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Autore: Flaesice    21/01/2015    1 recensioni
Penelope Penthon è una ragazza bella, sfacciata ed intraprendente; una ragazza che non si è mai arresa alle difficoltà della vita, che si è fatta da sola ed odia i pietismi.
Nel suo mondo non esistono le mezze misure: tutto deve essere necessariamente o bianco o nero, giusto o sbagliato.
Ma nella vita - prima o poi - si è sempre obbligati a scontrarsi col grigio, ed è proprio allora che tutte le certezze crollano e bisogna mettersi in discussione.
E' ancora una ragazzina quando per gioco decide di sedurre un suo compagno di scuola, il riservato Nathan Wilkeman, per poi allontanarlo definitivamente.
Il destino li farà incontrare cinque anni dopo nella meravigliosa Los Angeles; Penelope sempre più votata al suo stile di vita, ma Nathan?
Decisamente più esperto e meno impacciato cercherà di prendersi una piccola rivincita per il passato, ma si sa che la passione non è un'emozione facile da gestire nemmeno per una come Penelope.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Capitolo XV

Era una serata come tante, me ne stavo comodamente sul divano coi  piedi poggiati sul tavolino ed  il cartone della pizza in grembo.
Nonostante Russell, un collega che si occupava di web design, mi avesse invitato a bere qualcosa con un suo gruppo di amici, avevo preferito restare a casa; ed ora me ne stavo a guardare annoiato un telefilm poliziesco alla tv.
Due sere prima la serata era trascorsa meglio. Decisamente meglio.
Avevo trovato il modo per convincere Penelope a stare con me - dopo settimane che continuava ad ignorarmi –  per “inaugurare ” il mio nuovo appartamento in ogni angolo.
In effetti, fatta eccezione di alcune impraticabili zone, avevamo fatto sesso su qualsiasi superficie piana ci capitasse a tiro.
Penelope era instancabile quando si trattava di donare il suo corpo perfetto, con una sensualità ed audacia disarmanti; peccato non potessi sperare di essere l’unico a godere di queste sue – come dire – “qualità”.
Accantonai quei pensieri prima che i nervi si tendessero sotto pelle, mangiai un altro boccone di pizza e bevvi un sorso di birra.
Improvvisamente il cellulare prese a squillare, sorrisi al display nel vedere il nome di chi mi cercava.
«Buonasera sorellona» risposi.
“Nathan caro, come stai?”
«Benone, mi godo la mia vita da scapolo»
“Scapolo?” rise appena “Hai solo ventiquattro anni, io ne ho trenta. Tra poco mi definiranno zitella” disse in un lamento, questa volta fui io a ridere.
«La mia bellissima e sexy sorellona una zitella? Non scherzare nemmeno»
“Ok” sospirò “A proposito, mio caro scapolone incallito” disse in tono beffeggiante “Penelope?”
Ecco che ci risiamo, pensai afflitto.
«Penelope cosa, Noemi?»
“Oh ti prego, Nathan…”
«Ok, fermati. Hai vinto»
La interruppi prima ancora che potesse iniziare uno dei suoi soliti sproloqui in cui, dopo un giro inverosimile di parole, ti faceva capire per logica -  o molto più probabilmente per sfinimento - che lei aveva ragione.
«Sì, mi piace» ammisi.
“Lo sapevo” disse con aria di vittoria “Wow, devo assolutamente…”
«No, no, no Noemi. Metti un freno al tuo entusiasmo,  stanne fuori» le intimai serio.
“Ma io…Perché mai?” domandò stranita.
“Già Nate, perché mai?” mi rimbeccò la coscienza.
Se solo fosse stato facile spiegarlo.
«Non devi necessariamente sapere il motivo» aggirai la sua domanda «Potresti fare finta che questa conversazione non sia mai avvenuta, per favore?»
“D’accordo, se ci tieni tanto” disse in un tono che conoscevo benissimo.
«Non farmi il muso» dissi con dolcezza, sorridendo.
