Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: BaccadorBombadil    21/01/2015    0 recensioni
Kyle (protagonista e narratore) viveva una vita tranquilla, nella casa vicino alla sua non vi aveva mai abitato nessuno ed era lontano dalle altre case del paese, ma un giorno arrivò Ashton...
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Vi erano due graziose casette di campagna, la più soleggiata, per quanto sole ci potesse essere in Inghilterra, a sud, e quella ombreggiata, la mia, posta a nord. I giardini posteriori erano divisi da un basso steccato bianco ricoperto di edera, posto alla distanza di circa una cinquantina di metri da entrambe; questo lo so, perché, prima che la mia vita avesse un nonsochè di interessante, passavo parte del mio tempo a percorrere, avanti ed indietro, quello spiazzo d'erba che mia madre aveva accuratamente invaso con fiori variopinti ed alberi che aveva pazientemente fatto germogliare e crescere e che, ora, in primavera fiorivano invadendo l'aria con l'odore dei loro fiori.
Dalla porta d'ingresso di entrambe le abitazioni si snodava un ciottoloso vialetto che si ricongiungeva sul loro lato est e che, proseguendo in macchina per poco più di una decina di minuti, o a piedi per una ventina, portava al paese. Sul lato opposto si stendeva un fitto bosco diviso da un fiumiciattolo raggiungibile attraverso un piccolo sentiero tracciato dalle mie frequenti esplorazioni. Se, invece, uscendo dalla mia casa si proseguiva dritti attraverso gli ettari di campi incolti, dopo aver superato una piccola collinetta sulla cima della quale era presente una sophora, ci si ritrovava sulle rive di un laghetto soddisfacentemente profondo a pochi passi dal bosco.
Sedevo su una panca a dondolo, in una calma giornata d'estate, il vento mi dondolava dolcemente ed io, all'ombra dei profumati tigli in fiore di mia madre, mi dilettavo nella lettura di Oscar Wilde quando, distrattamente, intravidi in lontananza, sul viale, una macchina che non avevo mai visto prima; chiusi il libro tenendo il segno con l'indice che avevo lasciato fra le pagine, mi sporsi un po' per guardare meglio, forse troppo visto che mi sbilanciai e caddi a terra rischiando di decapitare le piccole ortensie viola di mia madre. Rimasi ancora pochi istanti sulla tenera erba quando sentì i miei genitori chiamarmi, così, dopo essermi sistemato, nel modo migliore in cui potevo, i vestiti, corsi in casa. L'automobile che avevo notato era la macchina dei nostri nuovi vicini di casa, avevano un figlio più grande di me di un anno, avrebbe frequentato la mia stessa scuola, nella mia stessa classe;4 senza lasciar loro dire altro corsi per le scale dritto in camera mia, rastrellai i pochi vestiti buttati a terra e li gettai nel cesto dei panni assieme a quelli che indossavo, mi feci una rapida doccia gelata e, dopo essermi vestito con troppa velocità, mi precipitai nuovamente in giardino. Stavano arrivando. Raccolsi in fretta il libro da terra e, apertolo ad una pagina casuale, finsi di leggere con disinvoltura tendendo tese le orecchie per capire il momento in cui sarebbero finalmente arrivati. Sentì chiamare il mio nome, il cuore mi martellava nel petto ansioso, quanto la mia mente, di conoscere il nuovo vicino; compostamente chiusi il libro e, tenendolo sotto il braccio, mi diressi con passo leggero verso il viale per accogliere i nuovi arrivati.
Il braccio di mia madre mi cingeva le braccia e mio padre, che era dietro di noi, aveva messo la mano sinistra sulla mia spalla e quella destra sul fianco della moglie; la famigliola scese dal mezzo, prima i genitori e, dopo qualche attimo, che per me, ammetto, fu un'eternità, il ragazzo. Il tempo si fermò, nei suoi capelli biondi come quelli della madre si riflettevano fasci di luce rossastra, gli occhi, uno azzurro e l'altro verde, erano allegri, sorrideva serenamente e aveva un fare molto calmo; si avvicinarono sorridendo, ci strinsimo la mano come si fa in chiesa quando si scambia il segno di “pace”, presi la mano del ragazzo, sorrideva, anzi era sull'orlo della risata; rimasi confuso continuando a stringere la sua mano muovendola quasi istericamente su e giù per poi tornare alla realtà dopo qualche secondo. I nostri genitori erano già in casa, probabilmente per bere un caffè, guardai un'altra volta il giovane, vidi a terra il mio libro, corsi a raccoglierlo ed aprii la porta facendogli segno di entrare, passandomi accanto sussurrò ridendo qualcosa che non compresi subito, poco prima di entrare in casa intravidi una delle mie gambe, avevo indossato i pantaloni al contrario. Arrossì in un'unica vampata, mi vergognavo tanto, a testa bassa salii le scale e lui mi seguì, mi prese il libro dalla mano e ,pulendolo dalla terra, lo guardò annuendo e poco prima di entrare in camera mia me lo restituì dicendo che anche lui leggeva Oscar Wilde e, che se avessi voluto, avremmo potuto leggere insieme qualche volta; l'imbarazzo svanì e, dopo essermi precipitato in bagno a sistemarmi tornai da lui.
