1.Lontano da casa
Era una bellissima giornata di sole
in un importantissima
città del nord Italia nonostante l’inverno fosse
già incominciato da un pezzo.
Ciò era intuibile dai gruppi di ragazzini zaino-muniti che
si affrettavano
lungo le strade della città per raggiungere la scuola
più vicina, tutti con la
stessa espressione assonata e malinconica appiccicata sul volto. Alcuni
di
questi però avevano la fortuna, nella sfortuna di andare a
scuola, di essere
accompagnati dai loro genitori in macchine più o meno
costose. Tra queste
spiccava una di color nero guidata da un certo Franco Leoni.
Quest’uomo
a
differenza dei bambini era molto sorridente e quel giorno stava
accompagnando
sua figlia che stava smanettando con l’ultimo modello di
Iphone, naturalmente
di color rosa, regalatole dal padre per il suo decimo compleanno. Il
padre
arrivato davanti alla scuola fermò la sua costosissima
macchina e fece scendere
la bambina raccomandandole di chiamarlo all’uscita e si
diresse verso un
costosissimo ristorante, dove lo aspettavano due uomini in costosissimi
vestiti.
Franco con calma, si era seduto, si era tolto la sua costosissima
giacca e
aveva ordinato un costosissimo spumante (l’uomo era troppo
contento e aveva un
bisogno morboso di festeggiare quindi avrebbe brindato con qualsiasi
cosa, in
qualsiasi posto, in qualsiasi momento della giornata). Come poteva
permettersi
la sua costosissima vita? Semplice, era il boss della famiglia dei
Leoni e come
ogni boss di soldi ne aveva abbastanza da potersi permettere diverse
costosissime azioni durante la sua routine giornaliera.
Il
boss era seduto
coi suoi più fidati collaboratori, suo fratello Andrea e il
suo braccio destro
Alfonso Ferruccini e discutevano animatamente dell’ultimo
affare.
-Le donne hanno un fiuto per gli
affari impeccabile …be' forse
non tutte, alcune hanno il fiuto solo per capire quando stanno
bruciando il
caffè ma quella è meglio di quei cagnoni
antidroga che si porta appresso la
pula- affermava Andrea.
-Mio cugino è stato preso
da uno di quei cosi si è fatto 20
anni e quando è uscito gli hanno piazzato un proiettile in
testa per un debito
a carte, ah pover'uomo –rispose Alfonso che era conosciuto da
tutti come
“Ferro” poiché aveva
un’incredibile incapacità nell’uso delle
armi da fuoco e
qualche volta anche nell’uso del cervello.
- Io l’ho capito da quando
l’ho vista la prima volta – disse
Franco –una che lascia il marito deve avere per forza un
talento del genere, nessuno
di questi tempi divorzia c’è troppa crisi, ehehehe
-.
-Secondo me a quei cani viene data da
mangiare una sonda, sai
quelle cose super tecnologiche, poi vengono portati a spasso e quando
la sonda
rileva della droga emette un segnale che fa incazzare il cane e gli fa
attaccare lo spacciatore se no come si spiega il fatto che questi
individuano
la droga? I cani sono stupidi per natura- dedusse Alfonso.
Franco ignorava quello che diceva
Alfonso infatti,
nonostante questi fosse uno degli uomini più fidati e vitali
per la banda,
mostrava sempre un’incresciosa stupidità che
impediva qualsiasi tipo di
conversazione realmente sensata.
-Ma arriva o no sto cazzo di
spumante? Quanto ci mette
quell’idiota! -esclamò Franco guardandosi intorno
in cerca del ragazzo che
aveva preso la sua ordinazione.
Carlo era un bravo ragazzo andava al
secondo anno
d’ingegneria e a causa della precaria situazione economica
dei genitori era
costretto a fare l’ingrato e faticoso lavoro del cameriere
per pagarsi i libri
e la retta scolastica.