“Io non sto facendo il muso”
«Oh sì invece»
“Sei insopportabile”
«Anche io ti voglio bene. Notte Noemi»
“Notte fratellino”
Riagganciai restando ancora col telefono tra le mani.
La voglia di chiamare Penelope era pazzesca.
Volevo vederla, portarla in giro per locali per ballare fino a tardi, magari un po’ brilli, e infine concludere la serata da me a rotolarci tra le lenzuola.
Placai il mio istinto e cercai di resistere.
Sapevo di non doverla pressare, se c’era qualcuno che aveva bisogno dei suoi tempi quel qualcuno portava il nome di Penelope Penthon, ed io come un idiota ci ero ricascato.
Erano passati a malapena due mesi da quando l’avevo rincontrata, più bella di sempre nel suo essere donna, spigliata, arguta, interessante ed estremamente sexy; non era stato difficile convincerla a venire a letto con me, dopotutto lei era sempre stata una persona abbastanza…disponibile.
Purtroppo quella che era iniziata come una frequentazione basata sul sesso stava diventando qualcosa di più intenso, almeno per me.
Fin dal liceo avevo sempre avuto un debole per lei e come un idiota avevo creduto di averlo superato; invece avevo solo capito che nessuno poteva ignorare quel fascino, quegli occhi scuri e profondi, il modo in cui il suo corpo ti parlava, in cui ti sfidava incurante delle conseguenze, e poi c’era quel suo animo misterioso da mettere a nudo.
Al sol pensiero sentii l’eccitazione prendere il sopravvento: il cellulare ancora stretto tra le mani nel disperato tentativo di controllarmi, dovevo resistere.
Decisi di fare una doccia fredda - decisamente fredda - poi mi misi a letto cercando di pensare ad altro, magari all’indomani mattina quando finalmente avrei potuto vederla in ufficio.
 
Guardai disperatamente l’orario per la millesima volta: le dieci e mezzo in punto.
Misi il computer in stand by e mi avviai verso il corridoio dove ogni giorno incontravo Penelope e gli altri colleghi durante la sua pausa caffè; ad esclusione di Bob della contabilità che puntualmente era lì soltanto per sbavare dietro Penelope senza alcun ritegno.
Lasciai la giacca sullo schienale della mia poltrona, arrotolai fino al gomito le maniche della camicia ed aggiustai il colletto stando ben attento a lasciare scoperta una porzione di petto, come avevo capito che a lei faceva impazzire.
Ravvivai i capelli con una mano e percorsi in fretta quei pochi metri che ci separavano, impaziente di sentire la sua risata cristallina e il suo profumo dolce.
In lontananza scorsi gli innamoratissimi Josh e Caroline, Mary - segretaria personale di Bill - e il solito Bob, con l’aria corrucciata. Di Penelope nemmeno l’ombra.
Inserii i soldi nella macchinetta e selezionai un caffè ristretto, rivolsi un cenno di saluto ai presenti e mi misi in disparte, in attesa.
Trascorsero dieci minuti mentre a poco a poco tutti tornavano al proprio lavoro; Penelope non si fece viva.
Non mi arresi. Probabilmente stava lavorando, così finii il caffè ed andai nel suo ufficio.
Bussai una volta senza ottenere risposta  così provai ad aprire, ma la porta era chiusa a chiave.
«Penelope?» la richiamai, continuando ad insistere con la mano sulla maniglia «Ci sei?»
Sentivo il palmo sudato ed uno strano senso di nervosismo, posai l’orecchio sulla porta ma da dentro non proveniva alcun rumore.
Cercai di darmi una calmata, presi l’ascensore diretto dall’unica persona che avrebbe potuto sapere qualcosa.
«Johanna, ciao» salutai la ragazza dagli occhi vispi ed il sorriso da ebete stampato sul viso «Come va?»
«Oh…ciao, Nathan…» si portò nervosamente le mani tra i capelli, sfoderai il mio miglior sorriso e la vidi vacillare «Tu…tutto bene, te?» chiese.
«Adesso alla grande» ammiccai nella sua direzione, la vidi arrossire fino alla punta dei capelli «Senti volevo domandarti una cosa»
«Tutto quello che vuoi» rispose prontamente, protendendosi lungo il bancone nella mia direzione.
