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Autore: Black Swan    25/11/2008    1 recensioni
Junayd Kamil Alifahaar McGregory ha tutto.
E’ l’unico punto di contatto fra due delle più potenti famiglie del paese, ha ricchezza, bellezza, intelligenza, una posizione di prestigio.
Junayd Kamil Alifahaar McGregory ha le idee chiare.
Sa cosa deve o non deve fare, ha imparato molto presto come far girare il mondo nel verso che gli fa più comodo, ha preso la decisione di condurre una doppia vita a soli quindici anni e custodisce segreti che i suoi genitori neanche immaginano lui possa conoscere.
Junayd Kamil Alifahaar McGregory è convinto di avere già tutto quello di cui ha bisogno: i pilastri della sua vita sono già stati piantati, i confini già marcati. Si renderà conto che anche lui può sbagliare.
Junayd Kamil Alifahaar McGregory non ha mai fatto i conti con il suo cuore. Si accorgerà quanto prima dell’errore commesso.
Junayd Kamil Alifahaar McGregory non ha mai realmente ascoltato il suo cuore. Scoprirà che non è mai troppo tardi per cominciare…
Genere: Avventura, Azione, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 6

Non E’ Mai Troppo Tardi

6

 

 

 

 

 

 

 

 

Aprì gli occhi pochi secondi prima che suonasse la sveglia e bloccò l’allarme.

Melissa non si era staccata di un millimetro e con non poca fatica riuscì a liberarsi dalla stretta della piccina senza svegliarla.

Andò in bagno per sciacquarsi il viso e lavarsi i denti, si vestì con cautela e uscì dalla stanza.

I suoi zii erano letteralmente a guardia davanti alla porta.

Ormai andavano sul sicuro quando si trattava di dove fosse la figlia quando non la trovavano.

«E’ di nuovo da te vero?» chiese sua zia.

Chiuse la porta alle sue spalle e fece segno ai suoi zii di seguirlo.

Si allontanò di qualche metro dalla porta per evitare che, svegliandosi, la bambina potesse ascoltare cosa si dicevano.

«Juna…» cominciò suo zio.

«Zio, temo mi abbia aspettato sveglia.»

«Cosa? Ma se l’ho messa io a letto» disse Elisabeth.

«Zia, ho fatto in tempo a spegnere la luce che è entrata in camera. Per la prima volta stanotte Lissa non è venuta da me per un incubo, mi ha direttamente aspettato sveglia perché era preoccupata che potesse succedermi qualcosa.»

Suo zio si stropicciò gli occhi con una mano, «Dannazione, il fatto di oggi l’ha sconvolta più di quanto credessi. Deve essersi sentita in trappola ieri a cena.»

«Ryan, cosa devo fare con lei secondo te?» s’inalberò sua zia.

«Tesoro, non sto dicendo che è colpa tua. Il fatto è che… dannazione, non riesco ad immaginare cosa potrebbe fare Lissa se cominciasse a pensare che vogliamo separarla da Juna.»

«Ho l’impressione che la situazione stia peggiorando a vista d’occhio» disse sua zia rivolgendosi a lui. «Cosa devo fare secondo te adesso? Non portarla fuori con gli altri?»

«Assolutamente no zia, il programma non deve cambiare. Resta il fatto che si è addormentata che erano le due stanotte, dici di farla andare comunque all’asilo?»

La donna sospirò, «Lasciamola dormire, in camera tua sta comunque tranquilla. Quando si sveglia le faccio fare il bagno, le lavo la testa e ci prepareremo per uscire.»

Suo zio cinse le spalle ad entrambi con espressione torva, «Ottimo. A fare colazione adesso.»

Scesero e andarono nella sala.

Suo nonno alzò lo sguardo appena entrò nella stanza.

«Juna, non ti ho chiesto nulla ieri sera, ma vorrei sapere una cosa prima di parlarne alla famiglia.»

Si sedette accanto a lui ricambiando lo sguardo che gli veniva rivolto. «Pensi sia una buona idea far venire Jeremy e la sua famiglia qui?» continuò suo nonno.

«Cosa?» chiese Ryan.

Suo nonno non staccò gli occhi dai suoi… doveva dare lui il benestare adesso?

Cercò nel proprio archivio di risposte sensate e diplomatiche la più adatta, «Al momento se c’è qualcosa di meglio da fare, non mi viene in mente.»

«Molto bene. Ryan, ne parlerò quando saremo tutti. La situazione è anche più grave di quanto pensassi.»

«Buongiorno» salutò Paul entrando.

«Buongiorno Paul» rispose Ryan.

«Ryan, cosa è successo?» chiese suo zio al fratello minore. «Sei nero stamani.»

Suo nonno osservò il figlio più piccolo, «Tuo fratello ha ragione Ryan, cos’hai?»

«Melissa ha aspettato alzata Juna» spiegò dopo un breve silenzio sua zia.

«Cooosa??» esplosero suo nonno e suo zio insieme.

«Juna mi ha detto qualcosa che mi ha gettato nel panico» disse Ryan. «Melissa ha iniziato a preoccuparsi che succeda qualcosa a lui

Suo nonno lo guardò, «Ho capito bene?» chiese «Non è stato un incubo a portarla da te stanotte.»

«Hai capito bene nonno: è stata la paura reale che mi succedesse qualcosa mentre non mi ha sott’occhio a tenerla sveglia.»

«Ma per la miseria!» continuò suo zio Paul «Qui la situazione va peggiorando a vista d’occhio ormai!»

Suo nonno rimase un attimo in silenzio, poi si rivolse al suo ultimogenito, «Ryan, ti prometto che ne parleremo stamani, questa situazione deve risolversi, ma devo affrontare un discorso con l’intera famiglia prima che Juna e Connor vadano via.»

Suo zio Ryan annuì, «Stai tranquillo papà.»

«Paul, hanno molto tua moglie, Georgie e Justin?» chiese suo nonno.

«Credo di no papà, perché?»

«Saresti così gentile da chiamare anche tuo fratello e tua cognata? Devo parlare a tutti.»

L’uomo rimase un attimo in silenzio, poi «Riguarda Jeremy?»

Suo nonno gli annuì e suo zio sparì dalla stanza com’era apparso.

Sua madre entrò subito dopo, «Buongiorno a tutti.»

«Buongiorno Manaar» salutò suo nonno. «Connor?»

«Me lo ha chiesto anche Paul, l’ho incontrato per le scale, ha detto che lo chiamava. E’ successo qualcosa?» gli arrivò alle spalle e come il solito gli posò un bacetto sui capelli, «Buongiorno Juna.»

