Capitolo 27
«Odio la neve» borbottò Charles all'ennesima
volta che sprofondò fino al ginocchio nel soffice manto di acqua ghiacciata.
Eravamo stati costretti a lasciare i cavalli all'ultima locanda incontrata e
proseguire a piedi. Quelle povere bestie non ci sarebbero state d'aiuto su una
strada del genere.
Charles si strinse nella redingote
battendo i denti e lanciando imprecazioni, mentre io mi sentii improvvisamente
più leggero nello scorgere in lontananza i soldati all'entrata
dell'accampamento di Valley Forge. «Grazie a Dio.»
Mi ero già pentito di quella
pazzia. Avrei sicuramente litigato con Washington, mi sarei giocato la testa,
per ottenere cosa, alla fine? Nulla. Non ci avrebbe mai dato retta, quel
vecchio testone, ma tentar non nuoce,
mi ripetevo. È meglio coricarsi con la coscienza pulita piuttosto che con la
consapevolezza di non aver mosso un dito, no? E a dire la verità, non ero fatto
per starmene con le mani in mano e aspettare che gli eventi mi passassero
davanti. Non mi era mai piaciuto lasciarmi scivolare addosso ciò che accadeva
intorno a me, assistere e subire passivamente le decisioni degli altri. Per
carità di Dio.
«Ci siamo» la voce di Charles, sollevato nel
vedere i due uomini infreddoliti, mi destò di colpo.
«Non dovrebbero avere difficoltà
nel riconoscerti, no?»
Si alitò sulle mani, chiuse a
conca davanti alla bocca, creando una nuvoletta di condensa. «No. Non dovrebbero esserci
problemi» sentii gli occhi dei due soldati
puntati addosso nonostante fossimo lontani ancora una trentina di metri. Pregai
che riconoscessero Charles e ci facessero entrare, il vento gelido mi aveva intorpidito
il viso e le mani, e la redingote era così fredda e umida da sembrare zuppa
d'acqua.
Ci fermammo davanti ai due, che a
primo impatto non dovevano avere più di trent'anni. «Generale Charles Lee» si presentò prima che
domandassero chi fossimo.
Il più giovane dei due sgranò gli
occhi, scambiandosi un'occhiata con l'amico come se non credesse alle sue
orecchie. «Quel generale Lee?»
«Il solo e unico, ragazzo.»
«Sia lodato il cielo!» Sbatté il calcio del fucile a
terra, come se quel gesto lo avesse potuto rendere più virile e spavaldo. «Vi ha convocato Washington, non è
così? Finalmente, forse non è tutto perduto!»
«Calma l'entusiasmo» alzò entrambe le mani «sono qui per parlare con il
comandante, non ho nessun ordine ufficiale, purtroppo. Non ancora, almeno.»
«Certo, certo, capisco. Entrate
pure.»
«Un momento!» Parlò l'altro soldato,
bloccandoci sulla soglia. «E voi chi sareste?» Si rivolse a me.
Sbuffai. «Haytham Kenway,
e non vedo come il mio nome possa aiutarti a capire chi io sia.» Mi fissò irritato.
«Sta' calmo, Jim» il ragazzino iniziava a starmi
simpatico «possiamo
fidarci se è venuto con il generale Lee.»
L'altro lo guardò compassionevole,
come se fosse l'ultimo degli scemi. D'accordo, in tempo di guerra la prudenza
non è mai troppa, ma dubitando di me stava insultando l'intelligenza di Charles,
che secondo lui non era in grado di accorgersi di una truffa. «Potrebbe essere un impostore, che
ne sai? Ci vuole cautela!»
«Finiscila» il mio pupillo tagliò corto,
stroncando quella discussione senza senso. «Il Signor Kenway
è un mio amico, è una persona fidata e si è offerto di aiutarmi in questa
guerra. Quindi lasciateci passare, è una questione piuttosto urgente.»
Il ragazzo spinse di poco il
compagno. «Hai
visto? Testone!» Ignorai i loro stupidi battibecchi e li superai, seguito da
Charles e dal suo nervosismo. Notai che guardava ogni angolo, ogni particolare,
scuotendo il capo e schioccando la lingua sul palato circa ogni dieci secondi. «Hai visto qualcosa che non va?» Domandai curioso.