Doveva aver finito di guardare nella mia libreria perché ora passava in rassegna tutti i miei vinili, ne prese uno e con delicatezza azionò il giradischi, Fall In Love With You- Elvis Presly, era questa la canzone che aveva prescelto. Passammo il pomeriggio stesi sulla moquette ad ascoltare musica e a trovare sempre più passioni comuni; lo invitai a fare un bagno al lago il giorno seguente, prima di andarsene accettò.
La notte non riuscii a dormire, mi rigiravo nel letto sorridendo come un ebete, pensavo a quanto fossi stato stupido a non accorgermi prima che avevo messo i pantaloni al contrario e a come lui non aveva persistito nel prendermi in giro, ero felice e agitato per il giorno seguente e, finalmente, stremato da quella insolita giornata, caddi in un sonno privo di sogni.
Mi svegliai prestissimo, i primi raggi del sole rendevano il cielo rossiccio e pieno di sfumature di viola, rosa e blu; mi vestii con più cura del giorno precedente, in una borsa misi due libri ed un asciugamano e scesi in cucina a preparare dei panini. Quando ebbi finito era passata all'incirca un'ora e mezzo così sgattaiolai fuori, Ashton mi stava aspettando, probabilmente avevamo avuto la stessa idea perché anche la sua borsa era gonfia quanto la mia, ci salutammo e lentamente passeggiammo verso il lago in silenzio.
Ai piedi del grande albero sulla collinetta stendemmo una coperta e ci si sdraiammo per leggere un po' prima di fare un bagno, poiché l'aria era ancora fresca; passarono due, forse tre ore, il sole era alto nel cielo e le lunghe fronde dell'albero ci davano ombra ma, nonostante ciò, il caldo si fece insopportabile così, con uno sguardo d'intesa cominciammo a correre verso l'acqua spogliandoci lungo il tragitto. Mostrai al mio nuovo amico la corda che avevo appeso al ramo più resistente che avevo trovato e gliela porsi perché facesse il primo tuffo, la afferrò e si lanciò lasciandosi cadere così vicino alla riva che corsi a vedere se stava bene, non si vedeva nulla, cominciai a muovere istericamente la testa vicino al posto in cui si era tuffato quando sentii le sue mani bagnate sulla mia schiena spingermi in acqua fra le sue risate. Quando riemersi vidi i suoi piedi scomparire sott'acqua e subito qualcosa mi prese le gambe e trascinò sotto anche me, aprii gli occhi, il suo naso era quasi appiccicato al mio. Sorrideva. Avvicinando il corpo al mio chiuse gli occhi e mi baciò. Rimasi immobile, completamente sorpreso, non sapevo come reagire. Mi lasciai trasportare dalla corrente, dal cuore e dal bacio, chiusi gli occhi anche io e dopo una decina di secondi riemergemmo ancora abbracciati; lasciò la presa ed uscendo dall'acqua, senza dire parola, andò sulla collinetta, si asciugò e si stese al sole. Mi avvicinai a lui e mi sedetti a guardarlo, il sole lo illuminava mettendo in risalto ogni suo piccolo dettaglio, anche due piccole fossettine che non avevo inizialmente notato; presi due panini, uno lo offrii a lui che lo prese e lo mangiò con gusto guardando il cielo. Io non avevo il coraggio di parlare e lui rimaneva in silenzio, con lo sguardo sognante, perso nel limpido cielo, ed io, ancora sbigottito, perso in lui.
