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Autore: Altair13Sirio    19/01/2015    1 recensioni
STORIA IN STATO DI MANUTENZIONE - CAPITOLI CORRETTI AD ORA: 7
"Sono passati tre anni da quando Pitch e Jack Frost hanno avvolto il mondo con la paura e il freddo. Da allora, la Terra è avvolta in un perenne inverno e tutti hanno paura. I Guardiani sono scomparsi. Nessuno crede più in loro. Questo perché bisogna vedere per credere, e nessuno li ha mai visti, a parte me!"
Un ragazzo viaggia attraverso il suo paese. Non sa dove va, né quando ci arriverà. Con lui la sua sorellina che cerca di educare e convincere del fatto che la paura non esiste. Vuole porre fine a tutto ciò. Questo vortice di paura deve finire! Sembrerebbe un'impresa impossibile, se non fosse per il fatto che lui ha un asso nella manica...
Genere: Avventura, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jack Frost, Jamie, Nuovo personaggio, Pitch, Sophie
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il bambino si svegliò tutto agitato lanciando un grido per lo spavento.
La stanzetta in cui dormiva era immersa nel silenzio, un attimo prima. In fondo ad essa, in un angolo, una figura magra e calma se ne stava dritta concentrata su un ripiano davanti a lei. Si voltò, facendo ondeggiare i lunghi capelli neri e si avvicinò al lettino del bambino, ancora terrorizzato dal suo incubo. Si abbassò su di lui, e la sorella gli sorrise rassicurandolo. I suoi occhi neri erano così profondi che ogni volta che il bambino la fissava ci si perdeva dentro, credendo di venirne risucchiato.
<< Va tutto bene. >> Disse con voce dolce e un sorriso gentile. << Era solo un brutto sogno. Non era reale. >>
Il bambino stava ancora ansimando per ciò che aveva visto nel sonno. Gli sembrò di essere ancora nel pieno del suo incubo, dove le sue più grandi paure venivano sguinzagliate e gli davano la caccia attraverso corridoi bui e vuoti. Ma sua sorella non era mai stata un brutto sogno. Era sempre lì a proteggerlo, pronta a scacciare tutto ciò che avrebbe potuto fargli del male. Ora sentiva la sua mano scompigliargli i capelli, le sue labbra baciargli la fronte e la sua voce che gli diceva che non c’era niente di cui aver paura.
Bastava la vista di quella ragazza a far sparire ogni dubbio, ogni timore nella mente del bambino.
Lei tornò ad occuparsi di quello che stava facendo prima che suo fratello si svegliasse, e il bambino rimase a fissare la sua coperta vecchia e strappata che aveva lasciato ricadere sulle sue gambe quando si era svegliato.
Non c’erano altre persone nella stanza. Erano sempre stati da soli loro due. Non avevano mai avuto molto, inoltre… Quel poco che avevano erano gli stracci che avevano addosso e qualche vecchio secchio o scodella e dei cucchiai di legno… Il letto su cui dormivano insieme era un’asse di legno poggiata su delle pietre squadrate e la coperta era uno straccio trovato per strada. C’era un tavolo traballante nella stanza, una finestra che faceva entrare la luce del sole e che veniva chiusa quando calava la notte e alcune candele spente e consumate in vari punti della casetta.
Il bambino si alzò dal letto con stanchezza e si avvicinò alla sorella. Lei si girò verso di lui e lo guardò interrogativa, per chiedergli cosa avesse. Lui era riluttante a parlare. << Gli incubi… >>
La ragazza si abbassò alla sua altezza e lo zittì, correggendolo:<< Che cosa ti ho detto riguardo a quella brutta parola? Non esistono gli incubi. Sono solo dei sogni che visti da un'altra prospettiva ci mettono paura. >>
Il bambino annuì comprensivo. << Ho fatto uno di quei sogni… >> Mormorò dispiaciuto.
