccia davanti a Sherlock “...per essere una cazzata è davvero ben articolata e senza dubbio fantasiosa.”

“Oh, smettila!” borbotta Sherlock spingendo John a lato, in imbarazzo “No, non l’ho mai visto, va bene?”

John ridacchia e lo raggiunge di spalle, accennando un piccolo abbraccio amichevole “Dai, non te la prendere. Lo sai che mi diverto a spiegarti tutti i riferimenti della cultura popolare: sembro sempre io quello intelligente quando succede.”

Sherlock arrossisce sia per l’abbraccio che per le parole di John nelle quali vede nascosto un segno dell’affetto che l’altro nutre per lui “Beh,” borbotta poi, per sdrammatizzare “Cos’è che farebbe questo Mago di Oz, che una persona geniale come me non può fare a meno di sapere?”

“Niente, alla fine si scopre che non è un vero mago. Proprio come il nostro cliente.” John si sporge un poco di lato, il tanto che basta per vedere Sherlock rosso in volto “Ehi, vai a farti una doccia bollente prima di prenderti la febbre. Io intanto ti preparo un bel tea caldo.”

Le guance di Sherlock diventano ancor più rosse e sicuramente non perché si sta prendendo un malanno “Anche tu sei bagnato da testa a piedi.”

“Infatti dopo farò anche io una doccia,” assicura John “ma prima vai tu.”

“Ma John…”

“Ordini del medico,” ammicca il biondo mentre accende il bollitore dopo averlo riempito d’acqua.

Sherlock sospira e sparisce dalla stanza prima che John, tra abbracci, ammiccamenti e chissà cos’altro ancora, lo faccia arrossire in maniera permanente. Decide comunque di seguire gli ordini del suo dottore ed infilarsi nella doccia.

Una volta aperto il getto dell’acqua calda, Sherlock aspetta pochi secondi prima di entrare e chiudere la tenda dietro di sé. Non può fare altro che pensare a John. John, John, John, costantemente John.

Cielo, quanto mi piace, quanto lo amo.

Sherlock si insapona e arrossisce nuovamente: dovrà assolutamente imparare a controllarsi o John lo scoprirà. Il suo buon dottore non sarà intelligente come lui, ma non è certamente stupido!

John…

Sherlock sorride e ricorda il momento in cui era emerso dallo strofinaccio con i capelli sparati in aria.

Sembrava un riccio. Un bellissimo riccio. Il mio John.

Mentre continua a lavarsi, Sherlock entra nel proprio Palazzo Mentale che altro non è se non un insieme di stanze che rievocano tutti i luoghi in cui è stato con John, da Brixton a Baskerville, da Buckingham Palace al ristorante di Angelo. E, ovviamente, in ogni stanza c’è John, colui che è ormai il suo pensiero fisso, colui che a volte riesce a distrarlo persino durante i casi .Era stata proprio quell’epifania a convincere Sherlock del fatto di amare John: se esisteva qualcuno più importante dei casi, allora quel qualcuno doveva essere la sua persona. Sherlock non pensava di avere bisogno di qualcuno, ma John, con la sua sola esistenza, l’ha contraddetto e lui ora si ritrova innamorato perso di lui. Inconfessabilmente innamorato perso di lui.

John… ti amo così tanto. Riuscirò mai a dirlo al mio bellissimo riccio? Vorrei tanto riuscirci.

Sherlock è costretto ad uscire bruscamente dal suo Palazzo Mentale: si aggrappa anche al porta sapone e ringrazia la sua agilità per avergli evitato un capitombolo. Forse gli sta venendo veramente la febbre: ha sentito un brivido che partiva dalla testa e che si è poi irradiato verso tutte le estremità, come se avesse preso la scossa. Finisce tuttavia con lo scuotere il capo ed uscire dalla doccia: gli pare persino strano che John non si sia lamentato per averci impiegato troppo tempo!

Quando torna in cucina, non si stupisce di trovarla vuota: John sarà sicuramente andato in camera a mettersi qualcosa di pulito. Sorride nel vedere due tazze fumanti di tea già pronte sul lavandino salvo poi deglutire di fronte al cilindro, un oggetto inanimato ed apparentemente innocuo, ma che in quel momento ha deciso di muoversi leggermente e di mugolare. Sherlock si appoggia al lavandino dietro di sé, salvo poi sporgersi in avanti e controllare l’interno del cilindro. Ed è così che lo vede.

“Oh, cielo.”

Nel frattempo, John scuote il capo riprendendo conoscenza ed osserva verso l’alto: gli sembra strano che sia così buio e, anzi, gli sembra ancor più strano che Sherlock lo guardi dall’alto. Anzi, no, quello non è strano dato che il consulente investigativo è così ridicolmente più alto di lui. Ma, come dire, non era mai stato così grande.

