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Autore: dreamstory    21/01/2015    4 recensioni
“-In questo momento, sei tutto ciò di cui ho bisogno.-, mi sussurrò quella frase fino a farmi venire i brividi. Il cuore mi martellava nel petto, e non riuscivo a fare altro che osservare quegli smeraldi, che, me ne resi conto, dicevano la verità. Ero un misto di emozioni strane, che non riuscivo più a tenere a freno.
-Solo in questo momento?.-, riuscii a chiedergli, ansimando.
-Sempre.- la sua voce roca e il fiato corto mi fecero avvampare, non sapevo se era giusto farlo, ma gli credevo, credevo al suo amore, credevo a noi.”
I fantasmi del passato tormentano Martina da anni ormai. Da quando suo padre non c’è più, la ragazza sembra essersi convinta che non c’è via di scampo dal dolore e ha perso ogni contatto con il pattinaggio sul ghiaccio. Ma sarà l’impenetrabile e affascinante Jorge, migliore amico del fratello di Martina, a farle cambiare idea su ogni cosa, ad aiutarla a buttarsi il passato alle spalle e ad incasinarle ancora di più l’esistenza con nuovi, pericolosi, sentimenti.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Violetta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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-Stai meglio?-, mi chiese Lodovica uscendo da quella merda di liceo

Accennai un flebile sorriso,-Si…va tutto bene.-

-Non mi piace quando dici le bugie, ma per oggi posso lasciar correre.-,  mi sorrise e si avventò verso la sua bicicletta, salutandomi con la mano.

Infilai le mani nelle tasche del giubbotto, cercando di riscaldarmele.

Mi fermai quando notai Chanel Maddison, una mia compagna di classe, seduta su di una panchina della scuola con le lacrime agli occhi. Si sistemò il cappellino blu, sempre costantemente presente sulla sua testa, anche in classe, e da esso si fece spazio la sua folta chioma rossa, erano  bellissimi i suoi capelli,  insomma erano particolari. In pochi avevano i capelli di quel colore, nella nostra scuola era l’unica che ce gli avesse di natura e non per stupide tinte. Io invece ero così normale. Capelli castani, occhi castani. Avrei dovuto ereditare gli occhi del mio papà, quelli si che erano belli. Deglutii scacciando immediatamente il pensiero. Mi diressi verso il mio obbiettivo, Chanel. Quando mi avvicinai si asciugò le lacrime con il palmo della mano e mi guardò abbozzando un sorriso poco credibile. Oh, conoscevo bene quei sorrisi falsi, più che bene. Erano stati il mio scudo per anni e anche in quel periodo ne usufruivo, nonostante avessi iniziato ad usarli molto meno. 

-Tutto apposto?-, nessuna risposta, le tremava il labbro inferiore e spostò lo sguardo alle converse nere. Atteggiamento tipico, non riesce più a mentire e divaga, secondo i miei piani tra meno di un minuto dovrebbe scoppiare nuovamente in un pianto. -Ok, ho inteso. Se ti va di parlarne…- non finii la frase che un singhiozzo mi interruppe, quella ragazza stava davvero male. Cosa poteva esserle successo di tanto spaventoso? Quella stessa mattina  non aveva niente, era in classe con me. Mmm…doti anche nel fingere che sia tutto a posto. Avevamo più cose in comune di quanto immaginassi. Mi sistemai al suo fianco e mi accorsi che alzò lo sguardo, la vidi, la osservai intensamente. Stava molto male, quel tipo di dolore che non passava indifferente a chi come me l’aveva provato sulla sua stessa pelle. Le sue iridi avevano il colore del cielo in tempesta, erano di uno strano misto tra azzurro e grigio, non avevo mai visto degli occhi con uno sguardo così intenso, maturo e sofferente. Aveva il volto di una che ne aveva passate tante e non ne può più di lottare. Non l’avevo mai vista in quello stato e non me ne ero mai accorta del suo dolore, era brava a fingere. La vibrazione di un cellulare distrasse la mia attenzione dal suo viso alla sua mano, che con la velocità di un fulmine estrasse il cellulare dalla tasca del giubbino. -P-pronto?-, chiese con gli occhi spaventati e la voce tremante, dall’altro capo si percepiva un forte rumore, o meglio una forte voce; le si rigò il viso, prontamente abbassò il volume spingendo i tasti ai lati del cellulare. -S-si s-scusa.-, continuava a ripetere balbettando, con tono sottomesso e spaventato. C’era qualcosa che non andava, quella ragazza aveva un serio problema. Quando finì la chiamata, non feci in tempo a chiederle spiegazioni che si era già alzata dalla panchina ed era tornata sui suoi passi, sola con il suo dolore.

