Non
E’ Mai Troppo Tardi
6
Aprì gli occhi pochi secondi prima che suonasse la
sveglia e bloccò l’allarme.
Melissa non si era staccata di un millimetro e con
non poca fatica riuscì a liberarsi dalla stretta della piccina senza
svegliarla.
Andò in bagno per sciacquarsi il viso e lavarsi i
denti, si vestì con cautela e uscì dalla stanza.
I suoi zii erano letteralmente a guardia davanti
alla porta.
Ormai andavano sul sicuro quando si trattava di
dove fosse la figlia quando non la trovavano.
«E’ di nuovo da te vero?» chiese sua zia.
Chiuse la porta alle sue spalle e fece segno ai
suoi zii di seguirlo.
Si allontanò di qualche metro dalla porta per
evitare che, svegliandosi, la bambina potesse ascoltare cosa si dicevano.
«Juna…» cominciò suo zio.
«Zio, temo mi abbia aspettato sveglia.»
«Cosa? Ma se l’ho messa io a letto» disse
Elisabeth.
«Zia, ho fatto in tempo a spegnere la luce che è
entrata in camera. Per la prima volta stanotte Lissa non è venuta da me per un
incubo, mi ha direttamente aspettato sveglia perché era preoccupata che potesse
succedermi qualcosa.»
Suo zio si stropicciò gli occhi con una mano,
«Dannazione, il fatto di oggi l’ha sconvolta più di quanto credessi. Deve
essersi sentita in trappola ieri a cena.»
«Ryan, cosa devo fare con lei secondo te?»
s’inalberò sua zia.
«Tesoro, non sto dicendo che è colpa tua. Il fatto
è che… dannazione, non riesco ad immaginare cosa potrebbe fare Lissa se
cominciasse a pensare che vogliamo separarla da Juna.»
«Ho l’impressione che la situazione stia
peggiorando a vista d’occhio» disse sua zia rivolgendosi a lui. «Cosa devo fare
secondo te adesso? Non portarla fuori con gli altri?»
«Assolutamente no zia, il programma non deve
cambiare. Resta il fatto che si è addormentata che erano le due stanotte, dici
di farla andare comunque all’asilo?»
La donna sospirò, «Lasciamola dormire, in camera
tua sta comunque tranquilla. Quando si sveglia le faccio fare il bagno, le lavo
la testa e ci prepareremo per uscire.»
Suo zio cinse le spalle ad entrambi con
espressione torva, «Ottimo. A fare colazione adesso.»
Scesero e andarono nella sala.
Suo nonno alzò lo sguardo appena entrò nella
stanza.
«Juna, non ti ho chiesto nulla ieri sera, ma
vorrei sapere una cosa prima di parlarne alla famiglia.»
Si sedette accanto a lui ricambiando lo sguardo
che gli veniva rivolto. «Pensi sia una buona idea far venire Jeremy e la sua
famiglia qui?» continuò suo nonno.
«Cosa?» chiese Ryan.
Suo nonno non staccò gli occhi dai suoi… doveva
dare lui il benestare adesso?
Cercò nel proprio archivio di risposte sensate e
diplomatiche la più adatta, «Al momento se c’è qualcosa di meglio da fare, non
mi viene in mente.»
«Molto bene. Ryan, ne parlerò quando saremo tutti.
La situazione è anche più grave di quanto pensassi.»
«Buongiorno» salutò Paul entrando.
«Buongiorno Paul» rispose Ryan.
«Ryan, cosa è successo?» chiese suo zio al
fratello minore. «Sei nero stamani.»
Suo nonno osservò il figlio più piccolo, «Tuo
fratello ha ragione Ryan, cos’hai?»
«Melissa ha aspettato alzata Juna» spiegò dopo un
breve silenzio sua zia.
«Cooosa??» esplosero suo nonno e suo zio
insieme.
«Juna mi ha detto qualcosa che mi ha gettato nel
panico» disse Ryan. «Melissa ha iniziato a preoccuparsi che succeda qualcosa a
lui.»
Suo nonno lo guardò, «Ho capito bene?» chiese «Non
è stato un incubo a portarla da te stanotte.»
«Hai capito bene nonno: è stata la paura reale che
mi succedesse qualcosa mentre non mi ha sott’occhio a tenerla sveglia.»
«Ma per la miseria!» continuò suo zio Paul «Qui la
situazione va peggiorando a vista d’occhio ormai!»
Suo nonno rimase un attimo in silenzio, poi si
rivolse al suo ultimogenito, «Ryan, ti prometto che ne parleremo stamani,
questa situazione deve risolversi, ma devo affrontare un discorso con l’intera
famiglia prima che Juna e Connor vadano via.»
Suo zio Ryan annuì, «Stai tranquillo papà.»
«Paul, hanno molto tua moglie, Georgie e Justin?»
chiese suo nonno.
«Credo di no papà, perché?»
«Saresti così gentile da chiamare anche tuo
fratello e tua cognata? Devo parlare a tutti.»
L’uomo rimase un attimo in silenzio, poi «Riguarda
Jeremy?»
Suo nonno gli annuì e suo zio sparì dalla stanza
com’era apparso.
Sua madre entrò subito dopo, «Buongiorno a tutti.»
«Buongiorno Manaar» salutò suo nonno. «Connor?»
«Me lo ha chiesto anche Paul, l’ho incontrato per
le scale, ha detto che lo chiamava. E’ successo qualcosa?» gli arrivò alle
spalle e come il solito gli posò un bacetto sui capelli, «Buongiorno Juna.»
«Buongiorno mamma» rispose toccandole una mano
posata sulla sua spalla.
«Effettivamente ci sono novità. Ancora non sono
sicuro, ma preferisco che lo sappiate subito.»
Sua madre prese posto vicino a lui senza staccare
gli occhi dal suocero, «Nulla di grave spero.»
«No Manaar, sta’ tranquilla.»
«Ah, vi volevo avvisare che comunque oggi Melissa
non andrà all’asilo» disse Elisabeth. «Ha dormito troppo poco. Manaar, quasi
certamente avrò bisogno del tuo aiuto.»
«Sta poco bene?» chiese sua madre sempre pronta a
preoccuparsi per il mondo intero.
Mentre sua zia spiegava alla cognata cosa aveva
deciso, e in parte il perché di quella decisione, la sua attenzione fu
catturata dall’entrata di sua cugina.
Georgie stava a testa china e camminava
lentamente.
«Georgie?» chiamò.
La ragazza alzò lo sguardo su di lui, «Sì?»
