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Autore: Saphira9    24/01/2015    1 recensioni
"Era il mio compleanno! Il mio settimo compleanno! Quel giorno avrei smesso definitivamente di crescere e sarei diventata un po’ più simile ad ogni altro immortale. Mi guardai allo specchio. Questa sarò io d’ora in avanti! Pensai scrutando il mio viso."
Ho provato ad immaginare come sarebbe stato il settimo compleanno di Renesmee e questo è ciò che mi è venuto fuori.
Genere: Fantasy, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Renesmee Cullen, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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Questa storia l'ho scritta un anno fa, ma mi sono decisa solo ora a pubblicarla. Spero che vi piaccia, e vi invito a commentare. Fanno piacere sia commenti positivi che negativi. :)

“Forza, Tesoro, è ora di svegliarsi!” disse mio padre con voce dolce e affettuosa.
Mi girai dall’altra parte e misi il cuscino sopra la testa. “Mmh… ancora cinque minuti!” Lo pregai come ogni mattina.
“Su alzati, che Carlisle ti ha fatto una sorpresa.” Solo in quel momento me ne ricordai: era il mio compleanno! Il mio settimo compleanno! Quel giorno avrei smesso definitivamente di crescere e sarei diventata un po’ più simile ad ogni altro immortale.
Scesi dal letto con rinnovato vigore e andai in bagno. Mi guardai allo specchio. Questa sarò io d’ora in avanti! Pensai scrutando il mio viso. Mi piaceva il mio aspetto: Occhi color cioccolato, uguali a quelli di mia madre prima della trasformazione in vampiro, ricci capelli color rame lunghi fino alla vita, pelle bianca come il latte con una sfumatura rosea sulle guance e due piccole fossette che spuntavano quando sorridevo. Non ero una bellezza sconcertante come mia zia Rosalie, ma ero molto carina, anche per i canoni vampireschi. Certo, avrei cambiato volentieri qualche cosuccia in me, ma tutto sommato l’idea di restare così per tutta l’eternità mi rendeva felice.
“Nessie, smettila di guardarti allo specchio e preparati, o farai tardi a scuola!” Disse mio padre dall’altra stanza con una punta di ironia nella voce.
Uscii dal bagno e andai nella cabina armadio che zia Alice mi aveva fatto costruire. Era da lei che avevo ereditato la mia passione per la moda. Ogni mattina passavo un sacco di tempo a scegliere cosa indossare, al contrario di mia madre. Quel giorno optai per un maglioncino verde, largo, leggermente scollato e dei jeans chiari un po' stretti. Ovviamente ai piedi le mie amate converse.
“Buongiorno festeggiata!” Mi salutarono mamma e papà quando entrai in soggiorno.
“Buongiorno. Com’è andata la caccia ieri notte?”
“Abbastanza bene; abbiamo preso tre cervi a testa” rispose la mamma facendo una smorfia di disgusto. Sapevo quanto poco le piacesse il sangue degli erbivori.
“Ok. Ora però andiamo!”
Pochi minuti di corsa e arrivammo a casa dei nonni. Mi precipitai subito al secondo piano, dov’era riunita tutta la famiglia ad aspettarmi: Alice e Rose parlavano dell’eventualità di andare a fare shopping, Emmett, Carlisle e Jasper facevano pronostici su una partita di baseball che si sarebbe tenuta il giorno dopo, ed Esme metteva a punto dei progetti per la ristrutturazione di un’enorme villa a Phoenix, ai quali lavora già da qualche giorno.
“Buon compleanno, Nessie!” Esclamarono in coro quando entrai. Li ringraziai di cuore, pensando a quant’ero fortunata ad avere una famiglia così perfetta.
“Tieni” disse Carlisle passandomi una busta di sangue “Un piccolo pensiero da parte mia.”
