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Autore: Angeline Farewell    22/01/2015    4 recensioni
La vita non si misura in "se" e "ma".
Eppure, basta davvero poco perchè le cose cambino e ci portino ad un futuro completamente diverso.
[...]C’era un ragazzo nudo in casa. Con sua madre.
O meglio, quella schiena nuda fu la prima cosa Tom registrò, ma era l’unica nudità vera, perché per il resto, il ragazzo aveva su almeno i pantaloni. E le scarpe. Non sapeva perché fosse importante avesse su le scarpe, ma Tom si sentì curiosamente sollevato.
“Tesoro, sei arrivato finalmente!”
La madre di Tom non sembrava per nulla turbata suo figlio l’avesse appena beccata con uomo nudo in salotto e lo abbracciò con calore dandogli il bentornato.
Tom non riusciva a fare altro che guardare il tizio che continuava ad essere nudo dalla cintola in su e continuava a rimanere nel salotto di sua madre senza apparente ragione.[...]
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Chris Hemsworth, Nuovo personaggio, Tom Hiddleston
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Quattordici.

 

Chris non era più un ragazzino, sentiva d’aver superato da un pezzo l’età magica e disgraziata in cui l’amore deve essere complicato, persino doloroso, per meritarsi la maiuscola. Per fortuna.
Non era più un adolescente né gl’interessava comportarsi come tale, eppure la famigerata maiuscola l’aveva regalata ad un ragazzino di trent’anni che rendeva tutto complicato e doloroso anche dove non ce n’era ragione.

Perché Tom era complicato e doloroso quando più cercava di essere solare e leggero, e Chris era stanco. Stanco di aspettare e di tacere, stanco di dover recitare persino la sua vita lontano dalle macchine da presa. E Sydney era stata un palcoscenico buono come un altro per inscenare quel che Chris aveva già messo in conto potesse essere l’ultimo atto della loro storia.

Ne era stato quasi sicuro, in effetti, inconsciamente contagiato dalla certezza di Tom che la vita bilancia sempre successi e sconfitte: le sue quotazioni erano in salita, più di quanto avesse osato sperare, perché mai la sua vita sentimentale avrebbe dovuto seguire la stessa parabola ascendente?

Chris si sentiva schiacciato, stanco e arrabbiato, e non era giusto, non era giusto sentirsi in quel modo proprio nel momento del proprio trionfo. Si sentiva così da troppo tempo per non dare tutta la colpa a Tom, però, perché da che erano terminate le riprese di Thor era stato costretto ad inseguirlo tra i continenti e i fusi orari: preso da mille impegni e mille progetti, sembrava non avere più tempo neppure per se stesso, relegando così Chris al ruolo di personaggio di riempimento, una macchiolina sul fondale.

Non aveva scelto quella vita per accontentarsi di ruoli secondari. Non aveva scelto lui per condividere il suo spazio con un’assenza.

Non sapeva se per inesperienza, ritrosia o semplice stupidità, ma non si erano mai detti cosa provassero davvero, ogni volta che le parole erano scivolate lungo la china pericolosa di una dichiarazione – in qualunque senso – Tom aveva cambiato discorso; una risata, un bacio, qualunque cosa per non dover pronunciare o udire parole che non potevano essere rimangiate. Chris sapeva che avrebbe dovuto insistere, persino costringerlo a parlare, ma alla fine non ne aveva mai avuto il coraggio, perché non era solo la risata di Tom ad essere contagiosa, in qualche modo lo era anche la sua insicurezza.

Ma durante le riprese e i lunghi mesi in cui avevano vissuto insieme in New Mexico, in California e nella stessa Londra, Chris si era riabituato ad un menage di coppia che gli mancava, come la famiglia che avrebbe voluto costruire.
Quando avevano cominciato a vedersi regolarmente, a vivere insieme e dormire insieme per più di una settimana di seguito, Chris aveva cominciato a riflettere seriamente, perché non basta saltare l’aleatoria barricata dell’eterosessualità per dimenticare i sogni e i progetti di una vita. E i suoi si erano nutriti al seno di una famiglia rumorosa e accogliente, e non bastava Hollywood a macchiare la sua voglia di aggiungere nuovi pezzi a quel quadro variopinto che era la sua casa.

