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Autore: vegeta4e    19/01/2015    4 recensioni
Haytham e Connor sono alla ricerca di B. Church, colpevole di aver tradito l'Ordine Templare e di aver sottratto a Washington i rifornimenti destinati all'Esercito Continentale. Il birrificio di New York è palesemente abbandonato e questo piccolo dettaglio obbligherà padre e figlio a collaborare, costringendo il Gran Maestro a lavorare separatamente sia con Charles sia con il figlio. Successivamente Haytham li convincerà a cooperare, tentando di metter da parte l'odio tra Assassini e Templari per raggiungere uno scopo più grande, desiderato da entrambe le fazioni: vincere la guerra contro gli Inglesi.
Ma non sarà questo l'unico intoppo. Torneranno vecchie conoscenze, vecchi problemi che H. Kenway credeva di essersi lasciato alle spalle. A cosa dare la precedenza? Ad una richiesta d'aiuto o a Washington che, battaglia dopo battaglia, sta perdendo sempre più terreno?
Questi eventi coinvolgeranno anche Connor e Charles Lee, nel bene e nel male.
Dal testo:
Charles e Connor entrarono nella sala, notandomi assente e pensieroso.
«Signore? Che succede?» Sospirai nuovamente, premendomi due dita alla base del naso.
«Temo di dovervi lasciare soli nelle prossime missioni. Devo tornare in Europa» annunciai tornando in posizione eretta per darmi un contegno.
Genere: Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charles Lee, Connor Kenway, Haytham Kenway, Jenny Kenway
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo 27

 

«Odio la neve» borbottò Charles all'ennesima volta che sprofondò fino al ginocchio nel soffice manto di acqua ghiacciata. Eravamo stati costretti a lasciare i cavalli all'ultima locanda incontrata e proseguire a piedi. Quelle povere bestie non ci sarebbero state d'aiuto su una strada del genere.

Charles si strinse nella redingote battendo i denti e lanciando imprecazioni, mentre io mi sentii improvvisamente più leggero nello scorgere in lontananza i soldati all'entrata dell'accampamento di Valley Forge. «Grazie a Dio.»

Mi ero già pentito di quella pazzia. Avrei sicuramente litigato con Washington, mi sarei giocato la testa, per ottenere cosa, alla fine? Nulla. Non ci avrebbe mai dato retta, quel vecchio testone, ma tentar non nuoce, mi ripetevo. È meglio coricarsi con la coscienza pulita piuttosto che con la consapevolezza di non aver mosso un dito, no? E a dire la verità, non ero fatto per starmene con le mani in mano e aspettare che gli eventi mi passassero davanti. Non mi era mai piaciuto lasciarmi scivolare addosso ciò che accadeva intorno a me, assistere e subire passivamente le decisioni degli altri. Per carità di Dio.

«Ci siamo» la voce di Charles, sollevato nel vedere i due uomini infreddoliti, mi destò di colpo.

«Non dovrebbero avere difficoltà nel riconoscerti, no?»

Si alitò sulle mani, chiuse a conca davanti alla bocca, creando una nuvoletta di condensa. «No. Non dovrebbero esserci problemi» sentii gli occhi dei due soldati puntati addosso nonostante fossimo lontani ancora una trentina di metri. Pregai che riconoscessero Charles e ci facessero entrare, il vento gelido mi aveva intorpidito il viso e le mani, e la redingote era così fredda e umida da sembrare zuppa d'acqua.

Ci fermammo davanti ai due, che a primo impatto non dovevano avere più di trent'anni. «Generale Charles Lee» si presentò prima che domandassero chi fossimo.

Il più giovane dei due sgranò gli occhi, scambiandosi un'occhiata con l'amico come se non credesse alle sue orecchie. «Quel generale Lee?»

«Il solo e unico, ragazzo.»

«Sia lodato il cielo!» Sbatté il calcio del fucile a terra, come se quel gesto lo avesse potuto rendere più virile e spavaldo. «Vi ha convocato Washington, non è così? Finalmente, forse non è tutto perduto!»

«Calma l'entusiasmo» alzò entrambe le mani «sono qui per parlare con il comandante, non ho nessun ordine ufficiale, purtroppo. Non ancora, almeno.»

«Certo, certo, capisco. Entrate pure.»

«Un momento!» Parlò l'altro soldato, bloccandoci sulla soglia. «E voi chi sareste?» Si rivolse a me.

Sbuffai. «Haytham Kenway, e non vedo come il mio nome possa aiutarti a capire chi io sia.» Mi fissò irritato.

