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Autore: Snow_Elk    20/01/2015    5 recensioni
Fuori pioveva, la finestra aperta lasciava entrare qualche goccia d’acqua che si infrangeva silenziosa sul pavimento. Fuori pioveva, sentiva la sinfonia della pioggia, ma lei non provava freddo, si sentiva bruciare dentro. Quando riaprì gli occhi trovò nello specchio dinanzi a lei il riflesso di due rubini che la fissavano nel buio della stanza, uno sguardo che non aveva bisogno di descrizioni, uno sguardo che pretendeva una risposta silenziosa e il suo fiato corto, i brividi che la facevano tremare gliel'avevano appena data. Non aveva scampo, era diventata schiava di una passione insana di cui aveva assaporato solo il principio.
“ Sei mia… piccola Alice” un solo, unico sussurro e poi solo il buio.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri
Note: Lemon | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Sovrannaturale
Capitoli:
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A Black Lotus as Night

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Episodio VII- Petali Calpestati
 

Nota dell'autore: Non sono solito inserire note prima di un capitolo, ma questa volta farò un'eccezione. Voglio dedicare questo VII episodio ad una persona speciale, una ragazza splendida, dolce, intelligente, e... no... altri aggettivi sarebbero semplicemente inutili, ne basta uno e uno solo: UNICA.
Di chi sto parlando? Di JustAHeartBeat
, la mia ragazza. Se sono riuscito ad arrivare fin qui in questa storia, se sono riuscito a scriverla con tanta fantastia, impegno e dedizione ( sono un tipo che non finisce mai le storie, lo so, sono da linciare xD ) lo devo solo e soltanto a lei e a tutto il sostegno che mi sta dando ( senza nulla togliere a tutti gli altri lettori che stanno seguendo la storia e che non finirò mai di ringraziare, ma capitemi, lei è speciale ). Ana, sei una persona meravigliosa, una ragazza fantastica, sono davvero felice di averti trovato e questo episodio... questo episodio è dedicato a TE.

PS: Ho cambiato la copertina, spero vi piaccia, detto ciò, buona lettura :D

Snowstorm



Stessa sala, stesso trono, stessa penombra silenziosa, situazione diversa. La solita sigaretta accesa tra le dita, che nella sua lenta agonia attendeva di raggiungere le sue sorelle abbandonate ai piedi del trono, rilasciava strane scie di fumo che sembravano tremare dinanzi alla sua persona. Forse facevano bene, forse no.
Fece un tiro, poi i suoi occhi si posarono su una delle colonne e rimase a fissarla, in silenzio, come se stesse aspettando qualcosa o forse qualcuno.
- Fatti avanti – disse, rivolgendosi alla ragazza nascosta dietro la colonna.
Lico barcollò fuori dal suo nascondiglio, pallida in viso, con la mano che tentava di fermare il sangue che le aveva ormai imbrattato le vesti e con un sorriso stentato e quasi forzato. I loro sguardi si incrociarono per una frazione di secondo e lei abbassò gli occhi, abbandonandosi contro la colonna più vicina al trono, sfinita, provata dallo scontro con Alice e dalla vergogna bruciante di aver deluso il suo padrone.
 
- Master, mi…mi dispiace. Loto Nero si è rivelata un avversario più temibile di quanto avessi immaginato – esordì, guardando con ribrezzo la mano insanguinata: ogni goccia di sangue che abbandonava il suo corpo bruciava più delle fiamme dell’Inferno, prova concreta della sua cocente sconfitta.
- Mia piccola Lico -  Debran fece un ultimo tiro, lasciando cadere la sigaretta nell’oblio della sua fine – Sei solo stata sbadata. Alice è un avversario temibile, l’hai provato sulla tua stesse pelle -  mentre parlava scendeva i gradini in marmo dirigendosi verso di lei, seguito dai suoi occhi estasiati.
 
- Ma, Master, io non ho potuto… - Debran si portò un indice sulle labbra e Lico si zittì, barcollando ancora di più nonostante fosse poggiata contro la colonna.
- Hai fatto ciò che ti avevo ordinato e questo mi basta – ormai era ad un soffio da lei e Lico poteva osservare le cicatrici sul suo petto nudo, tra le quali spiccava quella che lo aveva quasi ucciso e di cui lui parlava raramente.
- Non vorrai abbandonarmi proprio ora, mia piccola pervertita. O forse sì? – la sua voce era come una sferzata d’aria gelida che poteva ghiacciarti il cuore. Lico deglutì e scosse la testa.
- Bene, in tal caso – la afferrò per la catena e la spinse contro di sé, baciandola con ardore. La peccatrice sussultò, sentendosi attraversare da una scarica di energia oscura che aveva la stessa intensità di un uragano. Indietreggiò stupefatta, sfiorandosi le labbra con le dita, e inciampando sui stessi passi cadde a terra, incredula.
 