«Buongiorno mamma» rispose toccandole una mano posata sulla sua spalla.

«Effettivamente ci sono novità. Ancora non sono sicuro, ma preferisco che lo sappiate subito.»

Sua madre prese posto vicino a lui senza staccare gli occhi dal suocero, «Nulla di grave spero.»

«No Manaar, sta’ tranquilla.»

«Ah, vi volevo avvisare che comunque oggi Melissa non andrà all’asilo» disse Elisabeth. «Ha dormito troppo poco. Manaar, quasi certamente avrò bisogno del tuo aiuto.»

«Sta poco bene?» chiese sua madre sempre pronta a preoccuparsi per il mondo intero.

Mentre sua zia spiegava alla cognata cosa aveva deciso, e in parte il perché di quella decisione, la sua attenzione fu catturata dall’entrata di sua cugina.

Georgie stava a testa china e camminava lentamente.

«Georgie?» chiamò.

La ragazza alzò lo sguardo su di lui, «Sì?»

«Stai bene?»

I suoi occhi si sgranarono, «Non molto, è così evidente?»

«Abbastanza, di solito sei più rumorosa.»

Gli sorrise appena, «E il bello è che hai anche ragione.»

«Cos’hai Georgie?» chiese sua madre pronta come sempre «Posso esserti utile?»

Sua cugina apparve improvvisamente imbarazzata, scosse le spalle «Niente di grave» fece una pausa. «Mal di testa, devo comprare degli analgesici quando usciamo.»

Mal di testa eh… e per il mal di testa si teneva la pancia e camminava curva.

Lanciò uno sguardo a sua madre che lo ricambiò con uno che diceva chiaro e tondo lascia fare a me che sono una donna che gli tolse ogni dubbio.

«Ho degli analgesici in camera, vado a prenderli.»

«Ma zia…»

«Perché devi stare male tutta la mattinata? Mangia qualcosa e lo prendi subito.»

«Grazie zia, non so neanche come ho fatto a rimanere senza, fra me e la mamma ci stiamo così attente.»

Arrivò alla sedia e si sedette con cautela.

«Se non te la senti di venire a quella riunione non ci sono problemi Georgie» disse suo nonno che evidentemente non aveva capito.

«Nonno, ecco…» cominciò la ragazza.

«Nonno, ha mal di testa, non è in fin di vita» le andò in soccorso. «Anche a me passa subito il mal di testa con un analgesico.»

Georgie lo guardò e si arrese con un sorriso, «Per il tuo mal di testa vale lo stesso analgesico?»

«Il mio è di natura leggermente diversa, cugina.»

Zia Elisabeth ridacchiava, suo nonno e suo zio vagavano senza meta nella nebbia più fitta.

Rientrarono tutti insieme e si sedettero.

Appena Howard uscì con le varie ordinazioni, suo nonno prese la parola.

«Innanzitutto buongiorno a tutti. Mi dispiace cominciare subito la giornata con un discorso, ma aspetto notizie da Jeremy e se le cose andranno come spero, è meglio che ve ne parli subito. Prima di spiegarvi tutto però, devo anche avvertirvi che dobbiamo parlare di Melissa, perché la situazione sta degenerando… pensandoci bene, magari Connor e Juna potranno arrivare in ufficio più tardi stamani.»

Sua madre gli lanciò un’occhiata perforante, ma la sua attenzione fu catturata di nuovo dal suocero che annunciò novità su Jeremy e la sua famiglia.

In breve spiegò cos’era successo la sera prima, omettendo la parentesi con Jennifer ringraziando il Signore, e le conclusioni alle quali era arrivato.

«Quindi Jeremy, Sarah, Jennifer e Michael si trasferirebbero qui» riassunse suo padre.

Sua madre lo guardava insistentemente. Sapeva cosa stesse pensando, il collegamento fra lui e Richard doveva lasciarla non poco perplessa.

Stava succedendo esattamente quello che aveva sempre evitato con tutte le sue forze.

«Esatto Connor, ho pensato che spazio ce n’è e certo Villa McGregory è molto più protetta di quella di Jeremy. Voi che ne pensate?» stava intanto dicendo suo nonno.

«Juna, tu che ne pensi?» chiese suo zio Paul.

«Zio, credo che Jeremy e la sua famiglia siano sotto una pressione intollerabile adesso. Tu come ti sentiresti nella loro situazione? Qui sua moglie e i suoi figli non sarebbero mai soli e poi Villa McGregory è a prova di bomba.»

Zia Elisabeth alzò lo sguardo al soffitto, «Io li capisco perfettamente: se succedesse qualcosa a Melissa ne morirei.»

Registrò con la coda dell’occhio un movimento da parte di sua madre. Si era sporta verso la cognata e le aveva preso una mano stringendola, sua zia la guardò con gratitudine.

Dio solo sapeva se sua madre e suo padre sapessero cosa significasse perdere un figlio.

Il silenzio che seguì gli disse che non era stato l’unico nella stanza ad avere quel pensiero.

«Hai sentito ancora il generale ieri sera?» riprese suo nonno dopo essersi schiarito la voce.

Rimase un attimo in silenzio, parlare di queste cose davanti a sua madre era uno dei suoi peggiori incubi divenuto realtà.

«Sì nonno» rispose. «Gli ho spiegato cosa avevamo in mente di fare e non ha fatto commenti.»

«Come fai ad avere agganci all’interno dell’F.B.I.?» chiese Justin.

«E’ esattamente quello che mi stavo chiedendo anch’io» disse sua madre.

«Ma quali agganci… abbiamo amici in comune, nel senso che a volte è capitato di parlarci. La verità è che cercavano un modo per arrivare a Jeremy e non si sono fatti ripetere due volte l’invito.»

«Io non ho nulla in contrario» disse Paul.

«Neanche io» continuò Ryan.

«Se ci fossero veramente pericoli, l’F.B.I. non metterebbe in mezzo un’altra famiglia» commentò Manaar.

Lennie alzò gli occhi al cielo, «I McGregory poi.»

«Per me va bene» disse suo padre.

Madeline guardò il marito, «Speriamo solo che Jeremy accetti.»

«Non sarà Jeremy a decidere Madeline» disse suo nonno. «Sarah e Jennie sono sull’orlo di un esaurimento nervoso… e poi avresti dovuto vedere la reazione di Micky davanti a Juna, sembrava lo conoscesse da una vita. Sono questi i fattori che decideranno per Jeremy.»

