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Autore: Petronilla    07/02/2005    23 recensioni
QUESTA STORIA NON TIENE CONTO del 6° e del 7° libro di Harry Potter perchè è stata scritta molto prima della loro pubblicazione - Attesissimo seguito di "Segreti dal Passato"! E' il 7° anno ad Hogwarts: Harry e Hermione sono finalmente insieme, ma il loro amore è in pericolo, minato dall'arrivo a scuola di una nuova, misteriosa studentessa. Nel frattempo la guerra magica si è fatta sempre più sanguinosa. Voldemort ha in mente un piano perfetto per distruggere il suo nemico mortale e vincere la guerra. Riuscirà il nostro eroe a padroneggiare i suoi poteri da Veggente e cambiare il suo destino? Leggete e commentate numerose, grazie!
Genere: Romantico, Avventura, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Harry/Hermione
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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(N/A: Eccomi, sono tornata! Spero che tutte le mie affettuose lettrici siano rimaste lì ad aspettarmi e spero di non deluderle con questa nuova avventura! Avete trascorso delle buona vacanze estive? Spero di si! Tornando alla storia, si tratta del seguito di "Segreti dal Passato": come noterete, questa volta ho cercato di scrivere dei capitoli più lunghi e più intensi. Volevo anche cogliere l'occasione per ringraziare di cuore kristy4ever3msc, per il suo preziosissimo aiuto nel procurarmi il fantastico banner che vedete in questa pagina. Come sempre, non vedo l'ora di ricevere i vostri graditi commenti, quindi, recensite numerose!  Buona lettura!)

 

Disclaimer: Queste storie sono basate su personaggi e situazioni di esclusiva proprietà di JK Rowling, di svariate case editrici, incluse Bloomsbury Books, Scholastic Books e Raincoast Books, Salani e della Warner Bros. Inc. Si dichiara inoltre, che non è stato ricevuto nessun compenso e che non è stato infranto nessun copyright o trademark.

 

 HARRY POTTER E  I SEGRETI DAL FUTURO

By Petronilla

 

Capitolo 1. GUFI D’AMORE

 

Un’altra afosa giornata estiva stava volgendo al termine ed i tetti delle case tutte uguali di Privet Drive venivano illuminati dalla luce dorata del tramonto. Sembrava che la perfezione e la tranquillità di quel posto non sarebbe mai stata disturbata da niente e da nessuno, neanche dalla siccità che imperversava da tempo, e che rendeva aridi i piccoli fazzoletti di prato dinanzi alle case, un tempo verdi e rigogliosi.

Come ogni sera, tutti i residenti del quartiere si erano finalmente riuniti al tavolo da pranzo della loro perfetta cucina, nella loro perfetta casetta, ad ultimare un pasto semplice ma nutriente, guardando spensierati la propria televisione, con l’unica preoccupazione di non poter annaffiare a sufficienza il prato di casa.

Questa però non era l’atmosfera che si respirava al numero quattro di Privet Drive, dove la famiglia Dursley viveva da diversi anni. Nella loro casa aleggiava ormai una tetra atmosfera di silenziosa preoccupazione, che però nessuno di loro osava esprimere a voce alta.

Da quando, pochi giorni prima, Harry aveva fatto ritorno da scuola, i suoi zii non avevano minimamente preso l’argomento, ma era ormai evidente che persino loro, ostinatissimi Babbani contrari ad ogni forma di magia, avessero compreso la gravità della situazione.

La guerra nel mondo magico era iniziata da tempo e gli attacchi dell’Armata delle Tenebre di Lord Voldemort si erano fatti sempre più numerosi e sanguinari negli ultimi mesi, soprattutto nel mondo Babbano.

Ma soprattutto, lo zio di Harry, Vernon Dursley, temeva per il benessere della sua famiglia, per sua moglie Petunia e per suo figlio Duddley. E per Harry? No, a Vernon Dursley non importava niente di suo nipote Harry, anzi, se non fosse stato per l’ostinazione della moglie, a quest’ora quel fastidiosissimo ragazzo dagli strani poteri sarebbe già stato spedito in mezzo alla strada.

Quella sera, come tutte le sere, la famiglia Dursley aveva appena terminato di cenare e si stava rilassando sul divano, dinanzi alla loro enorme televisione, mentre Harry stava finendo di riordinare la cucina come  gli era stato appena ordinato.