Lei annuì. << Sì, lo so tesoro mio… >> Lo abbracciò per farlo calmare, ma lui era già calmo. Non si stava per mettere a piangere e non aveva intenzione di raccontarle il sogno. Voleva solo essere sicuro che si trattasse solo di quello: un sogno. Per questo aveva lasciato che lo abbracciasse. Dopo poco lo lasciò andare e gli accarezzò a testa. << Perché non vai fuori a giocare un po’? >> Chiese in tono dolce. Il bambino sembrò molto entusiasta a quell’idea, e corse fuori, dopo essersi messo un abito un po’ migliore per andare fuori.
Jamie aveva assistito a tutto questo. Si sentiva parte del ricordo, ma era incorporeo… Non riusciva a muoversi né tantomeno a parlare. Sentiva i suoni e gli odori nella stanza, e vedeva tutto quello che accadeva, ma non poteva muoversi. Era come in un angolo della stanza e assisteva a tutto senza interferire in alcun modo…
Quindi era quel bambino, Pitch. E la ragazza era sua sorella. A occhio e croce i due avevano più o meno le età di Jamie e Sophie… Fratelli e sorelle, sempre lì a proteggersi a vicenda… Nonostante i secoli di distanza, non era cambiato niente in quel legame. Ma ancora non riusciva a capire come fosse potuto diventare ciò che era adesso, Pitch Black, l’Uomo Nero.
All’improvviso, non appena il bambino fu uscito dalla casa, tutto divenne fumoso, i mobili, la ragazza… Tutto prese la consistenza della sabbia e scivolò via come spinta dal vento. Prese posto un’altra scena. C’era sempre il bambino al centro di tutto; era il primo a prendere forma. La scena era una strada di un paese, piena di fango e terra. La gente camminava avanti e indietro e un forte vocio confuso era tutto ciò che si riusciva a udire. Il bambino camminava tra le bancarelle ai lati della strada, mentre su di esse erano esposti diversi prodotti: dai cibi, frutta, pesce, carne, verdura, agli utensili da cucina, come coltelli o cucchiai, fino a oggetti ornamentali…
Il bambino continuava a guardarsi intorno con circospezione. Lui e sua sorella avevano molta fame, e non sempre riuscivano a portare a casa qualcosa da mangiare… In qualche modo si doveva fare per evitare di morire di fame. Stava per fare qualcosa di cui si sarebbe pentito, lo sapeva; sapeva già che avrebbe avuto sensi di colpa per quello, ma era una cosa che andava fatta, per sopravvivere in quel duro mondo. Adocchiò quindi una bancarella di frutta e notando che il mercante si era distratto a mostrare della merce ad alcuni clienti allungò la mano e rapidamente afferrò una mela esposta in una cassa insieme a tante altre. Pensò che nessuno avrebbe fatto caso che nella cesta ne mancava una, e comunque il mercante non sarebbe certo caduto in rovina per una mela soltanto. Però se ne accorse. Perché? Perché il bambino aveva preso l'unica mela rossa in mezzo a decine di mele verdi.
Un urlò possente fece bloccare il bambino, fino a quando un grosso braccio lo strattonò e lo costrinse a lasciare andare la mela. << Piccolo furfante! >> Esclamò furioso quello. << Credi forse che queste le regali agli straccioni come te? >> Lo tirò verso la bancarella, mentre la folla ammutolita si faceva da parte per fare passare l’omone. << Ti insegnerò io a non rubare più… >> Ringhiò mentre il povero bambino cercava di sfuggire alla sua stretta; sapeva che stava per arrivare una punizione, non sapeva che tipo di punizione, ma lui non voleva nemmeno saperlo. Cominciò ad avere paura.
<< Fermo! >> Gridò una voce in mezzo alla folla. Era sua sorella. Si fece strada in mezzo alla gente e raggiunse l’uomo tirandolo da un braccio e pregandolo di fermarsi. Quello si fermò e la fissò esterrefatto.