«Stai bene?»
I suoi occhi si sgranarono, «Non molto, è così
evidente?»
«Abbastanza, di solito sei più rumorosa.»
Gli sorrise appena, «E il bello è che hai anche
ragione.»
«Cos’hai Georgie?» chiese sua madre pronta come
sempre «Posso esserti utile?»
Sua cugina apparve improvvisamente imbarazzata,
scosse le spalle «Niente di grave» fece una pausa. «Mal di testa, devo comprare
degli analgesici quando usciamo.»
Mal di testa eh… e per il mal
di testa si teneva la pancia e camminava curva.
Lanciò uno sguardo a sua madre che lo ricambiò con
uno che diceva chiaro e tondo lascia fare a me che sono una donna che
gli tolse ogni dubbio.
«Ho degli analgesici in camera, vado a prenderli.»
«Ma zia…»
«Perché devi stare male tutta la mattinata? Mangia
qualcosa e lo prendi subito.»
«Grazie zia, non so neanche come ho fatto a
rimanere senza, fra me e la mamma ci stiamo così attente.»
Arrivò alla sedia e si sedette con cautela.
«Se non te la senti di venire a quella riunione
non ci sono problemi Georgie» disse suo nonno che evidentemente non aveva
capito.
«Nonno, ecco…» cominciò la ragazza.
«Nonno, ha mal di testa, non è in fin di vita» le
andò in soccorso. «Anche a me passa subito il mal di testa con un analgesico.»
Georgie lo guardò e si arrese con un sorriso, «Per
il tuo mal di testa vale lo stesso analgesico?»
«Il mio è di natura leggermente diversa, cugina.»
Zia Elisabeth ridacchiava, suo nonno e suo zio
vagavano senza meta nella nebbia più fitta.
Rientrarono tutti insieme e si sedettero.
Appena Howard uscì con le varie ordinazioni, suo
nonno prese la parola.
«Innanzitutto buongiorno a tutti. Mi dispiace
cominciare subito la giornata con un discorso, ma aspetto notizie da Jeremy e
se le cose andranno come spero, è meglio che ve ne parli subito. Prima di
spiegarvi tutto però, devo anche avvertirvi che dobbiamo parlare di Melissa,
perché la situazione sta degenerando… pensandoci bene, magari Connor e Juna
potranno arrivare in ufficio più tardi stamani.»
Sua madre gli lanciò un’occhiata perforante, ma la
sua attenzione fu catturata di nuovo dal suocero che annunciò novità su Jeremy
e la sua famiglia.
In breve spiegò cos’era successo la sera prima,
omettendo la parentesi con Jennifer ringraziando il Signore, e le conclusioni
alle quali era arrivato.
«Quindi Jeremy, Sarah, Jennifer e Michael si
trasferirebbero qui» riassunse suo padre.
Sua madre lo guardava insistentemente. Sapeva cosa
stesse pensando, il collegamento fra lui e Richard doveva lasciarla non poco
perplessa.
Stava succedendo esattamente quello che aveva
sempre evitato con tutte le sue forze.
«Esatto Connor, ho pensato che spazio ce n’è e certo
Villa McGregory è molto più protetta di quella di Jeremy. Voi che ne pensate?»
stava intanto dicendo suo nonno.
«Juna, tu che ne pensi?» chiese suo zio Paul.
«Zio, credo che Jeremy e la sua famiglia siano
sotto una pressione intollerabile adesso. Tu come ti sentiresti nella loro
situazione? Qui sua moglie e i suoi figli non sarebbero mai soli e poi Villa
McGregory è a prova di bomba.»
Zia Elisabeth alzò lo sguardo al soffitto, «Io li
capisco perfettamente: se succedesse qualcosa a Melissa ne morirei.»
Registrò con la coda dell’occhio un movimento da
parte di sua madre. Si era sporta verso la cognata e le aveva preso una mano
stringendola, sua zia la guardò con gratitudine.
Dio solo sapeva se sua madre e suo padre sapessero
cosa significasse perdere un figlio.
Il silenzio che seguì gli disse che non era stato
l’unico nella stanza ad avere quel pensiero.
«Hai sentito ancora il generale ieri sera?»
riprese suo nonno dopo essersi schiarito la voce.
Rimase un attimo in silenzio, parlare di queste
cose davanti a sua madre era uno dei suoi peggiori incubi divenuto realtà.
«Sì nonno» rispose. «Gli ho spiegato cosa avevamo
in mente di fare e non ha fatto commenti.»
«Come fai ad avere agganci all’interno
dell’F.B.I.?» chiese Justin.
«E’ esattamente quello che mi stavo chiedendo
anch’io» disse sua madre.
«Ma quali agganci… abbiamo amici in comune, nel
senso che a volte è capitato di parlarci. La verità è che cercavano un modo per
arrivare a Jeremy e non si sono fatti ripetere due volte l’invito.»
«Io non ho nulla in contrario» disse Paul.
«Neanche io» continuò Ryan.
«Se ci fossero veramente pericoli, l’F.B.I. non
metterebbe in mezzo un’altra famiglia» commentò Manaar.
Lennie alzò gli occhi al cielo, «I McGregory poi.»
«Per me va bene» disse suo padre.
Madeline guardò il marito, «Speriamo solo che
Jeremy accetti.»
«Non sarà Jeremy a decidere Madeline» disse suo
nonno. «Sarah e Jennie sono sull’orlo di un esaurimento nervoso… e poi avresti
dovuto vedere la reazione di Micky davanti a Juna, sembrava lo conoscesse da
una vita. Sono questi i fattori che decideranno per Jeremy.»
«Beh, sembra che finalmente avrò un po’ di
compagnia vicina alla mia età» commentò Georgie.
Justin soppesò la sorella con un’occhiata… «Guarda
che se la matematica non è un’opinione, Jennifer ha circa sedici anni adesso…
devo ricordarti quando sei nata, sorellina?»
«Mostro.»
Tutti risero.
Arrivò la colazione e il discorso si spostò su
Melissa e gli ultimi peggioramenti della situazione.
Michael rimase con il biscotto a mezz’aria,
«Andare? Andare dove?» chiese.
«Ci trasferiamo per un po’ da Patrick.»
Suo fratello si trasformò in una molla, «Da Juna!!»
esplose saltando letteralmente in piedi sulla sedia. «Juna vive con Patrick
vero??!!»
«Michael, non gridare» disse sua madre sbigottita.
«Papà, andiamo a vivere con Juna?!» ripeté.