E i mesi in cui avevano girato la storia che li voleva fratelli nonostante tutto, Chris si era abituato a svegliarlo o farsi svegliare con un calcetto o con un bacio, e le docce veloci per non farsi sorprendere ancora impreparati, preparare il pranzo per due – pensare per due – e lavare i piatti e stendersi sotto la stessa coperta, fare l’amore o addormentarsi vicini e felici.

Dio, sembrava tutto così normale che gli veniva da piangere, perché avrebbe dovuto essere anche semplice e non lo era.

Tom non lo avrebbe raggiunto in camera e lui sarebbe stato costretto a mettere il punto ad una storia che non era nemmeno ufficialmente cominciata, e non voleva. Non poteva proprio permetterlo.

La luna era ormai alta e la festa finita da poco, Tom non si era nemmeno rivolto nella sua direzione quando era andato via con suo padre e Luke, l’inquietante pubblicista che lo seguiva come un’ombra e che probabilmente aveva intuito perché Tom, dopo una certa ora, spegnesse il cellulare e sparisse dalla circolazione. E che non aveva detto niente, perché all’industria cinematografica inglese interessa poco o nulla con chi vanno a letto gli attori che rappresentano.

L’agente di Chris era americano, invece, è gli aveva sempre detto di stare lontano da relazioni serie prima di aver fatto il botto e – nel caso – di tener per sé certe inclinazioni, perché il pubblico non avrebbe capito e con chi vai a letto definisce chi sei e cosa diventerai.

Eppure aveva passato settimane a nascondersi in un bungalow sulla spiaggia di Copacabana mentre avrebbe dovuto “familiarizzare” con l’ambiente di Los Angeles prima delle riprese. Tom correva di sera, solo al mattino presto raggiungeva il suo istruttore di capoeira, perché la sua pelle chiarissima si ustionava con facilità e Loki doveva essere pallido come la luna. Chris pompava i muscoli all’alba e surfava di giorno, e si rinchiudevano in camera dopo pranzo, e di notte, non potevano rischiare di farsi vedere insieme, quindi perché non sfruttare quel tempo per stare insieme in altro modo? Non era stato come a Los Angeles, o persino come a Londra, quando non si erano ancora baciati ma la loro vita aveva palesemente già preso una strada diversa da quel che entrambi avevano immaginato.

Poteva rimanere ore con la testa poggiata sul suo petto sempre più ossuto a chiacchierare di tutto e niente, Tom parlava e parlava senza mai dire veramente nulla di sé, così che Chris era diventato un virtuoso nel leggere tra le righe e fare le domande giuste. O sbagliate, tutto dipendeva dalla reazione di Tom.

“Hai le dita da pianista” gli aveva detto un giorno in cui sonnecchiavano a letto incuranti della calura post prandiale dell’estate alla rovescia brasiliana. Un’estate che Chris sentiva sua, ma che Tom aveva avuto non poche difficoltà a metabolizzare.
A Chris piacevano le sue dita lunghe e sottili, gli piaceva sentirle sulla pelle, e poterci giocare e baciarle in momenti come quelli, di quiete assoluta e parole dette a mezza voce senza l’urgenza di nascondersi sotto le lenzuola.

“Ho suonato il pianoforte per anni.”

“Davvero? Suoni ancora?”

“Ogni tanto. Mia madre ci teneva molto avessimo un’educazione classica. Emma ha avuto le sue lezioni di canto, Sarah di violino e a me è toccato il pianoforte.”

“Non mi sembri molto entusiasta.”

Tom era rimasto in silenzio per qualche istante, come quando non era sicuro di ciò che stava per dire.

“A Sarah è andata peggio visto che ha bruciato il violino prima di andare all’Università. Io non ci ho mai davvero pensato, la musica mi piace. E comunque sarei uno sfacciato se mi lamentassi, no? O anche peggio.”