“Grazie, nonno!” Lo abbracciai forte e lui ricambiò. Era 0 positivo, il mio preferito, perciò lo bevvi avidamente finché non ne rimase più una sola goccia. In un lampo era già finito. Mentre bevevo vidi i miei familiari trattenere il respiro per evitare di sentirne l’odore. Tutti tranne Carlisle ovviamente. Dopo secoli passati ad affinare il suo autocontrollo, ormai era completamente immune all’odore del sangue, e poteva svolgere la professione di medico che tanto ama senza alcun problema. La sua unica reazione infatti fu solo lo storcere del naso. Odiava il fatto che bevessi sangue umano – anche se succedeva giusto a natale e al giorno del mio compleanno – nonostante non facessi del male a nessuno. Immaginai quanto gli dovesse esser costato prendermelo, e ciò mi riempì di gratitudine, oltre che rattristarmi un po’.
“Ehi Ness, che ne dici se domani io te e Rose andiamo a far shopping a Seattle? Consideralo un regalo!” disse zia Alice facendomi l’occhiolino una volta che ebbi finito di bere.
“Grande! Posso, vero mamma?” Le chiesi, anche se sapevo che alla fine ci sarei andata comunque. Era impossibile averla vinta in una discussione con Alice, specialmente quando era così entusiasta.
“D’accordo, ma solo perché è il tuo compleanno!” Acconsentì lei.
“Grazie!” Urlai saltandole al collo.
“Ma non comprate troppa roba”.
“Tranquilla Bella” si intromise Rose. “Non esagereremo!”
“Pff… sì, come no!” Commentò ridendo zio Emmett dall’altra parte della stanza. Alice rispose con una linguaccia.
Passai i dieci minuti successivi sul divano a guardare la tv con zio Emm, poi papà mi ricordò che si stava facendo tardi, e che dovevo andare a scuola. Pioveva. Mentre prendevo il mio impermeabile nero gli occhi si posarono sul giubbotto di pelle che usavo quando andavo in moto, e l’eccitazione mi invase da capo a piedi. Decisi di approfittare del fatto che era il mio compleanno. A mamma e papà non piaceva che andassi in giro in moto quando l’asfalto era bagnato, perché pensavano che fosse troppo rischioso, perciò non capitava spesso che Jazz mi portasse a scuola o da qualunque altra parte con la sua Ducati argentata. Volli tentare lo stesso. Mi girai verso Edward e lo supplicai con lo sguardo e col pensiero.
“Non è a me che devi chiederlo!” Disse sorridendomi. Esultai dentro internamente. Ormai era fatta!
“Zio Jazz… Hai niente da fare nella prossima mezz’ora?”
Sorrise. “Vai a prendere il casco, ti aspetto di sotto.” Aveva capito al volo. Corsi di sopra euforica e presi il casco da quella che era stata la stanza di Edward, ma che ora era a tutti diritti la mia seconda camera. Salutai tutti, presi il giubbotto e andai in garage. Jasper era già a cavallo della su Ducati col casco in testa. Sapevo che lo metteva solo per via dell’apparenza di essere umani che dovevamo dare. A cosa poteva essere utile un casco ad un vampiro?! Chiusi meglio il giubbotto e salii dietro di lui.
“Reggiti forte!” Disse, mentre sgommavamo a tutta velocità sullo sterrato che conduceva da casa alla 101.
La giornata non poteva iniziare meglio. La moto era senz’altro il modo migliore di spostarsi, eguagliato solo dalla corsa. Ma non era la stessa cosa. Quella sensazione di libertà, di adrenalina, di essere capace di fare tutto ciò che si vuole, era inimitabile. Era una cosa che ne la corsa, ne altro sapevano provocare. Sfrecciammo fino a scuola zigzagando fra un auto e un’altra, e intanto io ero sempre di più al settimo cielo. Quando alla fine però giungemmo a destinazione, tornai coi piedi per terra. Come poteva essere già finita, quando mi sembrava di essere appena partita!? Scendere mi costò un immensa fatica, ma, con molta riluttanza e con una smorfia dipinta sul viso, riuscì ad alzarmi. Se fosse stato per me avrei girato per ore ed ore in moto senza stancarmi o averne abbastanza, e sapevo che anche per zio Jasper era così.
“Forza, devi sorridere. Oggi è il tuo compleanno.” Disse lui quando vide la mia espressione. Cercai di fare un sorriso, ma vedendo che tratteneva a stento una risata immaginai che non fosse proprio il massimo. “In bocca al lupo per la verifica di matematica!” Disse mentre saettava via, e quella sottospecie di sorriso sparì all’istante.