«Sta' calmo, Jim» il ragazzino iniziava a starmi simpatico «possiamo fidarci se è venuto con il generale Lee.»

L'altro lo guardò compassionevole, come se fosse l'ultimo degli scemi. D'accordo, in tempo di guerra la prudenza non è mai troppa, ma dubitando di me stava insultando l'intelligenza di Charles, che secondo lui non era in grado di accorgersi di una truffa. «Potrebbe essere un impostore, che ne sai? Ci vuole cautela!»

«Finiscila» il mio pupillo tagliò corto, stroncando quella discussione senza senso. «Il Signor Kenway è un mio amico, è una persona fidata e si è offerto di aiutarmi in questa guerra. Quindi lasciateci passare, è una questione piuttosto urgente.»

Il ragazzo spinse di poco il compagno. «Hai visto? Testone!» Ignorai i loro stupidi battibecchi e li superai, seguito da Charles e dal suo nervosismo. Notai che guardava ogni angolo, ogni particolare, scuotendo il capo e schioccando la lingua sul palato circa ogni dieci secondi. «Hai visto qualcosa che non va?»  Domandai curioso.

«È un disastro» commentò. In risposta sollevai un sopracciglio e guardai indietro, mentre avanzavamo in direzione della tenda di George. «Guardate là» indicò un portafucili rotto con le armi a terra, semi nascoste dalla neve. I rifornimenti malamente accatastati tra una tenda e l'altra, vicino ai secchi colmi d'acqua che i soldati usavano per lavarsi -se si lavavano-.

«Cristo»

«È un povero idiota, non conosce nemmeno le nozioni base come l'igiene o l'ordine delle armi. Dah, per non parlare di loro» seguii il suo sguardo, incontrando un gruppo di uomini sbracati a terra a riempire lo stomaco di chissà quale liquore.

«Cerca di stare calmo, d'accordo?»

«So già che non ci riuscirò! Quell'inetto se ne sta ore e ore nella sua tenda a leggere lettere consumate e non muove un dito, porca puttana!» Aveva ragione, sembrava che non gli importasse nulla delle condizioni dell'esercito, e se Connor fosse stato presente, sarebbe stato costretto ad ammettere che l'organizzazione non era delle più eccellenti.

«Lo so che vorresti mettergli le mani al collo, ma vedi di trattenerti.»

«Generale Lee!» Un soldato ci bloccò la strada, guardando Charles come fosse Dio sceso in terra. «È un sollievo vedervi, grazie per essere venuto ad aiutarci!» Non aggiunse altro e corse via, forse in qualche tenda, a ripararsi dal vento pungente e dalla neve che aveva ripreso a cadere.

«Lo conosci?»

«Di vista, credo fosse nella mia truppa durante la battaglia di Lexington.»

Sogghignai. «Un miracolato, allora.»

«Già» Charles era sempre stato amato dai soldati, ma dopo Lexington e Concord la loro stima nei suoi confronti era aumentata, dato che aveva fatto scampare la morte a centinaia dei suoi. Aveva palesemente disobbedito a Washington, che nella sua ignoranza credeva che lanciarsi nella mischia avrebbe risolto qualcosa, preferendo la ritirata. Non capii quale fosse il motivo di tanta rabbia, francamente. Ormai la maggioranza sosteneva che George fosse un idiota, fallimento più fallimento meno cosa cambiava? Nulla, tranne, appunto, quei cento e passa soldati in più per noi. E nonostante tutto, Charles aveva dovuto sopportare in silenzio una lavata di capo di un paio d'ore, senza mai ribattere o giustificarsi.

«Non pensarci ora, sai che ho appoggiato la tua decisione, ma non scaldarti per quella faccenda» vidi la tenda del comandante e istintivamente allungai il passo, impaziente di avere un po' di riparo.

«Fosse facile» fu l'ultima cosa che Lee borbottò prima di raggiungere George, girato di spalle e ignaro della nostra presenza.

«Comandante.» Charles attirò la sua attenzione, facendolo voltare di scatto. Realizzò dopo pochi istanti chi aveva davanti, e mi si gonfiò il petto d'orgoglio nel vedere la sua espressione quando vide il sottoscritto.

«Voi» disse con acidità «cosa fate ancora nel mio accampamento?»

Sollevai i palmi. «Calmatevi. Non sono qui per discutere con voi, ho solo accompagnato il generale Lee a farvi visita. Fate come se non ci fossi.» Detto ciò abbassai le mani e avanzai verso l’interno della tenda, trovando un po’ di sollievo. Mi guardò con astio, forse ricordava ancora il nostro ultimo incontro, quando gli avevo esplicitamente detto che prima o poi l’avrei ammazzato. Sì, sicuramente era così.

