Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: lyssa    19/01/2015    1 recensioni
❝ Il bias di conferma (Confirmation Bias) è un fenomeno cognitivo al quale l'uomo è soggetto. È un processo mentale che consiste nel ricercare, selezionare e interpretare informazioni in modo da porre maggiore attenzione, e quindi attribuire maggiore credibilità, a quelle che confermano le proprie convinzioni o ipotesi, e viceversa, ignorare o sminuire informazioni che le contraddicono. Il fenomeno è più marcato nel contesto di argomenti che suscitano forti emozioni o che vanno a toccare credenze profondamente radicate. ❞
Sherlock Holmes, unico consulente investigativo al mondo, ha bisogno di un coinquilino. Dopo settimane intere di infruttuose ricerche e convivenze dalla durata massima di settantadue ore, James - brillante mente criminale ed ex professore di matematica - risponde all'annuncio, rivelandosi il coinquilino ideale.
[Ovviamente sheriarty || AU || il rating salirà man mano || possibili accenni a ship minori.]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo quattro;



 

James si trova accanto a Sherlock quando le dita di quest’ultimo battono veloci sulla tastiera del computer. Il rumore secco e meccanico prodotto dalla pressione sui tasti accompagna le parole che rapide si formano sullo schermo, bianche su fondo azzurro, scritte nel font predefinito che Sherlock ha scelto per il proprio blog. “Carl Powers, tracce di botulino nelle scarpe” recita il post e le labbra di Jim non possono fare a meno di sollevarsi verso l’alto, schiudersi e mostrare così i denti bianchissimi. 

Sherlock è decisamente bravo. Brillante, addirittura. Egli supera ogni aspettativa posseduta in principio; il sorriso sul volto di Jim si amplia ancora e il criminale deve usare tutto l’autocontrollo in suo possesso per soffocare la risatina che infantile gli nasce in gola e scalpita per uscire. È una fortuna che Sherlock non lo stia osservando in quel momento: James non può vedersi, ma è piuttosto sicuro che l’espressione sul suo volto si sia ora avvicinata al labile confine che separa un sorriso di pura gioia da uno che, alla maggior parte delle persone, appare malato e inquietante. Sa che dovrebbe trattenersi, ma non ci riesce. 

È talmente felice da non essere più pienamente in controllo del suo corpo. Forse felicità non è il termine giusto per descrivere ciò che prova, ma Jim non saprebbe come altro chiamare il sentimento che inizia a diffondersi in un’ondata di calore che lo fa sentire vivo e umano come non mai. Si sente apprezzato, finalmente riconosciuto ed è talmente bello che tutto quello che vorrebbe fare è buttare il capo all'indietro e ridere, ridere fino a rimanere senza voce e senza fiato. Sherlock ha risolto in poche ore ciò che nessun’altro è riuscito a capire in decenni interi, Sherlock ha pensato come lui ed è arrivato alla soluzione, Sherlock si è dimostrato all’altezza e Jim non ha quindi buttato via vent’anni della sua vita dietro qualcuno non degno delle sue attenzioni. Ora che le sue speranze sono state confermate e che il caso di Powers – quello da cui entrambi sono partiti e che li ha portati dove sono ora – li avvicinati maggiormente, può permettersi di fare qualche altro passo nella sua direzione e correre dei rischi in più.

Si passa una mano sul volto Jim e dopo un paio di secondi l’espressione da lui assunta è più normale, contenta ma senza eccessi. Sherlock continua comunque a non guardarlo, gli occhi azzurri, ora accesi dalla smania e dalla curiosità, sono fissi sul cellulare rosa che squilla dopo pochi istanti. Il detective accetta rapido la chiamata, ma non una sola parola fuoriesce dalle sue labbra e si limita ad ascoltare, perché oramai sa che l’ostaggio non è altro che una bambola di pezza nelle mani di Moriarty. 

Al termine della telefonata, ordina a Lestrade di andare a recuperare la donna coperta di semtex, senza però seguirlo.