Stavamo sempre insieme, qualsiasi momento era quello giusto per andare a fare una passeggiata fino al ruscello o un bagno nel lago, nei giorni di pioggia si stava nel mio salottino e fra tè e biscotti si leggevano libri interi di Oscar Wilde e si finiva la discografia di Elvis, ma, un giorno, smisi di vederlo, quando bussavo alla sua porta la madre diceva che non poteva uscire, i giorni passavano lenti e malinconici, o meglio, non passavano. Il padre era probabilmente un militare, qualcuno di molto importante nell'esercito e nella politica, avevo paura che potesse essere, in parte, anche colpa mia se non potevamo più incontrarci.
Un giorno sentii delle urla provenire dal loro soggiorno, mi precipitai allo steccato e, nascosto dietro l'edera, osservai la scena senza fiato, suo padre lo stava picchiando. Era a terra, il viso livido rigato dalle lacrime, le braccia alzate verso l'alto. Era sporco. Era sporco di sangue. Rimasi immobile, pietrificato, la paura, la rabbia, l'ingiustizia che stava subendo, il suo dolore; sentivo tutto questo e quello che riuscivo a fare era stare immobile dietro dell'inutile edera, si, inutile, come me.
Mi lasciai scivolare a terra sconvolto, le lacrime mi pungevano gli occhi ma non osavo piangere, una calda sensazione di rabbia si accendeva e bruciava dentro di me come fuoco, perchè lo stavo facendo? Perchè permettevo che accadesse ciò? Mi alzai di scatto e saltai la recinzione, corsi dall'altro lato della casa e mi fiondai nel loro salotto, il padre continuava a straziarlo, corsi verso di lui e gli afferrai il braccio con il quale, con la crudeltà di un boia, stava massacrando la persona che più amavo al mondo, si girò di scatto lasciandomi sulla guancia il rosso segno della sua mano, caddi a terra, accanto al figlio; a grandi falcate attraversò il corridoio e se ne andò furioso sbattendo la porta di casa.
Mi feci più vicino a lui, la guancia mi bruciava ma mai quanto l'odio verso quella persona che l'aveva ridotto così, gli accarezzai dolcemente i capelli mentre le lacrime fuggivano dai miei occhi, mise la mano tremante e piena di piaghe sopra la mia. Mi chiese scusa. Mi chinai su di lui e abbracciandolo scoppiai a piangere, era solo colpa mia se gli era successo questo, cercai di calmarmi, lo presi in braccio e lo portai in bagno, gli lavai via il sangue e disinfettai le ferite, lo rivestii con vestiti larghi e leggeri perché non gli procurassero altro dolore e lo feci sdraiare sul letto. Mi sedetti su una sedia accanto a lui, guardando quel viso dolorante che fino a poco tempo prima apparteneva ad un ragazzo allegro e bellissimo; restai con lui finchè non si addormentò e dopo avergli dato un ultimo bacio me ne andai.
Steso per terra, i muscoli indolenziti, il disco che aveva messo la prima volta che ci vidimo che suonava e suonava nel giradischi, guardavo il vuoto, e nel vuoto lo vedevo, vedevo tutto. Mi addormentai sulla moquette e quando mi svegliai corsi alla finestra, dormiva ancora, guardai nel suo giardino, nessuna macchina, il padre non doveva essere tornato. Corsi subito nel suo giardino ed entrai lentamente in casa per non fare rumore e non disturbarlo, quando lo vidi gli occhi mi divennero nuovamente lucidi, accostai dolcemente la porta della camera e presi posto ai suoi piedi accarezzandogli lentamente le gambe. Dopo pochi minuti Ashton trasalì e socchiuse gli occhi, quando mi vide il viso gli si illuminò e sorrise tendendo un braccio verso di me, subito fui vicino a lui, in ginocchio difronte al suo viso, mi accarezzò e, tirandomi a sé, mi baciò per poi lasciarsi cadere stremato da quei piccoli gesti.
Passarono i giorni e le settimane, le ferite non si vedevano più e il padre non tornava, avevamo ripreso a vivere la vita di prima, sempre insieme, quando, il giorno che partivo per le vacanze, anche suo padre si fece vivo nuovamente, ma dovetti, anche se a malincuore, andare e abbandonarlo a quello, che ai miei occhi, pareva una bestia.
La scuola stava per cominciare, non vedevo l'ora di rivedere Ashton, speravo che nulla gli fosse accaduto, imboccammo il lungo viale, mi guardavo intorno, non vedevo nulla, un brutto presentimento s'impadronì di me. Mio padre si fermò di fronte al bivio. Delle nostre case rimanevano brandelli di mura e schegge. Del mio amico, della sua famiglia, solo polvere e il ricordo che conserverò nel mio cuore fino alla fine dei miei giorni.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: BaccadorBombadil