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Autore: OurChildhood    21/01/2015    4 recensioni
Annabeth Chase si è trasferita a New York all'inizio dell'estate. Anzi, l'hanno spedita a New York all'inizio dell'estate.
"Abbiamo trovato una scuola per ragazzi problematici come te. La Goods." La sua matrigna non aveva peli sulla lingua per quanto riguardava la sua "adorata" figliastra. Solo perché soffriva di dislessia e iperattività. Non lo trovava giusto.
"Troverai Luke ad aspettarti all'aeroporto." Per di più doveva contare su un ragazzo quasi sconosciuto che i suoi genitori conoscevano appena.
"Perfetto" pensava "non potrebbe andarmi peggio."
Ma si sbagliava di grosso.
***
Le vite di ognuno di noi si incrociano, si scontrano, si sfiorano con quelle di altre persone e, ognuna di queste, lascia un segno più o meno forte nelle nostre vite.
Ogni persona che incontriamo provoca in noi un cambiamento più o meno forte, voluto o meno.
***
Dal Capitolo 12:
Sapevo già che la vita cresce, muta, si incrocia con quella altrui, si marca di cicatrici che non si rimargineranno più. Sta solo a noi cercare di dimenticarle e rincominciare da capo.
Mi alzai dal letto e preparai le valigie. Stava anche a me
cambiare per la vita.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bianca di Angelo, Connor Stoll, Nico di Angelo, Percy/Annabeth, Talia Grace, Travis & Connor Stoll
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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All my friends ask me why I stay strong
Tell ‘em when you find true love it lives on
Ah, that’s why I stay here

And there’s no remedy for memory of faces
Like a melody, it won’t leave my head
Our soul is haunting me and telling me
That everything is fine

But I wish I was dead
Lana Del Rey,
Dark Paradise


PoV Talia
Quella mattina il cortile della scuola era particolarmente sgombro. Forse era perché, date le temperature, i bidelli, mossi da pietà per noi, avevano deciso di aprire le porte della scuola prima di quando avrebbe stabilito il regolamento.
Ma io, ovviamente, ero ancora fuori ad aspettare Nico e Annabeth — i soliti ritardatari.
Fu quindi parecchio sconvolgente per me vedere la testa rossa di Rachel Elizabeth Dare avvicinarsi tutta trafelata, con una sacca per i libri tutta ricoperta di spillette che sbattacchiava sulla sua gamba destra.
«Che Zeus maledica i biondi platinati!» disse urlando. Metà dei ragazzi che si trovavano in cortile si voltarono a guardarci.
«Abbassa la voce Dare! E poi, sì, che Zeus maledica i biondi platinati! Come mai tutto questo fervore?»
Lei, quasi non ascoltandomi continuò a camminare su e giù di fronte a me, facendomi venire il mal di mare.
Mi chiesi come mai non aveva la sua compagnia di Cheerleader al seguito, perché era lì davanti a me e perché si ostinasse a maledire i biondini. Okay, magari anche a me non piacevano chissà che, però non riuscivo a capire perché lei si ostinasse così tanto.
«Dare! Dare! Calmati! — dissi prendendola per le spalle — Cos'é successo? Vuoi essere più chiara una buona volta?!»
«Sto parlando di Octavian! Non mi ha salutata, non mi ha chiamata, solo uno stupidissimo messaggio! — disse quasi alle lacrime — "Ciao amore, sono partito"! Nemmeno un cuore! Non mi ha svegliata! Perché non mi ha svegliata? Gli avevo detto di svegliarmi quando stava per andarsene!»
«E tu? Che hai risposto?» chiesi confusa.
Il silenzio si impossessò di lei, che non é mai silenziosa.
«Non ho risposto. É per quello che sono venuta da te, capisci? Per chiederti un consiglio. So che abbiamo avuto le nostre divergenze, non siamo mai state vere amiche ma... Ne ho davvero bisogno. Mi sono accorta in questi giorni, conoscendo Oct, che mi sono sempre circondata di stronze senza cervello che mi adulavano solo perché volevano essere loro le cocche del capo. Mi sono stancata di quella vita».
Mi accorsi solo in quel momento che non portava con sé il consueto borsone da Cheerleader, non aveva i capelli raccolti da nastri colorati e non girava con abiti da urlo all'ultima moda.
Indossava un paio di normalissimi jeans usurati e tutti colorati con i pennarelli e una normalissima maglietta bianca. Era strano vederla così normale;.
«Allora? Mi puoi aiutare?» chiese speranzosa. Mi fece tenerezza, con quegli occhi spalancati. Sorrisi.
«Certo, dammi il cellulare che lo faccio tornare qui a baciarti i piedi correndo!»
Lei, presa da una gioia irrefrenabile, mi abbracciò. Ero un po' in imbarazzo, ma lei parve non accorgersene.
«Potremmo diventare amiche? Sai, mi sento così stupida per avervi trattato così tutti questi anni...»
«Credo proprio di sì, — le dissi sorridendo —  infondo, hai maledetto i biondi platinati ».