 

-Orsettina, mi ascolti?-, la sua forte voce mi richiamava e mi chiedevo quando avrebbe smesso di inseguirmi, avevo le gambe a pezzi a furia di camminare.-Non mi piace quel soprannome papà!-, replicai spazientita e finalmente mi fermai, lo osservai e vidi che aveva un’aria frustata.-Sei proprio una peperina te eh?-, sospirai cercando di non sfuriare nuovamente, ero davvero arrabbiata, davvero davvero arrabbiata con lui.-Papà, ascoltami, capisco che non ti vada a genio che io frequenti ragazzi con una brutta fama oppure quelli tipo Fran. Ma in ogni caso, nessuno ti ha dato il diritto di intrometterti nelle mie relazioni! Sono grande e so valutare cos’è meglio per me.-, si avvicinò a me e sospirò. -Lo so, ho sbagliato, non dovevo seguirvi, ma tu per me sei ancora la mia piccolina, capisci?-, cercai di mantenere la calma, -E ho paura di perderti.-, a quelle parole il mio cuore si addolcì. Separai la distanza tra noi buttandomi tra le sue braccia.-Non mi perderai papà, noi staremo sempre insieme.-

 

Sospirai in memoria di quel ricordo, ero ingenua a quei tempi. Proseguii sul viale e una folata di vento mi scompigliò i capelli e penetrò oltre il maglione, facendomi tremare. Era da più o meno mezz’ora che camminavo per Brooklyn ma stava iniziando a fare troppo freddo. Maledii la fantastica idea di non indossare la giacca. Sentii dei passi dietro di me e poco dopo una mano mi toccò la schiena, mi girai, ritrovandomi di fronte a Jorge. L’ultima persona che volevo vedere era proprio lui, dato quello che era successo la mattina stessa.-Cosa vuoi?-, chiesi procedendo sui miei passi senza degnarlo di uno sguardo, si mise  di fianco a me. -Ascolta, so che una situazione strana. Io e te, amici. Cazzo, suona strano. Ma in ogni caso, ci sono cose che ho capito di te che non penso tutti sappiano, non per vantarmi del mio spiccato senso intuitivo…-, sorrise e sbuffai, e li ritornava il solito Jorge. Ma un istante prima il suo tono era serio.-Cerca di parlare seriamente, se non vuoi che me ne vada-, al suono di quelle parole ritornò sul pezzo, evidentemente gli interessava l’argomento, devo dire che questa cosa mi piaceva. A Jorge Blanco interessava della sorte della povera Martina. -Dicevo, ci sono cose che ho capito, che sono riuscito a vedere in te, che…che mi hanno spiazzato. Tu soffri, sempre. E non riesci a metterti alle spalle il tuo passato-, abbassai lo sguardo a terra, consapevole del fatto che stava azzeccando ogni cosa, ero allibita. Nessuno sapeva davvero come sentivo e tanto meno che non riuscivo a mettermi alle spalle il mio passato. La maggior parte delle persone che mi voleva bene credeva semplicemente che mi mancava, ma non c’ero solo quello, e lui se ne era accorto. Tremai per il freddo dopo una nuova folata di vento. Alzai lo sguardo e vidi il suo puntato su di me.-Che c’è?-, chiesi infastidita.

-Credo che tu abbia freddo.-, si sfilò la sua giacca e me la porse,- Non voglio il tuo piumino, sto bene.- sorrisi acidamente, ma lui non me la diede vinta. -Stai congelando, fa un freddo della madonna. Prendilo, non è mica infestato.-, sorrisi involontariamente alle sue parole, scossi la testa e afferrai la giacca, inutile dire che mi stava gigantesca. Annusai il cappuccio, aveva il suo profumo e sorrisi nuovamente.-Mi stai annusando…la giacca?-, mi osservò stranito. -Si, problemi?-, chiesi riportando il cappuccio al suo posto.-Oh, certo che no, tutti mi annusano la giacca in effetti, è una cosa normalissima.-, ironizzò portandosi le mani nelle tasche dei pantaloni.

-Molto spiritoso, Blanco-, proseguimmo il tragitto e in men che non si dica arrivammo di fronte al “Brooklyn Bridge”, lo splendido ponte della nostra città. Una volta mi ci aveva portata papà, scacciai velocemente il ricordo. -Cos’hai?-, la voce del ragazzo al mio fianco mi fece tornare con i piedi per terra, mi ero dimenticata che fosse al mio fianco.-Niente.-, risposi prontamente. -Ti vedo pensierosa-, come non detto, lui notava ogni minimo cambiamento. -Sai, qui mi ha portata una volta il papà, dopo una gara. Ero arrivata prima e per festeggiare mi portò a mangiare un gelato e facemmo una passeggiata, mi piaceva stare con lui.-, abbozzai un flebile sorriso e vidi Jorge avanzare verso di me.-Non ne dubito, ero un uomo fantastico.-, dette quelle parole abbassai lo sguardo per cercare di non  pensare, invano. -Perché sei così triste quando parli di lui? I tuoi occhi si spengono di un botto e il sorriso ti svanisce all’istante.-, mi chiese mentre avanzavamo senza meta tra i viali di Brooklyn. Me lo chiedevo spesso anche io, ma forse non sapevo neanche il motivo. -Non lo so…credo che sia perché mi manca, tutto qui.-, risposi non convinta delle mie stesse parole

