-Capitolo 1-
In quel momento si sentiva come una
condannata a morte in attesa del giudizio divino.
Aveva smesso di credere in una
qualche esistenza superiore che potesse venire in suo aiuto molti, molti anni
prima di quel giorno, eppure, in quel momento, avrebbe volentieri pregato per
un miracolo qualsiasi che la salvasse da quella situazione. Sentiva quasi dei
rivoli di sudore freddo percorrere il suo viso, dalla fronte scivolando sino alla
guancia mentre il suo corpo tremava leggermente per la paura.
Non riusciva a capire. E non capire
qualcosa non le piaceva.
Si concentrava sul viso del ragazzo,
sembrava davvero avere la sua età, ma in quegli occhi castani non riusciva a
leggere niente di particolare; erano vivi, ma allo stesso tempo velati da
qualcosa che nemmeno riusciva a immaginare.
Nel frattempo quella strana creatura
si era messa in posizione difensiva e ora che la guardava bene poteva notare le
due code, oltre ai denti che aveva già avuto modo di scorgere prima.
“Se questo è un incubo dovuto alle
droghe … voglio svegliarmi”.
« Kirara … »
La voce del ragazzo era calma ma il
suo sguardo si era fatto più serio, quella specie di gatto demoniaco, si
rivolse agli uomini che la stavano inseguendo ringhiando minacciosa. Gli uomini
indietreggiarono, nascondendosi dietro il loro capo che non sembrava
altrettanto intenzionato a lasciarla perdere.
Aveva un taglio abbastanza profondo alla mano dominante ma in quel momento la
rabbia, il desiderio di vendicarsi e il dolore avevano toccato il punto critico
e ora non sentiva più niente. Per questa ragione gli fu facile stringere la
mano attorno all’impugnatura della katana, estraendola e puntandola contro il misterioso
salvatore e il suo compagno.
« Non metterti in mezzo ragazzino! »
Aveva già messo la mano in tasca per
tirare fuori il proprio coltello da lanciare addosso a quell’uomo, ma il suo
misterioso salvatore fu più rapido nel liberare quella strana arma dalla sua
schiena. Sembrava proprio un kusarigama, ma
molto più grande e articolato in questo senso ed era il tipo di arma che aveva
visto solo nei libri di storia.
Non si spostò, si limitò a fermare i
movimenti dell’uomo con rapidità avvicinando la sua lama al suo collo e il
ringhiare minaccioso di quella creatura, Kirara, aveva creato la situazione
ideale per ribaltare il risultato.
I compagni dell’uomo dopo un attimo
di esitazione scapparono, arrivando ai cavalli
e cominciando a scappare nell’oscurità sempre più fitta del bosco.
L’uomo sembrò farsi sempre più
pallido mentre decideva anch’egli di allontanarsi in gran fretta dopo essere
stato abbandonato anche dai suoi uomini.
La situazione di pericolo sembrava
passata, almeno per il momento.
Il ragazzo allora si volse verso la
ragazza e le porse la mano per aiutarla a rialzarsi ma lei lo guardava ancora
con gli occhi sbarrati, il respiro più regolare ma ancora troppo scossa e la
mano stretta attorno all’impugnatura del suo coltello nella tasca della giacca.
Il giovane sembrò notare il passare incessante del suo sguardo da Kirara a lui,
un cenno di assenso alla gatta
demoniaca e questa si rimpicciolì divenendo molto più graziosa e meno
minacciosa.
Deglutì un po’ di saliva e afferrò la
mano del ragazzo, alzandosi in piedi e ritrovando una certa stabilità nelle
gambe.
« Grazie. » rispose infine la ragazza
mentre la misteriosa gatta di nome Kirara saliva sulla spalla del ragazzo,
miagolando felice e strappandogli un sorriso sincero che la lasciò sorpresa. Il
ragazzo aveva da prima posato la propria arma a terra e ora fissava la giovane,
incuriosito mentre con una mano accarezzava la nuca di Kirara.
« Hai dei vestiti molto strani. »
esordì quasi immediatamente il ragazzo lasciando di nuovo ammutolita la sua
controparte.
« Cos’hanno di strano si può sapere?
»
A quel punto quella domanda era
lecita. “Cos’ho addosso di così strano? Non posso credere che in un paesino di
campagna non conoscano i pantaloni. Posso capire il mio giacchetto, ma il non
riconoscere una maglietta scura e i pantaloni mi sembra proprio assurdo”. Pensò
con una certa preoccupazione mentre un pensiero, per quanto assurdo, aveva
cominciato a farsi strada nella sua mente.
Un sospiro e fece scivolare la
custodia della chitarra dalla spalla, ora particolarmente dolorante,
poggiandola delicatamente a terra e vicino alle sue gambe di modo da
sorreggerla. Il fuoco crepitava leggero, riscaldandola dal freddo della sera.