Dopo aver scritto il messaggio per Rachel, aspettai ancora accendendomi una sigaretta. Nico e Annabeth odiavano quel mio piccolo vizio, ma io non ne potevo fare a meno. Così, piuttosto che fumarne una mentre loro erano presenti, preferivo risparmiare loro – e risparmiarmi – i commentini sulla puzza e sui danni del fumo passivo fumandone una prima del loro arrivo. Mi sedetti sul muretto che affiancava le scale, per essere un po' sopraelevata rispetto alle teste degli altri ragazzi e vedere se i due arrivavano, così da poter spegnere in tempo la sigaretta.
Quando Annabeth arrivò, a fianco di Nico, sembrava che fosse apoena stata investita da un camion. Potevi vedere da lontano un miglio che le smorfie di dolore che faceva.
Mi avvicinai quasi correndo a loro, mentre mi accorgevo, man mano che mi avvicinavo, delle occhiaie scure sotto gli occhi della mia migliore amica, della sua pelle pallida e di un graffio che le attraversava la guancia sinistra.
«Che ti é successo?» urlai con le lacrime agli occhi.
«Ha detto di non aver dormito — rispose al posto suo Nico mentre la reggeva — e di sentirsi parecchio male. Sono sceso dall'autobus e l'ho vista cadere addosso al muretto – dove si é fatta il graffio – e lì ha iniziato a vomitare. Le avevo detto di tornarsene a casa, ma lei si é fermamente rifiutata. Non so cosa le prenda».
«Solo un po' di nausea per la gravidanza; — disse, prendendo quasi paura di questa parola — va tutto bene, un po' di tempo e starò meglio».
Annabeth Chase é brava a mantenere le promesse, mi rassicurai.
La abbracciai; il corpo delicato l'aveva sempre fatta sembrare una ragazza da difendere, sebbene avesse un animo di ferro.
Entrammo a scuola sorreggendo Annabeth. Faceva fatica a tenere la testa alta mentre passava tra i ragazzi. Quella non era Annabeth. Non era assolutamente lei. Dov'era finita la mia migliore amica? Me lo stavo chiedendo, ma non trovavo risposta.
Arrivata all'armadietto, lei si appoggiò di schiena all'anta, per poi scivolare giù e prendersi la testa tra le mani. Stava visibilmente tremando, ma lei si ostinava a dire di stare bene. Nessuno le credeva. Nemmeno io.
Aveva gli occhi rossi di pianto, i capelli scompigliati, la bocca imbronciata e l'alito che sapeva da bile. Ma non voleva altro aiuto.
Mentre mi dirigevo in classe mi chiesi perché proprio quel giorno Percy doveva avere la partita di pallanuoto. Magari sarebbe riuscito a convincerla a tornare a casa perché era evidente come il sole che anche solo fare un passo le provocava un dolore immenso. Magari se l'avesse convinta a tornare a casa sarei stata più tranquilla durante l'ora di Economia.
Forse non mi sarei sentita in colpa quando Clarisse mi avvisò che Annabeth era andata a casa perché era svenuta durante la lezione di ginnastica.


PoV Bianca
Quella mattina non avevo preso l'autobus con mio fratello, dicendo che sarei arrivata con Silena.
Ma quella mattina non mi ero affatto trovata con Silena. Avevo aspettato alla fermata finché, nella nebbiolina profusa di quella mattina, non scorsi una chioma ricciuta. Mi avvicinai sorridente a Travis che mi salutò con un bacio degno de "Il tempo delle mele".
Ero così contenta di sentire le sue braccia intorno alla vita da non sentire neppure il freddo pungente di quella mattina. Mi sembrava di volare.
"Quindi é così che ci si sente quando si é innamorati" pensavo.
Pensavo anche che fosse la più bella sensazione al mondo. Pensavo che gli uccelli avrebbero cinguettato e il mondo sarebbe stato un posto accogliente da quel momento in poi.
E nel momento in cui mettemmo piede a scuola volevo baciare nuovamente Travis. Davanti a tutti, tanto per far capire che ormai non ce n'era più per nessuno.
Ma mi ricordai del patto che io stessa avevo imposto: nascondersi finché mio fratello non avesse digerito la questione Ethan Nakamura.
Me ne stavo pentendo in parte, ma dall'altra trovavo che la "relazione segreta" aveva quel non so che di eccitante che bastava per sopportare quelle poche ore divisi.
Poi i baci rubati durante la ricreazione in un corridoio vuoto mi resero particolarmente felice, tanto da pensare che per tutti dovesse essere così.
Fu quando scoprii da Clarisse di Annabeth a sentirmi in colpa. Penso che tutti si sentissero in colpa, almeno in parte. In particolare mio fratello e Talia sembravano nascondere qualcosa.
Quando Percy arrivò a pranzo si trovò vittima degli eventi: Annabeth che stava male, lo svenimento, la crisi avuta quella mattina, Rachel Elizabeth Dare seduta al nostro tavolo.
Impallidì ad uno sguardo di Talia, che sembrava confessargli quella cosa che solo lei e Nico sapevano. Volevo sapere anch'io cosa passasse per le loro teste, ma sapevo che se mio fratello non mi accennava niente, forse era meglio non chiedere.
Quando uscimmo dalla sala mensa, nessuno parlò più della faccenda, ma era unico il pensiero di tutti: andare da Annabeth. Spiegazioni o meno, tutti volevamo vederla.
Anche Rachel sembrava particolarmente interessata, nonostante la gelosia che scorreva tra loro due, ma quel giorno sembrava diversa: più stanca, matura, umana.
Ad un certo punto si allontanò per rispondere al telefono portando con sé Talia. Entrambe tornarono con un sorriso beffardo dipinto sul viso.