-Sai, tu sei strana, sei un rompicapo. Sei così complicata, prima credo di capirti e dopo sei la persona più misteriosa che io conosca.-, mi spostai una ciocca di capelli dietro l’orecchio e non seppi cosa rispondere. Aveva ragione, io ero un grande rompicapo e nessuno avrebbe mai potuto comprendermi. Sospirai.

-Sai che ore sono?-, gli chiesi dopo istanti di silenzio, mentre già mi immaginavo le trentamila chiamate di mamma e Francisco sul cellulare, che da grande genia, avevo tenuto spento.

-Mmm…sette e mezza.-, rimise il suo Iphone in tasca, mentre io prendevo il mio. Lo sboccai, controllai le notifiche, sette chiamate di mio fratello e tre di mamma, mi aspettavo peggio ma comunque era da ore che provavano a chiamarmi. -Cazzo-, imprecai quando vidi altri messaggi su whatsapp di Fran.

-Cosa c’è?-

-Fran mi sta cercando da due ore-, risposi digitando il suo numero sullo schermo

-Digli che non vai a casa a mangiare, ceniamo insieme.-, si sedette su una panchina e io sospirai nuovamente.-E cosa gli dico? “Fran sta sera mangio con Blanco perché sono uscita con lui”.-, arricciò le labbra in fare pensoso quando una voce dall’altro lato della cornetta rispose.

-Finalmente ti fai sentire, è due ore che ti cerco!-, mio fratello era un perfetto mix di preoccupazione e arrabbiatura

-Scusami, sono fuori con Lodo e avevo il cellulare spento.-, mi giustificai sperando che non avesse provato a chiamare anche lei. 

-Si, va bene. Io esco a cena, a che ora torni te?-

-Resto fuori anche io, ceno con Lodovica-

-Ok, ci vediamo domani mattina. Non fare tardi.-

-A domani.-, chiusi la linea e mi misi a braccia conserte di fronte a Blanco. -Sei incazzata?-

-No, ma adesso mi devi pagare la cena.-, risposi schiettamente e ci avviammo fino al famoso ristorante cinese in cui mi voleva portare. Attraversammo ancora qualche viale fino a che non ci imbucammo  in una via piccola, da cui proveniva una foca luce. Il locale da fuori sembrava carino, ma dentro era ancora meglio. Le pareti erano dipinte di nero, i quadri appesi sui muri e le sedie spiccavano per i colori accessi, quali rosso, bianco e giallo. -Ti piace?-, mi voltai verso il ragazzo e annuii con il capo. -È bellissimo.-, mi sorrise e si avvicinò ad uno dei camerieri. -Siamo in due.-, il ragazzo sembrò riconoscere Jorge e poi mi osservò da capo a piedi stranito. -Lei é con te?-, chiese con tono stupito. -Già…andiamo.-, rispose il messicano, era palesemente a disagio. -Finalmente hai portato una ragazza!-, il cinese sorrise compiaciuto e Jorge alzò gli occhi al cielo.-È la sorella minore di un amico, non siamo neppure amici.-, mi sorpresi della serietà con cui pronunciò quelle stesse parole, che mi diedero fastidio, non so perché, ma speravo che tra noi stesse nascendo una piccola amicizia, anche minima. Evidentemente lui non la pensava come me. Il cameriere non aggiunse altro e ci accompagnò al nostro tavolo. Cercai di calcare il meno possibile il fatto che ci fossi rimasta di merda, sperando tanto che lui non se ne accorgesse.

-Non dirmi che ti sei offesa.-, il suo talento nel capire il mio stato d’animo          mi iniziava a dare sui nervi, riusciva a comprendere ciò che mi passava per la testa anche solo dalle mie espressione, dai miei gesti.-No, perché dovrei?-, risposi cercando di utilizzare il tono più strafottente possibile, fallendo. Con lui non riuscivo a fingere, riusciva a capirmi. Era l’unico, tutti gli altri li fregavo come niente. Mi ero abituata a far credere alle persone di stare bene, pensavo di essere anche diventata brava, ma poi  arrivato lui, aveva fatto crollare le mie poche certezze. ‘Fanculo.