La giornata passò più lentamente del solito. Non vedevo l’ora di andare a casa per vedere come Alice avrebbe addobbato la casa quest’anno. La verifica andò molto bene, e per fortuna le uniche persone che si ricordarono del mio compleanno furono la mia migliore amica Phoebe e qualche altro compagno. Proprio come mia madre odiavo stare al centro dell’attenzione, per questo motivo non avevo detto quasi a nessuno quando compievo gli anni. Quando suonò l’ultima campanella mi trattenni a stento dal saltare in piedi e urlare di gioia. Uscì in fretta e furia e iniziai a cercare mio zio. Come solito era già lì ad aspettarmi, così andai subito da lui, misi il casco e montai in sella.
“Com’è andata?”
“Tutto bene!” risposi, mentre lasciavamo il parcheggio.
Dopo dieci minuti eravamo già sulla stradina che porta a Villa Cullen – nome che le avevo dato io da piccola – ma quando stavamo per avvicinarci lui svoltò e si diresse verso casa di mamma e papà.
“Perché andiamo di qua?” Gli chiesi, ma non feci in tempo a finire la domanda che zia Alice ci venne incontro con indosso un vestito blu notte senza spalline, lungo fino al ginocchio che aderiva perfettamente al suo corpo magro.
“Sbrigati che devi ancora prepararti.” Disse prendendomi per un braccio e trascinandomi fino alla mia cabina armadio, senza neanche darmi il tempo di respirare.
“Tieni, aprilo e dimmi che ne pensi” disse dandomi un pacco rosso e giallo. Lo scartai con molta curiosità. Ogni anno Alice mi regalava un vestito da sogno che dovevo indossare alla festa che puntualmente mi organizzava.
Quando alla fine riuscii ad aprire la scatola restai a bocca aperta.
“Alice ma dove l’hai trovato!? E’ stupendo!” Dentro c’era un vestito verde smeraldo – il mio colore preferito – monospalla, lungo fino al ginocchio, con una fascia sotto il livello del seno dello stesso colore con il disegno di una colomba fatta con piccole pietre brillanti, simbolo di pace e libertà.
“Bello vero!? Appeno l’ho visto ho pensato subito a te” disse sorridendomi.
“E’… E’… semplicemente perfetto!”
“Sono felice che ti piaccia! Che aspetti, provalo”.
Lo indossai: Magnifico! La parte sopra era stretta, ma scendendo da sotto il nastro si apriva leggermente, fino a formare un piccolo ventaglio.
“E queste vanno col vestito” disse dandomi un paio di decolleté nere, uguali a quelle che non mi andavano più bene e che mi piacevano tanto.
“Wow…” fu l’unica cosa che riuscii a dire. “Alice… io…”
“Ssh! Non dire niente.” Dopo venti minuti passati a truccarmi e pettinarmi ero finalmente pronta. Fu allora che qualcuno bussò alla porta.
“Io vado a finire di preparare le ultime cose, intanto ti lascio con lui” disse facendo entrare Jacob, e uscendo di casa.
“Jake!” Esclamai, e subito mi sentii invadere da quella sensazione di calore e benessere che provavo quando stavo con lui. Adoravo Jacob, era senza alcun dubbio il mio migliore amico in assoluto. Nessuno mi capiva come lui. Entrambi abbiamo caratteri forti, perciò capita spesso che litighiamo, ma non passano più di cinque minuti prima che ricominciamo a ridere e scherzare come nulla fosse. Era sempre stato una parte importante di me. Era sempre stato il mio Jacob.
Gli corsi incontro e gli saltai al collo.
“Che accoglienza!” disse abbracciandomi di rimando. “Sai che sei la cosa più bella che io abbia mai visto?”
“Smettila!” dissi tirandogli un pugno sull’avambraccio.
“Ahi!” esclamò lui facendo una smorfia esageratamente teatrale. Erano poche le volte che riuscivo veramente a far male a Jacob, e se capitava non era mai volontario. Non avrei mai potuto fargli del male.