« Non sono cose che si vedono tutti i
giorni. Un po’ di tempo fa ho conosciuto una ragazza che indossava vesti strane
come le tue; è una sacerdotessa. »
“Fantastico”, pensò sospirando mentre
si andava a sedere a terra, nuovamente, accompagnando la propria chitarra e
passandosi una mano tra i capelli.
« Senti, io non capisco niente di
quello che sta succedendo ora. Vorrei soltanto sapere dove mi trovo e tornare a
casa il più in fretta possibile … »
Non capiva, non riusciva a capire
quello che stava succedendo e sentiva la testa prossima allo scoppio se non
trovava un filo di logica in quello che succedeva.
Il ragazzo la guardava, non trovando
parole per aiutarla a quietarsi e l’unica cosa che fece fu di sedersi sul
terreno, dal lato opposto del fuoco mentre Kirara scendeva dalle sue spalle e
andava verso la ragazza appena salvata.
Non capiva il motivo, ma guardandola
provava una strana sensazione di familiarità e lo stesso Kirara. Si era subito
avvicinata a lei, miagolando per attirare la sua attenzione e chiedendo di
essere accarezzata – cosa che agli estranei non veniva permesso con facilità.
Quando la giovane rialzò lo sguardo
trovò il suo salvatore, chiunque egli fosse in realtà, intento a guardarla in
modo diverso da prima. Sospirò mentre con due dita picchiettava la voglia a
forma di drago che aveva sul volto.
« E’ vera, non me la sono fatta da
sola. »
Tutti quelli che la conoscevano
finivano per fissare quel segno inebetiti fino a quando, esaurita, si affrettava
a specificare che non era un tatuaggio fatto sul volto per qualche strano
rituale o desiderio masochistico.
« Ah, scusa dicevi? » rispose il
ragazzo, riavendosi dai suoi pensieri. « In realtà non ci stavo facendo caso, mi
stavo chiedendo se non ci fossimo già incontrati … prima. »
« Se hai detto di non aver mai visto
abiti come i miei non pensi di esserti risposto da solo? »
Una punta di sarcasmo nel tono della
voce mentre rassegnata afferrava la custodia della sua chitarra, poggiandola
piano a terra e aprendo la cerniera. Prima mise una mano nella tasca dei
pantaloni e si affrettò a spegnere il cellulare, decisa a risparmiare almeno sulla
batteria.
Il ragazzo non sembrava un grande
amante delle conversazioni, lo stesso si poteva dire per lei stessa sebbene non
amasse l’eccessivo silenzio, chiaro, ma faticava a parlare con persone non
familiari e sconosciute.
Kirara si spostò, tornando vicino al
ragazzo che si premurò di carezzare la sua schiena mentre osservava la ragazza
armeggiare con quello strano strumento, anch’esso mai visto prima, con una
concentrazione ancora maggiore.
Anche in quei gesti c’era qualcosa di
familiare ai suoi occhi, ma non riusciva a capire cosa di preciso dal momento
che si trattava di una sensazione molto lontana.
Le dita della ragazza passarono sulle
corde della chitarra producendo un suono leggero, attirando l’attenzione di
entrambi che ora più che mai la guardavano incuriositi – nemmeno loro avevano
avuto modo di fare conversazioni con altre persone da molto tempo.
« Cosa stai facendo? »
I suoi occhi nocciola non si
staccarono dalle chiavi sulle quali stava lavorando da prima.
« Cerco di sistemare la mia chitarra.
»
Sospirò ancora, prima ancora che il
suo interlocutore potesse dire qualcosa si girò verso di lui, accennando un
sorriso e posizionò la chitarra sopra le sue gambe incrociate. Una mano sulla
tastiera, le dita premute contro le corde e l’altra, passando sopra la sua
struttura si posizionavano più in basso.
« Visto che mi hai salvato posso
suonare qualcosa per te. Non ho denaro con me e non posso sdebitarmi in nessun
altro modo. »
« Ma no, non c’è bisogno che … »
« Invece sì, sono in debito e mi
piace saldarli come meglio posso. »
« Non occorre, davvero. E’ stato un
caso che mi sia trovato qui; non riuscivo a riposare e così … »
Il sorriso rispuntò sulle labbra
della ragazza.
Era stato solo un attimo, vero, ma non le era sfuggita quella reazione del suo
corpo: era dolore.
Stava mentendo, evidentemente c’era
anche qualcos’altro in ballo; ma non era un suo problema.
« Allora non siamo poi così diversi. Io
mi chiamo Reiko, a proposito. »
Rispose con tranquillità mentre
faceva scorrere le dita sulle corde per ricreare quelle note di una canzone che
aveva sentito in un videogioco, era un ritmo malinconico e stranamente la
vedeva adatta alla serata.
« Our Hero, our Hero, claims a warrior's heart.
I tell you, I tell you, the Dragonborn comes.
With a Voice wielding power of the ancient Nord arts
Believe,
believe, the Dragonborn comes … »
Le dita scivolavano sulle corde in modo leggero
e preciso. Davanti al fuoco che danzava quella canzone sembrava prendere vita,
gli occhi nocciola di Reiko sembravano persi in un mondo diverso mentre
continuava a cantare.