Suo padre guardò la moglie, «Beh, Patrick vive con
i figli e le rispettive famiglie, quindi sì, c’è anche Juna.»
«Quando andiamo?!»
«Devo telefonare a Patrick e sentire quando
possiamo andare.»
«Chiami subito allora? Voglio salutare Juna! Mi
passi Juna?!»
«Micky, adesso è troppo presto, sono appena le
sette.»
Suo fratello fece una smorfietta, «Chiami oggi
comunque?»
«Certo, chiamerò oggi.»
Michael sorrise raggiante, «Mamma, ti piace Juna?»
chiese poi.
Sua madre per poco si rovesciò il tea addosso. «Ma
Michael…» cominciò.
«Voglio dire, se sposasse Jennie a te andrebbe
bene?»
Fu ad un niente dal far fuori la seconda tazza nel
giro di dodici ore, «Micky!» esplose.
Suo padre rideva con le lacrime agli occhi, «Dio
Santo Micky, certo che Juna ti ha proprio colpito eh?»
«Dev’essere una prerogativa di famiglia» commentò
sua madre.
Le lanciò un’occhiata che fu completamente
ignorata.
Michael neanche l’aveva sentita.
«Deve essere una persona molto forte, coraggiosa e
buona vero papà? Si merita il suo nome! Mi sono sentito tranquillo appena l’ho
visto. Sembra sicuro di sé, vero papà?»
«Beh, certo che Juna è il miglior partito della
città. Ha un cugino ma è già fidanzato con la figlia maggiore dei Lewis…»
«Mamma?!»
«Avanti Jennie, si fa per parlare» si difese sua
madre. «Ieri sera mi è sembrato andaste d’accordo.»
«Adesso basta, via» le venne in aiuto suo padre.
«Tesoro, Jennie farà tardi a scuola se non ci sbrighiamo.»
«Papà?»
«Dimmi Michy.»
«Non hai risposto alle mie domande.»
Suo padre si arrese dopo cinque secondi di
silenzio, «E’ un ragazzo in gamba, al di là del suo quoziente d’intelligenza. Ha
la testa sulle spalle. Sa ciò che vuole e sa come ottenerla. Non so dirti se è
una persona buona Micky, ma so per certo che è molto coraggioso e determinato.»
Michael annuì evidentemente soddisfatto della
risposta.
Lei rimase semplicemente sbigottita: non aveva mai
sentito suo padre parlare di qualcuno con così tanta ammirazione e… affetto.
Forse di Patrick, ma Patrick era il suo migliore
amico.
Aveva visto giusto: suo padre adorava quel
ragazzo.
La situazione era anche peggiore di quanto avesse
pensato.
«Micky… c’è anche una cosa che volevo dirti.»
Suo fratello alzò lo sguardo dalla tazza di
cioccolata… stava ancora sorridendo felice, «Cosa?»
«Riguardo i due guerrieri.»
Sua madre deglutì il morso di pane imburrato come
se fosse un masso di una tonnellata.
Michael aprì bocca e la richiuse subito, lo
sguardo improvvisamente vigile. «Cosa?» ripeté.
«Purtroppo non è possibile rintracciarli. Ho fatto
di tutto Micky, devi credermi, ma non è proprio possibile.»
Michael rimase in silenzio, poi sospirò. «Ok»
disse semplicemente.
«Micky, saremo al sicuro adesso, anche senza di
loro» aggiunse suo padre.
Suo fratello sorrise, «Ti credo papà.»
Suo padre guardò il figlioletto attonito, poi
guardò sua madre… sembrava non credere a quello che aveva appena sentito.
E ci credeva.
A parte il fatto che il figlio di quattro anni
aveva appena cercato di rassicurarlo come se fosse lui il bambino in quella
stanza, anche lei si sarebbe aspettata tutto all’infuori di una così placida
resa.
Dopo appena un’ora e mezzo di riunione, giusto il
tempo necessario per un resoconto dettagliato dei primi due mesi, i suoi zii e
i suoi cugini avevano l’aria di esseri umani con un urgente bisogno di uno
stacco… e se ne aveva bisogno Justin, arrivato da appena mezz’ora, figurarsi i
suoi zii e Georgie in che condizioni mentali erano!
Il suo sguardo si posò su Bart, completamente
assorbito dal grafico che stava spiegando.
Bart era un uomo di circa sessant’anni… forse più
settanta che sessanta. Forse era coetaneo o quasi di suo nonno, a volerla dire
tutta, anche se portava gli anni molto bene.
Per quanto si sforzasse, non ricordava il suo
cognome… gli venne improvvisamente il sospetto di non averlo mai saputo… era
semplicemente Bart.
Era una persona estremamente precisa, metodica e
nel ruolo che aveva nella compagnia era a dir poco perfetto. Era come se il
ruolo si fosse plasmato a forma di Bart.
Suo nonno lo chiamava per nome dandogli del tu,
quindi era figlio di uno degli elementi che nei primi anni trenta del novecento
era entrato nella compagnia nell’unico momento di crisi che questa ricordasse:
come diretto effetto della grande crisi si verificò un massiccio fuggi fuggi
di personale e il suo bis nonno, nonno di suo padre, aveva rimpiazzato tutti
gli storici elementi con giovani con voglia di fare che all’epoca furono
considerati pazzi per il rischio che si apprestavano a correre di loro
spontanea volontà.
Molti dei figli di quegli impiegati avevano preso
pari pari il posto del padre e Bart era uno di questi.
Di seguito non lo meravigliava neanche più che ad
occhio e croce Bart considerasse suo nonno alla stessa stregua di Dio in
persona… era un qualcosa che capiva.
Quando suo padre era arrivato al posto che adesso
occupava lui e suo nonno era il presidente, il consiglio di amministrazione era
formato dagli anziani della compagnia, Bart incluso che poi era stato fra i
primi a lasciare la carica per occuparsi solo ed unicamente di un singolo lato
della compagnia, e suo padre era stato considerato, all’età di trentacinque
anni, un ragazzino.
Alla luce di tutto questo, lui era praticamente
ancora in fasce.
Con due lauree e in grado di reggere il ruolo che
gli era stato affidato in maniera esemplare, ma pur sempre un bebè.
Decise di fare una buona azione.
«Bart, mi scusi se la interrompo.»
«Mi dica signor Junayd.»
Bart poi era veramente vecchio stampo: lui
diventava signor McGregory se non vi erano suo padre e tanto meno suo
nonno nella stanza. Fino a quando suo nonno fosse stato presente, suo padre
stesso era signor Connor.
