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Autore: WandererS    20/01/2015    2 recensioni
La prima trasformazione dei Malandrini in Animagi: una storia di paure, speranze, coraggio e, soprattutto, amicizia.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Peter Minus, Remus Lupin, Sirius Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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James Potter
 
Il cuore gli batteva a mille.
Stavano uscendo dalla scuola a tarda sera, e se fossero stati beccati da un insegnante o da quell’impiccione di Gazza, il nuovo custode Magonò, sarebbero stati guai, ma non era quello il motivo del pulsare accelerato sotto il grifone rampante cucito sul suo petto.
Si stavano dirigendo verso la Foresta Proibita, popolata da creature oscure e potenzialmente mortali, ma non per questo le sue mani sudavano tanto da doverle strofinare ogni pochi passi sulla nera veste da mago.
Stavano per tentare un incantesimo complesso e potente, che avrebbe potuto avere conseguenze assai spiacevoli se non eseguito correttamente, ma questo non spiegava le gocce di sudore che gli imperlavano la fronte, nonostante i gelidi spifferi che caratterizzavano i corridoi di Hogwarts nel periodo autunnale, e gli facevano scivolare continuamente gli occhiali sul naso. Un incantesimo illegale, tanto per la cronaca.
Stavano andando incontro, consapevolmente e spontaneamente, ad una delle creature più pericolose del mondo magico, odiata e temuta da ogni mago e strega fin dall’infanzia, quando popolava fiabe, leggende e incubi spaventosi, ma non a causa di ciò le sue dita correvano frenetiche all’impugnatura della bacchetta ad ogni minimo fruscio.
James Potter era così teso, tanto da proiettare quasi un’aura d’ansia attorno al proprio corpo, solitamente disinvolto e sicuro di sé al limite dell’arroganza, per il timore del fallimento e delle conseguenze che questo avrebbe potuto avere. Non per lui, era abbastanza incosciente e scapestrato da fregarsene della propria incolumità. Qualcuno avrebbe potuto persino definirlo “coraggioso”. No, temeva piuttosto l’effetto della loro sconfitta sul mostro. Sul lupo mannaro. Sul suo migliore amico.
Remus Lupin, licantropo e suo migliore amico (insieme ai due giovani maghi che ora gli camminavano al fianco) da sei anni e un paio di mesi (“amico”, s’intende, non “licantropo”, quello lo era già da ben prima, ovvio…), era un ragazzo dall’animo sensibile, gentile e intelligente, ma a causa della povertà e di quel suo “piccolo problema peloso”, come lo chiamava James in pubblico da qualche anno, aveva solo tre amici. Non gli erano stati alla larga quando, saliti per la prima volta sull’Espresso di Hogwarts, si erano seduti nello stesso scompartimento di quel ragazzino timido, con il viso solcato da diverse cicatrici e gli abiti lisi e rattoppati. Non l’avevano abbandonato quando, diversi mesi più tardi, avevano scoperto che il motivo del suo strano comportamento e delle sue periodiche assenze era la licantropia. Remus non avrebbe sopportato di perderli per quisquilie come un incantesimo finito male o un attacco di un’Acromantula gigante, né tanto meno avrebbe potuto rassegnarsi ad una loro tardiva rinuncia, non dopo la luce di speranza, gratitudine e felicità che gli si era accesa negli occhi ambrati dopo numerosi quanto vani tentativi di distogliere gli amici dal loro proposito.
Distogliendo i pensieri da Remus e dai suoi infruttuosi discorsi su quanto fosse “pericoloso” e “illegale” ciò che avevano intenzione di fare, James si concentrò sull’attraente giovanotto che procedeva a grandi falcate alla sua destra, con aria rilassata, e che aveva cominciato a parlare a bassa voce.