«È un disastro» commentò. In risposta sollevai un
sopracciglio e guardai indietro, mentre avanzavamo in direzione della tenda di
George. «Guardate là» indicò un portafucili
rotto con le armi a terra, semi nascoste dalla neve. I rifornimenti malamente
accatastati tra una tenda e l'altra, vicino ai secchi colmi d'acqua che i
soldati usavano per lavarsi -se si lavavano-.
«Cristo»
«È un povero idiota, non conosce
nemmeno le nozioni base come l'igiene o l'ordine delle armi. Dah, per non parlare di loro» seguii il suo sguardo, incontrando
un gruppo di uomini sbracati a terra a riempire lo stomaco di chissà quale
liquore.
«Cerca di stare calmo, d'accordo?»
«So già che non ci riuscirò!
Quell'inetto se ne sta ore e ore nella sua tenda a leggere lettere consumate e
non muove un dito, porca puttana!» Aveva ragione, sembrava che non
gli importasse nulla delle condizioni dell'esercito, e se Connor
fosse stato presente, sarebbe stato costretto ad ammettere che l'organizzazione
non era delle più eccellenti.
«Lo so che vorresti mettergli le mani
al collo, ma vedi di trattenerti.»
«Generale Lee!» Un soldato ci bloccò la strada,
guardando Charles come fosse Dio sceso in terra. «È un sollievo vedervi, grazie per
essere venuto ad aiutarci!» Non aggiunse altro e corse via, forse in qualche tenda, a
ripararsi dal vento pungente e dalla neve che aveva ripreso a cadere.
«Lo conosci?»
«Di vista, credo fosse nella mia
truppa durante la battaglia di Lexington.»
Sogghignai. «Un miracolato, allora.»
«Già» Charles era sempre stato amato dai
soldati, ma dopo Lexington e Concord la loro stima nei suoi confronti era
aumentata, dato che aveva fatto scampare la morte a centinaia dei suoi. Aveva
palesemente disobbedito a Washington, che nella sua ignoranza credeva che
lanciarsi nella mischia avrebbe risolto qualcosa, preferendo la ritirata. Non
capii quale fosse il motivo di tanta rabbia, francamente. Ormai la maggioranza
sosteneva che George fosse un idiota, fallimento più fallimento meno cosa
cambiava? Nulla, tranne, appunto, quei cento e passa soldati in più per noi. E
nonostante tutto, Charles aveva dovuto sopportare in silenzio una lavata di
capo di un paio d'ore, senza mai ribattere o giustificarsi.
«Non pensarci ora, sai che ho
appoggiato la tua decisione, ma non scaldarti per quella faccenda» vidi la tenda del comandante e
istintivamente allungai il passo, impaziente di avere un po' di riparo.
«Fosse facile» fu l'ultima cosa che Lee borbottò
prima di raggiungere George, girato di spalle e ignaro della nostra presenza.
«Comandante.» Charles attirò la sua attenzione,
facendolo voltare di scatto. Realizzò dopo pochi istanti chi aveva davanti, e
mi si gonfiò il petto d'orgoglio nel vedere la sua espressione quando vide il
sottoscritto.
«Voi» disse con acidità «cosa fate ancora nel mio
accampamento?»
Sollevai i palmi. «Calmatevi. Non sono qui per
discutere con voi, ho solo accompagnato il generale Lee a farvi visita. Fate come
se non ci fossi.» Detto ciò abbassai le mani e avanzai verso l’interno della
tenda, trovando un po’ di sollievo. Mi guardò con astio, forse ricordava ancora
il nostro ultimo incontro, quando gli avevo esplicitamente detto che prima o
poi l’avrei ammazzato. Sì, sicuramente era così.
Fortunatamente mi considerò per
poco, concentrandosi poi su Charles, che pazientemente attendeva di essere
ascoltato. «Parlate
allora. Cosa vi porta qui, generale?»
«Il dovere, Signore.» Schiena dritta, braccia lungo i
fianchi. «Ho
ritenuto opportuno venire a darvi qualche consiglio,
se permettete.»