- Ti ho salvato la vita, piccola Lico, di nuovo. Non farmene pentire – le disse, dandole le spalle mentre lei continuava a ripensare quel bacio che leaveva devastato ogni cellula del corpo e solo in quel momento si accorse che la ferita al fianco non sanguinava più, si era rimarginata e aveva lasciato solo una piccola cicatrice.
Era questo il potere del suo padrone? Se lo chiese, osservandolo mentre tornava a sedere sul suo trono caduto. Stava per rispondere quando si ricordò di un’informazione che aveva ottenuto prima dell’incontro con Loto Nero. Inspirò profondamente, rimanendo a terra perché le gambe ancora le tremavano.
-Master ho una notizia per lei e sono certa che non le piacerà – doveva moderare le parole o Debran sarebbe stato capace di toglierle la vita con la stessa facilità con cui gliel’aveva salvata.
- Ti ascolto – l’uomo si era fermato a metà della scalinata e si era voltato verso di lei.
 
- La ballerina, è ancora viva… Kikuri è viva, Master, è in coma ma è comunque sopravvissuta alla battaglia di La Veda. Sembra che…- non riuscì nemmeno a terminare la frase che la colonna accanto a lei andò in mille pezzi: Debran era scattato con una velocità disumana verso di lei e con un pugno aveva sfondato la colonna come se fosse stata di burro. Lico rimase immobile, allibita, mentre ancora qualche detrito cadeva accanto ai suoi piedi. Debran la fissò con i suoi rubini nascosti in parte dai capelli che si erano mossi per lo scatto.
- Non nominarmi mai quella puttanella in kimono. Chiaro? Se è ancora viva vuol dire che mi prenderò il gusto di farla uccidere davanti agli occhi della sua amata – Lico non fiatò, qualunque risposta in quel contesto sarebbe stata sbagliata.
- Ora va a farti una doccia e cambiati d’abito, ti ho già visto abbastanza con questi stracci addosso – disse agitando la mano: era un ordine che non permetteva obiezioni.
 
- Sì, Master –Lico annuì e sì allontanò in tutta fretta, lasciandosi alle spalle il cupo silenzio del suo padrone.
Udire il nome della ballerina oscura gli faceva sempre sentire una fitta acuta di dolore lungo tutta la cicatrice, la stessa cicatrice di cui lei era stata fautrice quasi un anno prima tra le rovine di La Veda. La toccò, seguendone i lineamenti ruvidi, faceva male sì, ma non come il non possedere Alice e tutti i suoi segreti.
 
                                                            […]
 
- Alice? – era stesa su qualcosa di morbido, estremamente morbido, e una sensazione di dolce tepore l’avvolgeva come un abbraccio senza tempo.
- Alice, mi senti? – quella voce.
- Xem?- era sveglia o stava sognando? Non voleva aprire gli occhi, insicura di ciò che avrebbe visto, gli ultimi ricordi erano ancora così offuscati, strane fitte di dolore si facevano largo sulla pelle, tra le pieghe del vestito.
Dolore, freddo, intenso, no, non stava dormendo, quegli echi di sofferenza erano reali e poteva ancora sentire la risata stridula e sadica di colei che gliel’aveva inflitta. Lico, la peccatrice.
- Come ti senti?- quella voce calda, profumo di petali calpestati, un profumo che percepiva solo quando era accanto a lui. Aprì gli occhi, strofinandoseli come una ragazzina.
- Come se fossi caduta dall’ultimo piano del palazzo degli Evocatori, è abbastanza esaustiva come risposta? – tirar fuori quella velata ironia quando si riduceva uno schifo, bevendo e non, era diventata una sua prerogativa. Xem rise di buon gusto.
- Abbastanza – un altro di quei sorrisi belli da star male – Possibile che ogni volta che ci incontriamo o ti addormenti o svieni? E’ già la seconda volta – quella frecciatina colpì nel segno e lei arrossì, abbassando lo sguardo, stringendo con forza le coperte.
- Sembra che ci prendi gusto a farmi da infermiere. O sbaglio?- contrattaccò, restando a testa bassa.
- La prima volta ti ho trovata io, lo ammetto, ma questa volta sei venuta a bussare fino alla mia porta ridotta come se avessi combattuto contro gli stessi Deì – Xem si avvicinò a lei, il profumo dei petali calpestati si fece più intenso, e Alice sentì un nodo alla gola.
 