Sherlock ha interesse unicamente nella caccia, nel gioco, nel ricorrersi che rende il battito del suo cuore un tamburo assordante che gli riempie la mente e l’anima, nell’adrenalina che scorre nelle vene, calda e impetuosa, in grado di sciogliere lo spesso strato di ghiaccio che ha costruito intorno a sé. Della vita altrui gli importa ben poco: il pensiero di aver salvato un’innocente non lo tocca in profondità e la sua contentezza è data soprattutto dall’essere riuscito a risolvere il piccolo indovinello ricevuto. A Jim piace questo lato di Sherlock. Un poco si rispecchia nel suo modo di pensare: nonostante sia un criminale, l’irlandese non ama uccidere e non prova assolutamente nulla – non senso di potere, non divertimento, non sollievo – nel vedere i cadaveri, o ciò che ne rimane, delle proprie vittime. Sono uguali, ancora una volta, in ancora un’occasione.

Il corso dei suoi pensieri viene interrotto dal telefono che, come da programma, suona.

Jim osserva Sherlock con attenzione e nel suo sguardo vi è una cura diversa da quella che ha visto riflessa negli occhi del detective, un riguardo che non ha nulla a che vedere con l’analisi fredda e oggettiva ma che si avvicina invece all’ammirazione. Grandi occhi scuri sono puntati sul volto di Sherlock, iridi calde scivolano sui riccioli castani in cui James vorrebbe tanto affondare le mani e lente si spostano sugli occhi di cui ancora non riesce a capire il colore. Chiamarli azzurri sarebbe riduttivo e semplicistico: in essi vi sono anche pagliuzze dorate e verdi, nell’insieme possiedono un colore senza nome ed assomigliano quasi alle galassie colorate tanto care all’irlandese – entrambi profondi, sconosciuti, bellissimi. Lo sguardo vaga ancora, passa rapido al naso e arriva alle labbra rosee e piene. La lingua di Sherlock guizza fuori per lambire quello superiore e il gesto è sufficienze a mandare a Jim pensieri di natura decisamente poco casta. Essi però hanno vita breve, Sherlock solleva le sopracciglia, spalanca gli occhi e la mente del criminale si sposta sulle parole che deve aver udito in quel momento, ben più importanti di semplici immagini di natura erotica. 

“Siamo fatti l’uno per l’altro” ha detto la voce dall’altro capo del ricevitore e la frase ha scaturito una qualche reazione nel detective. 

In quel momento, Jim è quasi geloso dell’uomo coperto di esplosivo. Non avrebbe dovuto inserire quella frase nel copione: sono parole importanti, parole che dovrebbero uscire dalle sue labbra, non da quelle di una persona comune, ordinaria e noiosa. Non è degno di essere portatore di un simile messaggio, pensa Jim, le unghie che premono un poco contro la carne soffice dei palmi delle mani. Dovrebbe ucciderlo solo per quello, si dice mentalmente, incapace di sopprimere la calda ondata di invidia che, nel giro di pochi decimi di secondo, ha infiammato il suo intero corpo. Gli occhi di Sherlock dovrebbero essere puntati su di lui, non sul vuoto che il detective ha di fronte a sé, le sue labbra dovrebbero confermare l’affermazione, non rimanere inerti e appena dischiuse; è lui che Sherlock dovrebbe guardare.

La chiamata si conclude poco dopo e con essa anche la rabbia di Jim sembra scomparire – cambiare velocemente stato d’animo è la sua più grande forza e debolezza, dopotutto. Sherlock ora lo guarda e sul suo volto c’è quel piccolo sorriso divertito che si forma ogni qualvolta che c’è un caso da risolvere.

«A quanto pare non siamo gli unici ad annoiarci.» Afferma. Realizza di avere utilizzato il plurale solo dopo aver parlato e per qualche istante il suo viso è attraversato da un lampo di stupore che, Jim ne è sicuro, ha preso vita anche sul proprio. È altrettanto stupito dalla scelta del verbo. Nessuno dei due dice niente, entrambe le menti geniali corrono a pensare alle implicazioni di quella semplice frase – che lo desiderino o meno, tra di loro si sta formando qualcosa – ma Sherlock lascia cadere l’immaginario discorso e rompe il silenzio. «Diamoci una mossa.»