Nel lavoro del cameriere le mance
sono TUTTO poiché potevano
alzare vertiginosamente i ricavi e Carlo sapeva che Don Franco in
quanto a
mance era molto generoso e quel giorno era anche particolarmente
allegro. L’ultima
volta aveva infilato nel suo taschino cinque banconote da 100 euro cosa
che
l’aveva fatto tornare a casa con un bel sorrisetto ebete
stampato in faccia.
Quindi, quando sentì il
Don urlare e lamentarsi Carlo cercò
di affrettarsi ma il problema era che il vino ordinato dal boss, un
costosissimo e pregiatissimo Franciacorta, era finito. La cosa era
molto strana
poiché l’ultima volta che aveva controllato era
sicuro di avere più di 50
bottiglie di quel tipo. Carlo non si perse d’animo e
continuò a cercare quando
ad un tratto notò una cassa buttata in un angolo. Quando il
cameriere aprì la
cassa la sua gioia fu immensa nel trovare una bottiglia di Franciacorta
che si
affrettò subito a portare al Don.
Come abbiamo già detto
Carlo era un bravo ragazzo, aveva
fumato un po’ d’erba quando frequentava il liceo e
da piccolo alle elementari
usava le matite del suo compagno di banco per non rovinare le sue ma
era un
ragazzo puro e semplice anche un po’ tonto .Forse, per questo
non si
accorse che il liquido contenuto all’interno della
bottiglia era di un
nero intenso e non del solito bianco-giallognolo e non si accorse
nemmeno che
la sostanza al suo interno non si comportava come un liquido ma come un
gas che
si dibatteva impetuoso in quella prigione di vetro.
Carlo quindi posò la
bottiglia sul tavolo incurante (Franco
apriva da se le bottiglie che gli venivano portate per paura
che qualcuno
potesse metterci sostanze chimiche per danneggiare lui o il gusto del
vino)
intascò la mancia, una viscosa sputata nell’
occhio, e se ne ritornò a
preparare il locale per l’apertura incredibilmente deluso.
I
tre gentil’uomini
si alzarono e si misero a pregare. Ogni mafioso italiano che si
rispetta
pregava prima di mangiare o bere; anche quando dovevano prendersi una
mentina
questi si alzavano, alzavano le mani al cielo e recitavano un ave
o’ Maria, un
padre nostro e ringraziavano del cibo offertogli. Alcuni, come lo
stesso Franco
pregavano anche prima di dormire e la mattina appena alzati.
Finito quindi di ringraziare, Franco
stappò la bottiglia e
riempi i tre bicchieri. Poi i tre alzarono i calici pieni di liquido
bianco-giallognolo e bevvero. Quando però Franco fece per
parlare, cercando di
dire la sua sugli ultimi acquisti del Milan, si accorse che non
riusciva più ad
aprire la bocca.
Gli
altri due
capirono che c’era qualcosa che non andava e Andrea
domandò –Don, tutto bene? Che
c’è ti è andato di traverso? -.
Franco si sforzò con tutta
la volontà che aveva di aprire la
bocca e questa volta ci riuscì…solo che
sputò un liquido nero e appiccicoso e
un paio di denti. Poi il braccio si sollevò meccanicamente e
i due vice
notarono che impugnava la costosissima e personalizzatissima pistola
color
verde pisello con un incisione d’oro sul lato destro, pistola
di cui il boss
andava fierissimo, dalla quale esplosero due colpi che colpirono
Alfonso e
Andrea alla testa uccidendoli sul colpo. Dopo Franco si alzò
(anche se dire che
Franco si alzò è sbagliato poiché
questo non aveva più il controllo del suo
corpo) e con ancora la pistola puntata davanti che faceva fuoco e il
liquido
nero che gli usciva per bocca, si mise a correre, ruppe la vetrata del
ristorante e si ritrovò in strada.