Il ragazzo, ovviamente, non aveva capito
assolutamente niente delle parole che stava pronunciando. Erano un incantesimo
per le sue orecchie, pensò, dal momento che non aveva mai sentito un suono e
una voce simile.
La guardava dall’altra parte delle fiamme, il
viso illuminato da riflessi arancioni ne segnava i tratti risaltando quei
capelli color ebano così corti e scompigliati e anche gli orecchini d’oro che
portava; due su un orecchio e uno solo dal lato opposto.
A guardare la sua espressione mutare con la
canzone per un momento l’immagine di Reiko e di sua sorella si sovrapposero.
Scosse velocemente il capo sotto lo sguardo
perplesso di Kirara che inclinò leggermente il muso miagolando.
Era solo una sua impressione, si ripeté
mentalmente, una sensazione generata dalla troppa stanchezza e da quello strano
incontro.
La musica lentamente cessò.
Reiko allontanò le dita dalle corde e poggiando entrambe le braccia sul corpo
della chitarra si sporse in avanti, sorridendo appena e aspettando qualcosa.
« Allora? Che ne pensi? »
« Ecco … In verità, non ho capito niente di
quello che dicevi e anche il suono di quello strumento mi è poco familiare. »
« Questa tua onestà mi piace molto. »
La risposta così diretta di Reiko lo colse alla sorpresa.
Temeva che quel suo modo di fare potesse averla in qualche
modo offesa, magari delusa, ma non quella reazione così placida e soddisfatta.
Persino Reiko si sorprese della sua reazione ma l’onestà
del suo misterioso salvatore era sufficiente a placare il suo lato sarcastico,
ogni volta che era circondata da persone, soprattutto sconosciuti, non poteva
fare a meno di trattenersi nell’esporre quello che pensava e su quanto palesi
potessero essere le loro menzogne. Queste conoscenze erano generate da anni di
studio intenso e approfondito sull’argomento.
Per farsi perdonare l’aver cantato in una lingua
incomprensibile alle sue orecchie si diede da fare per tradurre il testo,
spiegandolo, usando parole chiare e semplici per arrivare al concetto.
Si picchiettò la guancia a quel punto, ridacchiando e
scuotendo il capo per l’ironia del testo.
« Dunque, esisterebbe a questo mondo una sorta di progenie
dei draghi? »
La domanda fu posta con tanta serietà che all’inizio Reiko
scoppiò a ridere, ma accortasi che il ragazzo la stava fissando abbastanza
intensamente e con fare serio e senza nascondere una certa preoccupazione si
affrettò a dire.
« In verità no.
E’ una canzone, dopotutto, è stata pensata per dare senso
alla trama di una storia che non ha niente di reale. Mi piaceva e ho deciso d’impararla,
tutto qui. »
Il ragazzo non sembrava ancora convinto e allora aggiunse:
« e’ solo una canzone e i draghi non esistono. Non sono mai esistiti, sono solo favole e
leggende. Se fosse vero, cosa che non è, sarebbe sicuramente un guerriero e non
una ragazza che non sa nemmeno scappare da una banda di pervertiti. »
Una vocina nella sua mente le ricordava che anche quello
strano gatto, accoccolato accanto al ragazzo, doveva essere una favola e una
leggenda.
« Se lo dici tu … » rispose distrattamente il ragazzo
ancora più confuso di prima.
« Piuttosto, signor salvatore, io ti ho detto come mi
chiamo ma tu non hai risposto. »
Non aveva ancora saputo il suo nome e chiamarlo sempre “signor
salvatore”, pensò, era una vera e propria seccatura.
« Kohaku. » rispose a quel punto, accennando un leggero
sorriso. « Mi chiamo Kohaku. »
Salve a tutti!
Con questo primo capitolo abbiamo
finalmente dato un nome alla nostra protagonista e al suo “misterioso”, ma non
troppo, salvatore. Come avrete capito la storia parte dal finale del manga e da
esso riprende le mosse. Cercherò di essere quanto più fedele mi è possibile, ma
abbiamo tutti dei limiti e per questa ragione ho aggiunto altri quattro anni
dal finire della storia.
Troverete tanti, tanti riferimenti ad altre opere e canzoni che la nostra
protagonista citerà. La canzone che ha cantato per Kohaku è “Dragonborn” una theme di Skyrim che trovate
tranquillamente online e vi consiglio di sentire, in particolare, la versione
di Malukah che mi ha molto ispirato.
Ultima cosa e poi ho finito, giuro, in questa storia troverete anche diversi
riferimenti a “Over the Garden Wall”
– una miniserie animata che raccomando vivamente a tutti.
Come sempre, o meglio come dal prologo, v’invito a lasciarmi qualcosa scritto
per avere i vostri pareri sul continuare o meno.
Un saluto a tutti voi ♫