«In realtà…» Jim sbadiglia e si strofina gli occhi cerchiati da occhiaie profonde «… sono distrutto. Non riesco a dormire da giorni e davvero, ho bisogno di andare a casa a riposarmi un po’.» L’affermazione non è completamente sincera dato che ciò che Jim necessita è qualche ora lontano da occhi indiscreti per sistemare gli ultimi dettagli, ma ha comunque un fondo di verità. Delle otto ore concesse a Sherlock, James ha intenzione di spenderne alcune dormendo. È umano anche lui e come tale ha delle necessità fisiche, per quanto a volte sembri vero il contrario.

«Andiamo! Puoi sempre bere un caffè.» 

«Ho bevuto più caffè in questi giorni che in tutta la mia vita.» Replica, il piccolo sorriso prima presente che si dissolve nel momento stesso in cui la sua voce diventa più seria e fredda «Tu vai pure, tanto non hai bisogno del mio aiuto.»

«Questo è vero, ma devi venire comunque. Almeno sulla scena del crimine.» 

Un po’ si sente lusingato: Sherlock vuole spendere del tempo con lui e non vuole tornare a indagare da solo, segno che la presenza di Jim in un modo o nell’altro lo ha segnato. In ogni caso, per quanto il criminale voglia passare più tempo possibile con l’altro, non ha alcuna intenzione di farsi corrompere in quel modo.

«Ho detto di no.» Passano due secondi di completo silenzio in cui si guardano dritti negli occhi prima che Jim parli di nuovo. «A meno che tu non mi conceda un appuntamento.» Le parole fuoriescono musicali dalle sue labbra, permeate dall’accento particolare che l’irlandese usa per flirtare esse si liberano nell’aria, dove si dissolvono senza ricevere risposta alcuna. 

Sherlock continua a fissarlo, come se un intenso contatto visivo gli permettesse di leggere la persona che si trova davanti e di vedere così le sue intenzioni, palesi come inchiostro nero su carta bianca. Jim vorrebbe solo ridere, perché l’intera scena è fin troppo drammatica ed esagerata: la proposta è semplice, cristallina e lineare, non c’è bisogno di decifrare un codice misterioso o di notare dettagli invisibili all’occhio umano per comprenderla. Sherlock dovrebbe imparare che non tutto al mondo è complesso, che ci sono cose che non necessitano di essere analizzate troppo e che qualche volta la verità è più palese di quel che uno potrebbe pensare.

Il detective aggrotta un poco le sopracciglia, continua a rimanere in silenzio e Jim sorride divertito, senza però stuzzicarlo o mettergli fretta. Si tratta di una provocazione e di un flirt non diverso da quelli che si sono scambiati in precedenza e non si aspetta che Sherlock lo prenda sul serio e accetti davvero.

Per questo la risposta lo sorprende tanto da fargli sollevare entrambe le sopracciglia. 

«… D’accordo.» Se Sherlock è imbarazzato, non lo dà a vedere in alcun modo. Jim non fa in tempo ad esprimere la propria contentezza che il detective parla ancora, distogliendo lo sguardo. «Ma solo quando tutto questo sarà finito, ora non c’è tempo!»

***

Quando Jim torna dalla scena del crimine, si dirige verso il 221b senza pensarci. Avrebbe potuto benissimo andare in uno dei tanti appartamenti che possiede sparsi per Londra – uno dei quali si trova nel quartiere da cui si sta allontanando – eppure l’ipotesi non ha sfiorato la sua mente neanche per un istante. Decide di non interrogarsi su una questione tanto futile e sale sul primo taxi che trova.

Prima si spostava prevalentemente su auto private o usando la metropolitana – caotica è vero, ma è il modo migliore per omologarsi alla massa e fingere di essere una persona come tante altre, un semplice numero senza volto né nome in una metropoli come la capitale del Regno Unito – ma da quando la sua bizzarra convivenza con Sherlock Holmes è iniziata, Jim ha iniziato a usare i taxi sempre più spesso. È solo una delle tante abitudini che il detective lo ha inconsciamente costretto a cambiare, pensa, guardando distrattamente fuori dal finestrino.