«Secondo voi in che animali ci trasformeremo? Voi sapete già che cosa vorreste diventare?»
«Beh, tra poco lo sapremo.» rispose lui in tono disinvolto, ricordando le interminabili discussioni in biblioteca e nel dormitorio, durante le quali avevano vagliato tutte le possibilità, dal grifone («Così ti attaccheranno con un Incantesimo di Adesione Permanente alla parete della Sala Grande quando vinceremo anche quest’anno la Coppa delle Case!» era stato il commento divertito di Sirius, seguito da uno scoppio di risate tanto forti da attirare gli sguardi seccati della bibliotecaria) alla larva di scarafaggio («E se davvero divento un insetto inutile e schifoso?» aveva chiesto preoccupato Peter, prima di essere rassicurato con affetto dai compagni, che gli avevano giurato che un Grifondoro non avrebbe mai avuto alcuna affinità con alcunché di orrido e ripugnante). Mentre ripercorrevano alcune delle ipotesi più verosimili o qualche idea assurda a cui erano giunti dopo ore di conversazioni a mezza voce in Sala Comune, Sirius si interruppe a metà di una frase, con un ghigno che gli si allargava sul volto, notando un ragazzo moro e pallido salire da una delle scale che portavano ai sotterranei, poco più avanti.
«Ecco a chi potrebbe essere affine una zanzara, o uno scarabeo stercorario, non credete? A Mocciosus!» disse, alzando la voce in modo che l’altro lo sentisse forte e chiaro. «Dopotutto, tra Mangiamorte e Mangia-sangue non c’è poi molta differenza… e se si rotolasse nel letame i suoi capelli avrebbero un motivo per essere lerci… Quant’è che non li lavi, Mocciosus? Direi almeno un se-»
Prima ancora che riuscisse a finire la frase, la scia luminosa di un incantesimo lo costrinse ad abbassare in fretta la testa, o probabilmente non se la sarebbe più ritrovata sul collo, poiché il giovane pallido aveva estratto con incredibile rapidità la bacchetta, nonostante la veste e alcuni grossi libri gli impedissero i movimenti.
Come se avesse aspettato solamente quel segnale, James scagliò un paio di fatture in rapida successione, mancando di poco l’avversario con la prima e ritrovandosi a dover schivare con agilità la seconda, dirottata da un efficace Incantesimo Scudo. Nel frattempo, mentre Peter alternava gridolini di eccitazione e incitamento a sussulti di paura, Sirius si era ripreso e, cogliendo di sorpresa il giovane, ne aveva bloccato i movimenti con un “Incarceramus” ben mirato. Mentre gli si avvicinava per togliergli la bacchetta, incurante del suo sguardo pieno d’odio, commentò malignamente «Ti Trasfigurerei in un millepiedi per poi annegarti in uno di quei barattoli di pozioni che ti piacciono tanto, giù nei sotterranei, ma non ho tempo da perdere con una mezza sega come te. E poi, non voglio rischiare di migliorare il tuo aspetto. Qualsiasi cambiamento non può che essere positivo per te, visto che peggio di così…», lasciando in sospeso l’ultima frase, che aveva pronunciato con un tono ironicamente riflessivo.
Lasciando il malcapitato studente a dibattersi tra le funi che lo legavano e ne soffocavano gli insulti e le imprecazioni, i tre ragazzi si diressero in fretta verso il portone e il parco buio all’esterno, coprendosi con il Mantello dell’Invisibilità di James per evitare altri spiacevoli incontri.
Arrivati, silenziosamente e con rapidità, alla Foresta Proibita, si addentrarono di qualche decina di metri tra gli alberi, per poi fermarsi in una radura leggermente rischiarata dalla luce della luna.
 