PoV Percy
Quella terribile mattina – ma mai la più terribile – mi trovavo ad una gara di pallanuoto, una stupida gara di pallanuoto. Se solo fossi stato presente!
L'avevo promesso ad Annabeth, di starle vicina, di supportarla. Non l'avevo fatto. Stava male, io non le avevo nemmeno mandato un messaggio quella mattina per chiederle come stava. Nulla di nulla.
Appena uscito di scuola aspettai tutti quanti per raggiungere casa di Annabeth. Eravamo tutti parecchio impazienti di vederla.


Entrati nell'appartamento – eravamo un po' strettini tutti lì – trovammo Annabeth particolarmente stanca e distesa languidamente sul divano. Talia sapeva delle chiavi sotto lo zerbino, perciò eravamo entrati senza disturbarla.
Lei, appena ci vide all'ingresso del salotto, tentò invano di alzarsi, subito fermata da tutte le ragazze, in particolare Talia, che si prodigarono a prepararle il the e a fare da "sostegno morale". In particolare Rachel si mostrò disponibile e socievole intavolando un'animata discussione con la malata.
Tutti quanti tentavano di metterla a proprio agio ma era palese che in mezzo a tutta quella folla non si sentisse per niente a proprio agio.
Quando Talia intuì la situazione, fece di tutto per far sgomberare, riuscendo perfettamente nel proprio intento. Mentre tutti stavano per uscire, io tentennai, sentendo per la prima volta del senso di colpa. Le avevo promesso di starle vicino, ma non lo stavo facendo a dovere. Non la stavo aiutando, né stavo facendo qualcosa per alleggerirla dal carico che si stava portando dietro.
Mi arrestai e salutai tutti, poi chiusi la porta.
«Ehi, non dovresti andare a casa?» chiese lei sbadigliando.
«E tu non dovresti mangiare qualcosa di diverso da nutella e patatine? A parte il miscuglio immangiabile – ho capito voglie strane, ma qui si esagera – non fanno bene al bambino» dissi, posandole una mano sul grembo.


Lei sorrise posando la sua mano sulla mia. Il suo ventre era ancora piatto, dopotutto era solo alla decima settimana, ma mi pareva comunque di sentire il piccolo crescere a dismisura. Non ero mai stato così felice. Nonostante il bambino fosse di un altro, lo amavo già come se fosse stato mio. Ma probabilmente ad Annabeth questa cosa sarebbe parsa parecchio strana, quindi tenni questa confidenza per me.


«Perché, avresti intenzione di cucinarmi qualcosa o andarmi a prendere del cibo salutare qui all'angolo?» mi canzonò.
«Perché no?» dissi alzandomi immediatamente dal divano e andando a prendere il giubotto.
«Perché non serve, Percy. Sul serio».
Aprii la porta. «Invece serve. Cosa vuoi?»
Lei affondò la faccia nel cuscino per non rispondermi, convinta che mi sarei arreso.
«Bene, allora sceglierò io! Prendo le chiavi, tornerò presto!»
Poi chiusi la porta, dirigendomi al negozio di alimentari più vicino.