<< Che vuol dire? >> Chiese incredulo. << Vuoi dirmi che non merita una punizione? >>
La ragazza si fermò ansimante e si piegò dallo sforzo; sembrava che avesse corso a perdifiato fino a lì. << Pagherò… Pagherò io la mela… >> Disse a stento. L’uomo scosse la testa indignato.
<< Sei la madre? >> Chiese con tono minaccioso.
Lei alzò lo sguardo, trattenne il respiro per sembrare più grande e fissò negli occhi l’uomo. << Sono sua sorella. >> Disse con fermezza. << E gli darò la punizione che merita per aver rubato. >>
Adesso il bambino aveva paura, ma non solo; provava vergogna per essere stato colto in flagrante da sua sorella, che aveva dovuto addossarsi la colpa per il suo crimine.
L’uomo sembrò pensare con cura alle parole di lei, ma alla fine scosse la testa. << Non voglio risarcimenti. Voglio dare la lezione che merita a questo ladro! >> Detto questo strattonò con più forza il bambino, che cercò di liberarsi inutilmente.
<< No, aspetta! >> Gridò lei tirandolo inutilmente dalla spalla. << E’ colpa mia! Gli ho detto io di rubare! >>
L’uomo si fermò e si voltò lentamente. Lasciò andare il bambino che si nascose dietro alla sorella e la fissò con delusione. << Insegni questo a tuo fratello? >>
Lei rimase a fissarlo negli occhi con durezza. << La fame mi ha spinto a farlo. Non abbiamo niente e l’unico modo per avere qualcosa da mangiare era quello. >> L’uomo fece andare lo sguardo dal bambino, nascosto dietro le gambe delle sorella, a lei, che stava dritta in piedi e lo fissava con durezza.
Sembrò esitare un po’, di fronte a quei due poveri fratelli, ma a un certo punto si voltò e andò a prendere un coltellaccio. << Allora pagherai tu il prezzo per aver rubato. >> Masticò le parole come se fossero rocce. Lanciò un’occhiata seria alla ragazza, dicendole di avvicinarsi. Lei, anche se riluttante, annuì. Si abbassò su suo fratello e gli disse di non avere paura, di non rubare più e che gli voleva tanto bene. Lo baciò sulla fronte e andò dall’uomo.
La ragazza allungò la mano sinistra su un tavolo, mentre l’uomo ammirava il suo coraggio. Fissò la lama con paura, mentre l’uomo alzava il coltello. Si preparò a ricevere il colpo e strinse i denti. Non voleva guardare.
La gente aveva cominciato ad andarsene già nel momento in cui era stato beccato il ragazzino. Adesso passavano in mezzo alla strada alcune guardie a cavallo, protetti dalle loro armature e con ai fianchi le loro spade.
<< Che cosa succede qui? >> Tuonò l’uomo che sembrava essere il capo del gruppo. Indicò l’uomo con il coltello alzato e gli chiese:<< Che stai facendo? >>
L’uomo impallidì come vide le guardie armate che lo fissavano con asprezza. << Signore, questa ragazza ha tentato di derubarmi… >> Balbettò tremando.
<< E le tagli una mano per quello? Che cosa ha rubato? Una mela? >> Chiese in risposta l’uomo, facendosi aiutare anche dal borbottio della gente. Scese dal cavallo e si fece strada tra le persone per raggiungere l’uomo. << Rubare è sbagliato, ma noi non siamo barbari. >> Fissò prima l’uomo e poi la ragazza, su cui poté vedere tutta la paura e vergogna per quello che stava accadendo. << Credo che una notte in prigione le farà capire i suoi errori, senza dover ricorrere a qualcosa di così drastico. >> Disse con tono amichevole e spostò la mano dell’uomo affinché la ragazza potesse liberarsi.