«Qualcuno vuole un caffè?»
Si alzò un coro di accettazione a dir poco
commovente, Bart stesso accettò con un sorriso.
Alison lasciò il blocco che usava per stenografare
e si alzò per andare alla macchina per il caffè strategicamente parcheggiata
nella sala riunioni.
Anne rimase alla sinistra di suo padre.
«Come vi sentite?» chiese suo padre con un
sorrisino che gli disse che sapeva già la risposta.
«Credo che sopravvivrò…» disse zio Paul.
«Se sono andato troppo veloce, mi scuso» disse
Bart.
«Temo che dovremo abituarci a questo ritmo» disse
zio Ryan.
Alison cominciò a portare i caffè e Anne si alzò
per darle una mano, nel giro di pochi minuti stavano tutti bevendo.
«Papà, nonno, c’è una cosa di cui vi volevo
parlare. Come responsabile degli acquisti volevo fosse presente anche Bart.» Al
silenzio che seguì, riprese «Riguarda gli hard disks
che continuiamo regolarmente a comprare per tenere in corsa i dati degli ultimi
anni. A parte il fatto che in un futuro non tanto lontano, usciremo noi per far
spazio ai computer, ci ho pensato un po’ e temo che sia un po’ pericoloso: se
disgraziatamente uno di questi hard disk cade fra uno spostamento e l’altro,
che fine fanno i dati?»
Suo padre sospirò pesantemente, «Immaginavo una
cosa del genere, giusto pochi giorni fa è partito l’acquisto per altri due. Era
il minimo che ci facessi caso.»
«Qualcuno ha idee da proporre?» chiese suo nonno.
Seguì il più classico dei silenzi.
Suo padre si copri gli occhi con una mano, poi si
coprì la bocca per non ridere.
S’impose di restare serio.
«Nonno, che razza di domande ci fai?» chiese
Georgie.
«Così a bruciapelo poi…» aggiunse Justin.
«Beh…» riprese Georgie «potrebbe funzionare
secondo voi un archivio centrale collegato a tutti i computer che hanno bisogno
di quelle informazioni?»
«Tipo come il server per chi si collega ad
internet?» chiese suo zio Paul.
«Come idea non è male» disse suo padre. «E bravo
il mio fratellino, chi lo avrebbe mai detto… sai cos’è internet?»
«Molto spiritoso Connor.»
«Hai idea di quanto ci ho messo a convincerlo a
sedersi davanti ad uno schermo?» chiese Justin «Almeno ha funzionato…»
«Dovremmo cominciare a cercare qualche società che
si intenda di queste cose, sottoporre quello di cui abbiamo bisogno e farci
fare qualche preventivo» disse Ryan.
«Non sarà una passeggiata» sospirò suo padre.
«D’altra parte credo che Juna abbia ragione. Bart, lei che ne pensa?»
«E’ un bel lavoro, per quanto riguarda i costi,
non saranno bassi, questo è poco ma è sicuro, ma snelliremmo molto il lavoro in
quanto a tempo e sicurezza. E’ un investimento a lungo termine, sicuramente.
Signor Junayd, che ne dice di scrivere alle società di hardware più importanti
della città e organizzare una specie di appalto? Far circolare la voce che la
McGregor Investments necessita di un massiccio lavoro di ristrutturazione a
livello informatico. Sono sicuro che pur di averci fra i clienti, le società
faranno a gara ad abbassare i prezzi. Ovviamente, un esperto d’informatica di
nostra fiducia si accerterà che i lavori e il materiale siano di prim’ordine.»
«Ottima idea Bart. Nonno, tu che ne pensi?»
«Ah, state parlando arabo per me. Bart, non
immaginavo che avessi così tanta familiarità con questi termini.»
«Beh, signor McGregory, quando sono entrato a
lavorare qui si faceva quasi tutto a mano, ricorda? Se non mi fossi tenuto al
passo con i tempi e le tecnologie, a quest’ora ci sarebbe un compagno di
università del signor Junayd al mio posto!»
Suo nonno scosse la testa fra le risate generali,
«Il ragionamento non fa una piega Bart.»
«Bene» disse suo padre. «Anne ed Alison si
occuperanno di trovare queste società e i loro indirizzi. Direi di sceglierne
sei o sette, non di più. Juna, vuoi buttare giù una bozza per la lettera di
richiesta del preventivo?»
«Ci penso io papà.»
«Bene, vogliamo andare avanti con il resoconto?»
chiese suo nonno.
In un coro di sospiri più o meno celati, tutti
annuirono.
Il riflettore era di nuovo puntato su Bart.
Il tutto finì che era l’una passata e per quando
tutti furono d’accordo di fissare la riunione per firmare i contratti di lì ad
una settimana erano quasi le due.
Justin a quel punto decise di rimanere
direttamente a pranzo con lui, mentre tutti gli altri tornarono a casa.
Andarono a mangiare in un piccolo ristorante
seminascosto in una stradina secondaria vicino alla sede della compagnia.
Spesso e volentieri capitava che anche con suo
padre si fermasse a mangiare lì e il cameriere lo riconobbe subito
accompagnandolo poi all’ultimo separé, che era il più tranquillo.
«Carino qui. Ci sarei passato davanti senza
neanche rendermi conto che è un ristorante» disse Justin prendendo posto
davanti a lui. «Cosa fanno di buono?»
«Un po’ di tutto, dal piccante alla pizza.»
«Scommetto che tu e lo zio Connor ci siete quasi di
casa: il cameriere ti ha riconosciuto, ci ha portato a questo tavolo senza
chiedere niente e la cameriera si è illuminata d’immenso.»
«Veniamo spesso qui se non ce la facciamo a
tornare a casa» si limitò a rispondere ignorando il commento sulla cameriera.
Justin lo guardò per qualche secondo, poi sospirò
«Ok, non vuoi dirmi niente sulla cameriera. Strano perché è bionda.»
S’impose di non abboccare all’amo, ma se Justin
aveva ripreso qualcosa dai McGregory, quella era la testardaggine «Hai da
sempre una spiccata propensione per le bionde cugino, non ci hai mai fatto
caso? Ci credo che vai d’accordo con Drake: l’unica bionda che gli ho visto
vicino è sua madre!»
Le sue labbra si piegarono in un sorriso contro la
sua volontà. «Non ti facevo così osservatore.»
«Non occorre essere attenti osservatori per notare
le ragazze con cui esci: avere due occhi è più che sufficiente. A volte ci
siamo incrociati in un locale, ma ovviamente mi sono guardato bene dal venirti
a salutare… ero sempre con Diana.»