Perché la famiglia di Tom era ricca. Non semplicemente benestante, davvero ricca. E quindi le lezioni private, le scuole prestigiose, i viaggi studio, Eton, Cambridge.

Chris aveva sempre l’impressione Tom cercasse di scusarsi per quell’opulenza che lo aveva in fondo solo costretto a vivere la vita voluta da qualcun altro: l’unica decisione che aveva preso da solo, l’unica scelta avesse mai fatto tenendo conto solo di se stesso e non dei desideri dei suoi genitori, in fondo, era stata anche quella che l’aveva catapultato in uno stile di vita totalmente nuovo, procurandogli il perenne disappunto paterno oltre alla frustrazione dell’incertezza.

“Mi piaceva il tennis, ma per mio padre era uno sport troppo frivolo, si rischiava di finire come Borg (1). Quindi a Eton ero ala sinistra nella squadra di rugby. Nessun rugbista è mai finito sulle pagine del Sun per qualcosa di peggio di un’uscita con una parente della Regina.”

Chris aveva continuato a giocare con le sue dita bianchissime nonostante il sole di Rio, ne aveva contato tutte le falangi e saggiato le nocche fino ad impararne consistenza e fragilità.

“Però hai davvero le dita lunghe da pianista. Sono belle.”

Tom aveva ridacchiato forse un po’ in imbarazzo, sicuramente senza allegria. Non credeva mai ai complimenti che gli venivano fatti, fingeva di accettarli per educazione. Soprattutto, non credeva mai a quelli che gli faceva Chris.

“Uno dei più grandi esecutori al mondo di brani per pianoforte è Hüseyin Sermet. Un virtuoso di Beethoven e Chopin, eccezionale.”

“Mai sentito.”

“E’ tra gli esecutori preferiti di mia madre. Ha le dita corte, quasi tozze, le sue sembrano le mani di chi ha lavorato la creta.”

“E come fa a suonare il pianoforte con mani del genere?”

“Perché non serve avere le dita da pianista per essere un bravo pianista. Aiutano, ma non sono essenziali, perché il talento vero è un’altra cosa. Pensa il guaio di avere dita lunghe e poco talento, invece. Tutto quello che puoi fare è continuare a provare, tutto qui.”

Chris si era sollevato su un gomito per guardarlo meglio.

“Secondo me, invece, è come la storia del calabrone.”

“Cosa?”

“Ma sì, la cosa del calabrone che in realtà non dovrebbe volare visto quanto pesa e quanto sono piccole le sue ali. Però il calabrone non lo sa e vola lo stesso. Deve essere la stessa cosa per quel tizio, non gli frega niente di non avere dita da pianista, suona perché ama farlo non perché è nella sua natura.”

Come per me. Sono qui con te perché non posso farne a meno.

Ma quell’ultima parte Chris non l’aveva detta ad alta voce. Forse avrebbe dovuto farlo. Pensandoci a posteriori forse avrebbe davvero dovuto dirglielo. Invece si era accontentato di specchiarsi nello sguardo incerto di Tom prima di vederlo sorridere, ridere incredulo, si era accontentato di farsi baciare e poi stringere mentre continuava a ridere finalmente disteso, quasi felice. Poi l’aveva fatto ancora: Tom l’aveva guardato come se Chris fosse la cosa più preziosa dell’universo, come se non fosse mai esistito né mai sarebbe esistito qualcosa di altrettanto importante. Chissà se si rendeva conto di quando – e quanto – lo faceva, chissà se Tom immaginava cosa quello sguardo significava per Chris, quanto non potesse più farne a meno. Perché attraversava lo specchio di quegli occhi chiarissimi per ritrovarsi migliore e invincibile.

La luna di Sydney non illuminava nessun sentiero privilegiato, nessuna tana del bianconiglio in cui rifugiarsi, magari con lui che non sarebbe arrivato. Chris lo sapeva, era inutile aspettare e perdersi dietro ricordi di una vita insieme che sembravano piuttosto memorie di un passato irraggiungibile. Forse era stato un bene non parlarne in famiglia, dopotutto.