«Il suono della vita…» Cantilena sottovoce, tracciando figure immaginarie sulla superficie fredda del vetro. 

Noioso. Incredibilmente ed assolutamente noioso. Eppure, la vita tranquilla e domestica che sta vivendo insieme a Sherlock non gli dispiace affatto. Nonostante abbiano raggiunto quella sorta di routine che Jim aborra – Sherlock è il primo a farsi la doccia al mattino, Jim invece, dopo la sceneggiata del caffè di pochi giorni prima, prepara la colazione per entrambi e fa quel minimo di spesa necessaria nonostante non mangino mai a casa, ad esempio – la vita di James Zucco, ex professore di matematica, è tutto tranne che ordinaria e prevedibile. 

Al contrario, una sua tipica giornata è infinitamente più interessante rispetto a quella tipica di Moriarty. Non ci sono clienti fin troppo stupidi o lavori e commissioni poco stimolanti quanto necessarie. C’è solo Sherlock.

Per un breve istante, Jim si chiede se riuscirebbe ad assumere quell’identità per sempre. Zucco ha una personalità che Jim sente molto vicina alla propria, qualunque cosa significhi. Ha indossato talmente tante maschere da non sapere più cosa si trova sotto. Ogni tanto si ferma a pensare quanto in lui sia vero e genuino e quanto invece sia costruito, talvolta riflette e si chiede se sia giusto che si approcci a Sherlock con una falsa identità, perché non vuole che il detective lo apprezzi per qualcuno che non è. Non ha speso venti anni della sua vita per una cosa del genere.

I suoi ragionamenti rimangono però sempre incompiuti e non raggiungono mai una conclusione, sono pennellate di colore su una tela che non mostrerà mai un dipinto completo e pagine non destinate a divenire romanzo. Jim non sa più chi è e forse è meglio così, saltellare da una personalità all’altra è stata una delle poche cose – insieme alla consapevolezza dell’esistenza di Sherlock Holmes – in grado di tenerlo in vita quando la combinazione tra una mente troppo vasta e un corpo troppo umano diveniva troppo schiacciante e frustrante. 

La voce del tassista lo strappa dai suoi pensieri. Jim ha il sorriso sulle labbra e un’espressione allegra mentre ringrazia e paga l’uomo ed è come se tutti i ragionamenti di prima non siano mai esistiti. Apre la porta del 221b con la sua copia di chiavi, saluta a gran voce la signora Hudson e sale rapidamente i gradini scricchiolanti per arrivare a quella che ormai è diventata casa sua. Non che vi sia poi tanto affezionato, Jim non è il genere di persona che si lascia andare a tali sentimentalismi.
Per prima cosa deve dormire, poi potrà continuare a lavorare. Mentre si dirige verso la propria camera da letto, quella al piano superiore, pensa che potrebbe dormire in quella di Sherlock. Sarebbe bello infilarsi sotto le coperte che hanno accolto anche il corpo dell’altro, addormentarsi nella stessa identica posizione e appoggiare il volto sul cuscino probabilmente permeato dal fresco odore di Sherlock. Per quanto il pensiero appaia allettante, Jim è però costretto ad accantonarlo. L’intera vicenda sarebbe troppo complicata da spiegare e inoltre il criminale dubita che riuscirebbe veramente a dormire in quelle condizioni. Rimarrebbe sveglio, troppo impegnato ad assimilare Sherlock in ogni fibra del suo essere per addormentarsi. Sarà per un’altra volta.

Con uno sbadiglio inizia a spogliarsi, in modo da raggiungere la camera già fuori dai propri abiti. Le prime cose a scivolare al suolo sono la giacca e la maglietta – quella che Sherlock non sopporta, pensa, con un sorriso –, subito dopo seguono scarpe, calzini e il paio di jeans. La luce pomeridiana filtra attraverso le tende, ma non è un grosso problema. Coperto unicamente da un paio di boxer bianchi dall’elastico fluorescente, si infila sotto le coperte, rannicchiandosi in posizione fetale. 