«Un vero gentiluomo.»
Justin gli sorrise furbescamente, «Me lo dicono
tutti!»
«Ti va di ordinare?» chiese per cambiare discorso.
«Certo, ho una fame! A che ora rientri di solito?»
«Mai prima delle tre e mezzo: fa male al
pomeriggio.»
«Ottima visione della vita.»
La conversazione scivolò tranquilla fino alla
seconda portata.
«Ti piace?» gli chiese.
«Tutto buonissimo, avevi ragione. Ripensavo alla
riunione. Il cervello ancora fuma… reggi tutto questo da otto anni, vero?» Al
suo cenno affermativo scosse la testa «Hai tutta la mia ammirazione cugino.»
«Aspetta di partecipare ad una riunione per
l’approvazione del bilancio annuale per esternarmi la tua ammirazione.»
«Ah, ho tempo! Siamo appena ad aprile!»
«Giusto, peccato che a giugno c’è il bilancio di
metà esercizio.»
«Dimmi che stai scherzando.»
«Neanche un po’. Sai che a giugno c’è la
dichiarazione dei redditi vero?»
«Anche!»
«Non tocca a noi quella, abbiamo una squadra di
commercialisti che se ne occupa… dal prossimo anno toccherà anche a te farla.»
«Già… l’attivo della società viene diviso fra gli
azionisti. Come si chiama?»
«Attivo, lo hai detto tu ora.»
«No, la mia parte.»
«Vuoi una lezioncina di finanza?»
«Mh, chiesto con quello sguardo mi fai pentire di
avere una bocca. Lasciamo perdere Juna.»
Ridacchiò, «Oggi pomeriggio ti faccio fare un giro
turistico del palazzo, piano per piano.»
«Non è una minaccia, vero?»
Non riuscì a trattenere una risata, «No, Just…
tranquillo. E comunque toccherà anche a tuo padre, tua sorella e allo zio Ryan
prima o poi!»
«Mi conforta fare da cavia.»
Seguì un breve silenzio.
«Justin, devi dirmi qualcosa?»
Suo cugino rimase qualche secondo in silenzio, poi
sospirò «Non so te, ma sto ancora aspettando di svegliarmi da un momento
all’altro.»
«Devi fare l’abitudine all’idea di andare
d’accordo con me?»
«Mh… non hai una laurea in psicologia vero?»
«No, mi manca. Forse non sei abituato all’idea di poter
andare d’accordo con me.»
«Non demordi.»
«Mai, è un vizio ereditario… dovresti saperne
qualcosa.»
Justin si guardò un attimo intorno, poi guardò di
nuovo lui, «Davvero Juna, ancora non ci credo.»
«Immagino perfettamente. La cosa non deve metterti
in crisi però, è normale. Anche per me è una situazione nuova. Prova a
guardarti indietro, la nostra infanzia, la vita sotto lo stesso tetto… e dimmi
se ricordi un momento in cui io e te ci siamo messi a parlare faccia a faccia
come adesso.»
Justin sorrise, «Stai scherzando? Le uniche volte
che io e te ci siamo trovati faccia a faccia è stato per dircene di tutti i
colori. Se proprio vogliamo dirla tutta, questa è la prima volta che mangiamo
da soli!»
«Appunto. Devi solo abituarti all’idea.»
«Il nonno ce l’ha proprio combinata bella.»
«Parli del fatto che per vent’anni siamo stati
cane e gatto o del fatto che ci ha scaricato addosso tutta la compagnia da un
giorno all’altro?»
Justin rise di cuore, «Non lo so neanche io
guarda!»
«Sei un po’ sotto shock cugino… ma non è terribile
come sembra.»
«Spero che tu abbia ragione… forse non sono
semplicemente preparato ad una cosa del genere.»
Ebbe, e non per la prima volta, l’impressione che
Justin stesse cercando di dirgli qualcosa.
Il problema era che aveva anche l’impressione che
era meglio che ci arrivasse da solo a dirgliela.
«Come va con Diana?» chiese per cambiare di nuovo
discorso.
Justin cambiò letteralmente colore, lo guardò per
qualche secondo sbigottito, in un attimo si riprese, «Bene.»
Ok, era il caso di cambiare di nuovo
argomento…
«E cosa ne pensi del fatto che i Flalagan verranno
a stare da noi?»
«E’ una soluzione alla quale non avrei mai
pensato, ma riflettendoci è la più ovvia, considerato quanto sono amici Jeremy
e il nonno. Il problema è che non so come dirlo a Diana. E’ gelosa fino
all’inverosimile, sembra ci siamo messi insieme la scorsa settimana invece di
essere fidanzati da cinque anni, e se Jennifer non è cambiata dall’ultima volta
che l’ho intravista, è una bellissima ragazza.»
«E’ ancora una bellissima ragazza.»
Si bloccò sorpreso.
Questa aveva trovato direttamente la strada della
bocca… non si era fatta neanche un giretto di ricognizione nel cervello.
Gli capitava spesso ultimamente.
Per fortuna Justin sembrò non farci caso. «E ti
pareva. Ti ricordi quando andammo in vacanza insieme alle Hawaii? Io e altri
tre o quattro ragazzini del villaggio turistico le morivamo dietro già allora e
lei non aveva occhi che per te. Credo che cominciai ad odiarti proprio in quel
momento.»
«Ma falla finita.»
«Davvero. La spaventavi a morte, era evidente, ma
non riusciva a starti lontana.»
Guardò suo cugino aspettando che gli dicesse che
stava scherzando… «Eravamo ragazzini Justin, lo hai appena detto» disse
visto che non si decideva.
«Vuoi dire che ieri sera ti ha accolto con un
sorriso e ciao?»
Come dannazione erano arrivati a parlare di
questo?
«Certo che no Just, sia lei che sua madre sono
sull’orlo di una crisi di nervi per la storia del bambino.»
«Mh mh… fossi in te starei attento Juna.»
«A cosa?»
«A chi, casomai.»
«A Jennie? Ma dai!»
«No cugino. In primo luogo a nostra nonna:»
cominciò ad enumerare nelle dita della mano, «da qualche anno la tua ipotetica
fidanzata è il suo argomento preferito e sta facendo di tutto perché questa
fidanzata diventi reale… non credo di doverti ricordare tutti i nomi. In
secondo luogo a tua madre: contro ogni regola che fa della mamma l’essere più
geloso del mondo riguardo il figlio maschio, la batte solo la suocera riguardo
il desiderio di vederti fidanzato. In terzo luogo la madre di Jennifer: Sarah è
molto amica di nostra nonna e va molto d’accordo con zia Manaar. In quarto
luogo a nostro nonno e a Jeremy… inutile che ti spieghi passo passo cosa
significherebbe per loro se tu e Jennifer vi fidanzaste vero?»