Qui
sparò un ultimo
colpo contro un cassonetto vicino al quale c’era un gatto
nero appisolato che
svegliatosi iniziò una folle corsa nella direzione opposta
del Don il quale
adesso fissava inebetito la pistola scarica. Poi il braccio di Franco
esplose e
da questo fuoriuscì una sostanza nera che iniziò
ad avvolgere il suo corpo. Era
terrorizzato ed iniziò a dimenarsi cercando di liberarsi dal
liquido nero ma fu
tutto inutile. Poi quando la sostanza nera lo avvolse completamente
smise di
muoversi e per un attimo sembrò che il tempo si fosse
fermato. Si chiese se
tutto quello stava realmente accadendo o era tutto frutto di un
allucinazione
causata dallo spumante scaduto.
Si
udì un “BLUFF”, la
sostanza nera prese fuoco e una fiamma viola avvolse il corpo del Don
che
iniziò a provare un dolore anticò e abissale, un
dolore inimmaginabile che non
colpiva solo il suo corpo e la sua anima ma anche le sue emozioni. I
suoi
ricordi, i suoi affetti, il suo essere stesso bruciava e gli provocava
un
dolore intangibile e infinito quanto l’universo. Fu allora
che Franco iniziò ad
urlare, urla straziate ed emanate con tutta la forza vitale rimastagli.
Poi
calo un piacevole silenzio e di lui non rimase che una pozzanghera nera
ed
indistinta.
Il gatto nero correva come non aveva
mai corso in vita sua e
continuò a correre per un bel po’
finché incontrò quell’uomo.
Aveva due occhi verdi e portava un
ciuffo vertiginoso da far
invidia al principe del rock. Indossava un cappotto viola lungo e sotto
portava
una maglietta rossa con sopra un teschio bianco. Portava dei jeans
strettissimi
sotto i quali sbucavano dei mocassini a scacchi verdi e bianchi.
L’uomo aveva
un fisico perfetto, anche se non seguiva strane religioni, non era un
fanatico
della palestra e non usava sostanze chimiche che ti ingrandivano il
muscolo
fino a fartelo scoppiare, però non era un bel ragazzo.
C’era qualcosa infatti
nel suo sguardo, nei suoi lineamenti, nelle sue movenze, nel modo in
qui parlava
e respirava che suggerivano qualcosa di diabolico. Forse per questo non
era mai
stato fortunato con le ragazze che l’avevano rifiutato in
modi via via più
fantasiosi e le poche relazioni che aveva avuto erano state brevi ed
infelici.
Questa situazione era andata avanti fino a un anno fa, circa, quando
aveva
incontrato Clay della quale si era innamorato dal primo momento e con
la quale
stava portando avanti una relazione già da sei mesi.
Quando il gatto incontrò
l’uomo questo stava fumando una
black devil (sigaretta che fa schifo a tutti, quindi anche
all’uomo stesso, ma
dona un’aria da figo essendo completamente nera) appoggiato
ad una macchina
d’epoca rossa senza tettuccio sulla fiancata della quale
c’era scritto a lettere
nere “Unicorno della Morte “. Appena
l’uomo si accorse del gatto nero che stava
lì tremante ad osservarlo emise un sonoro
“MIAO” (anche se quel verso non era
ricollegabile ad un gatto anzi, non era ricollegabile a nessuna
creatura del
mondo animale) che fece spaventare l’animale che riprese la
sua corsa nella
direzione da cui era venuto. L’uomo sorrise alla vista della
bestiaccia in fuga
e si sforzò di convincersi che quegli ultimi giorni non
erano completamente da
buttare…però non ci riuscì e fece un
altro tiro di sigaretta.
”Devi partire Pain, devi
sistemare degli affari nel nord
Italia Pain, e io non posso venire perché devo passare il
weekend con Marta in
Sicilia e sai che ultimamente con lei non sta andando bene, e sai che
mi devi
un favore ,e sai che sono un brutto culone con dei capelli
incontrollabili che
lascia agli amici le commissioni più
noiose…maledetto -Gideon !-urlò
attirandosi l’attenzione di una vecchietta di passaggio che
lo guardò torva e
sembrava sul punto di iniziare una predica quando vide Pain montare in
macchina
e puntare dritto su di lei per metterla sotto.