-Non  lo so, mi sei sembrata offesa.-, rispose sfogliando il menù e lo osservai, mentre era intento a scegliere. Lo sguardo attento, le iridi  verdi più cupe del solito, le guance rosee per il freddo, le labbra carnose e i capelli leggermente rialzati dal gel, che era d’abitudine passarci le dita. Era così perfetto, nella sua imperfezione. E cazzo, quegli occhi e quel sorriso nascondevano qualcosa, che non riuscivo a percepire.

-Martina?-, la sua voce mi risvegliò dai dubbi che si stavano facendo spazio nella mia mente contorta. -Cosa vuoi?-, risposi freddamente cercando di non incrociare il suo sguardo, inutile ricordarlo, mi avrebbe capita con una sola occhiata. Odiavo quella situazione, mi stavo seriamente infastidendo. -Gli ho detto che non siamo amici perché pensavo che non volessi essere mia amica, mi sbagliavo, forse.-, mi chiese con aria perplessa. -Infatti non voglio essere tua amica e non mi sono per niente offesa.-, non sollevai lo sguardo e mi finsi non curante delle sue parole, dovevo cercare di fingere, come con tutti gli altri. Prima o poi si sarebbe stufato di cercare di capirmi. -Ok, allora è tutto a posto?-

-Si.-, certo, tutto perfettamente perfetto, stavo a meraviglia, come no. Per tutto il resto della cena non ci scambiammo molte parole, a parte quando mi fece notare che mentre mangiavo sembravo un camionista e che non se lo aspettava da uno stuzzicadenti magro come me. Parlava proprio lui che sembrava non mangiare da una settimana per le quantità industriali di cibo che riusciva a mandare giù con una sola forchettata! 

Dopo aver pagato uscimmo dal locale e si era fatto buio. -La moto l’ho parcheggiata qua vicino, ti va di fare due passi?-, si strinse nella felpa dei Bulls e mi sentii in colpa per essermi impossessata della sua giacca.

-Alternativa?-, arricciò le labbra fingendo di pensare e poi sorrise.-Potrei portarti così…-, avanzò verso di me con fare divertito e non feci in tempo a chiedere spiegazioni che mi poggiò le mani sui fianchi e mi sollevò da terra, poggiandomi con un movimento fluido, come se pesassi dieci chili, sulla sua imponente spalla.     -Scherzi?-, gli chiesi cercando di sembrare arrabbiata. -Dai, così non ti puoi lamentare.-, iniziò a correre e prese a ridere, io gli martellai più volte il petto con i pugni, mentre la gente ci osservava divertita. Scoppiai a ridere anche io quando corse su e giù per i muretti della parte di Brooklyn che meno conoscevo, certe volte mi tirava sù e mi faceva volare a modi angelo e solo in quei momenti mi sembrò di iniziare nuovamente a vivere; mentre i miei capelli tagliavano l’aria e volteggiavo mi sentivo libera, una sensazione che ero abituata a provare, un tempo. Già, quando pattinavo. 

 