«Justin, forse quella riunione ha avuto effetti
più devastanti dell’immaginabile su di te» disse con calma.
Doveva trovare di corsa un altro argomento!
«Andiamo Juna, sei troppo attento a ciò che ti
circonda perché ti possa essere sfuggito! Jeremy ti ha sempre adorato, anche
quando il nonno era troppo occupato a costruirti un muro intorno. Di fatto io,
mio padre, mia madre e mia sorella siamo stati gli unici a darti contro sempre
con una certa convinzione! Riesco a malapena ad immaginare cosa possa essere
significato per Jeremy che proprio tu abbia potuto aiutarlo in questa
situazione.» Si bloccò di colpo come se un pensiero lo avesse fulminato «E se
la memoria non mi inganna, Jennifer è pure bionda!»
Lo squillo del cellulare di Justin lo salvò in
extremis. «Scusa un attimo.» Dette una rapida occhiata al display e prese la
telefonata, «Ciao, dimmi.»
Concentrò la propria attenzione sulla porta
d’ingresso del ristorante.
Mettendo un attimo in secondo piano i
vaneggiamenti di suo cugino, il nonno era convinto che Jeremy lo avrebbe
chiamato in giornata e avrebbe accettato la proposta.
Di lì ad una settimana avrebbero avuto ospiti a
casa.
Lo credeva anche lui… e ci sperava anche, perché
sarebbe stato molto più facile controllare Michael e Jennifer avendoli sotto lo
stesso tetto.
Carlos Estrada era morto, ma il traffico della
droga esisteva ancora e quella legge era una minaccia.
Doveva proprio essere addormentato per non
accorgersi di quanto gli aveva detto Justin.
Davvero Jennifer aveva paura di lui?
Cercò di mettere a fuoco il loro incontro a casa
della ragazza… aveva creduto che fosse così tesa per via del fatto del
fratellino. Si era sbagliato?
Su una cosa era certo di non sbagliarsi: fra le
sue braccia di era sciolta come neve al sole.
Il problema era che ne aveva troppe a cui stare
dietro, ecco cosa.
Doveva anche parlare con Michael il prima
possibile… era come avere una bomba a mano senza sicura sotto il letto,
dannazione.
Un’improvvisa vibrazione nella tasca interna della
giacca gli ricordò che anche lui aveva un cellulare.
Prese l’apparecchio e per pura abitudine gettò
un’occhiata al display.
Casa.
Mh.
«Pronto?»
«Ciao…»
«Ciao cucciola, dimmi.»
Sentì distintamente il sospiro di sollievo della
bambina, gli venne in mente solo in quel momento che per stare al gioco di zia Elisabeth
probabilmente si sarebbe dovuto arrabbiare ricevendo quella telefonata.
Aveva veramente troppo a cui stare dietro, neanche
lui era infallibile.
«Come stai?» chiese Melissa.
«Bene, sto pranzando con Justin. Tu?»
«La mamma sta preparando la vasca.»
Ah, tradotto significava che non poteva
andare peggio.
«Ti stai preparando per lo shopping?»
«Proprio non ti puoi liberare? Accetto anche
Justin.»
«Non è molto carino quello che hai appena detto
sai?»
«Lo so, ma… posso richiamarti nel pomeriggio?»
«Lissa, sarebbe meglio di no. Ho un sacco di cose
da fare e poi mi si sta scaricando il cellulare.»
Seguì un silenzio angosciante, «Solo un secondo,
per favore Juna.»
Ah, dannazione…
«Senti, facciamo così: la zia Manaar ha il numero
del mio ufficio, fino alle cinque e mezzo sono pieno di impegni, dopo le cinque
e mezzo puoi provare, ok?»
«Ok. A dopo allora. Bacino.»
«Bacino. Ciao piccina.»
Justin lo stava guardando, «Era Melissa?» Al suo
cenno affermativo sospirò profondamente, «Devo proprio essere idiota per non
essermi reso conto di quello che sta succedendo a mia cugina. Neanche Georgie
sa dove sbattere la testa.»
«Abbiamo sottovalutato tutti la situazione,
Justin. Anch’io credevo che con il tempo le passasse, invece è successo
l’esatto contrario, dannazione.»
«Sono preoccupato soprattutto per lo stress che ne
deriva. Prendi la giornata di oggi per esempio: Lissa non vivrà fino a quando a
cena non ti trotterellerà incontro.»
Si trovò ad annuire, «Credi che non ci abbia
pensato? L’unica cosa che mi è venuta in mente è uno psicanalista, ma
onestamente non so se a cinque anni sia il caso. Ha accettato di imparare a
nuotare sai?»
Justin si fece attento, «Davvero? E’ un passo
avanti no?»
«Alla luce di stanotte non ne sono così sicuro.»
«Già, ci mancava l’abitudine di aspettarti alzata
la notte.» Fece schioccare la lingua, «Ah, merda… succederà un casino un giorno
o l’altro. Pensi sia un rischio reale che esca di casa a cercarti?»
«E’ l’ipotesi che mi fa più paura Just.»
«Hai idea di come fare?»
Scosse la testa, «Non ho la soluzione a tutti i
problemi del mondo. Non so come arginarla… è questo il problema. Se esce di
casa, fino al cancello è al sicuro, ma se esce dai confini della proprietà
McGregory, i cani non la seguiranno.»
«Sei certo che Lizar non la attacchi?»
«Ma stai scherzando? Lizar non si sognerebbe mai
di attaccare qualcuno della famiglia, in nessun caso.»
«E con i Flalagan come la mettiamo allora?»
«Scordi che durante il giorno sono chiusi nel
recinto? Comunque presenterò la famiglia Flalagan ai nostri cuccioli appena
possibile. Se devo essere onesto però non credo che Jennifer o Sarah o Michael,
con la paura che hanno, si avventureranno nel parco da soli e Jeremy sarà
l’ombra del nonno quando sarà a casa.»
Justin fece una smorfietta, «Hai ragione.» Seguì
un breve silenzio «Diana ti saluta.»
«Ricambia quando la risenti.»
«Sai che le sei sempre stato simpatico? Mi ha
sempre detto che un giorno o l’altro avrei smesso di fare il rimorchio di mio
padre.»