Per fortuna, o per sfortuna dal punto
di vista di Pain, questa
scattò di lato schivando la macchina che si avviava a
tavoletta verso l
edificio più alto di tutta la
città, “LA SEDE DEL
MAGNICOSTRO”.
Qualche anno fa in una cittadina
isolata e poco importante
del nord Italia nacque una bambina dagli occhi azzurri a dai capelli
neri
corvino. Questa aveva vissuto la sua infanzia e la sua adolescenza
allegramente
in quel luogo semplice e puro finché al compimento del suo
diciottesimo
compleanno, un po’ come Aurora la principessa, conobbe Carlo
Withman (lo so è
strano che abbia il nome del cameriere di prima ma di certo non
può esserci un
solo Carlo in tutt’Italia).
Carlo era di origini italiane da
parte della madre e
americano dalle parte del padre e il nome “Carlo”
era stato scelto dalla madre
poiché aveva posseduto in tenera età un carlino
caduto dal balcone di casa per
aver tentato di scacciare un gatto appollaiato sul balcone dei vicini
al piano
di sotto. Carlo era molto amato dai suoi genitori un po’
perché era il
primogenito e un po’ perché era l’unico
figlio che avevano e quindi questi
l’avevano cresciuto come un piccolo borghesino perfettino e
viziato. Ciò era
reso possibile dal patrimonio familiare costruito attorno alla vendita
di
saponette, profumi e asciugamani da bagno (attività che
aveva registrato un
notevole picco di vendite negli ultimi anni).
Quindi Carlo essendo uomo colto e
piacente, capo di un’attività
emergente e con un potenziale infinito poteva vantare di avere una
quantità di
spasimanti pari al numero di saponette vendute dalla sua famiglia nel
corso
delle generazioni. Infatti quando questo arrivò in quella
isolata cittadina, Barbara
rimase incredibilmente affascinata da quell’uomo misterioso
ed esuberante e
cerco in tutti i modi di conquistarlo. La cosa fu abbastanza semplice
poiché
anche Barbara era molto piacente e quindi i due si sposarono. Passarono
gli
anni, anni felici e anni tristi si alternarono finché
Barbara non conobbe
Azzurra. Il loro incontro avvenne in un motel decadente e fu proprio
Carlo a
presentarle solo che Barbara si mostrò molto contraria a
stringere un amicizia
con Azzurra, l’amante di suo marito, preferendo di stringerle
attorno al collo
il lenzuolo del letto. Il divorzio fu veloce e indolore e Barbara
riuscì a
conquistare un eloquente quota mensile da parte del marito e un pezzo
della sua
società, ovvero una piccola azienda in una grande e
importante città del nord
Italia.
Barbara
però non
capiva niente di prodotti da bagno così decise di investire
il suo piccolo
capitale nel campo edile e in poco tempo riuscì a mettere
insieme la più grande
ditta di costruzioni di tutt’Europa il
“MAGNICOSTRO”.
-OLE- esclamò
Federico aprendo la bottiglia di un
costoso Franciacorta che produsse un sonoro TUM che rimbombò
nella stanza semi
vuota dove i due dipendenti e il loro capo stavano festeggiando la
riuscita
dell’ultimo affare. Federico riempì il bicchiere
del boss poi quello di Mafalda
la segreteria di questa che, borbottò qualcosa sul bere
spumante a quell’ora
del giorno, e infine riempì il suo di bicchiere.
Fatto ciò i tre alzarono i
bicchieri molto teatralmente,
esclamarono in coro-SALUTE- e poi bevvero. Federico alzò gli
occhi e guardò
Barbara, il suo boss, che se ne stava seduta sulla scrivania, alle
spalle della
quale c’era una vetrata di vetro scorrevole che dava su un
balcone che si
affacciava su tutta la città, a sorseggiare lo spumante.
Federico aveva visto
molte volte Barbara ma quella volta c’era qualcosa di diverso
poiché in quasi
dieci anni di lavoro non aveva mai visto il suo capo con
quell’aria così
allegra e rilassata. Se era per questo in dieci anni di lavoro questa
era anche
la prima volta che i tre brindavano ad un affare andato in porto.