Ha bisogno di dormire almeno quattro o cinque ore.

***

Il secondo caso è proceduto senza intoppi particolari. Sherlock non ha avuto bisogno dell’aiuto di Jim e ha fatto tutto da solo. 

Contrariamente a quanto Jim si aspettava, il detective non si è però lanciato in interminabili monologhi per spiegare esattamente come è arrivato alla soluzione del puzzle, al contrario, Sherlock è rimasto in silenzio tutto il tempo, con il volto accigliato e un broncio infantile sulle labbra.

Jim lo guarda sorridendo, indeciso se stuzzicarlo verbalmente al riguardo o se invece lasciarlo stare. Opta per l’ultima scelta e, senza dire nulla, si infila in bocca un paio di patatine fritte, spostando lo sguardo da Sherlock verso il televisore presente nel locale, fonte di intrattenimento decisamente meno interessante dell’uomo seduto di fronte a lui. Non sono all’appuntamento che Sherlock gli ha promesso – e per fortuna, pensa Jim, lui non vorrebbe mai uscire con una persona che continua a lanciare occhiate al telefono ogni trenta secondi, aspettando una chiamata o un messaggio da un altro uomo – quindi può anche non prestargli attenzione e lasciarlo a bollire un po’ nel suo dissenso e nella sua mancanza di attenzioni.

«Non mangi?» Chiede, sempre senza guardarlo. Si infila in bocca un’altra patatina, per poi leccarsi le punte del pollice e dell’indice, coperte di sale e salsa. «Guarda che poi non so quando avremo tempo.» 

«Non ho fame.»

«Oh, certo. Infatti il tuo stomaco non ha brontolato mentre venivamo qui.» Un piccolo ghigno si forma sulle sue labbra, mentre si volta per poterlo guardare di nuovo. «Forza Sherl, mangia qualcosa.»

Sherlock sostiene il suo sguardo – è incredibile quanto del tempo che passano insieme sia costituito da contatto visivo ininterrotto e stabile – per qualche secondo, poi si china in avanti e oh, fa una cosa che Jim non si sarebbe mai aspettato. Non avrebbe mai creduto di poter vedere Sherlock rubargli la patatina che stringe tra le mani usando solo le labbra. Jim lo guarda, incapace di nascondere un sorriso sorpreso quanto compiaciuto di fronte a quel gesto. Sfortunatamente però, non c’è stato nessun contatto bocca-dita. Un vero peccato.

«Pensi che chiamerà presto?» Chiede Sherlock, finendo di mandare giù il boccone e lanciando un’altra rapida occhiata al telefono. È la diciassettesima volta che succede da quando si sono seduti a quel tavolo. Jim non sa se esserne offeso o lusingato. 

«Non ne ho idea. » Fa spallucce. «È probabile però, non ti ha mai fatto aspettare troppo.» 

«Spero che si dia una mossa.»

Ancora una volta, Sherlock si ritrova a desiderare il rapimento di persone innocenti. Il pensiero lo fa sorridere.

«Da una parte sono curioso di vedere cosa si inventerà.» Dice, annuendo per dargli corda.

Uno dei suoi uomini si trova seduto a pochi tavoli di distanza. Basta che Jim gli faccia un rapido gesto perché il cellulare squilli ancora, per la terza e penultima volta. 

***

Il terzo caso si è concluso con la morte dell’ostaggio. 

Più che essere triste, dispiaciuto od arrabbiato per l’avvenuto omicidio, Sherlock lo era perché non aveva avuto modo di potersi mettere in mostra per Moriarty. È stato bello vederlo in quel modo, più preoccupato per il loro piccolo gioco che per le vite umane. Addirittura confortante: la piacevole e inaspettata conclusione ha dato modo a Jim di confermare definitivamente il loro essere uguali, non solo due facce della stessa medaglia, ma addirittura la stessa persona, diversa solo per la storia personale e le scelte compiute nel corso della vita.