Anche l’omone sembrava aver cambiato idea, già da prima non sembrava più tanto determinato a punire la ragazza. Annuì accondiscendente guardando prima la ragazza, poi il suo fratellino e poi tornò alla sua bancarella barcollando.
La ragazza era grata alla guardia per averla salvata, ma l’uomo non sembrò accettare nessun ringraziamento. Lei scattò ad abbracciare il fratello e gli sussurrò parole dolci, cercando di calmarlo. Solo in quel momento il bambino si accorse di stare tremando come una foglia e di avere in viso un’espressione atterrita.
<< Non avere paura. >> Disse. << Io torno presto. Tu corri subito a casa e non uscire, domani torno da te. >>
Il bambino non riuscì a trattenere le lacrime e cominciò a piangere, pregandola di non andare, ma lei sapeva di essere stata graziata già troppe volte. Si alzò così in piedi e lasciò che la guardia la guidasse fino al cavallo, dove la legò a una cinghia per evitare di farla scappare – cosa che credette poco possibile, comunque – e si mise a camminare, seguendo le guardie verso la prigione.
Il bambino rimase così in mezzo alla strada ad osservare sua sorella che si allontanava sempre di più e si faceva sempre più piccola, fino a sparire in mezzo alla folla.
Tutto quanto divenne di nuovo fumoso e inconsistente e i ricordi scivolarono via. Il buio prese il sopravvento, e dopo qualche istante una luce illuminò il pavimento. Era una luce proveniente da una finestra, era la luce della Luna. Il bambino era accovacciato sotto la finestra. Era la sua casa. Era solo. Sua sorella era stata portata in prigione per la notte. Si chiese quando quella notte sarebbe passata, se sarebbe riuscito a restare sveglio, per non addormentarsi. Non voleva cadere nel sonno e rimanere preda dei suoi incubi. Questa volta ci sarebbe stata anche sua sorella, a cacciarlo. Aveva questo presentimento.
Si sentiva così male per quello che aveva fatto, aveva fame e freddo, ma non accennava a muoversi per andare a cercare del cibo o una coperta per riscaldarsi. Voleva solo che passasse la notte…
Però il bambino non era in grado di passare una notte intera sveglio. E infatti, dopo poche ore passate a lottare contro il sonno, poco dopo la mezzanotte, tutto quanto assunse la consistenza della sabbia, e il bambino si addormentò.
Si sentiva un suono di zoccoli rapido e continuo. Il bambino era nel buio più assoluto. Era accovacciato contro un muro inesistente. Sentì il rumore degli zoccoli e alzò la testa. Sembrava che si stessere avvicinando. Si alzò in piedi e cercò di vedere attraverso l’ombra, ma era troppo buio. Sentì però che qualcosa di sgradevole stava arrivando. Sentì nitriti e respiri affannosi. La paura si impadronì del suo corpicino e cominciò a scappare.
Dietro di sé comparvero dei giganteschi cavalli neri cavalcati da oscuri cavalieri incappucciati. Stringevano nelle mani delle gigantesche falci e a ogni secondo si avvicinavano sempre un po’ di più. Lui correva a perdifiato lungo quella galleria buia e vuota, ma i cavalieri dei suoi incubi non lo lasciavano solo. Inciampò e rovinò a terra. Si girò e vide i cavalieri rallentare e fermarsi attorno a lui. Erano in sei. Non poteva riconoscerne nessuno, perché indossavano tutti lunghi mantelli e i loro visi erano coperti da cappucci neri. Avevano tutti una corporatura diversa, ma non c’era altro che potesse suggerirgli l’identità di quelle figure. Ce n’era uno centrale, però, che sembrava essere in qualche modo collegato a lui. Lo fissava intensamente, da sotto il suo cappuccio. Fece avvicinare il suo cavallo a lui, poi lentamente si avvicinò una mano al cappuccio e lo tirò.
Era sua sorella. La ragazza aveva stampato in viso un sorriso che il bambino non aveva mai visto prima; era un ghigno malefico, alimentato dal dolore del fratello, che più fissava il suo viso, più si sentiva spaventato.