“John...” lo chiama Sherlock con aria terrorizzata e dispiaciuta “John, oddio… sei diventato un…”

“Riccio?!” sbotta John, da dentro il cilindro che inizia rapidamente a scalare cercando di fuoriuscirne “Cosa diavolo…”

“John, oddio,” pigola Sherlock che, dopo aver abbracciato il cilindro, lo porta in salotto e lo appoggia sul divano “Scusami… deve... deve essere stata colpa mia…” mugola disperato e si inginocchia davanti al divano reggendo il cappello con mani tremanti “Scusami…”

“Come sarebbe a dire che è colpa tua? Sherlock, hai fatto qualche esperimento?!” tenta di urlare John che, dopo essersi arrampicato in cima al cilindro, lo sbilancia in avanti cadendo sul divano e venendo nuovamente intrappolato dal cappello “Sherlock!”

Sherlock è davvero mortificato e spaventato perché la magia è qualcosa di così imprevedibile che, in primis, non si sarebbe mai aspettato di adoperarla a sua insaputa e, in secondo luogo, non esistono contro incantesimi. E se John non tornasse più umano?

“J-John, non era un esperimento…” mugola Sherlock per poi alzare il cilindro e liberare il piccolo riccio “Sono praticamente sicuro sia stata la magia… io…”

“La magia?!” sospira il riccio John per poi avvicinarsi pericolosamente al bordo del divano pronto ad inveire contro il consulente investigativo “Come hai potuto farmi questo?!”

“Ma io… non l’ho fatto apposta… Non ti farei mai qualcosa di male di proposito, John...”

John sta per riprendere una lunga sequela di insulti e lamentele, ma ora che è così piccolo e il viso di Sherlock è così grande, non può fare a meno di notare i suoi occhi lucidi e veramente, palesemente, inconfutabilmente dispiaciuti. Quindi si sforza con tutto se stesso di pensare al fatto di essere uno stramaledetto riccio e si impone la calma.

“Perché un riccio? Posso sapere almeno questo?”

Sherlock sospira ma conclude che, in quel momento, può fare tutto meno che il difficile “Perché prima ti sei asciugato i capelli e li avevi tutti arruffati e ho pensato che somigliassi ad un riccio.”

Il riccio John lo guarda sconcertato, sebbene non sia certo del fatto che le sue espressioni facciali siano ben riconoscibili “E hai pensato a questa cosa a tal punto da usare inconsapevolmente la magia.”

“Evidentemente.”

“Perché?!”

“Perché ti amo.”

Entrambi si zittiscono e Sherlock si copre la bocca con un sonoro schiaffo: com’è possibile che sia successo? Lui non stava pensando a quelle parole, eppure le ha pronunciate. Ma, ancor più importante, si è appena confessato a John mentre lui è un bellissimo, sconcertante riccio e oltre la bocca, ora si copre l’intero viso.

Il riccio finalmente riacquisisce la facoltà di parola “Puoi ripetere?”

“Ti amo,” replica Sherlock, di riflesso.

“Tu mi ami.”

“Alla follia,” continua a rispondere il consulente investigativo che, a quel punto, valuta l’idea di sciogliersi la lingua con dell’acido.

“E perché non me l’hai mai detto prima?”

“Beh ma perché…” poi Sherlock si interrompe “Ho capito, è un incantesimo anche questo. Io mi sono chiesto se sarei mai stato in grado di confessartelo e…”

“Di confessarlo a me, il tuo bellissimo riccio…” commenta John in tralice.

“...e evidentemente è successo tutto questo casino.”

“Sherlock,” lo chiama John, tanto calmo su quella questione quanto non lo è sull’essere riccio “Perché non me l’hai mai detto?”

“Perché avevo paura, è ovvio.” Sherlock si alza e si allontana dal divano, in completo e totale imbarazzo.

“Di cosa?” urla John, non sicuro che la sua voce da riccio sia abbastanza potente da farsi sentire.

“Di così tante cose che non riesco neanche ad enunciarle tutte.”

“Sherlock, ti prego,” John lo esorta a voltarsi “sono un riccio, non riesco a seguirti. Posso provare a saltare giù dal divano, ma potrei farmi male.”

Sherlock torna indietro e prende il riccio tra le mani “Non permetterò che tu ti faccia male. E cercherò di pensare intensamente al modo per farti tornare umano, lo giuro.”