Nonostante tutto, Jim sta tuttavia iniziando a stufarsi del pattern ripetitivo dei propri indovinelli. Deve cambiare le carte in tavola e introdurre delle varianti prima che Sherlock si annoi e decida di abbandonare il gioco, perché non può permettersi di perdere l’attenzione di Sherlock, non ora, non dopo tutto ciò che Jim ha fatto per lui. 
Per questo motivo il quarto puzzle avrà tre fattori che lo distingueranno dagli altri. 

Per prima cosa, la vittima sarà un bambino – James vuole essere sicuro che Sherlock sia amorale come sembri, vuole vedere se l’apparente disinteresse del detective per la vita umana sussiste quando è un bambino ad essere in pericolo – poi il tempo da lui concesso sarà nell’ordine di secondi e non di ore e, infine, l’intero caso verterà su un argomento a cui Jim è interessato, una delle sue tante passioni al di fuori del mondo del crimine. 

L’intero indovinello si baserà su un dipinto falso, riconoscibile per un'unica imperfezione – ovviamente commissionata esplicitamente da Jim stesso per l’occasione – la presenza di una stella che non dovrebbe essere lì. È brillante, una sfida degna di Sherlock Holmes, l’unico consulente investigativo al mondo. 

Sarà perfetto. 

Jim è sicuro che tutto andrà bene, è sicuro di poter dare a quella meravigliosa mente che Sherlock si ritrova esattamente quello di cui ha bisogno. Certo, ha buttato via trenta milioni di sterline, ma è un prezzo decisamente irrisorio per ottenere l’attenzione e l’interesse del detective – forse anche qualcosa di più? – per lui più preziosi di qualunque altra cosa. 

***

Il momento è arrivato. 

Dieci secondi, un bambino piagnucolante dall’altra parte del ricevitore e gli occhi azzurri di Sherlock – più belli di qualunque cielo stellato – che continuano a vagare sul dipinto, alla ricerca della soluzione. 

Jim ha il respiro pesante. Osserva Sherlock camminare avanti e indietro, esprimendo con falcate grandi e rapide tutto il movimento e il rumore che deve scorrere ora nella sua testa. Sherlock si porta le mani alle tempie, digrigna i denti e poi ride, butta indietro il capo esprimendo quanto contento sia e quanto tutto quello sia bello e a quella visione Jim quasi smette di respirare. È tutto ciò che aveva sempre desiderato. Continua a fissarlo con le pupille degli occhi scuri talmente dilatate che quasi si confondono con l’iride e quando Sherlock dice la soluzione, deve reprimere un’esclamazione di sordida gioia.

È difficile dire chi tra i due sia più contento e soddisfatto. 

L’unica cosa che ora potrebbe rendere la situazione ancora migliore è l’appuntamento che Sherlock gli ha promesso. 













Note dell'autore:

Come primissima cosa devo dire che questo capitolo partecipa alla seconda missione del COW-T, per il prompt "QUALCOSA DI BLU
Un fandom, o una ship, scrivendo sul/la quale ti senti particolarmente a tuo agio (non necessariamente il tuo OTF/OTP)". Jim e Sherlock sono sicuramente i soggetti su cui mi trovo più a mio agio a scrivere, dato che sono la mia OTP, quindi la scelta è ricaduta su di loro!
Tornando a noi, mi scuso enormemente per il lunghissimo ritardo. Questo capitolo è un po' di transizione, ma spero che vi sia piaciuto uguale e non preoccupatevi, tra poco si entrerà nel pieno della storia (che devo ancora plottare *coff*)
Come al solito ringrazio chiunque leggerà/recensirà/ecc, perchè alla fine sono anche queste le cose che mi spingono a continuare questa fic. Personalmente ho adorato scrivere questo capitolo - probabilmente perchè amo i POV di Jim - e nulla, in alcuni punti ho anche fangirlato sulla mia stessa fic ahahaha. Non ho molto altro da dire se non ci vediamo alla prossima. spero di aggiornare in tempi umani ;_____;
   
 
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