«Beh, sembra che finalmente avrò un po’ di compagnia vicina alla mia età» commentò Georgie.

Justin soppesò la sorella con un’occhiata… «Guarda che se la matematica non è un’opinione, Jennifer ha circa sedici anni adesso… devo ricordarti quando sei nata, sorellina?»

«Mostro.»

Tutti risero.

Arrivò la colazione e il discorso si spostò su Melissa e gli ultimi peggioramenti della situazione.

 

Michael rimase con il biscotto a mezz’aria, «Andare? Andare dove?» chiese.

«Ci trasferiamo per un po’ da Patrick.»

Suo fratello si trasformò in una molla, «Da Juna!!» esplose saltando letteralmente in piedi sulla sedia. «Juna vive con Patrick vero??!!»

«Michael, non gridare» disse sua madre sbigottita.

«Papà, andiamo a vivere con Juna?!» ripeté.

Suo padre guardò la moglie, «Beh, Patrick vive con i figli e le rispettive famiglie, quindi sì, c’è anche Juna.»

«Quando andiamo?!»

«Devo telefonare a Patrick e sentire quando possiamo andare.»

«Chiami subito allora? Voglio salutare Juna! Mi passi Juna?!»

«Micky, adesso è troppo presto, sono appena le sette.»

Suo fratello fece una smorfietta, «Chiami oggi comunque?»

«Certo, chiamerò oggi.»

Michael sorrise raggiante, «Mamma, ti piace Juna?» chiese poi.

Sua madre per poco si rovesciò il tea addosso. «Ma Michael…» cominciò.

«Voglio dire, se sposasse Jennie a te andrebbe bene?»

Fu ad un niente dal far fuori la seconda tazza nel giro di dodici ore, «Micky!» esplose.

Suo padre rideva con le lacrime agli occhi, «Dio Santo Micky, certo che Juna ti ha proprio colpito eh?»

«Dev’essere una prerogativa di famiglia» commentò sua madre.

Le lanciò un’occhiata che fu completamente ignorata.

Michael neanche l’aveva sentita.

«Deve essere una persona molto forte, coraggiosa e buona vero papà? Si merita il suo nome! Mi sono sentito tranquillo appena l’ho visto. Sembra sicuro di sé, vero papà?»

«Beh, certo che Juna è il miglior partito della città. Ha un cugino ma è già fidanzato con la figlia maggiore dei Lewis…»

«Mamma?!»

«Avanti Jennie, si fa per parlare» si difese sua madre. «Ieri sera mi è sembrato andaste d’accordo.»

«Adesso basta, via» le venne in aiuto suo padre. «Tesoro, Jennie farà tardi a scuola se non ci sbrighiamo.»

«Papà?»

«Dimmi Michy.»

«Non hai risposto alle mie domande.»

Suo padre si arrese dopo cinque secondi di silenzio, «E’ un ragazzo in gamba, al di là del suo quoziente d’intelligenza. Ha la testa sulle spalle. Sa ciò che vuole e sa come ottenerla. Non so dirti se è una persona buona Micky, ma so per certo che è molto coraggioso e determinato.»

Michael annuì evidentemente soddisfatto della risposta.

Lei rimase semplicemente sbigottita: non aveva mai sentito suo padre parlare di qualcuno con così tanta ammirazione e… affetto.

Forse di Patrick, ma Patrick era il suo migliore amico.

Aveva visto giusto: suo padre adorava quel ragazzo.

La situazione era anche peggiore di quanto avesse pensato.

«Micky… c’è anche una cosa che volevo dirti.»

Suo fratello alzò lo sguardo dalla tazza di cioccolata… stava ancora sorridendo felice, «Cosa?»

«Riguardo i due guerrieri.»

Sua madre deglutì il morso di pane imburrato come se fosse un masso di una tonnellata.

Michael aprì bocca e la richiuse subito, lo sguardo improvvisamente vigile. «Cosa?» ripeté.

«Purtroppo non è possibile rintracciarli. Ho fatto di tutto Micky, devi credermi, ma non è proprio possibile.»

Michael rimase in silenzio, poi sospirò. «Ok» disse semplicemente.

«Micky, saremo al sicuro adesso, anche senza di loro» aggiunse suo padre.

Suo fratello sorrise, «Ti credo papà.»

Suo padre guardò il figlioletto attonito, poi guardò sua madre… sembrava non credere a quello che aveva appena sentito.

E ci credeva.

A parte il fatto che il figlio di quattro anni aveva appena cercato di rassicurarlo come se fosse lui il bambino in quella stanza, anche lei si sarebbe aspettata tutto all’infuori di una così placida resa.

 

Dopo appena un’ora e mezzo di riunione, giusto il tempo necessario per un resoconto dettagliato dei primi due mesi, i suoi zii e i suoi cugini avevano l’aria di esseri umani con un urgente bisogno di uno stacco… e se ne aveva bisogno Justin, arrivato da appena mezz’ora, figurarsi i suoi zii e Georgie in che condizioni mentali erano!

Il suo sguardo si posò su Bart, completamente assorbito dal grafico che stava spiegando.

Bart era un uomo di circa sessant’anni… forse più settanta che sessanta. Forse era coetaneo o quasi di suo nonno, a volerla dire tutta, anche se portava gli anni molto bene.

Per quanto si sforzasse, non ricordava il suo cognome… gli venne improvvisamente il sospetto di non averlo mai saputo… era semplicemente Bart.

Era una persona estremamente precisa, metodica e nel ruolo che aveva nella compagnia era a dir poco perfetto. Era come se il ruolo si fosse plasmato a forma di Bart.

Suo nonno lo chiamava per nome dandogli del tu, quindi era figlio di uno degli elementi che nei primi anni trenta del novecento era entrato nella compagnia nell’unico momento di crisi che questa ricordasse: come diretto effetto della grande crisi si verificò un massiccio fuggi fuggi di personale e il suo bis nonno, nonno di suo padre, aveva rimpiazzato tutti gli storici elementi con giovani con voglia di fare che all’epoca furono considerati pazzi per il rischio che si apprestavano a correre di loro spontanea volontà.

Molti dei figli di quegli impiegati avevano preso pari pari il posto del padre e Bart era uno di questi.

Di seguito non lo meravigliava neanche più che ad occhio e croce Bart considerasse suo nonno alla stessa stregua di Dio in persona… era un qualcosa che capiva.