Però quel giorno
c’era qualcosa di speciale nell’aria
qualcosa di strano e magico che riusciva a far sorridere anche la
Gelida Regina
Di Ghiaccio. Finito di brindare Barbara rimandò i due
dipendenti alle
rispettive postazioni congratulandosi ancora per il lavoro svolto
(anche questa
cosa era del tutto nuova a Federico) e uscì fuori sul
balcone del suo ufficio per
prendere una boccata d’aria.
-Lo sa, avrei utilizzato una magia di
contenimento ed
espansione anche su questo spumante solo che a me non piace fare la
stessa cosa
due volte. Diventa noioso e ci manca solo che questa commissione
diventi ancora
più noiosa –disse Pain che se ne stava in piedi
sulla ringhiera accanto a
Barbara rigirandosi il Franciacorta tra le mani che fino ad un attimo
prima
stava sulla scrivania dell’ufficio.
-Chi sei?- disse Barbara arretrando
spaventata da quell’uomo
misterioso –Io sono il DOLORE. Però mi faccio
chiamare PAIN perché essendo
l’inglese la lingua internazionale voglio che tutti capiscano
come mi chiamo-
rispose questo.
Barbara non capiva chi fosse
quell’uomo ne perché fosse lì e
neanche come avesse fatto ad entrare nel MAGNICOSTRO essendo questo
controllato
dai migliori agenti delle forze speciali italiane.
-Sa, a me non piace colpire le donne
e quindi non mi piace
ucciderle quindi la faremo semplice: lei deve saltare-e così
dicendo indicò
verso il basso.
Barbara sorrise –Ma che
cazzo dici? Non so come tu abbia
fatto ad entrare o chi tu sia ma io non salto giù-.
Pain allora sorrise, un sorriso
malvagio che mostrò la sua
dentatura perfetta, poi scattò verso Barbara bloccandola in
un passionale
abbraccio e le avvicinò la bocca all’orecchio-Zio
Peppino- le sussurrò e
finalmente Barbara capì.
-Oddio ma Franco mi aveva assicurato
che non avremmo
disturbato nessuno, che l’affare era sicuro e avrebbe fatto
guadagnare tutti
…aspetta quindi sei tu il killer di cui si parla, quello che
ha ucciso i
fratelli Marotta? -.
Pain sorrise ed annuì
quella era stata una delle sue
migliori operazioni seconda solo all’omicidio
dell’ex sindaco Borretti molto
bella ma anche sporca.
-La prego signor Pain, posso pagarla,
io sparirò ho dei
contatti in America non sentirà più parlare di me
né della mia agenzia, la
prego signor Pain- singhiozzava Barbara.
Pain non rispose si limito a indicare
nuovamente il basso
–NO!!! Non puoi finire così la pagherò
per uccidere Zio Peppino deve esserci un
modo per uscirne la prego entriamo dentro e parliamone-propose Barbara.
-Ci sono due modi –disse
Pain-il primo è semplice lei salta
si fa qualche secondo di caduta e la cosa finisce o…le
farò provare qualcosa
che nessun altro le farà mai provare in questo mondo
– e dicendo questo sulla
punta delle sue dita si accesero cinque fiammette violette. Barbara
aveva gli
occhi sbarrati dalla paura –Ha già ucciso gli
altri vero? -Pain annuì-Loro non
hanno avuto la possibilità che le sto dando –
disse e si accese una sigaretta
col dito indice grazie alla fiamma su questo.
Barbara allora salì sulla
ringhiera e pensò a cosa sarebbe
successo se non avesse mai incontrato Carlo se fosse rimasta quella
ragazza
pura e bella che tutti desideravano poi saltò e poco dopo i
suoi pensieri si
sparsero sulla strada sottostante insieme alla sua materia celebrale.
Notucce
personali :)
Salve ragazzi questa è la
prima storia che scrivo e quindi
la prima storia che pubblico su efp ...sono un verginello :).
Vi prego
siate buoni con le recensioni XD farò uscire il prossimo
capitolo il prima
possibile.