«Penelope Penthon. Sai perché non è nel suo ufficio?»
«Penelope? » pronunciò il suo nome con un’espressione tutt’altro che cordiale «Oh sì, oggi l’ha presa di festa. Tornerà direttamente lunedì»
«Ah, sai il motivo?» chiesi confuso.
«No, mi spiace»
«Ok, sei stata gentilissima» le sorrisi ancora.
«Di niente» rispose mostrandomi il suo sguardo da cerbiatta «Ci vediamo presto?» domandò timida.
«Sicuramente»
Mi allontanai, più sollevato da un lato ma afflitto dall’altro. Ancora una volta avevo dubitato di lei, senza pensarci due volte.
Cazzo, forse era vero che avevo dei pregiudizi nei suoi confronti.
Avevo temuto si trovasse in “compagnia” nonostante fossi consapevole che il lavoro per Penelope fosse sacro, come lei stessa aveva tenuto a precisare dopo quello che era accaduto nel suo ufficio.
Scossi la testa amareggiato.
Incazzato con me stesso per la poca fiducia che riponevo in lei; incazzato con lei perché mi dava un milione di motivi per dubitare.
Continuai il mio lavoro sovrappensiero, con le ore che trascorrevano con una infinita e sfiancante lentezza.
Purtroppo il pensiero di Penelope era diventato un’ossessione, il suo sfuggirmi non faceva altro che mandare a puttane i miei piani.
Era lei che avrebbe dovuto desiderarmi. Lei che sarebbe dovuta impazzire di gelosia. Continuavo a ripetermi che lo meritava per il modo in cui mi aveva trattato in passato, eppure non potevo non pensare a quanto mi sentissi ancora più coglione di allora.
A diciotto anni è l’inesperienza a guidarti; ma a quasi ventiquattro qualcosa avresti pur dovuto imparare stupido Wilkeman.
Quando uscii dall’ufficio decisi di andare alla Sunshine House, nella speranza di trovarla lì. Presi la metro e per tutto il tragitto non pensai ad altro che a un modo per convincerla a passare la serata con me, sembravo un patetico uomo costretto ad implorare per un po’ di sesso.
Beth venne ad aprirmi, sorridente come al solito.
«Buonasera» le sorrisi.
«Nathan, ciao» mi baciò entrambe le guancie con calore «Cerchi tua sorella?»
«No. In verità vorrei sapere se Penelope è qui»
«Penelope?» chiese in un momento d’esitazione, poi i suoi occhi brillarono «Oh, Penny…No, lei non è qui, mi spiace»
«Ah…ok» sospirai pesantemente.
«E’ successo qualcosa?»
I suoi occhi mi scrutarono attenti e potei scorgere l’apprensione nella voce. Era chiaro quanto le volessero bene.
«No, è tutto ok. Adesso devo andare, saluta Noemi e Thomas»
«Lo farò» sorrise ancora, poi richiuse la porta.
Nonostante non volessi arrivare a tanto – per evitare tutta la questione della pressione e quant’altro -  mi decisi a comporre il suo numero, il telefono risultava staccato.
“Cazzo Penny, dove sei finita?”
Degno della qualifica di miglior stalker del secolo, mi diressi verso casa sua e posteggiai l’auto nel piccolo viale d’ingresso.
Bussai alla porta - lievemente a disagio ma consapevole che non avrei desistito – ed attesi qualche istante senza ottenere risposta.
Iniziai a battere nervosamente un piede sul legno del porticato producendo un ticchettio fastidioso perfino alle mie orecchie, poi provai ancora sperando che almeno la sua coinquilina fosse in casa.
Dopo un po’ una bellissima ragazza alta e bionda venne ad aprirmi, i suoi occhi chiari mi guardarono quasi con stupore.
«Nathan?» chiese.
“Come faceva a sapere chi fossi?”
«Ehm, sì…ciao…»
Non mi pareva molto carino rivolgermi a quella ragazza nei termini: “Scusa ma ci conosciamo?”. Fortunatamente lei intuì la mia perplessità e mi venne in aiuto.