Quando suo padre era arrivato al posto che adesso occupava lui e suo nonno era il presidente, il consiglio di amministrazione era formato dagli anziani della compagnia, Bart incluso che poi era stato fra i primi a lasciare la carica per occuparsi solo ed unicamente di un singolo lato della compagnia, e suo padre era stato considerato, all’età di trentacinque anni, un ragazzino.

Alla luce di tutto questo, lui era praticamente ancora in fasce.

Con due lauree e in grado di reggere il ruolo che gli era stato affidato in maniera esemplare, ma pur sempre un bebè.

Decise di fare una buona azione.

«Bart, mi scusi se la interrompo.»

«Mi dica signor Junayd.»

Bart poi era veramente vecchio stampo: lui diventava signor McGregory se non vi erano suo padre e tanto meno suo nonno nella stanza. Fino a quando suo nonno fosse stato presente, suo padre stesso era signor Connor.

«Qualcuno vuole un caffè?»

Si alzò un coro di accettazione a dir poco commovente, Bart stesso accettò con un sorriso.

Alison lasciò il blocco che usava per stenografare e si alzò per andare alla macchina per il caffè strategicamente parcheggiata nella sala riunioni.

Anne rimase alla sinistra di suo padre.

«Come vi sentite?» chiese suo padre con un sorrisino che gli disse che sapeva già la risposta.

«Credo che sopravvivrò…» disse zio Paul.

«Se sono andato troppo veloce, mi scuso» disse Bart.

«Temo che dovremo abituarci a questo ritmo» disse zio Ryan.

Alison cominciò a portare i caffè e Anne si alzò per darle una mano, nel giro di pochi minuti stavano tutti bevendo.

«Papà, nonno, c’è una cosa di cui vi volevo parlare. Come responsabile degli acquisti volevo fosse presente anche Bart.» Al silenzio che seguì, riprese «Riguarda gli hard disks che continuiamo regolarmente a comprare per tenere in corsa i dati degli ultimi anni. A parte il fatto che in un futuro non tanto lontano, usciremo noi per far spazio ai computer, ci ho pensato un po’ e temo che sia un po’ pericoloso: se disgraziatamente uno di questi hard disk cade fra uno spostamento e l’altro, che fine fanno i dati?»

Suo padre sospirò pesantemente, «Immaginavo una cosa del genere, giusto pochi giorni fa è partito l’acquisto per altri due. Era il minimo che ci facessi caso.»

«Qualcuno ha idee da proporre?» chiese suo nonno.

Seguì il più classico dei silenzi.

Suo padre si copri gli occhi con una mano, poi si coprì la bocca per non ridere.

S’impose di restare serio.

«Nonno, che razza di domande ci fai?» chiese Georgie.

«Così a bruciapelo poi…» aggiunse Justin.

«Beh…» riprese Georgie «potrebbe funzionare secondo voi un archivio centrale collegato a tutti i computer che hanno bisogno di quelle informazioni?»

«Tipo come il server per chi si collega ad internet?» chiese suo zio Paul.

«Come idea non è male» disse suo padre. «E bravo il mio fratellino, chi lo avrebbe mai detto… sai cos’è internet?»

«Molto spiritoso Connor.»

«Hai idea di quanto ci ho messo a convincerlo a sedersi davanti ad uno schermo?» chiese Justin «Almeno ha funzionato…»

«Dovremmo cominciare a cercare qualche società che si intenda di queste cose, sottoporre quello di cui abbiamo bisogno e farci fare qualche preventivo» disse Ryan.

«Non sarà una passeggiata» sospirò suo padre. «D’altra parte credo che Juna abbia ragione. Bart, lei che ne pensa?»

«E’ un bel lavoro, per quanto riguarda i costi, non saranno bassi, questo è poco ma è sicuro, ma snelliremmo molto il lavoro in quanto a tempo e sicurezza. E’ un investimento a lungo termine, sicuramente. Signor Junayd, che ne dice di scrivere alle società di hardware più importanti della città e organizzare una specie di appalto? Far circolare la voce che la McGregor Investments necessita di un massiccio lavoro di ristrutturazione a livello informatico. Sono sicuro che pur di averci fra i clienti, le società faranno a gara ad abbassare i prezzi. Ovviamente, un esperto d’informatica di nostra fiducia si accerterà che i lavori e il materiale siano di prim’ordine.»

«Ottima idea Bart. Nonno, tu che ne pensi?»

«Ah, state parlando arabo per me. Bart, non immaginavo che avessi così tanta familiarità con questi termini.»

«Beh, signor McGregory, quando sono entrato a lavorare qui si faceva quasi tutto a mano, ricorda? Se non mi fossi tenuto al passo con i tempi e le tecnologie, a quest’ora ci sarebbe un compagno di università del signor Junayd al mio posto!»

Suo nonno scosse la testa fra le risate generali, «Il ragionamento non fa una piega Bart.»

«Bene» disse suo padre. «Anne ed Alison si occuperanno di trovare queste società e i loro indirizzi. Direi di sceglierne sei o sette, non di più. Juna, vuoi buttare giù una bozza per la lettera di richiesta del preventivo?»

«Ci penso io papà.»

«Bene, vogliamo andare avanti con il resoconto?» chiese suo nonno.

In un coro di sospiri più o meno celati, tutti annuirono.

Il riflettore era di nuovo puntato su Bart.

 

Il tutto finì che era l’una passata e per quando tutti furono d’accordo di fissare la riunione per firmare i contratti di lì ad una settimana erano quasi le due.

Justin a quel punto decise di rimanere direttamente a pranzo con lui, mentre tutti gli altri tornarono a casa.

Andarono a mangiare in un piccolo ristorante seminascosto in una stradina secondaria vicino alla sede della compagnia.

Spesso e volentieri capitava che anche con suo padre si fermasse a mangiare lì e il cameriere lo riconobbe subito accompagnandolo poi all’ultimo separé, che era il più tranquillo.

«Carino qui. Ci sarei passato davanti senza neanche rendermi conto che è un ristorante» disse Justin prendendo posto davanti a lui. «Cosa fanno di buono?»

«Un po’ di tutto, dal piccante alla pizza.»

«Scommetto che tu e lo zio Connor ci siete quasi di casa: il cameriere ti ha riconosciuto, ci ha portato a questo tavolo senza chiedere niente e la cameriera si è illuminata d’immenso.»

«Veniamo spesso qui se non ce la facciamo a tornare a casa» si limitò a rispondere ignorando il commento sulla cameriera.

Justin lo guardò per qualche secondo, poi sospirò «Ok, non vuoi dirmi niente sulla cameriera. Strano perché è bionda.»