John realizza di essere per la prima volta tra le braccia di Sherlock e decide di approfittarne appoggiando la guancia sul petto caldo del consulente investigativo “Lo so che non volevi farmi del male, Sherlock. Lo so.”

“Scusami.”

“Basta scusarti,” lo tranquillizza e si appoggia sul suo petto con entrambe le zampe anteriori per guardare verso l’alto, verso il viso di Sherlock “e dimmi ancora che mi ami.”

“Ti amo,” replica Sherlock al volo, per poi scostare lo sguardo e arrossire tremendamente “Perché mi fai questo?”

“Perché non so se me lo dirai ancora una volta concluso l’effetto dell’incantesimo, quindi voglio approfittarne e ascoltare mentre me lo dici più che posso.”

La risposta di John lo coglie di sorpresa “Perché ci tieni che io te lo dica?”

“Prova un po’ a dedurlo, genietto.”

Sherlock deglutisce e va in camera per poi appoggiare John sul letto, con delicatezza. Poi va dall’altra parte del letto e si arrampica a sua volta su di esso, stando ben attento a stargli abbastanza lontano da non schiacciarlo.

“Sherlock,” John zampetta sui cuscini fino ad incastrarsi con gli aculei sui ricci neri dell’altro “Di cosa avevi paura? Anche io provo qualcosa per te, non te ne eri reso conto?”

Sherlock scuote leggermente il capo e non distoglie lo sguardo dal soffitto “Pensavo fosse semplice affetto. Tipo quello che provi per la signora Hudson o per altri tuoi amici.”

Il riccio John alza le zampe anteriori e si appoggia allo zigomo di Sherlock “Come puoi paragonare l’affetto che provo per loro con l’amore che provo per te?” John non sa perché, ma trova molto più semplice parlare dei propri sentimenti ora che è un riccio. Forse perché non ha il solito viso in cui poter scrutare tutte le emozioni che lo attraversano “Mi rendo conto che ho delle colpe, avrei potuto dirtelo anche io. Ma pensavo di aspettare che le cose accadessero con calma, sai? Naturalmente. Non volevo che tu scappassi.”

“Io non scapperei mai da te,” confessa Sherlock a voce bassa mentre alza la mano per sfiorare gli aculei di John a mo’ di carezza “piuttosto mi sarei tenuto tutto per me, ma non avrei mai rinunciato almeno alla tua amicizia.”

“Perché tu mi ami.”

“Perché io ti amo,” conferma Sherlock “e non posso fare a meno di te.”

“E io non posso fare a meno di te.”

Il riccio John muove il musetto e fa il pieno del profumo di Sherlock il cui viso osserva da così vicino da poter cogliere tutte le sfumature e gli occhi lucidi per la stanchezza per le molteplici emozioni.

“Sherlock, prova a dormire un po’,” suggerisce John “sarò qui quando ti sveglierai.”

“Non sono stanco.”

“Sì che lo sei.”

“Ma…”

“Ordini del medico,” sorride il piccolo riccio.

Sherlock sorride per quella frase che per il suo dottore è ormai diventata iconica “John…”

“Domani penseremo a come risolvere la situazione.”

Sherlock annuisce e dopo aver spostato il riccio di qualche centimetro, si adagia al meglio sul letto, di fianco, rivolto verso John, il braccio sinistro adagiato sulla parte destra del letto abbracciando un vuoto che vorrebbe colmare al più presto “Spero di sognare di farti tornare umano e spero che funzioni.”

“Non preoccuparti,” sussurra il riccio prima di scivolare sul letto, verso la mano di Sherlock dalla quale si fa avvolgere e scaldare “ah, e, Sherlock?”

“Mh?”

“In caso non fosse ovvio, ti amo anche io.”

“Ti amo anche io.”

“Lo so.”

“Lo so anche io, ma non riesco a smettere di dirlo.”

Il riccio abbraccia il pollice del consulente investigativo ed entrambi, dopo qualche minuto, sono belli che addormentati.

*

Sherlock sogna John ed è tutto bello, come ogni volta che succede: non è un sogno particolare, non sembra essere nulla di intenso e, senza dubbio, il consulente investigativo non si risveglia grazie ad una scossa che gli attraversa tutto il corpo.

John, d’altro canto, sogna a sua volta. Sogna di desiderare un corpo, sogna di avere un corpo e sogna di usarlo per dimostrare a Sherlock tutto il proprio amore. Sogna di di avere un corpo per recuperare tutto il tempo che hanno perso, per amarlo in maniera fisica e tangibile, carezzevole e carnale. Sogna, John, e lo fa così intensamente da svegliarsi nel cuore della notte colto da un lungo brivido che lo fa sussultare sul letto.