 
Sirius Black
 
Dopo qualche minuto, Sirius ruppe il silenzio.
«Beh, che stiamo aspettando? Che quel pazzo di Malocchio ci trasformi in ermellini come quell’idiota di Fletcher, sorpreso con “casualmente” nelle tasche alcuni gingilli magici di sua proprietà? Diamoci una mossa».
Il suo tono era deciso e sprezzante, lui era sicuro che ce l’avrebbero fatta. Dopotutto, erano anni che si preparavano, non poteva non funzionare, no? Avevano studiato tutto il possibile, non c’era nulla che poteva andare storto, no? Erano i Malandrini, lo facevano per Remus, non potevano fallire, no?
No. Non era tempo di dubbi e ripensamenti.
«Bene, allora, visto che voi due sembrate impazienti come Mocciosus davanti ad una doccia, il grande Sirius Black, intelligente quanto affascinante e dotato di un incredibile potere magico, vi mostrerà quale magnifico e nobile animale incarna un vero Grifondoro, nonché discendente di un’antica casata di maghi».
Ignorando i borbottii di James, che inspiegabilmente ricordavano la parola “presuntuoso”, Sirius si concentrò. Aprì la mente all’influsso delle stelle da cui i suoi antenati, e lui stesso, avevano preso il nome, ammorbidendo la propria forma come per diventare nebbia o vapore, lasciando che l’universo intero lo studiasse, lo valutasse e, infine, lo giudicasse degno e lo modellasse a proprio piacimento nella creatura a lui più affine, più rappresentativa della sua essenza profonda.
Con la sensazione di allontanarsi dagli astri che brillavano in cielo per ricadere sulla solida e familiare Terra, aprì gli occhi, istintivamente conscio della buona riuscita della difficile trasformazione.
Aveva la vista più acuta, ciò nonostante non era in grado di dissipare completamente l’oscurità, e fu subito colpito da un complesso miscuglio di odori, tra cui predominavano muschio e terra bagnata.
Volse lo sguardo intorno a lui, osservando attentamente il viso dei suoi amici e tentando di cogliere nelle loro espressioni qualcosa della sua nuova forma. All’improvviso, James scoppiò in una risata irrefrenabile. Accorgendosi che il suo amico lo guardava con l’aria un po’ offesa, il giovane si trattenne a fatica per commentare, con un ghigno divertito poco consono alla situazione, il nuovo aspetto del suo migliore amico.
«Un cane! Il nobile animale più affine al discendente della casata dei Black è un cane pulcioso!» disse, esplodendo di nuovo in risa sguaiate.
Sirius, tentando di ignorare gli sconvenienti commenti dell’amico, stava studiando quella nuova forma, e scoprì che gli piaceva.
Era un grosso bastardo dal pelo nero e piuttosto lungo, con muscoli possenti e zampe energiche ma silenziose, come poté constatare muovendo qualche passo nella radura. In poco tempo si abituò a muscoli mai avuti prima e prese a scodinzolare come un pazzo, e grazie al riflesso sugli occhiali di quell’idiota di James, che ancora non aveva smesso di sbellicarsi dalle risate, apprezzò i propri profondi occhi color del giaietto, in cui sembrava essere rimasta intrappolata la luce delle stelle, tanto erano luminosi.
Deciso a porre fine alle cretinate del suo migliore amico, si concentrò nuovamente sul proprio aspetto e lasciò che riassumesse la propria forma originale. Nella radura riapparve un giovane attraente, dai capelli scuri e dall’espressione corrucciata e decisamente scocciata.
«Piantala, adesso! Sono un amico fedele e un uomo forte, per questo sono diventato un bel cagnone grosso e nero. E non prenderei mai in giro gli amici, a differenza di qualcun’altro!».
James, trattenendosi dallo scoppiare nuovamente a ridere, cercò di ricomporsi.
«D’accordo, Pulcioso, adesso vediamo cosa divento io…».
Sirius osservò l’amico concentrarsi e, dopo un paio di secondi, mutare forma. Si ingobbì fino a ritrovarsi a quattro zampe, fu avvolto da uno strano alone di luce e il suo profilo cambiò, mostrando protuberanze inconsuete. Quando fu in grado di distinguere il nuovo aspetto assunto dall’amico, Sirus buttò alle ortiche le affermazioni fatte in precedenza e commentò, prima di fare una delle sue risate che, comprese, rispecchiavano il suo lato canino, «Beh, mi sa che la Evans non te la conta giusta, caro il mio Cornuto. Uscite insieme da neanche una settimana e guarda che ti ha messo in testa!».
James, perplesso, tentò di capire che cosa diavolo intendesse l’amico con quelle parole ma, arrivato solo al punto di identificare quattro zoccoli e una corta coda marroncina, guardò interrogativo Peter.
«Sei un cervo.» fu la risposta del ragazzo, accompagnata da un’eloquente occhiata sopra la sua testa, dove svettava un enorme palco di corna.
James, tornato con facilità al proprio aspetto consueto, zittì Sirius con un paio di gomitate nelle costole, sapendo perfettamente di essersi meritato quel trattamento. Entrambi si volsero quindi verso l’amico, rimasto quasi del tutto silenzioso durante le due trasformazioni. Vedendo la sua espressione preoccupata, tentarono di confortarlo con pacche sulle spalle e parole di incoraggiamento, assicurandogli che bastava solo concentrarsi e il resto veniva da sé.
Peter era visibilmente nervoso e riuscì nell’intento solo al secondo tentativo. I due amici temettero quasi che fosse andata male, quando il ragazzo sembrò sparire, ma con un sospiro di sollievo notarono, dove fino ad un attimo prima c’era il mago, un topo con una lunga coda e le zampette rosee affondate nel muschio. Quando anche Peter riuscì a ritornare se stesso senza troppe difficoltà, i tre si concessero un sorriso a trentadue denti e si lasciarono andare a esclamazioni di giubilo e rumorose manifestazioni di gioia.
Dopo aver festeggiato per qualche minuto, si decisero ad uscire dalla Foresta, avvicinandosi ad un albero che cresceva isolato vicino ai margini del parco di Hogwarts.
 