S’impose di non abboccare all’amo, ma se Justin aveva ripreso qualcosa dai McGregory, quella era la testardaggine «Hai da sempre una spiccata propensione per le bionde cugino, non ci hai mai fatto caso? Ci credo che vai d’accordo con Drake: l’unica bionda che gli ho visto vicino è sua madre!»

Le sue labbra si piegarono in un sorriso contro la sua volontà. «Non ti facevo così osservatore.»

«Non occorre essere attenti osservatori per notare le ragazze con cui esci: avere due occhi è più che sufficiente. A volte ci siamo incrociati in un locale, ma ovviamente mi sono guardato bene dal venirti a salutare… ero sempre con Diana.»

«Un vero gentiluomo.»

Justin gli sorrise furbescamente, «Me lo dicono tutti!»

«Ti va di ordinare?» chiese per cambiare discorso.

«Certo, ho una fame! A che ora rientri di solito?»

«Mai prima delle tre e mezzo: fa male al pomeriggio.»

«Ottima visione della vita.»

La conversazione scivolò tranquilla fino alla seconda portata.

«Ti piace?» gli chiese.

«Tutto buonissimo, avevi ragione. Ripensavo alla riunione. Il cervello ancora fuma… reggi tutto questo da otto anni, vero?» Al suo cenno affermativo scosse la testa «Hai tutta la mia ammirazione cugino.»

«Aspetta di partecipare ad una riunione per l’approvazione del bilancio annuale per esternarmi la tua ammirazione.»

«Ah, ho tempo! Siamo appena ad aprile!»

«Giusto, peccato che a giugno c’è il bilancio di metà esercizio.»

«Dimmi che stai scherzando.»

«Neanche un po’. Sai che a giugno c’è la dichiarazione dei redditi vero?»

«Anche!»

«Non tocca a noi quella, abbiamo una squadra di commercialisti che se ne occupa… dal prossimo anno toccherà anche a te farla.»

«Già… l’attivo della società viene diviso fra gli azionisti. Come si chiama?»

«Attivo, lo hai detto tu ora.»

«No, la mia parte.»

«Vuoi una lezioncina di finanza?»

«Mh, chiesto con quello sguardo mi fai pentire di avere una bocca. Lasciamo perdere Juna.»

Ridacchiò, «Oggi pomeriggio ti faccio fare un giro turistico del palazzo, piano per piano.»

«Non è una minaccia, vero?»

Non riuscì a trattenere una risata, «No, Just… tranquillo. E comunque toccherà anche a tuo padre, tua sorella e allo zio Ryan prima o poi!»

«Mi conforta fare da cavia.»

Seguì un breve silenzio.

«Justin, devi dirmi qualcosa?»

Suo cugino rimase qualche secondo in silenzio, poi sospirò «Non so te, ma sto ancora aspettando di svegliarmi da un momento all’altro.»

«Devi fare l’abitudine all’idea di andare d’accordo con me?»

«Mh… non hai una laurea in psicologia vero?»

«No, mi manca. Forse non sei abituato all’idea di poter andare d’accordo con me.»

«Non demordi.»

«Mai, è un vizio ereditario… dovresti saperne qualcosa.»

Justin si guardò un attimo intorno, poi guardò di nuovo lui, «Davvero Juna, ancora non ci credo.»

«Immagino perfettamente. La cosa non deve metterti in crisi però, è normale. Anche per me è una situazione nuova. Prova a guardarti indietro, la nostra infanzia, la vita sotto lo stesso tetto… e dimmi se ricordi un momento in cui io e te ci siamo messi a parlare faccia a faccia come adesso.»

Justin sorrise, «Stai scherzando? Le uniche volte che io e te ci siamo trovati faccia a faccia è stato per dircene di tutti i colori. Se proprio vogliamo dirla tutta, questa è la prima volta che mangiamo da soli!»

«Appunto. Devi solo abituarti all’idea.»

«Il nonno ce l’ha proprio combinata bella.»

«Parli del fatto che per vent’anni siamo stati cane e gatto o del fatto che ci ha scaricato addosso tutta la compagnia da un giorno all’altro?»

Justin rise di cuore, «Non lo so neanche io guarda!»

«Sei un po’ sotto shock cugino… ma non è terribile come sembra.»

«Spero che tu abbia ragione… forse non sono semplicemente preparato ad una cosa del genere.»

Ebbe, e non per la prima volta, l’impressione che Justin stesse cercando di dirgli qualcosa.

Il problema era che aveva anche l’impressione che era meglio che ci arrivasse da solo a dirgliela.

«Come va con Diana?» chiese per cambiare di nuovo discorso.

Justin cambiò letteralmente colore, lo guardò per qualche secondo sbigottito, in un attimo si riprese, «Bene.»

Ok, era il caso di cambiare di nuovo argomento…

«E cosa ne pensi del fatto che i Flalagan verranno a stare da noi?»

«E’ una soluzione alla quale non avrei mai pensato, ma riflettendoci è la più ovvia, considerato quanto sono amici Jeremy e il nonno. Il problema è che non so come dirlo a Diana. E’ gelosa fino all’inverosimile, sembra ci siamo messi insieme la scorsa settimana invece di essere fidanzati da cinque anni, e se Jennifer non è cambiata dall’ultima volta che l’ho intravista, è una bellissima ragazza.»

«E’ ancora una bellissima ragazza.»

Si bloccò sorpreso.

Questa aveva trovato direttamente la strada della bocca… non si era fatta neanche un giretto di ricognizione nel cervello.

Gli capitava spesso ultimamente.

Per fortuna Justin sembrò non farci caso. «E ti pareva. Ti ricordi quando andammo in vacanza insieme alle Hawaii? Io e altri tre o quattro ragazzini del villaggio turistico le morivamo dietro già allora e lei non aveva occhi che per te. Credo che cominciai ad odiarti proprio in quel momento.»

«Ma falla finita.»

«Davvero. La spaventavi a morte, era evidente, ma non riusciva a starti lontana.»

Guardò suo cugino aspettando che gli dicesse che stava scherzando… «Eravamo ragazzini Justin, lo hai appena detto» disse visto che non si decideva.

«Vuoi dire che ieri sera ti ha accolto con un sorriso e ciao?»

Come dannazione erano arrivati a parlare di questo?

«Certo che no Just, sia lei che sua madre sono sull’orlo di una crisi di nervi per la storia del bambino.»

«Mh mh… fossi in te starei attento Juna.»

«A cosa?»

«A chi, casomai.»