«Tanya. Tanya Humpry» chiarì.
Strabuzzai anch’io gli occhi.
«Tanya? Scusa io…non ti avevo riconosciuta»
La scrutai per bene. Ricordavo che già da ragazzina fosse bella ma adesso era uno splendore, l’amica da cui Penelope non si staccava mai.
«Non credevo fossi tu la sua coinquilina, che foste ancora amiche»
I suoi occhi quasi mi fulminarono per un istante.
«Non dire mai più una cosa del genere se non vuoi morire» disse ironica «Dai entra» mi diede le spalle e si avviò all’interno «Non credo ci sia bisogno che ti faccia strada» mi sorrise beffarda.
Sorrisi tra me ripensando a quello che era successo in quello stesso appartamento più di una volta, e ringraziando Tanya per essere una ragazza che passava spesso la notte fuori.
«Già» dissi semplicemente.
«Vuoi un caffè?» si diresse verso la cucina, la seguii.
«Sì, grazie»
Presi posto e la guardai mentre lo preparava, non sembrava stupita dalla mia visita, quasi si aspettasse che prima o poi sarei arrivato.
«Cerchi Penny, vero?» si voltò a guardarmi da sopra la spalla «Le avevo detto di avvisarti»
«Avvisarmi di cosa?» domandai sospettoso.
«E’ partita » mi porse la tazza fumante, la presi ma non bevvi.
«Partita per dove?» la mia voce doveva essere agitata al punto che la vidi guardarmi con dolcezza.
«Tranquillo, domani sera sarà qui»
«Oh bene» espirai sollevato, ma conscio di quanto potessi sembrare patetico.
Tanya si avvicinò e prese posto al mio fianco, puntò i suoi occhi seri nei miei.
«Senti Nathan…» s’interruppe e sospirò, come se fosse incerta sul da farsi.
Continuai a guardarla senza parlare, sperando che il mio silenzio e la sincerità del mio sguardo potessero esortarla a parlare.
«Penny, lei…» si fermò ancora.
«Tanya, ascoltami, non c’è bisogno che tu dica necessariamente qualcosa» dissi vedendo la sua difficoltà.
«Lei ti piace»
Era un’affermazione, non una domanda. Restai in silenzio, la mascella contratta, senza sapere cosa dire.
«Noi abbiamo…un certo feeling» aggirai il discorso.
La vidi annuire, sovrappensiero.
«Non devo intromettermi, Penny non me lo perdonerebbe»
«Scusa ma…non riesco a capirti»
“Cos’è tutto questo mistero?”
«Non c’è nulla da capire, lei tornerà domani. Adesso scusa ma avrei da fare» un modo gentile per dirmi di andare via.
«D’accordo, ti ringrazio»
Uscii di casa, la confusione più totale nella testa.
Non mi stupiva che Penelope non mi avesse avvertito della sua partenza, sapevo di non poter vantare nessuna pretesa nei suoi confronti - come lei nei miei - eppure non potevo fare a meno di pensarci.
Ero teso, nervoso, la sensazione di essermi impelagato in qualcosa che non avrei saputo gestire mi opprimeva il petto rendendomi irritabile.
“Cazzo Nathan, controllati” mi ammonii.
Perché doveva essere così difficile desiderare una persona e volerla tutta per se?
Non pretendevo l’amore, soltanto una persona “normale” con la quale relazionarmi. Penelope, invece, era la complicatezza fatta persona ed io le stavo permettendo di mandarmi fuori di testa.
M’incamminai verso casa riflettendo sul fatto che Tanya avesse impiegato soltanto pochi secondi a capire il mio reale interesse, e preoccupandomi di cosa sarebbe accaduto se anche Penelope l’avesse capito.
Decisi di non rimuginarci troppo su e di non lasciarmi impressionare dall’apprensione che avevo visto trapelare da ogni poro di Tanya.
Avrei continuato per la mia strada, la mia strategia non avrebbe fallito. Non stavolta. 
   
 
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