Passammo tutta l’ora successiva a parlare del più e del meno, finché Alice non mi mandò un messaggio con scritto che era ora di andare. Perciò ci incamminammo verso casa dei nonni.
“Auguri!” Urlarono tutti appena entrammo. Il soggiorno era pieno di candele, fiori e festoni; Avevano spostato i divani in modo da creare uno spazio in cui poter ballare e posizionato in un angolo lo stereo di papà insieme ad un’infinità di CD.
Guardai ad uno ad uno i componenti della mia famiglia; erano bellissimi, ma come al solito zia Rose era quella che spiccava di più: Indossava un vestito rosso scuro lungo fino al ginocchio, attillato e con un’abbondante scollatura. Portava dei sandali argento tacco dodici, che esaltavano ancor di più le sue già perfette gambe. I capelli color platino in genere lisci ora erano ricci come i miei, e le ciocche davanti erano tenute ferme dietro la testa da un grande fermaglio.
Era tutto perfetto!
“Oh aspetta, non è ancora finita!” rispose papà ai miei pensieri. “Venite ragazzi”.
Dalla porta della cucina entrarono Seth, Quil, Embry, Emily, Kim e Rachel.
“Hei ragazzi, che bello vedervi!”
“Sta sera la parola bello è tutta per te!” Esclamò Seth. Dopo Jacob era l'amico più caro che avevo, e gli volevo un mondo di bene, anche se mi riempiva di troppi complimenti.
“Seth ha ragione; sei magnifica!” concordò Quil.
“Grazie, ma è tutto merito di Alice” dissi io arrossendo e chinando il capo. Una delle cose peggiori dell’essere solo per metà vampiro era proprio il fatto che le mie guance continuassero tradire il mio imbarazzo.
“Ok, ora basta con le smancerie, è ora di festeggiare” si intromise zio Emmett.
Lo ringraziai con lo sguardo per avermi tolto da quella situazione scomoda. Annuì, ma sapevo il motivo per cui l'aveva fatto n realtà: lui odiava queste situazioni molto più di me!
“Nessie” mi chiamò Emily che mi stava venendo incontro insieme a Kim e Rachel. Noi quattro ormai eravamo come migliori amiche. Passavo un sacco di tempo con loro e con gli altri del branco giù a La Push. Ormai erano la mia seconda famiglia.
“Sam e il resto del branco si scusano per non essere potuti venire, ma ci sono stati dei problemi interni, e non potevano rimandare”.
“Comunque volevano che ti facessimo avere i loro auguri. Verranno domani per darti il loro regalo di persona” intervenne Kim.
“Quest’anno non l’hanno fatto insieme a voi?” chiesi io sinceramente sorpresa. Emily mi aveva detto che si erano stufate di fare dei regali fantastici e che poi i ragazzi se ne prendessero il merito, così quest’anno li avrebbero lasciati soli, ma ero quasi certa che alla fine avrebbero ceduto alle suppliche del branco.
“Assolutamente no! Che si arrangino d’ora in avanti!” Esclamò Rachel convinta.
“Ciao Jake, come stai?” Chiese Bella venendo insieme a papà verso me e Jacob, che eravamo rimasti insieme per tutto il tempo.
“Ciao Bells. Tutto ok!”
“Sei bellissima, piccola!” disse papà.
“Grazie, ma mai quanto voi!”
Papà… pensai, basta per favore…
“Scusa” mi rispose lui sorridendo.
La festa andò avanti ancora a lungo. Scartai i regali, mangiammo la torta, ballammo. Quando fui troppo stanca per reggermi in piedi. Iniziarono ad andare via tutti, e io tornai a casa insieme a mamma e papà.
Notai solo allora la moltitudine di torce che Alice aveva messo ai lati della strada come tradizione. Strano che non me ne fossi accorta mentre passavo di lì nel pomeriggio.
In più quella notte il cielo era privo di nuvole: la luna, perfettamente rotonda, era luminosa come non mai e circondata da un’infinità di stelle. Quest’insieme di cose rendeva quella una delle notti più luminose che avessi mai visto.
   
 
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