«A Jennie? Ma dai!»

«No cugino. In primo luogo a nostra nonna:» cominciò ad enumerare nelle dita della mano, «da qualche anno la tua ipotetica fidanzata è il suo argomento preferito e sta facendo di tutto perché questa fidanzata diventi reale… non credo di doverti ricordare tutti i nomi. In secondo luogo a tua madre: contro ogni regola che fa della mamma l’essere più geloso del mondo riguardo il figlio maschio, la batte solo la suocera riguardo il desiderio di vederti fidanzato. In terzo luogo la madre di Jennifer: Sarah è molto amica di nostra nonna e va molto d’accordo con zia Manaar. In quarto luogo a nostro nonno e a Jeremy… inutile che ti spieghi passo passo cosa significherebbe per loro se tu e Jennifer vi fidanzaste vero?»

«Justin, forse quella riunione ha avuto effetti più devastanti dell’immaginabile su di te» disse con calma.

Doveva trovare di corsa un altro argomento!

«Andiamo Juna, sei troppo attento a ciò che ti circonda perché ti possa essere sfuggito! Jeremy ti ha sempre adorato, anche quando il nonno era troppo occupato a costruirti un muro intorno. Di fatto io, mio padre, mia madre e mia sorella siamo stati gli unici a darti contro sempre con una certa convinzione! Riesco a malapena ad immaginare cosa possa essere significato per Jeremy che proprio tu abbia potuto aiutarlo in questa situazione.» Si bloccò di colpo come se un pensiero lo avesse fulminato «E se la memoria non mi inganna, Jennifer è pure bionda

Lo squillo del cellulare di Justin lo salvò in extremis. «Scusa un attimo.» Dette una rapida occhiata al display e prese la telefonata, «Ciao, dimmi.»

Concentrò la propria attenzione sulla porta d’ingresso del ristorante.

Mettendo un attimo in secondo piano i vaneggiamenti di suo cugino, il nonno era convinto che Jeremy lo avrebbe chiamato in giornata e avrebbe accettato la proposta.

Di lì ad una settimana avrebbero avuto ospiti a casa.

Lo credeva anche lui… e ci sperava anche, perché sarebbe stato molto più facile controllare Michael e Jennifer avendoli sotto lo stesso tetto.

Carlos Estrada era morto, ma il traffico della droga esisteva ancora e quella legge era una minaccia.

Doveva proprio essere addormentato per non accorgersi di quanto gli aveva detto Justin.

Davvero Jennifer aveva paura di lui?

Cercò di mettere a fuoco il loro incontro a casa della ragazza… aveva creduto che fosse così tesa per via del fatto del fratellino. Si era sbagliato?

Su una cosa era certo di non sbagliarsi: fra le sue braccia di era sciolta come neve al sole.

Il problema era che ne aveva troppe a cui stare dietro, ecco cosa.

Doveva anche parlare con Michael il prima possibile… era come avere una bomba a mano senza sicura sotto il letto, dannazione.

Un’improvvisa vibrazione nella tasca interna della giacca gli ricordò che anche lui aveva un cellulare.

Prese l’apparecchio e per pura abitudine gettò un’occhiata al display.

Casa.

Mh.

«Pronto?»

«Ciao…»

«Ciao cucciola, dimmi.»

Sentì distintamente il sospiro di sollievo della bambina, gli venne in mente solo in quel momento che per stare al gioco di zia Elisabeth probabilmente si sarebbe dovuto arrabbiare ricevendo quella telefonata.

Aveva veramente troppo a cui stare dietro, neanche lui era infallibile.

«Come stai?» chiese Melissa.

«Bene, sto pranzando con Justin. Tu?»

«La mamma sta preparando la vasca.»

Ah, tradotto significava che non poteva andare peggio.

«Ti stai preparando per lo shopping?»

«Proprio non ti puoi liberare? Accetto anche Justin.»

«Non è molto carino quello che hai appena detto sai?»

«Lo so, ma… posso richiamarti nel pomeriggio?»

«Lissa, sarebbe meglio di no. Ho un sacco di cose da fare e poi mi si sta scaricando il cellulare.»

Seguì un silenzio angosciante, «Solo un secondo, per favore Juna.»

Ah, dannazione…

«Senti, facciamo così: la zia Manaar ha il numero del mio ufficio, fino alle cinque e mezzo sono pieno di impegni, dopo le cinque e mezzo puoi provare, ok?»

«Ok. A dopo allora. Bacino.»

«Bacino. Ciao piccina.»

Justin lo stava guardando, «Era Melissa?» Al suo cenno affermativo sospirò profondamente, «Devo proprio essere idiota per non essermi reso conto di quello che sta succedendo a mia cugina. Neanche Georgie sa dove sbattere la testa.»

«Abbiamo sottovalutato tutti la situazione, Justin. Anch’io credevo che con il tempo le passasse, invece è successo l’esatto contrario, dannazione.»

«Sono preoccupato soprattutto per lo stress che ne deriva. Prendi la giornata di oggi per esempio: Lissa non vivrà fino a quando a cena non ti trotterellerà incontro.»

Si trovò ad annuire, «Credi che non ci abbia pensato? L’unica cosa che mi è venuta in mente è uno psicanalista, ma onestamente non so se a cinque anni sia il caso. Ha accettato di imparare a nuotare sai?»

Justin si fece attento, «Davvero? E’ un passo avanti no?»

«Alla luce di stanotte non ne sono così sicuro.»

«Già, ci mancava l’abitudine di aspettarti alzata la notte.» Fece schioccare la lingua, «Ah, merda… succederà un casino un giorno o l’altro. Pensi sia un rischio reale che esca di casa a cercarti?»

«E’ l’ipotesi che mi fa più paura Just.»

«Hai idea di come fare?»

Scosse la testa, «Non ho la soluzione a tutti i problemi del mondo. Non so come arginarla… è questo il problema. Se esce di casa, fino al cancello è al sicuro, ma se esce dai confini della proprietà McGregory, i cani non la seguiranno.»

«Sei certo che Lizar non la attacchi?»

«Ma stai scherzando? Lizar non si sognerebbe mai di attaccare qualcuno della famiglia, in nessun caso.»

«E con i Flalagan come la mettiamo allora?»

«Scordi che durante il giorno sono chiusi nel recinto? Comunque presenterò la famiglia Flalagan ai nostri cuccioli appena possibile. Se devo essere onesto però non credo che Jennifer o Sarah o Michael, con la paura che hanno, si avventureranno nel parco da soli e Jeremy sarà l’ombra del nonno quando sarà a casa.»