Anche se quel piccolo impiccione di Liam qualcosa aveva intuito e le sue non erano solo innocenti prese in giro come aveva tentato di convincere Tom, non era stato solo per divertirsi un po’ che aveva insistito per seguirli in una tre giorni on the road dal New Mexico a Los Angeles, che aveva preteso di fare lo stesso da Sydney ai territori del Nord e ritorno, dieci giorni nel deserto australiano senza potersi nemmeno avvicinare a Tom che scherzava con suo fratello rifacendo il verso a tutte le battute di Hunger Games e giuro che se dovessero chiedermelo non dirò mai che è Battle Royale il capolavoro fatto a pezzi che tutti dovrebbero leggere.

Ma come quel viaggio in auto per mostrargli i luoghi della sua infanzia era risultato semplicemente in un frustrante esercizio di autocontrollo senza reale ragion d’essere, così la loro relazione sembrava destinata alla stessa deprimente parabola: non stavano andando da nessuna parte. Tom non voleva andare da nessuna parte con lui e a Chris non bastava più l’ipotesi di un bacio tra un break e l’altro. Chris voleva la sicurezza di lenzuola stropicciate e due tazze sporche di caffè nel lavabo al mattino, tirare a sorte i turni per buttar via la spazzatura e non dover organizzare ogni incontro con settimane d’anticipo, ma poter scappare insieme all’ultimo minuto solo perché ne avevano voglia. Voleva qualcosa di più e Tom aveva troppa paura per accettare la sola ipotesi di pensarci.

Chris stava ancora fissando la luna fuori dall’enorme finestra della sua camera d’hotel quando aveva sentito la serratura scattare delicatamente e la porta aprirsi. Non si era girato, anche se sapeva potesse essere solo Tom ed avesse solo voglia di ridere di sollievo, correre da lui e caricarselo sulle spalle prima di buttarlo sul letto e spogliarlo con i denti. Ma era anche ancora arrabbiato con lui, perché l’aveva fatto aspettare ore e il sole sarebbe sorto a breve, e tecnicamente aveva lasciato scadere il suo aut aut.

L’aveva sentito chiudersi la porta alle spalle con attenzione, ma non girare la chiave nella serratura. E quello era stato il primo, distante, campanello d’allarme. Quando si era finalmente deciso a voltarsi verso di lui, Tom non lo guardava: se ne stava appoggiato pesantemente alla porta con gli occhi bassi e il cipiglio scontento. La bocca era una ferita sottile in fondo al viso.

E non si cambiato, non si era nemmeno allentato la cravatta. Chris si era sentito stupidamente vulnerabile, in svantaggio, confrontarsi con un Tom vestito di tutto punto mentre era in canottiera.

“Quando le cose cambiano possono anche andare per il peggio.”

Tom non aveva alzato lo sguardo, né ammorbidito i tratti del viso. Chris era rimasto in silenzio, perché tutta l’euforia provata solo pochi secondi prima era svanita del tutto e non avrebbero salutato il sole insieme in quella stanza.

Tom sembrava parlare a se stesso, e probabilmente era proprio quel che aveva fatto, una frase ad effetto per nessuna platea. Non sembrava triste, solo scontento, persino un po’ rassegnato.

Chris riusciva solo a pensare non fosse giusto per niente Tom gli avesse regalato la sua parte migliore solo per portargliela via così presto, senza aver mai davvero provato a chiedergli cosa ne pensasse lui. E la voglia di urlare e di buttarlo fuori, persino di colpirlo era tornata, era di nuovo arrabbiato e avrebbe voluto tirargli contro qualcosa, ma non era più un ragazzino e sapeva di non poterselo più permettere: quella sera, quella Premiere, avevano cambiato tutto.

Però poi Tom aveva alzato lo sguardo e Chris non si era più sentito tanto in svantaggio, tanto scoperto, forse nemmeno più tanto arrabbiato.

Tom lo guardava dal lato opposto della stanza e sembrava solo immensamente stanco.

 

 

Note:

(1) Björn Rune Borg, ex campione svedese di tennis, considerato tutt’oggi tra i migliori di tutti i tempi, dalla vita privata più che movimentata.

   
 
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