La voce del professore di storia riecheggiava nell’aria ormai da più di mezz’ora, ma io ero concentrata su ben altro. La mia nuova compagna di banco, Chanel, era intenta a scarabocchiare sul suo blocco il volto di un uomo. A essere precisi era di un ragazzo e da quanto sembrava anche molto bello. Da quando l’avevo vista piangere fuori da scuola mi tormentavo cercando di capire il motivo di tanta sofferenza, ma ogni mio tentativo sembrava invano. Era sempre silenziosa, non parlava con nessuno e non la vedevo alle studentesche, proprio come Debbie. Dovevo avere un talento nel capitare in banco con ragazze associali. A differenza di Debbie, però, Chanel era molto bella, con la carnagione olivastra, i capelli mogano, gli occhi grigi e il fisico perfetto sembrava uscita da una di quelle riviste dove le ragazze in copertina ti fanno abbassare l’autostima sotto i piedi. Era alta praticamente il doppio di me, ciò rendeva il suo fisico ancora più slanciato. Era una ragazza enigmatica, introversa e questo la rendeva ancora più affascinante. Non c’erano difetti in quella creatura, non sembrava nemmeno stronza. Non si meritava tutto il male che stava subendo. Non sapevo perché soffriva, per colpa di chi, ma sapevo che non stava per niente bene, mi identificavo in quella ragazza più di quanto credessi. Però nei suoi occhi c’era un velo di tristezza che non passava inosservato, alquanto raro, forse anche peggiore del mio. Prese dall’astuccio dei pastelli colorati e iniziò a colorare il disegno, era stupendo. Il suo tratto era leggero, sembrava accarezzare il foglio e questo produceva un effetto straordinario,  mi chiesi come facesse a essere così brava. Restai qualche minuto in contemplazione di quella meraviglia e mi immersi in pensieri tutt’altro differenti. Mi tornarono in mente i ricordi del giorno prima, quando ero uscita con Blanco, e mi resi conto che era stata una delle poche sere in cui mi ero davvero liberata di ogni pensiero, in cui avevo provato un emozione che non provavo da tanto tempo, la libertà. Sobbalzai sulla mia sedia quando la campanella suonò per il cambio d’ora. Uno strano vociare femminile si diffuse in classe e mi accorsi ben presto del perché. Sulla soglia della porta della nostra aula c’era Jorge, che avanzava verso la mia direzione. No cazzo, no. Si appoggiò al mio banco.-Che cazzo ci fai qui?-, gli chiesi allarmata. -Tranquilla, sono venuta per Fran. Mi continua a fare domande, dice che ha il sospetto che tu sia uscita con qualche ragazzo ieri pomeriggio e anche ieri sera.-, mi spiegò.-E qual’è il problema? Francisco si fa sempre mille idee strane sulla mia vita sociale, non è una novità.-, gli risposi questa volta con tono tranquilla, ero sollevata.-Il problema è che vuole fare un interrogatorio alla sua “Lodita”, che da quanto ho capito non sa dire bugie e che da quanto credo non sa di ieri pomeriggio.-, lì si metteva male. -O cazzo…-. Lodovica era una persona splendida, una migliore amica fantastica, possedeva tutti i pregi possibili immaginabili ma c’era una cosa che proprio non le riusciva: mentire. -Come sei volgare.-, accennò un sorriso provocatorio e lo fulminai con lo sguardo, pensai subito ad una soluzione, ma proprio non mi saltava niente per la testa. I miei pensieri vennero interrotti dall’arrivo nell’aula della mia professoressa di matematica. -Blanco cosa ci fa lei qui?-, chiese subito con la sua perfetta voce da gallina. -Ma che piacere rivederla…la vedo più raggiante del solito, ha fatto qualche trattamento di bellezza?-, che leccaculo. -La smetta Blanco ed esca immediatamente di qui, ormai ho imparato tutti i suoi trucchetti!-, rispose a tono l’oca, che fece volatilizzare in un batter d’occhio il messicano. La lezione passò ancora più lentamente del previsto e per poco non mi addormentai nel pieno della spiegazione. Finite le ore scolastiche io e Lodo uscimmo dall’aula e lei era seriamente pronta a farmi un accurato interrogatorio sul perché quel rincoglionito di Blanco si era presentato nella nostra classe per vedermi. 

-Cosa vi siete detti tu e Jorge?-, mi chiese una volta uscite dalla classe. -Ecco, di questo proposito, dovrei parlarti di un po’ di cose.-, ammisi mentre avanzavamo verso gli armadietti. Era la mia migliore amica e non potevo di certo nasconderle la quasi amicizia che si stava creando tra me e il messicano. -Ah…riguarda lui?-, continuò mentre aprì l’armadietto. -Si, insomma, ieri sera ci siamo visti.-, a quelle parole fece praticamente saltare in aria l’anta. -T-tu e J-Jorge?-, era decisamente paralizzata e devo dire che me lo aspettavo. -Si, lui sa di papà.-

-Tutti sanno di tuo papà.-, mi fece notare lei. -Sa TUTTO.-, sottolineai bene l’ultima parola, lasciandomi intendere. -Si lo so, lui ti conosce bene. La cosa che più mi sconcerta è il fatto che siete stati insieme ieri sera.-, richiuse l’armadietto e mi guardò con un’espressione alquanto stupita dipinta in volto. -Guarda che mica…-, non mi fece finire la frase che mi interruppe.-A casa di chi?  A casa sua suppongo. È andato proprio fino in fondo? E gli atri fratelli? Gli hai…-