Justin fece una smorfietta, «Hai ragione.» Seguì un breve silenzio «Diana ti saluta.»

«Ricambia quando la risenti.»

«Sai che le sei sempre stato simpatico? Mi ha sempre detto che un giorno o l’altro avrei smesso di fare il rimorchio di mio padre.»

Diana ci andava leggerina con il fidanzato eh?

«Per assecondare l’analogia della tua fidanzata: fino a quando lo zio Paul non smetterà di essere il rimorchio del nonno, temo che le cose non miglioreranno.»

«Anche su questo hai dannatamente ragione.»

«Direi che ha iniziato a fare passi verso la direzione giusta. Anche il nonno si è meravigliato che finalmente abbia messo in dubbio che stesse facendo la cosa giusta. Da qualche parte si deve pur cominciare.»

«Devo ricordarti che mio padre si avvia a passi da gigante verso la sua prima metà di secolo su questo pianeta? Meglio tardi che mai! Non so spiegarti, è come se in questi giorni avessi ritrovato mio padre dopo anni che non lo sentivo. La tua sfuriata della scorsa settimana ha avuto gli stessi effetti di un tornado. Georgie mi è piombata in camera alle due quella notte… erano almeno quindici anni che non succedeva più. Abbiamo fatto le quattro a parlare e alla fine si è addormentata con me.»

«Tu e Georgie siete sempre stati molto legati. Da sempre, quando vi vedo insieme, l’essere figlio unico mi pesa.»

Justin abbassò lo sguardo sul tavolo. «Voglio farti una confessione. Probabilmente non ti sarà sfuggito, ma voglio dirtelo chiaro e tondo.»

«Sentiamo.»

«Se io e Georgie siamo così legati, è soprattutto merito tuo.»

 

Il sopracciglio di suo cugino scattò come una molla.

Lo vide lanciare un’occhiata al suo bicchiere, poi guardò di nuovo lui «Eppure sono pronto a giurare che non hai bevuto altro che coca cola.»

Scoppiò a ridere.

Il senso dell’umorismo di Juna lo aveva fatto ridere anche quando erano l’uno contro l’altro!

«Non sono ubriaco!» protestò.

«Fingi bene.»

«Ooohhh vai al diavolo Juna! Ti degni di ascoltare la spiegazione?»

«Sono proprio curioso guarda.»

«Adesso non ne vado molto fiero, ma credo che tu debba saperlo. Sei sempre stato inarrestabile e niente sembrava toccarti… ti ho sempre visto come una specie di muro contro il quale andavo puntualmente a sbattere rimbalzando. Molto presto io e Georgie ci siamo resi conto di come cambiava il tuo sguardo quando capitava che le facessi uno scherzo o un gesto di affetto o lei mi abbracciasse dicendo semplicemente il mio fratellino! o cosa analoghe. Crescendo il rapporto con mia sorella si è rafforzato naturalmente, ma quando eravamo bambini, andavamo d’amore e d’accordo perché in qualche modo tu questo lo accusavi.»

Juna sorrise appena, poi dette una scrollatina di spalle «Beh, allora a qualcosa è servita questa ventennale lotta familiare.»

«Alla fine dei conti io e Georgie ci siamo comportati come due stronzi.»

«Diciamo che avete dato il vostro contributo per temprare il mio carattere.»

I loro sguardi s’incrociarono e scoppiarono a ridere entrambi.

Ok, stava recuperando la sua famiglia… adesso doveva cercare di non perdere la sua fidanzata.

Ancora non riusciva a parlarne con Juna, anche se gli aveva dato un input straordinario quando gli aveva chiesto se voleva parlargli di qualcosa e poi gli aveva direttamente chiesto come andava con Diana!

A volte quel ragazzo sembrava leggere nel pensiero e non c’era verso di nascondergli qualcosa.

Solo lui poteva aiutarlo a chiarire il casino che aveva dentro.

Juna aveva da sempre visto la sua relazione con Diana dall’esterno e anche Georgie, quando aveva provato a farle un quadro completo di quello che pensava e sentiva riguardo la famiglia di colei che si avviava a diventare sua moglie, aveva riassunto la sua unica via d’uscita in tre parole: parlane con Juna.

Questo addirittura prima dell’annuncio del nonno che la famiglia era di nuovo riunita.

Se i suoi genitori avessero solo lontanamente immaginato una situazione come quella che stava vivendo ci sarebbero entrambi rimasti sul colpo, a parte che volevano un bene infinito a Diana, adesso dovevano pensare soprattutto a risaldare il loro matrimonio.

Neanche aveva lontanamente immaginato cosa stesse covando sua madre.

La verità era che avrebbe dovuto avercela a morte con suo nonno, ecco.

Aveva deliberatamente usato l’intera famiglia in funzione di Juna… e suo padre c’era cascato in pieno, trascinandosi dietro la moglie e i figli.

Se avesse avuto un minimo di buon senso, avrebbe dato retta al suo istinto perché fin da bambino, in fondo al cuore, aveva sempre voluto bene a Juna… aveva avuto il sopravvento il suo bisogno di compiacere suo padre, ecco la verità.

Di sapere che suo padre era contento di lui e approvava cosa faceva.

Non era un mistero che suo padre si fosse sempre sentito un gradino al di sotto del fratello maggiore e, pur volendogli un bene infinito, aveva sempre cercato di ovviare a questo assecondando incondizionatamente il padre.

In un certo senso la nascita stessa di Juna aveva sollevato suo padre da qualsiasi lotta con il fratello maggiore: a prescindere che fosse un genio, le dinastie come quella dei McGregory viaggiavano di primogenito in primogenito, non era in discussione.

Non era un genio al pari di Juna, non avrebbe mai avuto le sue potenzialità, ma non era un idiota.

Juna avrebbe avuto bisogno di lui e lui ci sarebbe stato.

Aveva sempre avuto le idee chiare su quello che sarebbe stato della sua vita e fino a quel momento aveva rispettato fedelmente le tappe che si era prefissato.

Amava Diana e non riusciva a capire il suo improvviso cambiamento, quel suo improvviso pendere dalle labbra di quella iena di sua madre… quell’improvviso voler accelerare i tempi.

Con un sospiro cercò di tranquillizzarsi dicendosi che quella non sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe avuto suo cugino tutto per sé.

Adesso poteva pian piano conquistarsi anche l’affetto, e perché no?, il rispetto di suo cugino.