Diana ci andava leggerina con il fidanzato
eh?
«Per assecondare l’analogia della tua fidanzata:
fino a quando lo zio Paul non smetterà di essere il rimorchio del nonno, temo
che le cose non miglioreranno.»
«Anche su questo hai dannatamente ragione.»
«Direi che ha iniziato a fare passi verso la
direzione giusta. Anche il nonno si è meravigliato che finalmente abbia messo
in dubbio che stesse facendo la cosa giusta. Da qualche parte si deve pur
cominciare.»
«Devo ricordarti che mio padre si avvia a passi da
gigante verso la sua prima metà di secolo su questo pianeta? Meglio tardi che
mai! Non so spiegarti, è come se in questi giorni avessi ritrovato mio padre
dopo anni che non lo sentivo. La tua sfuriata della scorsa settimana ha avuto gli
stessi effetti di un tornado. Georgie mi è piombata in camera alle due quella
notte… erano almeno quindici anni che non succedeva più. Abbiamo fatto le
quattro a parlare e alla fine si è addormentata con me.»
«Tu e Georgie siete sempre stati molto legati. Da
sempre, quando vi vedo insieme, l’essere figlio unico mi pesa.»
Justin abbassò lo sguardo sul tavolo. «Voglio
farti una confessione. Probabilmente non ti sarà sfuggito, ma voglio dirtelo
chiaro e tondo.»
«Sentiamo.»
«Se io e Georgie siamo così legati, è soprattutto
merito tuo.»
Il sopracciglio di suo cugino scattò come una
molla.
Lo vide lanciare un’occhiata al suo bicchiere, poi
guardò di nuovo lui «Eppure sono pronto a giurare che non hai bevuto altro che
coca cola.»
Scoppiò a ridere.
Il senso dell’umorismo di Juna lo aveva fatto
ridere anche quando erano l’uno contro l’altro!
«Non sono ubriaco!» protestò.
«Fingi bene.»
«Ooohhh vai al diavolo Juna! Ti degni di ascoltare
la spiegazione?»
«Sono proprio curioso guarda.»
«Adesso non ne vado molto fiero, ma credo che tu
debba saperlo. Sei sempre stato inarrestabile e niente sembrava toccarti… ti ho
sempre visto come una specie di muro contro il quale andavo puntualmente a
sbattere rimbalzando. Molto presto io e Georgie ci siamo resi conto di come
cambiava il tuo sguardo quando capitava che le facessi uno scherzo o un gesto
di affetto o lei mi abbracciasse dicendo semplicemente il mio fratellino!
o cosa analoghe. Crescendo il rapporto con mia sorella si è rafforzato
naturalmente, ma quando eravamo bambini, andavamo d’amore e d’accordo perché in
qualche modo tu questo lo accusavi.»
Juna sorrise appena, poi dette una scrollatina di
spalle «Beh, allora a qualcosa è servita questa ventennale lotta familiare.»
«Alla fine dei conti io e Georgie ci siamo
comportati come due stronzi.»
«Diciamo che avete dato il vostro contributo per
temprare il mio carattere.»
I loro sguardi s’incrociarono e scoppiarono a
ridere entrambi.
Ok, stava recuperando la sua famiglia… adesso
doveva cercare di non perdere la sua fidanzata.
Ancora non riusciva a parlarne con Juna, anche se
gli aveva dato un input straordinario quando gli aveva chiesto se voleva
parlargli di qualcosa e poi gli aveva direttamente chiesto come andava con
Diana!
A volte quel ragazzo sembrava leggere nel pensiero
e non c’era verso di nascondergli qualcosa.
Solo lui poteva aiutarlo a chiarire il casino che
aveva dentro.
Juna aveva da sempre visto la sua relazione con
Diana dall’esterno e anche Georgie, quando aveva provato a farle un quadro
completo di quello che pensava e sentiva riguardo la famiglia di colei che si
avviava a diventare sua moglie, aveva riassunto la sua unica via d’uscita in
tre parole: parlane con Juna.
Questo addirittura prima dell’annuncio del nonno
che la famiglia era di nuovo riunita.
Se i suoi genitori avessero solo lontanamente
immaginato una situazione come quella che stava vivendo ci sarebbero entrambi
rimasti sul colpo, a parte che volevano un bene infinito a Diana, adesso
dovevano pensare soprattutto a risaldare il loro matrimonio.
Neanche aveva lontanamente immaginato cosa stesse
covando sua madre.
La verità era che avrebbe dovuto avercela a morte
con suo nonno, ecco.
Aveva deliberatamente usato l’intera famiglia in
funzione di Juna… e suo padre c’era cascato in pieno, trascinandosi dietro la
moglie e i figli.
Se avesse avuto un minimo di buon senso, avrebbe
dato retta al suo istinto perché fin da bambino, in fondo al cuore, aveva
sempre voluto bene a Juna… aveva avuto il sopravvento il suo bisogno di
compiacere suo padre, ecco la verità.
Di sapere che suo padre era contento di lui e
approvava cosa faceva.
Non era un mistero che suo padre si fosse sempre
sentito un gradino al di sotto del fratello maggiore e, pur volendogli un bene
infinito, aveva sempre cercato di ovviare a questo assecondando
incondizionatamente il padre.
In un certo senso la nascita stessa di Juna aveva
sollevato suo padre da qualsiasi lotta con il fratello maggiore: a prescindere
che fosse un genio, le dinastie come quella dei McGregory viaggiavano di
primogenito in primogenito, non era in discussione.
Non era un genio al pari di Juna, non avrebbe mai
avuto le sue potenzialità, ma non era un idiota.
Juna avrebbe avuto bisogno di lui e lui ci sarebbe
stato.
Aveva sempre avuto le idee chiare su quello che
sarebbe stato della sua vita e fino a quel momento aveva rispettato fedelmente
le tappe che si era prefissato.
Amava Diana e non riusciva a capire il suo
improvviso cambiamento, quel suo improvviso pendere dalle labbra di quella iena
di sua madre… quell’improvviso voler accelerare i tempi.
Con un sospiro cercò di tranquillizzarsi dicendosi
che quella non sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe avuto suo cugino tutto
per sé.
Adesso poteva pian piano conquistarsi anche
l’affetto, e perché no?, il rispetto di suo cugino.
In quello stesso momento, in un sobborgo malfamato
di New York, il vetro di una finestra al secondo piano di un fatiscente motel
vibrò per il colpo che Diego Estrada assestò al tavolo, già per altro
traballante.