-Ma stai dando di matto? Siamo solo usciti a cena!-, quasi urlai, per farmi bene intendere. La mora tirò un lungo sospiro di sollievo. -Ah, ok! Pensavo aveste fatto chissà che…-, un’espressione divertita prese il posto della precedente. -Sei proprio strana te eh.-, sorrisi anch’io, la presi sotto braccio ed insieme ci avviammo verso la mensa. Quando ci sedemmo al nostro tavolo, mi allarmai vedendo Fran, Jorge e Diego, venire verso la nostra direzione. -Dio, no…-, imprecai sotto voce. -Hey bellezze!-, mio fratello si sedette con il vassoio in mano intorno al nostro tavolo rotondo e venne seguito dai suoi amici. -Cosa ci fai qui Fran?-, chiesi con un mezzo sorriso nervoso.-Volevamo farvi compagnia, non possiamo?-, come no, sei molto credibile fratellino. -Ne sei proprio sicuro Fran? Perché a me sembra che le vostre galline vi stiano aspettando.-, la mia migliore amica indicò il tavolo a cui di solito sedevano loro tre, posteggiato da alcuni giocatori della squadra di hockey e le troie tutte tette tanto amate dai ragazzi. -Credo che per oggi potranno fare a meno di noi dolcezza.-, Diego fece l’occhiolino a Lodo, che rispose con un’espressione disgustata e scuotendo il capo. Incominciai a mangiare interi bocconi del mio hamburger da trecentomila calorie pur di non parlare.-Allora ragazze, come è andata ieri sera?-, quasi mi ingozzai a quella domanda. Con l’ottima recitazione di Lodovica, ero proprio nella merda totale. -Io parlerei d’altro, cosa ci interessa a noi?-, intervenne Jorge e in quel momento gli ero grata in una maniera disumana.-A me interessa. Lodita, cosa mi dici?-, l’italiana abbozzò una faccia confusa e dovetti tirarle un calcio nelle gambe per farle capire. -Ah, si. Ristorante italiano, mmm…una bontà!-, cazzo, peggio di lei a fingere non avevo mai visto nessuno. Era perfino peggiorata dall’ultima volta. -Si, davvero buonissimo. Cambiamo argomento?-, proposi con un sorriso speranzoso. -Ma dove si trova esattamente questo locale? Potremmo andarci insieme qualche volta.-, mio fratello sapeva essere proprio stronzo quando voleva eh. -In centro.-, rispose la mia migliore amica prima che potessi aprire bocca. Evidentemente esisteva davvero, sperai. -Bene, ora direi che si è fatto tardi, no?-, Jorge interruppe il mio dolce fratellino e accennai un grazie con le labbra a cui rispose con un occhiolino decisamente troppo sexy per i miei gusti, si davvero troppo. -Si, andiamo Tini.-, uscii insieme ai tre ragazzi e Lodovica e dopo poco io e Fran arrivammo a casa. Velocemente raggiunsi il piano superiore fino alla mia camera e tirai fuori il libro di storia. Mi immersi nello studio e ci misi un bel po’ dato che non avevo ascoltato neppure una parola della spiegazione. Venni interrotta quando il mio cellulare vibrò sulla scrivania, era Lodo che mi chiedeva se avevo voglia di venirla a prendere a pattinaggio. Le risposi di si, anche se dentro di me iniziava a salire ansia e angoscia. Classico, non mi sarei fatta abbattere da così poco. Io sono forte, era tutto ciò che mi continuavo a ripetere mentre uscivo di casa. Questa volta con indosso una pesante giacca invernale, ripercorrevo la strada che così tante volte avevo attraversato, quella che portava al mio palazzetto. I miei passi erano lenti e traballanti, andavo così piano che una lumaca avrebbe potuto superarmi di un pezzo. Ma alla fine arrivai alla mia meta, un grande cancello in ferro a me molto noto e una pista di ghiaccio aspettavano solo me. Fantastico. Lo aprii ed entrai nell’enorme struttura, intorno ai tavolini del bar c’erano alcuni ragazzi, con la tuta e la borsa dell’Ice. Mi guardai intorno e non vidi la mia migliore amica, ciò voleva dire che era ancora negli spogliatoi, era sempre stata lentissima a cambiarsi e da quanto potei constatare non era cambiato niente. Avanzai verso gli spogliatoi, di cui ricordavo perfettamente ogni singolo particolare. Vuoto. Angoscia. Ansia. Vuoto. Angoscia. Ansia. Mi fermai di colpo quando sentii delle voci provenire da una porta grigia, con il logo dell’Ice stampato sopra e la scritta “Hockey Maschile” e sotto di essa qualche firma, scorsi subito quella di mio fratello e quella di Jorge, che diceva: “Blanco capitano”. Ma smisi di leggerle quando mi accorsi che tra le voci che parlavano, c’era la sua. Blanco. Non mi piaceva origliare, ma la curiosità prese sopravvento in me. 

-È la tua unica possibilità, Jorge. Non ha mai perso una gara quella ragazza.-, a parlare era un uomo, dalla voce forte e ferma. -Ma coach, non pattina da tanto tempo.-, la cosa si faceva decisamente interessante e mi incuriosii sempre di più.

-Ma tu non hai idea forse del talento che ha. Ci sono persone nate per fare una cosa specifica, lei è nata per pattinare. Se avesse continuato probabilmente a quest’ora sarebbe ai mondiali.-, sentii un sospiro e un altro strano senso di vuoto.