 

In quello stesso momento, in un sobborgo malfamato di New York, il vetro di una finestra al secondo piano di un fatiscente motel vibrò per il colpo che Diego Estrada assestò al tavolo, già per altro traballante.

Nessuno dei quattro uomini che erano nella stanza con lui batté ciglio: esplosioni di rabbia da parte di Diego erano la regola, anche in mancanza di validi motivi come quello di quel giorno.

Soltanto Carlos riusciva ad essere più violento di lui in certe situazioni e con la sua morte, Diego aveva ereditato anche quello scettro.

«Sono circondato da un branco di idioti!» esplose in un rabbioso spagnolo «Vi ho chiesto due fottuttissimi nomi! Mio fratello è morto da quasi una settimana e ancora non ho messo le mani sui bastardi che l’hanno ammazzato!» Si rivolse all’uomo alla sua destra «Carlos è morto perché si è fidato di gente incapace! Ecco cosa! Doveva essere una trappola vero? Dovevamo mettere le mani su Darkness e Falcon stavolta, vero?! Li aspettavamo, vero?? Se ripenso a quanto era sicuro Carlos! Così sicuro che è andato direttamente lui a fare da esca e non ha fatto sparire neanche il figlio del governatore! Mesi per agganciare qualcuno all’interno dell’F.B.I. e tutto quello che abbiamo sono i nomi in codice! Questi due ci hanno fregato ancora, ci hanno ridicolizzato davanti a tutti gli altri capi famiglia e per di più hanno ammazzato mio fratello per Dio!!» Il tono della voce era cresciuto fino a diventare un ruggito «Voglio le loro teste, una volta per tutte!!»

«Il nostro aggancio all’interno dell’F.B.I.…» cominciò l’uomo al quale si era rivolto.

«Fanculo il nostro aggancio Pablo! Non capisci che non è servito a niente?!» dette un violento calcio alla sedia che aveva davanti facendola schiantare contro il muro «Minimo ci ha fregato proprio lui, se l’è fatta addosso e all’ultimo momento li ha avvisati!»

«… ha avuto un incidente la mattina dopo l’assassinio di Carlos» riprese Pablo come se non lo avessero interrotto. «La sua macchina è saltata… e non siamo stati noi. Quindi c’è una sola possibilità Diego: Darkness e Falcon hanno mangiato la foglia. Dio solo sa il perché non li abbiamo beccati la volta scorsa e questa volta hanno fatto di testa propria. Probabilmente Flyer lo hanno fatto fuori appena riconsegnato il moccioso al governatore.»

«Abbiamo a che fare con dei demoni Diego» disse l’uomo più anziano seduto su una sedia. «Tuo fratello non era stupido e…»

«Carlos sapeva stare al mondo papà, ma era circondato da idioti!» lo interruppe Diego «Per favore, te lo chiedo per favore, non attaccare con i discorsi di spiriti e demoni! La gente più vecchia che lavora con noi crede ancora alle maledizioni, alle fate e agli elfi, ci manca solo che comincino a farsi il segno della croce tutte le volte che sentono nominare questi bastardi! Abbiamo a che fare con gente in carne ed ossa papà! Dannatamente efficienti, ma si possono uccidere! Basta trovarli!»

«Diego, quei due sono delle belve e all’interno dell’F.B.I. sono una leggenda» riprese quello che sembrava il più giovane della stanza. «Non so più dove sbattere la testa» continuò poi. «Ma ti ricordi cosa ci ha confermato Flyer? Solo in due sanno chi sono: Lewing e Farlan e tengono a quei due più che alle loro vite… anche perché sarebbero morti comunque, in caso contrario. Tentiamo di farci dire da loro chi sono? Come pensi di avvicinare un generale e un comandante a quei livelli? Quei figli di puttana sono introvabili… sembra che non siano mai nati. Pensi che non voglia trovarli e fargliela pagare? Non solo hanno ucciso Carlos ma hanno minato gli equilibri stessi della famiglia!»

Diego Estrada si fece insolitamente dolce, «Fratellino, so cosa stai passando. Non ce l’ho con te Migũel. So quanto tenevi a Carlos. Devi credermi quando ti dico che li prenderemo. Ci vorranno settimane, mesi o anni… ma li prenderemo.» Si rivolse al padre, «Sono giunto ad una conclusione: ormai che quella legge passi o meno non ci interessa. Sposteremo i punti strategici che abbiamo qui altrove. Ho ripreso le trattative con i messicani e i colombiani. Ormai l’F.B.I. avrà costruito un muro di cemento intorno al governatore e alla sua famiglia. L’errore di valutazione che è costato la vita a Carlos e ci ha definitivamente legato le mani con il governatore, ha messo anche in pericolo la nostra credibilità: dobbiamo trovare quei due e vendicarci, prima che i capi degli altri cartelli ci saltino alla gola credendoci indeboliti.»

«Diego, stai veramente dicendo di ignorare quello che aveva deciso Carlos?» chiese l’uomo con un sigaro mangiucchiato in bocca che era stato in silenzio ad ascoltare fino ad allora.

Tutti guardarono il vecchio seduto.

Dopo qualche secondo, questi sospirò, «Anton, Diego ha ragione. La morte di mio figlio è una tragedia… ma non possiamo assolutamente permetterci di piangerci addosso. Gli Estrada sono ancora una delle famiglie più potenti. Dobbiamo riprendere in mano la situazione. Ad ogni costo. Diego, adesso è tutto in mano tua e Migũel sarà il tuo braccio destro, mi sono spiegato?»

«Sì papà» risposero i due fratelli in coro.

«Migũel» cominciò Pablo, «cosa ti fa dire che quel generale e quel comandante sono inavvicinabili?»

«Sono costantemente sotto scorta. Dalle quindici alle venti persone intorno, armate fino ai denti. Allo stato attuale delle cose te la senti di rischiare un’imboscata del genere?»

«E le loro famiglie?»

«Da quello che ho scoperto, Farlan è scapolo, Lewing è divorziato, ma la moglie è morta, quindi…»

«Nessuno dei due ha figli?»

Migũel negò con un gesto della testa.

«Lasciate perdere quei due» disse Diego. «I nostri soli obbiettivi devono essere Darkness e Falcon adesso.» Prese l’audio cassetta dal tavolo e la osservò per qualche secondo, «Trovatemi il proprietario di questa voce. Trovatemi il figlio di puttana che ha ucciso mio fratello e il suo complice. Trovatemi quei due, costi quel che costi.»

Quello fu il primo ordine che Diego Estrada diede come nuovo capo della famiglia.

   
 
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