 
Peter Minus
 
Mentre si dirigevano verso il Platano Picchiatore, Peter ripensò a quei minuti trascorsi nella Foresta. Aveva osservato con apprensione le trasformazioni dei suoi amici, che erano divenuti animali grossi e possenti, e aveva pensato con terrore alla propria. Quando aveva fallito il primo tentativo (non riusciva a concentrarsi, con i fruscii degli alberi e di chissà quali creature e con il tremito irrefrenabile delle proprie mani) aveva temuto di non farcela, di morire o di rimanere mezzo uomo e mezzo bestia per sempre. Il sostegno dei suoi amici, però, lo aveva aiutato e guidato, era certo che da solo non ce l’avrebbe mai fatta.
Ma ci era riuscito. Si era trasformato. Non in un animale dotato di forza e potenza, ma di agilità e velocità. Ne era contento e orgoglioso.
Giunti presso il Platano, sapevano di dover premere un nodo sul tronco per immobilizzare i violenti rami dell’albero, che con un solo fendente potevano cavarti un occhio o romperti un osso. Avevano visto Madama Chips usare un incantesimo, ma non erano mai riusciti ad eseguirlo perfettamente, perciò Sirius e James si guardarono intorno alla ricerca di un ramo abbastanza lungo. Peter, però, felice, per una volta, di rendersi utile e di poter fare ciò che solo lui era in grado di compiere, si trasformò nuovamente in un topo (notando che, fortunatamente, sembrava più facile di prima) e zampettò rapidamente verso il tronco dell’albero, schivando agilmente i pochi rami che sferzavano l’aria a livello del terreno, e si arrampicò fino al nodo magico nel legno, premendolo quindi con le piccole zampette. Provò un raro senso di orgoglio per le ancor più rare lodi degli amici e i tre, tutti nuovamente umani, si infilarono velocemente nello stretto passaggio segreto che si apriva tra le radici del Platano Picchiatore. Quel buio cunicolo, come sapevano bene, portava a Hogsmeade e sbucava all’interno della Stamberga Strillante. Erano venuti a conoscenza di questo, che nelle intenzioni del Preside e degli insegnanti di Howarts doveva rimanere un segreto, molti anni prima, quando, nel tentativo di scoprire dove andava Remus quando spariva dalla scuola, lo avevano seguito nel tunnel. Giunti alla fine della stretta galleria, avevano intravisto una creatura mostruosa e ne avevano sentito gli ululati, mentre, priva della possibilità di sfogarsi sugli esseri umani, rivolgeva la propria rabbia e i propri artigli su se stessa, procurandosi nuove ferite e strappandosi versi di dolore e impotenza.
Remus era un licantropo.
Questa verità incontrovertibile colpì i tre amici nel medesimo istante ma, mentre Sirius e James l’avevano già intuito da tempo, dalle assenze, dalla strana ossessione per la luna, dalle cicatrici e dal comportamento di Remus Lupin, tale rivelazione investì Peter come un uragano, poiché lui non aveva idea della condizione, della malattia, del “problema” del suo amico. Pensò di abbandonarlo, di mollare quel gruppo di amici pazzi e squilibrati che, chissà come, si era trovato a Hogwarts. Poi, però, cambiò idea. Contagiato dall’atteggiamento scanzonato e un po’ menefreghista con cui Sirius e James affrontavano la questione, davanti al quale Remus rimase spiazzato e alquanto sorpreso, si disse che loro erano i suoi compagni, i suoi protettori, i suoi amici, e che un vero Grifondoro doveva mostrare coraggio e arditezza.
Ancora oggi, a volte, i suoi incubi erano popolati di minacciose creature dal muso di lupo e dalle zanne gocciolanti sangue, ma Peter sapeva tenere nascoste queste sue paure.
Riemergendo dalle proprie riflessioni e dal flusso di ricordi, si rese conto che erano quasi giunti alla Stamberga Strillante, dove i suoi incubi erano realtà.
 