-Certo, lo so.-

-Allora sbrigati ragazzo mio, se vuoi vincere quella borsa di studio, Martina Stoessel è la tua unica possibilità.-, rimasi paralizzata a quelle parole. La mia impulsività fece un grande lavoro quando aprii di scatto la porta quasi involontariamente. Jorge mi guardò stupito quando si accorse della mia presenza.  -Non ti voglio più vedere. Sparisci dalla mia vita.-, urlai quelle parole e richiusi la porta sbattendo, corsi fuori dagli spogliatoi e mi scontrai con Lodovica. -Cos’è successo?-, fu la prima domanda della mia migliore amica.-Niente, lasciami sola.-,  velocemente raggiunsi l’uscita, varcai il famoso cancello grigio e mi avventai nella Brooklyn serale. -Martina!-, riconobbi subito la sua voce, ma non mi fermai, proseguii sui miei passi. Dopo poco sentii chiamarmi nuovamente, sentii la sua presenza vicina a me. La sua voce era quasi implorante. Mi raggiunse circondandomi la vita con la sua prese delicata, da morire di infarto praticamente.    -Ascoltami, ti prego.-mi sussurrò in un orecchio, mentre il mio cuore eseguiva dei perfetti axel. -Lasciami, vattene.-

-Non me ne andrò finché non chiariremo questo fraintendimento.-, staccò le braccia dalla mia vita e mi fece voltare verso lui. -Te lo chiedo per favore, bimba.-

-Non c’è molto da spiegare, sei stato carino e gentile con me per tre giorni solo perché hai bisogno di me per fare coppia sul ghiaccio. Mi sembrava strano, ma è colpa mia che sono una scema e ti ho creduto.-, mi presi il volto tra le mani ripensando alle parole che mi aveva detto su papà e mi si strinse il cuore. -Non è così, non puoi nemmeno pensarla una cosa del genere. L’ultima cosa che voglio è vederti soffrire per colpa mia.-, avanzò verso di me. -Ci frequentiamo da tre giorni eppure mi sono accorto che sei cos’ importante per me, cazzo. Quando si tratta di te sono così vulnerabile. E fidati se ti dico che di amiche ragazze ne ho avute proprio poche.-, inarcai le sopracciglia con fare ovvio.-Certo, te le sei portate a letto tutte.-, gli feci notare. -Già, ma con te è diverso, voglio esserti amico, voglio starti vicino. Ho bisogno di te bimba.-, il cuore iniziò a battere troppo forte per i miei gusti e sentii uno strano bisogno di lui. Strano no, lui aveva bisogno di me e io di lui, bisogno del suo capirmi con una sola occhiata, il suo stuzzicarmi di continuo e anche quei sorrisi e occhiolini seducenti che mi facevano impazzire. -Perdonami, ti prego.-, sembrava sincero, ma non sapevo se credergli, in fondo io gli servivo per quella stupida idea del pattinaggio di coppia. Feci per andarmene, ma ancora una volta venni fermata dalla sua salda presa.-Stai qui con me. Ti prego.-, la sua voce tornò ad essere supplicante, e la sua presa diminuì quando si accorse che mi ero fermata, come ipnotizzata da quelle parole, come se ne avessi uno sfrenato bisogno. -Non andartene.-, ripeté nuovamente. Mi specchiai nelle sue iridi smeraldo, che erano sincere come non mai. -Sono qui.-, mi buttai tra le sue braccia, mi strinsi a lui come se non avessi mai avuto bisogno di altro, mentre la sua presa su di me aumentò nuovamente. Affondai il capo nel suo petto, respirando a fondo l’aroma della sua colonia mista a quella leggera di tabacco. Un mix estremamente inebriante. E forse da parte mia era sciocco, ma volevo dare una possibilità alla nostra strana e nuova amicizia. 

 

Passò una settimana da quando avevo scoperto che Jorge Blanco era il misterioso partner. Ci vedevamo poco, dato che mio fratello sembrava scosso da un aumento improvviso del suo comportamento iperprotettivo nei miei confronti. Però ci sentivamo spesso per telefono, mi chiedeva spesso come stavo e ogni volta tentava di non farmi pensare a mio padre, facendo battute stupide e stuzzicandomi come era solito a fare. Da quando ci “frequentavamo”, mi sentivo bene, forse meglio, erra diventato per me una sorta di persona su cui sfogare i miei sentimenti e sapeva sempre come agire; quando era il momento di scherzare, scherzava, quando era il momento di stare zitto, stava zitto. Sembrava ci tenesse davvero a me, forse era semplicemente elettrizzato dal fatto di avere un’amica e non aver mai fatto sesso con lei, allora mi dedicava tutte le attenzioni possibili. In ogni caso, mi faceva bene la sua presenza nella mia vita.