Charles alzò di poco il mento, fiero di sé e della sua parlantina.
«Vi state burlando della mia
pazienza, generale?!» George si sforzò di tenere un tono basso e pacato, ma il
volto paonazzo tradiva il suo autocontrollo. Avrebbe voluto prenderlo a sberle –perché
i pugni erano troppo virili per uno come lui-, ma mai avrebbe osato tanto. Era poco
amato, schiaffeggiare l’idolo di molti soldati non era una mossa saggia.
«No, Signore, con tutto il
rispetto, ma i vostri risultati sono abbastanza scarsi. Di questo passo
perderemo la guerra, se ne rende conto, vero?» Sorrisi impercettibilmente.
Nonostante il contenuto fosse poco gentile, Charles aveva usato toni pacati ed
educati.
«Rispetto!» Urlò con quella sua vocetta
odiosamente acuta. «Io esigo rispetto,
generale Lee, siamo intesi?» Fremeva di rabbia, i pugni chiusi, tremanti, e le nocche
bianche. Osa picchiarlo e ti faccio ingoiare
i denti, George.
Prese a girargli intorno come un
avvoltoio, squadrandolo da capo a piedi con sdegno. «Con che coraggio venite qui a dare
ordini a me? Dovreste essere onorato di essere un mio diretto sottoposto, vi ho
scelto personalmente come segno di stima e fiducia, e voi cosa fate?» Gli si fermò di fronte, sibilando
a denti serrati le ultime parole. «Venite qui per darmi consigli. No, grazie.» Iniziai a tamburellare un piede,
conscio che di lì a breve Charles avrebbe perso l’autocontrollo e gli avrebbe
sputato in faccia.
«Vi sto offrendo il mio aiuto senza
pretendere riconoscimenti, dovreste essermi grato!» Vomitò alzando il tono, i denti
scoperti in una smorfia irritata e le sopracciglia corrucciate. «Parliamoci chiaro, comandante. Se
fossi io a dare gli ordini, se fossi io a dirigere le operazioni, a muovere
le truppe, la situazione potrebbe migliorare.» Anche perché peggio di così si muore.
Washington non rispose. Si limitò
a fissare Lee con odio e a deglutire rumorosamente, lasciandoci col fiato
sospeso per un minuto abbondante.
«Sparite dalla mia vista.» Sibilò infine voltando le spalle a
Charles.
«Ragionate! Volete vincere la
guerra o ne state facendo una questione di orgoglio? Se vi impuntate in questo
modo non otterrete nulla!» Mi trattenni per non intervenire. ‘Sta calmo.
«Andate via, ora!» Guardai Charles ed annuii
impercettibilmente, suggerendogli di dargli retta. Avanzai verso i due, superando
il comandante e affiancando Lee, posandogli una mano sulla spalla per calmarlo.
«Voi state giocando con la vita di
quegli uomini per non darmi la soddisfazione di prendere il comando, non avete
un briciolo di vergogna?» Tentò di avanzare, ma feci pressione con la mano e lo tenni
fermo. «Ve ne state tutto il tempo qui, al
riparo, e in battaglia state nelle retrovie, mandando al macello i soldati, ma
questa situazione non durerà a lungo, statene certo.»
«Adesso basta» gli sussurrai, mentre George
rideva di gusto.
«Impegnatevi pure per togliermi il
comando, generale. La vostra presunzione vi porterà sotto terra prima del
tempo.»
Serrai la presa sulla giacca di
Charles e lo tirai via prima che uno dei due finisse in una pozza di sangue.
Come temevo, la visita si era
rivelata un buco nell’acqua, ma almeno mi confermò ciò che avevo in progetto dall’inizio:
andava ucciso.
Salve :3. Parlo a voi che non apprezzate Charlie: dovete
ammettere che ha dannatamente ragione, su. Templare o no, è un generale con i controcazzi –i francesismi post Unity,
capitemi, lol-.
Ma finiamola qui, tre righe di commenti e ho già scritto
idiozie, quiiiindi ringrazio come sempre chi legge e
chi spreca cinque minuti per lasciare una recensione. Siete l’ammoreh, a lunedì prossimo!