- Che cosa è successo, Alice? Come ti sei procurata quelle ferite? – il suo tono era serio, quasi duro, ma comprensivo al tempo stesso. Ecco il momento fatidico: dirgli la verità? Come poteva dirgli che si era diretta in un vicolo dimenticato dagli Deì per concedersi completamente al più affascinante depravato di Randall, essere quasi stuprata da una ragazzina mezza demone visibilmente psicopatica e infine combattere contro quest’ultima rischiando di fare una brutta fine, vincendo per un colpo di fortuna sfacciata.
No, nemmeno lo scrittore più sadico e fantasioso avrebbe mai potuto concepire una cosa del genere e, se l’avesse raccontato, Xem l’avrebbe presa per pazza, in un modo o nell’altro. Doveva mentire per il bene suo e di Xem.
-Allora? – quegli occhi ambrati che la fissavano la ricossero dai suoi pensieri – Oh, scusami, ero sovrappensiero. Conosci Graham, quel demone a cui Karl l’ammazzademoni dà la caccia da mesi? – il giovane annuì senza staccarle gli occhi di dosso.
- Bene, sembra sia passato ufficialmente dalla parte degli Deì caduti e per dimostrarlo ha deciso di devastare il tempio di Listya. Siamo intervenuti, nello scontro me lo son ritrovato davanti e beh… mi ha ridotta così. Ci siamo dovuti ritirare in fretta, io ero rimasta indietro e per salvarmi la pelle ho usato un portale oscuro. Ho pensato al primo posto che mi è venuto in mente, mi sono ritrovata davanti casa tua e il resto della storia lo conosci già – Xem la osservò in silenzio, probabilmente aveva capito che aveva inventato tutto di sana pianta, ma sembrava non volergli dare alcun peso.
 
Si limitò a sorridere e a poggiare una mano sulla sua:
- Sono felice che tu ce l’abbia fatta…  Graham è un avversario temibile e ben pochi sono sopravvissuti dopo uno scontro con lui abbastanza a lungo da poterlo raccontare- si capiva lontano un miglio che le stava dando corda, accettando quell’insulsa bugia, senza voler sapere i motivi scatenanti di quella messa in scena. Ammirevole. Non sapeva cosa dire, si sentiva terribilmente in imbarazzo, e qualsiasi frase le sembrava fuori luogo.
- Vado a prenderti qualcosa che ti farà sentire meglio. Mi raccomando non svenire di nuovo-  un’altra frecciatina, un altro sorriso, e Xem si allontanò, lasciandola da dola con i suoi pensieri, l’imbarazzo, e quella confusione ormai perenne.
 
Doveva essere rimasta senza sensi per un bel paio d’ore visto che fuori erano calate le tenebre e le lampade ad olio rischiaravano con una luce soffusa l’intera stanza in cui si trovava. Era coricata su un divano, circondata da cuscini, e accanto a lei c’era un tavolino dove si trovavano garze, forbici, alcuni medicinali che non aveva mia visto in vita sua, e una ciotola ricolma d’acqua e sporca di sangue.
Xem si era preso cura di lei, le aveva medicato le ferite per poi fasciarle con la stessa abilità di un medico.  Indossava ancora i suoi vestiti, ma il braccio e la spalle destra, insieme alla fronte erano fasciati, le garze leggermente arrossate, e le facevano meno mano di quanto si sarebbe aspettata.
Nessuno le avevamo mai dedicato così tante attenzioni, a cui non era minimamente abituata, e a quel pensiero le venne una stretta allo stomaco. Sfiorò con la punta delle dita le garze e non si accorse nemmeno che stava sorridendo quando Xem fece ritorno nel soggiorno.
 
- Siamo proprio pensierosi oggi, eh? – chiese, porgendole una tazza fumante, tenendone un’altra per sé.
- Un po’…-  ripose lei, prendendo la tazza e osservandola dubbiosa – Che cos’è? –
- Un infuso di alcuni tipi di erbe che crescono solo nella foresta di Lomass, a Cordelica-
- Ha un buon odore – osservò lei.
- Ed ha anche un buon sapore. Ti sentirai meglio, dicono che queste erbe riescano a curare qualsiasi male, fisico o psicologico che sia –
- Sei davvero troppo gentile con me, non so davvero cosa dire, non sono abituata a tutte queste premure, ho sempre dovuto badare da sola a me stessa da quando io e mia sorella Elza ci siam dovute dividere –ammise, sorseggiando un po’ di quella bevanda calda.
 