Fu così che con un lungo urlo il bambino si svegliò dal suo incubo. Era l’alba. Il bambino si era addormentato, sapendo che avrebbe avuto di nuovo incubi. Ma questa volta sua sorella non c’era a rassicurarlo, non c’era per colpa sua.
Si alzò da terra e andò alla porta, intento ad aspettare sua sorella finché non sarebbe arrivata. Aveva detto che sarebbe arrivata quel giorno, ma non aveva capito bene quando, se all’alba, al tramonto, in piena notte… Il bambino aveva ancora fame. Non aveva mangiato niente dal giorno precedente, ma la voglia di mangiare gli era passata quando era stato colto nel tentativo di rubare.
Mentre pensava a queste cose, vide una sagoma avvicinarsi lentamente alla casa, in controluce con il Sole nascente. La riconobbe e le corse incontro.
Quando la raggiunse vide che aveva un aspetto diverso dalla giornata precedente. Era più sciupata e si reggeva a malapena in piedi. I capelli disordinati andavano i tutte le direzioni, e i piedi nudi tremavano a ogni passo e sembravano dover perdere l’equilibro in ogni momento. La ragazza tremava dal freddo e non parlava. Si appoggiò a suo fratello per poter raggiungere la casa e ci volle molto tempo perché ci riuscisse.
Quando furono entrati il bambino la fece sdraiare sul letto, e lei lo ringraziò. << Hai fatto come ti ho detto io? Sei rimasto a casa? >> Chiese mentre lui andava a prenderle dell’acqua da un secchio. Annuì mentre le dava da bere. Vide le sue gambe e le sue braccia; presentavano tutte dei lividi scuri e spaventosi. Aveva un taglio sulla fronte.
Dopo che ebbe bevuto, la ragazza chiuse gli occhi e respirò profondamente, rimanendo in silenzio per alcuni minuti. Il bambino non riusciva a sopportare quel silenzio, e dovette parlare:<< Sei arrabbiata? >> Chiese intimorito. Sua sorella lo fissò incredula. Si allungò verso di lui e lo abbracciò.
<< No. Certo che no, tesoro mio. >> Sussurrò esausta. Sospirò. << Però ti prego, non rubare mai più… E non fare mai niente che ti faccia finire in prigione. >>
<< Pensavo che fossi arrabbiata… >> Mormorò il fratellino sul punto di scoppiare.
<< No. >> Disse lei. << Non potrei mai… >>
<< Ho sognato che mi inseguivi… >> Disse il bambino in lacrime. << Mi inseguivi e mi mettevi paura… >>
<< Non era reale. Niente di tutto quello era reale… >> Mormorò la sorella per farlo calmare. Non voleva vederlo piangere.
Era davvero forte per sopportare tutto quello…
Mentre si abbracciavano, la stanza cominciò a scivolare via, i mobili, le candele, il letto, e infine la ragazza. Poco dopo anche il bambino perse la sua consistenza e si dissolse in sabbia nera.
Ora c’era il buio. Poi una luce proveniente dal cielo che si rivelò essere la Luna. Cominciarono a sentirsi dei suoni lontani che si fecero sempre più vicini. Erano urla, clangore di spade e nitriti di cavalli. Un'altra luce rossa proveniente dal basso illuminava la zona. Erano le fiamme che inglobavano il villaggio. Il bambino guardava da dietro la finestra come la guerra stava distruggendo quel piccolo villaggio dove aveva vissuto lui. Casa loro era fuori dal villaggio, ma non molto lontana. Sua sorella entrò di corsa e chiuse la porta dietro di sé. Afferrò il fratellino dal braccio e lo tirò via dalla finestra.