John si sveglia con la mano di Sherlock nella propria… ehi, un momento, la propria mano? Abbassa lo sguardo e si rende conto di aver indietro il suo corpo, e pure mancante di nulla, grazie al cielo!

Vorrebbe svegliare Sherlock, come prima cosa, per farsi baciare ed abbracciare e ricambiare a sua volta tutte quelle attenzioni, ma decide di non farlo per gustare quel momento in cui Sherlock dorme ed è calmo e finalmente può vedere il suo volto da vicino anche ora che è umano e non più un riccio. Senza lasciargli la mano, si sporge verso il fondo del letto per recuperare una di quelle coperte di lana che si usano per quando si rompono i riscaldamenti e all’improvviso il piumone non è più sufficiente e copre entrambi, poiché sia lui che Sherlock sono sopra il copriletto e non vuole ammalarsi, né tanto meno vuole che il suo tesoro si prenda un brutto raffreddore. Non vuole che Sherlock abbia gli occhi lucidi, non per l’imbarazzo, non per la febbre, non per la tristezza: promette a se stesso che da quel momento in poi, se mai le lacrime toccheranno le guance del suo tesoro, sarà solo per gioia.

Così John copre entrambi e si avvicina un poco a Sherlock per condividere il calore corporeo di entrambi, ma non gli riesce in alcun modo di dormire: con la guancia appoggiata sul cuscino, riesce solo a guardarlo e a sorridere stupidamente, stringendogli la mano e portandosela vicina alle labbra per sfiorarla appena.

Non passa neanche un’ora e Sherlock sente che sta per svegliarsi: sente un calore che non aveva mai sentito in quella stanza, in quel letto, da solo. Apre lentamente gli occhi e quando vede il viso sorridente di John, crede di stare sognando ancora, quindi ricambia il sorriso senza arrossire.

“Sherlock,” John può finalmente parlare, ma tutto ciò che dice, invero, è un continuo ripetere il nome dell’altro. Si avvicina ulteriormente ed incassa la testa sotto il mento di Sherlock, abbracciando propriamente il resto del corpo attorno al quale, si rende conto, si incastra alla perfezione. Ed è bellissimo.

“J-John?” è la domanda di Sherlock che a quel punto si rende conto che quella altro non è se non la realtà: alza istintivamente le mani e le appoggia sulla schiena dell’altro, massaggiandolo dolcemente “John sei tornato umano, John sei… sei…”

John mugola di gioia ed alza il viso per scontrare le proprie labbra con quelle di Sherlock in quella che potrà anche essere stata la parodia di un bacio, ma è stata comunque la cosa più dolce e bella fatta fino a quel momento “Voglio passare il resto della mia vita ad amarti.”

Sherlock si stringe ulteriormente a John, incastrandosi ancor meglio, coccolato da quel calore che in altri casi sarebbe fastidioso e soffocante, ma che in quel caso è qualcosa di morbido e fantastico “John, il mio John…” mugola e tenta a sua volta un bacio tanto goffo quanto tenero “Il mio fantastico John…” mugola accarezzandogli i capelli al punto da spettinarli.

John si sente tirare i capelli e non può fare a meno di ridere “Stropicciameli quanto vuoi, ma ti prego, non pensare più a me come ad un riccio.”

“Eri adorabile anche in quella forma.”

“Ma in quella forma non posso amarti come si deve,” mormora John prima di arrampicarsi sopra di lui e strusciarsi con tutto il corpo “tipo così, sai.”

“Mmh, John…” mugola Sherlock che inizia a toccare il corpo di John senza un ordine ben preciso “...devi insegnarmi tutto…”

“Sarà un grande onore,” un bacio “oltre che ad un piacere,” lo tocca e lo bacia con tutto se stesso: non può farne a meno “ora dimmi che mi ami.”

Sherlock ansima leggermente e non risponde a tono a quella domanda, come invece si sarebbe aspettato di fare.

“Mh? Dunque è svanito l’effetto anche di quell’incantesimo?” in realtà John è troppo felice per essere deluso, ma senza dubbio adorava sentirsi dire di essere amato da Sherlock.

“Non ho più bisogno di un incantesimo per riuscire a dirti che ti amo,” lo rassicura Sherlock, sorridendogli con una dolcezza particolare, quella che ha sempre riservato solo a John.

“Allora dimmelo, ti prego.”

“Ti amo.”

“Ancora.”

“Ti amo.”

John ride di gioia “Ti prego, ancora.”

“Te lo dirò milioni di volte,” gli assicura Sherlock prima di iniziare a dirglielo tante volte, in tante lingue diverse, in tanti modi diversi, per tutto il resto della sua vita.

   
 
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