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Autore: KokoroLilium    20/01/2015    1 recensioni
"Le voci che corrono sono così, parlano della polvere depositata su vecchie valigie mai disfatte come di pericolosa polvere da sparo.
E così del ragazzo in cima al faro si diceva fosse figlio delle stelle, dagli occhi argentei sempre rivolti verso il cielo in nostalgici sospiri, o che addirittura fosse un fantasma solitario, lo spirito del figlio di un qualche marinaio o pescatore spinto troppo a largo dalla corrente impetuosa.
[...] le voci erano arrivate anche alle orecchie di un ragazzo curioso ed appassionato di antiche leggende. Si chiamava Kyungsoo e la sua curiosità lo avrebbe portato molto lontano o molto vicino, sul ciglio della scogliera. In cima al faro."
{KaiSoo | side! Sekai}
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: D.O., D.O., Kai, Kai
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Poche parole: Here I am, finalmente puntuale dopo il capitolo V, ma non mi aspetto riconoscimenti per questo. Ho sbagliato troooooppe volte, già. As usual, ringrazio Cheshire_ , la mia Joja, a cui rompo eternamente le balle per avere approvazioni su ciò che scrivo e per farmi sentire che non sono proprio così inutile.
Buona lettura.










VI.
- Jongin è un ragazzo strano. Alla fine sono tornato davvero a trovarlo, e più di una volta, sai? Vado da lui quasi ogni giorno, non so neanche il motivo preciso per cui lo faccio, ma ho imparato a conoscerlo abbastanza bene. E’ sempre distante, stralunato – un sorriso dolce si fa spazio sulle labbra di Kyungsoo. – però è un ragazzo a posto. Voglio dire, non è pericoloso, né scontroso… credo sia depresso. Sono anni che aspetta chiuso in quel faro il ritorno del suo amato, dice che lo aspetterà ogni giorno finché non tornerà, proprio come nei film.
Il discorso di Kyungsoo venne interrotto da un’infermiera entrata annunciando gentilmente l’arrivo della nuova flebo per sua madre che, da ormai un paio di settimane, era talmente deperita da non riuscire neanche più a reggersi sulla scomoda poltrona accanto alla finestra e giaceva ora nel letto freddo, con un paio di coperte sulle gambe.
Kyungsoo stava seduto accanto a lei e le raccontava di Jongin e del faro, sempre di Jongin, sempre del faro, ed improvvisamente si ritrovò a pensare che forse la sua vita stava diventando un’appendice di quella dell’altro ragazzo.
Quando l’infermiera uscì, Kyungsoo non aveva più nulla da dire. Continuava a sembrargli troppo vacuo lo sguardo di sua madre, troppo distante, e si sentii di star parlando ad un muro. Era una di quelle che da sempre chiamava “giornate del silenzio”, in cui non importa quanto si sforzasse, non riusciva a vedere la propria mamma come viva, non più.
Lei respirava. Respirava e basta.
Kyungsoo si alzò e sfiorò con una fugace carezza la guancia della donna, sentendo la malinconia montare dentro di se.
- Vado, mamma – disse. – Vado a trovare Jongin.
Perché naturalmente sapeva che era l’unica cosa da fare, in un giorno così triste, piovoso.
Kyungsoo fuggì dalla stanza a passo svelto, ed altrettanto velocemente si fiondò nell’abitacolo asciutto della propria auto, per poi sfrecciare dritto verso la costa, verso il faro, dandosi intanto dello stupido per aver pensato che trovare ascolto in clinica da sua madre fosse una buona idea e quasi incantato dalle placide gocce di pioggia che scorrevano sui vetri della vettura.
Quando arrivò, i pochi metri che fu costretto a percorrere a piedi nella sabbia furono abbastanza da permettere alla pioggia di stendersi uniformemente sui suoi vestiti ed entrando nel faro fu perplesso nell’udire la porta al piano superiore sbattere.
- Jongin? – chiamò, restando qualche attimo fermo sulla soglia, ma poiché non ottenne risposta, decise di farsi avanti ed intraprendere la solita corsa su per le scale a chiocciola.
Più Kyungsoo si avvicinava alla stanza, e più le sue orecchie si affilavano e chiudevano attorno all’ascolto di piccoli e quasi impercettibili lamenti, sempre più definiti, sempre più frequenti, man mano che si avvicinava. Lentamente, quasi come se avesse paura di rivelare a sé stesso la natura di quei suoni, raggiunse la porta della camera ed abbassò la maniglia.
Ogni luce era spenta, solo i grigi riflessi di quel tardo pomeriggio illuminavano il letto sfatto e il pavimento vuoto, sottolineando con drammaticità l’assenza di Jongin, o quella che perlomeno sembrava tale, ma Kyungsoo sapeva bene che quei singhiozzi non potevano provenire affatto dal grumo di coperte ammucchiate disordinatamente sul materasso, né dalle gocce di pioggia che bussavano alla finestra, così con veloci falcate attraversò la stanza ed aggirò il letto.
Si ritrovò ad osservare allibito Jongin nella sua immagine più disperata, più straziante, accucciato su sé stesso con il capo poggiato al bordo del letto, le ginocchia al petto, con il volto contratto in una pura espressione di dolore ed inondato da fiumi salati di lacrime. Aveva una mano tra i capelli e pareva volerseli strappare uno ad uno, l’altra mano era invece stretta a pugno attorno alla maglia chiara, all’altezza del petto.
A Kyungsoo sembrò che volesse in qualche modo scavare con gli artigli, sanguinare, arrivare al cuore, e gli parve di sentire lo sterno del ragazzo incrinarsi sotto il peso di tanta rabbia. Accanto a lui, sul pavimento, stava un foglio di carta floscio, come se fosse stato letto e riletto miriadi di volte, allora Kyungsoo lo prese e capì la natura delle lacrime di Jongin.
Se non avesse conosciuto la storia di quel ragazzo angelo, non avrebbe mai capito quanta disperazione potesse portare nella sua vita una lettera in cui si annunciava la demolizione del faro di lì a soli dieci giorni ed il sarcasticamente cordiale invito a sgomberare lo spazio abitato al suo interno prima dell’arrivo delle gru e della palla demolitrice.
Kyungsoo sentii anche le proprie costole spezzarsi insieme allo sterno di Jongin, la propria nuca pulsare quando lo guardò negli occhi e vi lesse una straziante richiesta d’aiuto, ed in un attimo prese ed attuò la decisione di inginocchiarsi accanto al ragazzo e stringerlo a sé. Le mani tremanti di Jongin smisero così di tormentare il proprio petto e la propria pelle e si tuffarono a stringere le spalle di Kyungsoo. Jongin sembrava un naufrago ancorato ad un'unica tavola di legno, perduto tra le onde durante una tempesta, in balia del mare e dei fulmini.
- Io devo aspettarlo – singhiozzò contrò il collo di Kyungsoo, che intanto lo teneva stretto, più stretto che poteva. – Gliel’ho promesso… gliel’ho promesso….
Kyungsoo lo strinse ulteriormente a sé e, sentendo le sue parole colpire a fondo la sua stessa carne, lasciò che quelle stesse venissero assorbite dalla propria pelle, lasciò che pungessero il suo cuore e lo facessero sanguinare, sperando che se si fosse trasformato in un sacco di riso da prendere a pugni, il dolore di Jongin si sarebbe acquietato.
- Io gliel’ho promesso, Kyungsoo, non posso andare via – continuò. – Io devo aspettarlo!
- Allora aspetterò con te.
Le parole vennero fuori ruggendo, sovrastando ogni tremore, ogni colpo, sovrastando anche i fulmini di cui il cielo e il mare erano tempestati, e da quel momento tutto sembrò essere più calmo, più silenzioso.
Si sentivano nel faro solo i singhiozzi di Jongin e il suo invocare il nome di Sehun, mentre Kyungsoo lo teneva stretto a sé e sapeva che avrebbe fatto male, ma non l’avrebbe mai lasciato andare in balia delle onde.