<< Stai nascosto! >> Gli intimò seria. Il bambino poté vedere la paura nei suoi occhi mentre gli diceva quello. Annuì vigorosamente e si nascose dietro al letto. Lei lo guardò con gli occhi lucidi e gli diede un bacio sulla fronte. << Ti voglio bene. >> Disse con la voce spezzata. La ragazza si sedette a terra, accanto alla porta. Non sapeva cosa volesse fare. Perché non si nascondeva assieme a lui?
Fuori dalla casa cominciarono a sentirsi delle voci. Un vocio che si fece sempre più forte, finché il bambino non le sentì direttamente dietro la porta. Si spaventò quando sentì un colpo sulla porta, ma sua sorella gli fece segno di non muoversi. Se avessero trovato subito lei non avrebbero cercato lui. Era questo il suo piano. Ciò a cui si stava aggrappando con tutte le sue forze; preferiva morire piuttosto che lasciare che prendessero suo fratello.
Ci furono altri colpi alla porta. Il bambino vide una lama scontrarsi contro il legno e spezzarlo. La spada fu tirata indietro e un uomo corpulento e con indosso una scintillante armatura irruppe nella stanza sfondando la porta con una spallata. Non appena fu dentro vide la ragazza accovacciata al muro, con le gambe tra le braccia, e la fissò con occhi infuriati.
<< Alzati! >> Ordinò. La ragazza si alzò tremante e lo pregò di risparmiarla, ma lui la colpì con uno schiaffo, trascinandola fuori.
Il bambino si sentì male. Non riusciva ad assistere a quell’orrore. Si alzò e corse fuori dalla casa, urlando. << Per favore! >> Gridava. << Per favore non fateci del male! >>
Gli uomini si voltarono all’improvviso e lo fissarono increduli. Sua sorella assunse un’espressione disperata.
<< NO! >> Gridò. << Ti avevo detto di restare nascosto! >> Urlò al fratellino.
Un uomo afferrò il bambino e lo strattonò. << Credevi di poterci sfuggire?! Credevi di essere furbo? >>
<< Ti prego! Lascialo stare! >> Gridò la ragazza piangendo. << Non fategli del male! >>
Un uomo dall’aspetto maligno e con una cicatrice sopra un occhio la fissò con un mezzo ghigno e disse:<< Credevi di essere più intelligente di noi? >> La ragazza lo fissò implorandolo di lasciare andare il bambino. << Sai che cosa faccio piuttosto? Ti faccio assistere alla sua morte! >>
<< NO!!! >> Gridò fuori di sé lei. Cercò di dimenarsi, ma gli uomini la tenevano stretta. Allora cercò di guardare da un’altra parte, ma una mano la costrinse a guardare l’uomo che sguainava la spada.
<< PRENDI ME! >> Gridò. Era la sua ultima speranza. << Prendi me e risparmia lui! E’ solo un bambino! >> Lo implorò. L’uomo si fermò con la spada alzata e si voltò a fissare la ragazza. << Prendi me… >> Ripeté con voce debole.
L’uomo sembrò valutare con attenzione le parole della ragazza. Si avvicinò con calma a lei e si abbassò alla sua altezza. La fissò negli occhi con un sorriso divertito. << Vuoi che lo lasci andare e che prenda te al suo posto? >> Lei annuì. << Perché dovrei farlo? >> Chiese stupito. << Vi ho già in pugno! >> Disse con calma.
<< Ucciderci non ti darà niente in cambio. >> Disse la ragazza sudando.
L’uomo si mostrò che pensava all’offerta, si strofinò il mento, alzò lo sguardo al cielo. Tornò a sorridere alla ragazza e disse:<< Potrei fare di te la mia schiava personale… In fondo sei parecchio graziosa, e sono sicuro che svolgerai il tuo compito perfettamente
>> Esalò in un ghigno orrendo.