Nessuno dei quattro uomini che erano nella stanza
con lui batté ciglio: esplosioni di rabbia da parte di Diego erano la regola,
anche in mancanza di validi motivi come quello di quel giorno.
Soltanto Carlos riusciva ad essere più violento di
lui in certe situazioni e con la sua morte, Diego aveva ereditato anche quello
scettro.
«Sono circondato da un branco di idioti!» esplose
in un rabbioso spagnolo «Vi ho chiesto due fottuttissimi nomi! Mio
fratello è morto da quasi una settimana e ancora non ho messo le mani sui
bastardi che l’hanno ammazzato!» Si rivolse all’uomo alla sua destra «Carlos è
morto perché si è fidato di gente incapace! Ecco cosa! Doveva essere una
trappola vero? Dovevamo mettere le mani su Darkness e Falcon stavolta, vero?! Li aspettavamo, vero?? Se
ripenso a quanto era sicuro Carlos! Così sicuro che è andato direttamente lui a
fare da esca e non ha fatto sparire neanche il figlio del governatore! Mesi per
agganciare qualcuno all’interno dell’F.B.I. e tutto quello che abbiamo sono i
nomi in codice! Questi due ci hanno fregato ancora, ci hanno ridicolizzato
davanti a tutti gli altri capi famiglia e per di più hanno ammazzato mio
fratello per Dio!!» Il tono della voce era cresciuto fino a diventare un
ruggito «Voglio le loro teste, una volta per tutte!!»
«Il nostro aggancio all’interno dell’F.B.I.…»
cominciò l’uomo al quale si era rivolto.
«Fanculo il nostro aggancio Pablo! Non capisci che
non è servito a niente?!» dette un violento calcio alla sedia che aveva davanti
facendola schiantare contro il muro «Minimo ci ha fregato proprio lui, se l’è
fatta addosso e all’ultimo momento li ha avvisati!»
«… ha avuto un incidente la mattina dopo
l’assassinio di Carlos» riprese Pablo come se non lo avessero interrotto. «La
sua macchina è saltata… e non siamo stati noi. Quindi c’è una sola possibilità
Diego: Darkness e Falcon hanno mangiato la foglia. Dio solo sa il perché non li
abbiamo beccati la volta scorsa e questa volta hanno fatto di testa propria.
Probabilmente Flyer lo hanno fatto fuori appena riconsegnato il moccioso al
governatore.»
«Abbiamo a che fare con dei demoni Diego» disse
l’uomo più anziano seduto su una sedia. «Tuo fratello non era stupido e…»
«Carlos sapeva stare al mondo papà, ma era
circondato da idioti!» lo interruppe Diego «Per favore, te lo chiedo per
favore, non attaccare con i discorsi di spiriti e demoni! La gente più
vecchia che lavora con noi crede ancora alle maledizioni, alle fate e agli
elfi, ci manca solo che comincino a farsi il segno della croce tutte le volte
che sentono nominare questi bastardi! Abbiamo a che fare con gente in carne ed
ossa papà! Dannatamente efficienti, ma si possono uccidere! Basta trovarli!»
«Diego, quei due sono delle belve e all’interno
dell’F.B.I. sono una leggenda» riprese quello che sembrava il più giovane della
stanza. «Non so più dove sbattere la testa» continuò poi. «Ma ti ricordi cosa
ci ha confermato Flyer? Solo in due sanno chi sono: Lewing e Farlan e tengono a
quei due più che alle loro vite… anche perché sarebbero morti comunque, in caso
contrario. Tentiamo di farci dire da loro chi sono? Come pensi di avvicinare un
generale e un comandante a quei livelli? Quei figli di puttana sono
introvabili… sembra che non siano mai nati. Pensi che non voglia trovarli e
fargliela pagare? Non solo hanno ucciso Carlos ma hanno minato gli equilibri
stessi della famiglia!»
Diego Estrada si fece insolitamente dolce,
«Fratellino, so cosa stai passando. Non ce l’ho con te Migũel. So quanto
tenevi a Carlos. Devi credermi quando ti dico che li prenderemo. Ci vorranno
settimane, mesi o anni… ma li prenderemo.» Si rivolse al padre, «Sono giunto ad
una conclusione: ormai che quella legge passi o meno non ci interessa.
Sposteremo i punti strategici che abbiamo qui altrove. Ho ripreso le trattative
con i messicani e i colombiani. Ormai l’F.B.I. avrà costruito un muro di cemento
intorno al governatore e alla sua famiglia. L’errore di valutazione che è
costato la vita a Carlos e ci ha definitivamente legato le mani con il
governatore, ha messo anche in pericolo la nostra credibilità: dobbiamo trovare
quei due e vendicarci, prima che i capi degli altri cartelli ci saltino alla
gola credendoci indeboliti.»
«Diego, stai veramente dicendo di ignorare quello
che aveva deciso Carlos?» chiese l’uomo con un sigaro mangiucchiato in bocca
che era stato in silenzio ad ascoltare fino ad allora.
Tutti guardarono il vecchio seduto.
Dopo qualche secondo, questi sospirò, «Anton,
Diego ha ragione. La morte di mio figlio è una tragedia… ma non possiamo
assolutamente permetterci di piangerci addosso. Gli Estrada sono ancora una
delle famiglie più potenti. Dobbiamo riprendere in mano la situazione. Ad ogni
costo. Diego, adesso è tutto in mano tua e Migũel sarà il tuo braccio destro, mi sono spiegato?»
«Sì papà» risposero i due fratelli in coro.
«Migũel» cominciò Pablo, «cosa ti fa dire che
quel generale e quel comandante sono inavvicinabili?»
«Sono costantemente sotto scorta. Dalle quindici
alle venti persone intorno, armate fino ai denti. Allo stato attuale delle cose
te la senti di rischiare un’imboscata del genere?»
«E le loro famiglie?»
«Da quello che ho scoperto, Farlan è scapolo,
Lewing è divorziato, ma la moglie è morta, quindi…»
«Nessuno dei due ha figli?»
Migũel negò con un gesto della testa.
«Lasciate perdere quei due» disse Diego. «I nostri
soli obbiettivi devono essere Darkness e Falcon adesso.» Prese l’audio cassetta
dal tavolo e la osservò per qualche secondo, «Trovatemi il proprietario di
questa voce. Trovatemi il figlio di puttana che ha ucciso mio fratello e il suo
complice. Trovatemi quei due, costi quel che costi.»
Quello fu il primo ordine che Diego Estrada diede
come nuovo capo della famiglia.