 
Remus Lupin
 
Stava impazzendo di dolore e di rabbia.
Sotto la grande Luna piena alta nel cielo, visibile attraverso uno squarcio nel tetto, l’impulso di azzannare e graffiare, mordere e lacerare era incontrollabile e, senza umani nei paraggi, lo rivolgeva verso se stesso. Così aveva voluto, così aveva deciso: meglio qualche graffio e qualche cicatrice in più sul suo corpo che ferite mortali su altri corpi, corpi di innocenti… Era questa la condizione per frequentare Hogwarts, ed era contento così. Non se n’era mai pentito, mai, né quando si risvegliava ricoperto di segni rossi sul viso, sulle braccia e sul petto, né quando leggeva il sospetto sui volti dei compagni, nemmeno quando aveva scorto la paura sul viso pallido di Severus Piton dal momento in cui aveva visto la sua vera natura.
Il motivo di questa sua sicurezza e della felicità che provava fra le mura di Howarts era semplice: l’amicizia.
Con sua enorme meraviglia, aveva incontrato tre persone che gli erano rimaste vicino nonostante tutto, nonostante la povertà e la licantropia. Uno dei momenti peggiori della sua vita, sicuramente il peggiore dei suoi anni a Hogwarts, era stato quando aveva capito che i suoi migliori amici avevano scoperto il suo segreto. Era sicuro che sarebbe stato abbandonato di nuovo, come da tutti coloro che avevano compreso, nel corso degli anni, la natura della sua malattia. Ma questo non era avvenuto. Tra “E chissenefrega?” e “Hai soltanto un piccolo problema”, le discussioni con i suoi amici finivano sempre allo stesso modo: con la sconfitta delle sue assurde paure e la vittoria di tutti loro.
Dopo questi brevi lampi iniziali di ricordi ed emozioni piacevoli, sentì che perdeva il controllo. Mentre l’istinto bestiale prendeva rapidamente il sopravvento sulla razionalità umana, accadde qualcosa di molto strano che riuscì quasi a bloccare il processo di trasformazione della mente di Remus da uomo a lupo. Entrarono nella Stamberga tre animali, insoliti e del tutto fuori posto, ma vagamente familiari: un cane, un cervo e un topo. Non avvertiva l’impulso di attaccare perché non erano esseri umani, ma notò nel topo gli occhi acquosi di Peter Minus, nel cervo un richiamo alla figura alta e esile di James Potter e nel cane, quando emise un latrato che sembrava un saluto, un eco della voce di Sirius Black. E comprese. I suoi amici ce l’avevano fatta, avevano mantenuto la loro promessa, avevano fatto in modo di potergli stare accanto durante i pleniluni, quand’era più pericoloso e meno umano.
Pian piano crebbe in lui la consapevolezza che, pur avendo l’aspetto di un lupo, la sua mente era quasi quella di un uomo. Affetto, gratitudine e riconoscenza erano sentimenti che mai aveva provato prima in questa forma, e mai durante il plenilunio era stato così umano.
Negli occhi dei quattro animali, negli occhi dei quattro ragazzi, brillava una luce che mai nessuno vi aveva scorto prima. Le anime dei quattro uomini si incontrarono attraverso quelle limpide e profonde finestre azzurre, nocciola, nere e ambra, e rimasero incatenate l’una all’altra per tutta la durata di quella notte, come la più luminosa delle costellazioni fra le stelle splendenti, oscurando quasi, con la loro lucentezza, la Luna, alta nel cielo.
 
Aprì gli occhi e vide la stoffa rossa del proprio baldacchino. Sbadigliando in modo scomposto, il pigiama spiegazzato, le lenzuola buttate a metà sul pavimento durante il sonno, si alzò a sedere sul letto, posando con cautela i piedi a terra e rabbrividendo appena al contatto con la pietra gelida. Sorrise alle tre facce che lo guardavano felici, incorniciate da folti capelli disordinati.
«Bella avventura stanotte, eh?»
«Che ne dici, Lunastorta?»
«I Malandrini sono inseparabili, plenilunio o non plenilunio!»
«C’è una cosa che dobbiamo fare, oggi.» disse, dopo un attimo di pausa, Remus Lupin. Gli altri lo guardarono, sconcertati, temendo di aver fatto qualcosa di sbagliato.
«Io già da un po’ sono “Lunastorta”… Ora anche voi dovete trovarvi dei soprannomi!».
Dopo un’accesa discussione, inframmezzata da scoppi di risa e cuscinate, giunsero ad una decisione: Sirius Black, dopo essersi rifiutato categoricamente di farsi chiamare “Pulcioso”, divenne “Felpato”, Peter Minus accettò il nome di “Codaliscia”, James Potter, eliminato definitivamente “Cornuto” (con grande dispiacere di Sirius), prese come soprannome “Ramoso”.
Era quasi ora di pranzo, quel sabato mattina (si erano alzati troppo tardi per scendere a fare colazione), quando Remus Lupin, con tono solenne, dichiarò:
«I signori Lunastorta, Codaliscia, Felpato e Ramoso sono da oggi i Malandrini!».
 
   
 
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