- Hai presente il mio rifugio, Kyungsoo yah? Quello dove mi hai trovato a dormire.
Le parole di Jongin suonavano ovattate, esauste contro il petto di Kyungsoo che, sdraiato ora accanto a lui sul letto, gli accarezzava con dolcezza i capelli spettinati.
- Era il posto dove io e Sehun andavamo a dormire quando lui tornava – continuò Jongin, ora più calmo ed armonizzato con la pioggia che scendeva giù dal cielo senza più fulmini. – La sua pelle sapeva ancora di sale, e tante volte sulle sue braccia si formava un sottile strato di salsedine su cui adoravo disegnare -. La sua voce era incerta, i suoi occhi socchiusi vagavano in ricordi lontani. – Ci sono alcune coperte nel rifugio che sanno ancora vagamente di lui… o forse lo immagino, sai?
Kyungsoo non aveva il coraggio di chiedergli il silenzio, non aveva il coraggio di porre i propri sentimenti davanti al dolore di Jongin, che era un ragazzo angelo, ed era un ragazzo solo, a cui erano rimaste solo coperte ed una bella vista sull’oceano sterminato.
Kyungsoo stringeva a sé Jongin e pensava a tutte le voci che si aggiravano attorno a quel ragazzo ed ora forse anche attorno a lui, pensava alla voce di quella bambina al minuscolo negozio d’alimentari vicino casa sua da cui aveva appreso la leggenda nelle sue versioni più incredibili. Di Jongin, per quanto Kyungsoo ne sapeva, si diceva fosse figlio delle stelle, o un fantasma solitario, lo spirito del figlio di un qualche marinaio o pescatore spinto troppo a largo dalla corrente impetuosa, ma sapeva ormai che Kim Jongin altro non era che un ragazzo triste e innamorato.
Sentiva il proprio cuore inabissarsi nella consapevolezza di star diventando lui stesso come il ragazzo dai capelli disordinati che stringeva tra le braccia, ma quasi senza accorgersene, come se si stesse solamente addormentando, si ritrovò a guardare a sé stesso come a un ragazzo pronto a far parte delle numerose leggende che illuminavano ancora il faro. Un ragazzo triste e innamorato.





  
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