PoV Annabeth
Quando Percy tornò con della verdura – sul serio? Verdura? – si sedette nel posto accanto al mio e mi appoggiai al suo petto.
Mi porse un pezzo di sedano che iniziai a sgranocchiare come un coniglio. Mi sembrava sul serio di essere una morta di fame.
«Devo dire che la gravidanza mi fa strani effetti. — confessai — Mi piace anche questa roba. Ma sul serio, devi aver speso un patrimonio. Lascia almeno che ti restituisca i soldi».
Lui continuò ad accarezzarmi dolcemente i capelli. «Non se ne parla» disse.
«Non puoi obbligarmi a non restituirti i soldi!» dissi girandomi di scatto verso di lui. 
Lui sorrise. Non capii cosa stava facendo finché non sentii le sue mani sui fianchi che scattarono per farmi il solletico.
Saltai e, dopo alcuni attimi di confusione totale, ci ritrovammo a terra, io a cavalcioni di lui mentre gli tenevo le mani ferme sopra la testa e i nostri visi a poca distanza tra di loro.
Ci furono attimi interminabili di silenzio, durante i quali ci scrutavamo soltanto.
Notai le lunghe ciglia che gli contornavano gli occhi luminosi, stranamente luminosi. Notai il contorno più scuro delle iridi verdi. Notai la forma perfetta del naso, il contorno frastagliato delle labbra, l'incisivo leggermente storto che lo rendeva solo più perfetto ai miei occhi – l'avevo pensato davvero? – e gli zigomi appena accennati.
«Vuoi... Vuoi ancora restituirmi quei soldi?» disse balbettando.
Non riuscii a rispondere per i primi cinque secondi. Sembravo di sicuro una stupida oca bionda.
«N-No, mi arrendo. D'ora in poi farò tutto quello che vuoi».
Dissi la frase più sbagliata da dire in quella situazione, in quella posizione; infatti lui fece scorrere lo sguardo sulle mie labbra, facendomi infiammare le guance.
Poi sentii qualcosa salirmi dal basso ventre, una strana sensazione, fortissima. 
Corsi in bagno, ma non vomitai.


Nei giorni seguenti non mi sentii per niente meglio. Rimasi ancora a casa, ma Talia, Nico e Percy vennero a trovarmi tutti i giorni.
Percy rimaneva sempre qualche ora in più per tenermi compagnia, per aiutarmi a mettere a posto la casa, andava a comprarmi qualcosa da mangiare. Era così premuroso e dolce che mi sentii un gran peso per lui.
«Non ti sono di peso?» gli chiesi un giorno. Lui mi baciò una guancia, dove avevo un leggero formincolìo. O forse comparve solo dopo che sollevò le labbra dalla pelle.
«Certo che no, piccola Annie».
Non mi lamentai di quel soprannome. Era da un paio di giorni che non mi lamentavo di quel soprannome. Era anche un paio di giorni che sentivo, quando lui era lì con me, la stessa sensazione del primo giorno. Sempre, costantemente. Ma non vomitavo, non ne sentivo realmente il bisogno.
Dopo le prime giornate riconobbi la sensazione allo stomaco, quelle piccole fitte, come la stessa che avevo quell'estate ogni volta che vedevo Luke, ma moltiplicata per dieci, venti, cento volte.
Sapevo che no, non dovevo farmi prendere troppo, ma la sua vicinanza, i suoi abbracci, i suoi baci, le sue carezze, il suo odore, non facevano altro che aumentare queste fitte.
Lo vedevo così perfetto, così gentile con me, che non riuscii a fare a meno di vederlo con un piccolo fagottino in braccio. Quella visione mi piacque così tanto che un giorno dissi inconsciamente che desideravo tanto che il bambino fosse stato suo. Balbettai qualcosa per salvarmi in corner, dicendo che lo vedevo così gentile che mi sarebbe piaciuto che il vero padre fosse come lui.
Lui mi accarezzò la pancia.
«Anche a me piacerebbe» disse con sorriso malinconico. Solo dopo scoprii a quale delle due affermazioni si fosse realmente riferito.


Tutti i miei amici mi chiedono perchè rimango forte
Dico loro che quando trovi il vero amore rimane per sempre
Ah, ecco perchè rimango qui
E non c’è rimedio per la memoria delle facce
Come una melodia, non abbandonerà la mia testa
La tua anima mi sta ossessionando e mi dice
Che tutto va bene

Ma disidero essere morta
Traduzione di
Dark Paradise


~SPAZIO AUTRICE~
Buongiorno stelle del cielo! La terra vi saluta!
A parte gli scherzi, come va? A me potrebbe andare meglio, ma non ci si lamenta.
Sarò molto breve perché sto parecchio male, quindi mi fermo soltanto per ringraziare le persone che hanno aggiunto la storia alle preferite, alle seguite e alle ricordate – ve se ama – e mandare un grande bacio a coloro che hanno recensito – ve se ama ancora di più.
Volevo dirvi che vi ringrazio specialmente per il fatto che questa storia sta diventando tra le più popolari ed é solo grazie alle vostre dolci parole che vado avanti con questa storia.
Quindi recensite in numerosi, ho bisogno delle vostre parole per tirarmi un po' su di morale ;)
Tanti unicorni rosa a tutti,
- A
 
   
 
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