Ormai si era rassegnata a diventare la schiava di quel mostro. Se fosse servito a salvare suo fratello allora avrebbe accettato il suo destino. L’uomo rise. Proprio quando la ragazza cominciava a pensare che suo fratello si sarebbe salvato, sentì qualcosa di freddo e sottile attraversarle il ventre, e l’espressione dell’uomo cambiò radicalmente.
Il sorriso era sparito. L’uomo era diventato una furia. Aveva trafitto la ragazza con la sua spada, infrangendo tutte le sue speranze. << Non si scende a patti con me! >> Sussurrò l’uomo all’orecchio della ragazza, mentre gli occhi di questa rimanevano fissi su suo fratello. Le sue orecchie captavano qualunque suono, anche il più debole. La ragazza sentì il suo ultimo respiro sfuggirle via dal petto e un inspiegabile freddo prenderla con sé. Sentiva un forte dolore al ventre, ma ancora di più al petto; una fitta lancinante al cuore, che la avrebbe accompagnata fino alla fine.
Il bambino aveva appena assistito alla morte di sua sorella. Lanciò un urlo disperato mentre l’uomo tirava via la lama dal ventre della ragazza. Il corpo di sua sorella si accasciò a terra, e il suo sguardo vuoto si posò sul fratello.
All’uomo non importava. Lui voleva solo uccidere. Si alzò in piedi e guardò la ragazza accasciata ai suoi piedi. << Che spreco, però… >> Mormorò disgustato. Si voltò poi verso il bambino e sorrise maligno.
Il bambino era infuriato. Si dimenava, cercando di dimostrare di non avere paura di loro, ma non era vero. Aveva paura. Aveva paura che dopo sua sorella sarebbe arrivato il suo turno. Aveva paura della spada insanguinata di quell’uomo. Cominciò a urlare. Voleva farla pagare a quegli uomini. Voleva che provassero la sua disperazione. Voleva poter essere in grado di fare qualcosa, per una volta.
La sua rabbia e la sua paura divennero una cosa sola, e in quell’istante una luce accecante illuminò il cielo e la terra, un forte rombo e un grido sovrumano distrussero i timpani dei presenti e una seguente oscurità calò sulla terra.
Nel campo tutti gli uomini erano stati spinti a terra. In piedi c’era solo un uomo alto e magro, pallido, dai capelli corvini e gli occhi grigi e luminosi. Era immobile. La Luna sopra di lui lo contemplava come un artista contempla un'opera appena completata. Il bambino era sparito. Non c’era più né lui, né i suoi ricordi. Al suo posto c’era ora Pitch Black.
Si guardò intorno e vide gli uomini spaventati che cercavano di capire cosa fosse successo. Sentì il potere scorrere nelle sue vene, e non riuscì a trattenere un sorriso soddisfatto. A malapena controllava quella potenza. Non sapeva cosa ci facesse lì, ma sapeva che quella situazione gli piaceva. Lo divertiva vedere come quegli uomini fossero terrorizzati da lui. Allargò le braccia e i suoi Incubi cominciarono a scorrazzare liberi e a inseguire i soldati, che si diedero alla fuga terrorizzati.
Era rimasto da solo a ridere. Rideva mentre vedeva quegli esseri mortali scappare dalle sue creazioni. Si sentiva potente, ma sapeva che quello era solo l’inizio.
Pitch si voltò per andarsene, ma vide del sangue per terra. Alzò lo sguardo e vide una ragazza accasciata a terra in una pozza di sangue con una larga ferita al ventre. La sua pelle pallida e il suo sguardo perso nel vuoto non lasciavano dubbi. Era morta.
Non sapeva perché, ma quella vista gli diede un moto di nostalgia. Fissò con tristezza il corpo della ragazza morta e fece una piccola reverenza, come a salutare quella povera anima…
La scena cominciò a tremare. I soggetti non presero la consistenza della sabbia come le altre volte. Ci furono come dei lampi, delle interferenze. Poi, lentamente, tutto cominciò a svanire, finché non rimase solo il buio, questa volta per davvero.
   
 
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