- Non sono sempre stato così…- il suo viso si incupì.
- In che senso? –
- Tempo fa il mio nome era temuto e rispettato da tutti, mi chiamavano “Il Creatore” o qualcosa del genere. Nessuno osava sfidarmi apertamente, avevo sconfitto molti grandi guerrieri, maghi, e perfino degli ammazzademoni- si interruppe, osservando le piccole fiamme di alcune candele che ardevano silenziose su un candelabro lì vicino.
Era la prima volta che Xem parlava di sé e del suo passato: o era molto riservato o qualcosa del suo passato doveva averlo turbato.
- E poi? Cos’è successo? – domandò, continuando a bere l’infuso, assaporando quel dolce tepore che le infondeva in tutto il corpo. Aveva ragione, funziona dannatamente bene.
- Poi un giorno giunse un giovane evocatore senza nome e mi sfidò. Io accettai, come avevo sempre fatto, ma dopo lo scontro più cruento della mia vita mi sconfisse. Avrebbe potuto uccidermi, ma non lo fece, mi risparmiò dicendomi che avrei potuto dare ancora tanto a questo mondo, nonostante fossi già caduto una volta. Da quel giorno non sono più lo stesso, sono cambiato radicalmente, e sono diventato quello che vedi tu adesso – sospirò, quei ricordi dovevano bruciare ancora, doveva far male come ben poche cose.
- Mi dispiace – furono le uniche parole che le sembrarono adatte come risposta: non era mai stata brava in quelle circostanze, era una sua mancanza, lo sapeva fin troppo bene e il non poterlo aiutare dopo tutto quello che aveva fatto per lei la faceva sentire inutile. Si morse le labbra, sentendosi terribilmente impotente.
- Non ti preoccupare, ormai è acqua passata e ho accettato questa mia nuova vita, diciamo così – rispose, con un mezzo sorriso e si accomodò accanto a lei.
 
Rimasero in silenzio, a sorseggiare quella bevanda calda che, in quella situazione, sembrava non avere effetto lasciando entrambi assorti nei propri pensieri, nei propri problemi. Si sentiva leggermente a disagio, quel silenzio era quasi opprimente, ma avere accanto Xem la rassicurava, non riusciva a spiegarsi il perché, eppure il suo animo si placava e quei tumulti interiori diventavano solo fantasmi dimenticati.
Finì di bere l’infuso e poggiando la tazza vuota sul tavolino accanto al divano sentì una fitta di dolore al braccio destro: la ferita era ancora aperta e le garze erano diventate letteralmente rosse nel punto in cui si posavano su di essa. Una goccia di sangue scivolò insicura fuori dalle garze e Alice rimase immobile col braccio teso ad osservarla: Xem osservò la goccia e afferrò il braccio, come se volesse pulirlo e cambiare le garze, ma non fece nulla.
 
Alice sentì il cuore iniziare a battere più forte del dovuto, il respiro farsi più pesante, quei diamanti ambrati trapassarla da parte a parte col loro sguardo, mentre loro restavano immobili come se il tempo avesse deciso di arrendersi.
Xem avvicinò il viso al suo braccio e, con un gesto che aveva dell’assurdo, leccò la goccia di sangue con una sensualità tale che Alice si sentì mancare. I loro sguardi si incrociarono e la giovane Dea Falce perse un battito, sentendosi avvampare come se avesse preso letteralmente fuoco. Accadde tutto in un attimo: con la mano sinistra afferrò l’uomo dal colletto della camicia e lo spinse contro di sé, baciandolo con un’intensità e una passione tali che non si sarebbe mai aspettata.
Xem, inizialmente stupito, ricambiò quel bacio improvviso e la strinse a sé, allungando quel gesto tanto folle e inaspettato quanto eccitante e passionale. Dopo alcuni secondi che sembrarono un’eternità Alice si staccò da lui, col fiato corto, lo sguardo stralunato e un tumulto di emozioni in corpo che avrebbe raso al suolo una città se solo avesse potuto liberarsi.Xem la osservò, senza parlare, il suo sguardo diceva tutto.
- Scusami… non dovevo, non so cosa mi è preso- balbettò lei, incredula, abbassando lo sguardo e auto maledicendosi per non aver saputo avere più autocontrollo. Xem restava ancora in silenzio, gli occhi puntati su di lei, un mezzo sorriso sulle labbra.
- Io, non so più cosa stia succedendo, quest’ultima settimana è stata… non so… non saprei come definirla. Sul serio non… - non riuscì a finire la frase: Xem l’aveva stretta a sé, di nuovo, ma questa volta in una presa che non permetteva alcuna resistenza. Prima ancora che potesse rendersi conto di cosa stava succedendo le labbra del giovane si erano già poggiate contro le sue e si abbandonò a quell’inferno di emozioni senza volto né anima, sentendo ancora una volta quel particolare e unico profumo di petali calpestati.
 

 
   
 
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