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Autore: Dust Fingers    21/01/2015    0 recensioni
«Non sai cosa sono in grado di farti per costringerti a parlare» disse il maestro «sarebbero in grado di farti giurare che il cielo è blu, se ti prendono».
«Ma il cielo non è-» provò a protestare la ragazza.
«Appunto!» sbottò infine Evan, alzandosi dalla sedia di fronte alla sua.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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012. Different Ways of Thinking

  «Non se parla! È da stupidi e incoscienti, Onnjel!» strepitò perentorio il maestro, sbattendo la mano sul tavolo. Onnjel sollevò appena gli occhi dal coltello che stava affilando, guardando il maestro con sguardo di sfida.
  «Ma perché no, maestro? Tanto lo devo ammazzare lo stesso, perché passare dal camino quando esistono le porte o le finestre!» protestò Onnjel con un ampio gesto delle mani e di insofferenza, sbuffando.
  «Perché se passi dalla porta ti possono vedere!».
  «Ammazzo anche loro» ribadì lei, ancora. Evan la fissò per un istante, sbigottito: non era possibile trovare tanta freddezza e menefreghismo in una persona sola.
  «Ma non puoi ammazzare tutti quelli che ti vedono, non sono compresi nel compenso! Verresti scoperta in meno di un battito di ciglia, ti prenderebbero e ucciderebbero. O peggio, potrebbero torturarti per sapere chi ti ha mandato» la riprese apprensivo e severo.
  «Non glielo direi» ribatté Onnjel con noncuranza.
  «Non sai cosa sono in grado di farti per costringerti a parlare» disse il maestro «sarebbero in grado di farti giurare che il cielo è blu, se ti prendono».
  «Ma il cielo non è-» provò a protestare la ragazza.
  «Appunto!» sbottò infine Evan, alzandosi dalla sedia di fronte alla sua. Sospirò, passandosi una mano sul viso e, massaggiandosi la base del naso, andò verso il fuoco nel camino sul quale bolliva una zuppa piuttosto povera in una casseruola tutta ammaccata.
  «Onnjel, non capisci che il lavoro che ho accettato di insegnarti è pericoloso? Siamo fatti per vivere nelle ombre, noi, non possiamo fare cose così…come quelle che fai tu» riprese poco dopo, tornando a voltarsi e guardando la sua discepola negli occhi grandi. Erano verdi come i suoi, un colore rarissimo e da tempo perduto da quando erano scomparsi gli antichi abitanti di quel mondo.
  «Abbiamo una vita sola» concluse, con una nota di rassegnazione nella voce.
  Onnjel non capì per quale ragione il maestro si ostinasse in quel suo comportamento, non la lasciava nemmeno andare in giro per strada nelle ore più luminose della giornata, tanto era ossessionato. Sospirò riprendendo ad affilare i coltelli: ne aveva già finiti quattro, un coppia di coltelli gemelli e altri due singoli. Il colore delle lame ancora non le si era rivelato. Il maestro le aveva detto, un giorno, che il metallo prende il suo colore definitivo solo quando è quella l’arma che rimarrà per sempre con il suo possessore e le aveva mostrato il suo pugnale la cui lama di elthaan aveva brillato di un verde acceso come i suoi occhi.
  «Maestro, quand’è che anche le mie armi prenderanno il colore?» chiese d’un tratto, controllando l’affilatura del quinto coltello, questo aveva una lama più larga e corta e si potevano meglio scorgere gli arabeschi naturali del metallo, simili nell’aspetto alle formule magiche che aveva visto nei libri della sua ultima vittima, un mago corrotto dal potere della sua posizione.
  «Quando sarai meno incosciente» ribatté acido l’uomo e sentì Onnjel sbuffare sonoramente alle sue spalle.
  «Quanto sei noioso» borbottò. Sfilò il sesto coltello dalla sua guaina fissata alla cintura che, per pigrizia, non si era slacciata dai fianchi. Quello era il suo pugnale preferito, era molto più maneggevole degli altri e l’impugnatura era comoda: la lama aveva un taglio ondulato e la punta ricurva verso l’alto, un serpente si arrotolava su tutta l’impugnatura e, passando dietro l’elsa piccola e appena accennata, mordeva la lama là dove sporgeva indietro verso il polso. Il serpente era curato in tutti i minimi particolari, si potevano distinguere le singole squame squadrate e i denti aguzzi, metallo contro metallo; nell’incavo degli occhi sbirciavano appena due piccoli lapislazzuli che si riflettevano sulla lama completamente istoriata dei simboli naturali dell’elthaan.