Era mattina e camminavo per i corridoi della mia scuola in compagnia della mia migliore amica. -Allora…ricapitoliamo. Tu hai sentito Jorge dire che vuole essere il tuo partner perché sei la sua unica speranza di vittoria. Ti sei arrabbiata, sei corsa fuori, lui ti ha rincorsa e dopo una serie di frasi dolcissime lo hai perdonato.-, era già la quinta volta che cercava di “analizzare” la situazione. Sospirai e ripercorsi la mia routine, aprii l’armadietto, presi i libri, richiusi l’armadietto. -Si, esatto.-

-Ma non credi che dovresti dirlo a tuo fratello?-, mi suggerì Lodovica. -Così magari ci ritroviamo una rissa fuori casa, col cazzo.-, risposi schiettamente. -Già.-

Quella giornata si prospettava decisamente interessante, si si. Raggiungemmo l’aula e la prima cosa che notai fu il fatto che Chanel non era seduta al suo posto. Cercai di non farmi troppi paradigmi mentali assurdi e mi feci spazio sul mio banco, salutando la mia amica, che raggiunse il suo. -Avete visto Blanco mentre faceva basket senza maglietta?-, una delle pettegole seduta di fronte a me parlava con la ragazza di fianco, mi diede un po’ fastidio quell’affermazione, ma d’altronde era normale. Se Jorge era figo cosa ci potevo fare io? -E poi quando è entrato l’altro giorno per vedere la Stoessel? Da vicino è ancora più bello.-, continuò una delle due. Feci finta di non sentire. -Beh, anche lo Stoessel è tanta roba.-, aggiunse un’altra, fate come se io non ci fossi , pensai mentre scuotevo la testa, sapevano benissimo che io ero presento e per il novantanove per cento l’ultima stava sottolineando il fatto che uno dei più fighi della scuola era mio fratello e che io non sarei mai stata alla sua altezza, ai suoi grandi livelli. Mi venne quei da ridere pensandoci. 

Chanel non si fece viva per tutta la giornata scolastica, il che mi fece preoccupare abbastanza. Non la conoscevo e non sapevo la sua situazione, eppure c’era sotto qualcosa che mi puzzava. Aveva un aspetto così debole e indolenzito in quegli ultimi giorni, che mi vennero in mente i pensieri peggiori. 

 

Quel pomeriggio, dopo scuola, uscii di casa con le intenzioni di smaltire un po’ di pensieri di troppo, tipo la decisione che ero costretta a prendere. Anche se Jorge aveva detto che avrebbe rinunciato a quella borsa di studio, sapevo benissimo che ci teneva tanto e quindi era mio dovere assumermi quella responsabilità, e scegliere. Una buona volta, dovevo fare chiarezza nella mia vita, cercare di capire ciò di cui avevo bisogno. Sapevo che di Jorge avevo bisogno, ero uno dei miei primi amici veri maschi ed era una sensazione fantastica poter avere una persona con cui potersi sfogare. E dato che io tenevo a lui, nella mia scelta lo dovevo includere assolutamente. Pensare alle conseguenze delle mie decisioni era una delle cose a cui dovevo far più riferimento. Blanco era misterioso, sapeva essere uno sbruffone con il sorriso sempre stampato in volto e con la tremenda ossessione del sesso con ragazze con almeno una quarta e un fondoschiena da urlo, ma riusciva ad essere così protettivo, dolce e sensibile nei miei confronti che certe volte mi chiedevo che dote avesse. Mi sedetti esausta su una panchina laccata in verde, in parte ricoperta da qualche foglia secca caduta dagli alberi. Mi ritornò in mente mio fratello, che dopo tre anni mi aveva finalmente detto quelle fatidiche tre parole: Ti voglio bene. Un tuffo al cuore sapere che gli stavo nascondendo che mi vedevo con il suo migliore amico, a cui mi aveva prettamente consigliato di stare alla larga. Più che consigliato, mi avevo obbligata. Diceva che nessuno di loro era capace di amare, che erano dei poveri pervertiti che sapevano solo abbandonare le ragazze dopo del sesso. Cazzate, Blanco sapeva amare, eccome. In ogni caso, se Fran avesse scoperto che ci “frequentavamo” (da amici, logicamente) avrebbe dato di matto e ne sarebbero usciti con una rissa mica da ridere. Il solo pensiero mi faceva star male. E alla fine di ogni cosa poi, c’era Chanel, che mi preoccupava come non mai. Non sapevo perché mi interessasse così tanto, ma non riuscivo a togliermela dalla testa, ero molto in pensiero per lei, anche se non la conoscevo fino in fondo. E proprio in quel momento il mio sguardo si spostò dove meno doveva cadere e il suono di quel pianto era fin troppo famigliare. Mi girai, consapevole della scena che avrei visto. E non mi sbagliavo, lei era lì, e non era sola.

*Angolo Autrice*
Hey! Ecco un nuovo capitolo,  anche se un po' in ritardo. Speravo di raggiungere più recensioni, infatti per il prossimo punterei almeno a 7 recensioni. Ma fa niente, passiamo alle cose serie. In questo capitolo succedono un sacco di cose e novità, che mettono la nostra Martina in condizione di fare una scelta. Vi piaciuto? Spero che recensirete in tante.

Chia :3

 

 

 

 

   
 
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