Fortunatamente mi considerò per poco, concentrandosi poi su Charles, che pazientemente attendeva di essere ascoltato. «Parlate allora. Cosa vi porta qui, generale?»

«Il dovere, Signore.» Schiena dritta, braccia lungo i fianchi. «Ho ritenuto opportuno venire a darvi qualche consiglio, se permettete.» Charles alzò di poco il mento, fiero di sé e della sua parlantina.

«Vi state burlando della mia pazienza, generale?!» George si sforzò di tenere un tono basso e pacato, ma il volto paonazzo tradiva il suo autocontrollo. Avrebbe voluto prenderlo a sberle –perché i pugni erano troppo virili per uno come lui-, ma mai avrebbe osato tanto. Era poco amato, schiaffeggiare l’idolo di molti soldati non era una mossa saggia.

«No, Signore, con tutto il rispetto, ma i vostri risultati sono abbastanza scarsi. Di questo passo perderemo la guerra, se ne rende conto, vero?» Sorrisi impercettibilmente. Nonostante il contenuto fosse poco gentile, Charles aveva usato toni pacati ed educati.

«Rispetto!» Urlò con quella sua vocetta odiosamente acuta. «Io esigo rispetto, generale Lee, siamo intesi?» Fremeva di rabbia, i pugni chiusi, tremanti, e le nocche bianche. Osa picchiarlo e ti faccio ingoiare i denti, George.

Prese a girargli intorno come un avvoltoio, squadrandolo da capo a piedi con sdegno. «Con che coraggio venite qui a dare ordini a me? Dovreste essere onorato di essere un mio diretto sottoposto, vi ho scelto personalmente come segno di stima e fiducia, e voi cosa fate?» Gli si fermò di fronte, sibilando a denti serrati le ultime parole. «Venite qui per darmi consigli. No, grazie.» Iniziai a tamburellare un piede, conscio che di lì a breve Charles avrebbe perso l’autocontrollo e gli avrebbe sputato in faccia.

«Vi sto offrendo il mio aiuto senza pretendere riconoscimenti, dovreste essermi grato!» Vomitò alzando il tono, i denti scoperti in una smorfia irritata e le sopracciglia corrucciate. «Parliamoci chiaro, comandante. Se fossi io a dare gli ordini, se fossi io a dirigere le operazioni, a muovere le truppe, la situazione potrebbe migliorare.» Anche perché peggio di così si muore.

Washington non rispose. Si limitò a fissare Lee con odio e a deglutire rumorosamente, lasciandoci col fiato sospeso per un minuto abbondante.

«Sparite dalla mia vista.» Sibilò infine voltando le spalle a Charles.

«Ragionate! Volete vincere la guerra o ne state facendo una questione di orgoglio? Se vi impuntate in questo modo non otterrete nulla!» Mi trattenni per non intervenire. ‘Sta calmo.

«Andate via, ora!» Guardai Charles ed annuii impercettibilmente, suggerendogli di dargli retta. Avanzai verso i due, superando il comandante e affiancando Lee, posandogli una mano sulla spalla per calmarlo.

«Voi state giocando con la vita di quegli uomini per non darmi la soddisfazione di prendere il comando, non avete un briciolo di vergogna?» Tentò di avanzare, ma feci pressione con la mano e lo tenni fermo. «Ve ne state tutto il tempo qui, al riparo, e in battaglia state nelle retrovie, mandando al macello i soldati, ma questa situazione non durerà a lungo, statene certo.»

«Adesso basta» gli sussurrai, mentre George rideva di gusto.

«Impegnatevi pure per togliermi il comando, generale. La vostra presunzione vi porterà sotto terra prima del tempo.»

Serrai la presa sulla giacca di Charles e lo tirai via prima che uno dei due finisse in una pozza di sangue.

Come temevo, la visita si era rivelata un buco nell’acqua, ma almeno mi confermò ciò che avevo in progetto dall’inizio: andava ucciso.

 

 

Salve :3. Parlo a voi che non apprezzate Charlie: dovete ammettere che ha dannatamente ragione, su. Templare o no, è un generale con i controcazzi –i francesismi post Unity, capitemi, lol-.

Ma finiamola qui, tre righe di commenti e ho già scritto idiozie, quiiiindi ringrazio come sempre chi legge e chi spreca cinque minuti per lasciare una recensione. Siete l’ammoreh, a lunedì prossimo!

 

 

 

   
 
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