  Mentre ammirava quel capolavoro di precisione e bellezza di un fabbro dell’Oltre nord notò che la lama aveva un lieve riflesso rosato visibile solo quando la luce delle candele nella piccola stanza della locanda la colpivano in maniera diretta. Sgranò gli occhi e si alzò di scatto, andando verso il suo maestro ancora chino sul fuoco.
  «Maestro, guarda!» gli strillò ad un palmo dall’orecchio, piazzandogli la la lama sotto il naso.
  «Non urlare, dannazione! Guarda che ci sento ancora» si lamentò lui, tappandosi le orecchie. Onnjel si scusò appena e gli porse il pugnale. «Guarda! Ha un po’ di colore!» esclamò ancora, esaltata dalla cosa.
Evan prese il coltello tra le mani, ma la prima cosa che notò fu la condizione in cui versava l’arma: il filo era tutto smussato e rovinato e il piatto era coperto di piccoli graffi.
  «Ma come lo tratti!?» esclamò risentito. «Non ti ho insegnato a curarti delle tue cose?».
  «Sì sì, ma non è questo i punto. Guarda la lama» fece Onnjel con impazienza indicando dove il metallo era colpito dalla luce.
  «Sì, infatti, la sto guardando ed è uno spettacolo vergognoso».
  «Il colore! Guarda il colore!» esclamò di nuovo con un urlo lei, stufa delle sue divagazioni e con un po’ d’irritazione nella voce. «Sta diventando rosa!»
  «Uhm, è un buon colore il rosa».
  «E cosa significa?»
  «Che sarà una lama fedele e che tu lo sarai. Sembra voler dire che potrò fidarmi di te se avrò bisogno di aiuto» spiegò l’uomo con poca convinzione.
  «Ma?» lo incalzò lei.
  «Ma è appena all’inizio, potrebbe ancora cambiare, potrebbe diventare arancione o gialla, che sono rispettivamente simboli di forza e di coraggio» spiegò il maestro restituendole il pugnale ed alzandosi per andarsi a sedere sul bordo del suo letto.
Onnjel prese il coltello con un po’ di esitazione. «Beh sembrano tutte buone premesse».
  «Potrebbe ancora diventare blu, che è la codardia, Onnjel. Spero che tu non sia così» disse con un sorriso appena accennato sulle labbra.
  «Sempre meglio del rosa, è da femmine» si lagnò lei tornando ad affilarlo, un po’ delusa.
  «E tu non sei una femmina?» Evan sollevo un sopracciglio nella sua direzione.
  «Sai cosa voglio dire» lo fulminò la sua apprendista con un’occhiataccia.
  «Che non sei un femmina?» fece lui perplesso.
  «Che mi fa schifo, il rosa!» fece lei di rimando, ancor più irritata.
  Rimasero in silenzio per un po’, il tempo scandito dal regolare stridio di Onnjel che curava il pugnale e, mentre si perdeva nell’incanto di quel suono piacevole e fastidioso allo stesso tempo, pensava a che colore avrebbe potuto prendere la sua arma. Se doveva essere quella la sua arma definitiva, voleva che avesse un colore degno di quel serpente e di lei. Ridendo tra sé pensò che effettivamente era impossibile che la lama divenisse blu proprio a lei che non voleva passare dai camini delle sue vittime.
Poi un pensiero la fulminò e le bloccò la mano.
  «E se diventasse rosso?» chiese, voltandosi verso il suo maestro ma lui parve irrigidirsi a quella domanda.
  «Spero per te che non lo diventi mai» rispose, dopo un interminabile attimo di silenzio in cui l’aveva scrutata a lungo negli occhi curiosi. «È il simbolo del…» esitò.
  «Del?» si ritrovò lei ad incalzarlo, di nuovo. La fiamma della candela sul tavolo tremolò al refolo del suo respiro teso.
  «Del tradimento» e questa volta fu lei a zittirsi, il silenzio cadde pesante tra loro. Onnjel posò lo sguardo sul metallo che mandava ancora bagliori che in quel momento le parvero più rossi di prima, poi lo riportò in quello verde, come il suo, del maestro.
  «Nah, non fa per me il tradimento» esclamò ad un tratto la ragazza con un sorriso sprezzante e tornò ad affilarne la lama, ora più inquietante che mai.
Evan emise un sospiro con immensa fatica e si stese sul letto. Poi aggiunse: «Comunque non passerai né dalla finestra, né tanto meno dalla porta» concluse.
  «Ma…cosa!?» protestò lei senza però trovare un’altra buona motivazione da porgli e, sbuffando, si arrese.
  
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