Harry aveva sempre avuto un fisico magro e longilineo, ma da quando aveva iniziato ad esercitare i suoi nuovi poteri da veggente, stava cominciando a diventare più alto e muscoloso, e questo non guastava affatto. Vestito in jeans e maglietta, tutto si sarebbe potuto pensare di lui, eccetto che fosse uno dei più famosi giovani maghi al mondo. Famosa quanto lui era la cicatrice a forma di saetta che portava impressa sulla fronte, a ricordo indelebile della sua lotta contro le forze del male.

Al telegiornale della sera, non avevano dato nessuna notizia particolarmente grave, niente che potesse far pensare ad un attacco dei Mangiamorte, tipo una sparizione sospetta, oppure un attentato dinamitardo. Ciononostante, Harry non riusciva a stare tranquillo; sapeva che i piani malefici di Lord Voldemort prevedevano di colpire senza mai uscire troppo allo scoperto, insinuare paura e terrore ovunque, fare in modo che nessuno si sentisse più al sicuro.

In quel momento, davano un programma di intrattenimento che avrebbe dovuto far ridere gli animi più spensierati, ma da tempo non c’era più spensieratezza in casa Dursley. Zio Vernon, zia Petunia e Duddley continuavano a fissare il teleschermo quasi inebetiti, mentre Harry sbirciava alle loro spalle, in piedi accanto al lavabo, intento ad asciugare le stoviglie.

Ormai si era abituato all’indifferenza dei suoi zii e non ci faceva più caso, ma quella sera, aveva percepito un’aria particolarmente ostile nei suoi confronti.

Harry pensò che l’unica cosa sensata da fare, era quella di restarsene buono, buono in silenzio, per poi riuscire a sgattaiolare in camera sua, prima che a qualcuno venisse in mente di rivolgergli la parola. Aveva appena finito di asciugare l’ultimo piatto e si stava già dirigendo verso la porta con passo felpato, quando zio Vernon lo richiamò con il suo profondo vocione.

“Ragazzo! Vieni qui!”

Harry rimase con un piede nel corridoio e la mano sulla maniglia, poi fece un profondo sospiro e tornò sui suoi passi. Rassegnato raggiunse il divano e si mise di proposito davanti al televisore, suscitando un grugnito di disapprovazione da parte di suo cugino Duddley.

“Ehi, togliti di là!”

Duddley aveva preso ad agitarsi a destra e a sinistra sul divano, per cercare di vedere la TV , e la sua grossa pancia stava ballando come gelatina. Harry non si scompose e si scostò poco più in là, rimanendo in attesa. Quindi suo zio Vernon gli rivolse la parola continuando a fissare il teleschermo.

“E’ arrivata una cosa per te. Come al solito l’ha portata uno di quei tuoi uccellacci pulciosi.”

“C-cosa? Vuoi dire che ho ricevuto posta? E quando?” Harry cadde dalle nuvole; come era possibile che non si fosse accorto dell’arrivo di un gufo indirizzato a lui?

“Um... un paio di giorni fa.” Gli rispose suo zio distrattamente.

“Un-paio-di-giorni-fa?” chiese Harry a voce alta, scandendo le parole, “e perché me lo dite soltanto adesso? Poteva essere qualcosa di importante!”

“Abbassa il tono di voce quando parli con me, ragazzo!” Lo redarguì suo zio fissandolo dritto negli occhi ed iniziando a scaldarsi. “Non so per quale assurdo motivo quell’animale puzzolente non è andato dritto in camera tua. Tra l’altro ti avevo già detto parecchie volte che non avrei più tollerato di vedere un’altro di quegli esseri immondi in casa mia.”

“Vernon, i vicini,” zia Petunia parlò movendo appena le labbra sottili; con la sua mano piccola e scarnita gli afferrò il braccione cercando di fargli abbassare il tono della voce, e lo zio Vernon prese a guardarsi attorno sospettoso, temendo che in quel preciso istante qualcuno stesse sbirciando dalla finestra.

Harry alzò gli occhi al cielo e decise di terminare lì la conversazione.

“Posso avere la mia lettera, adesso?” Tagliò corto in tono insistente e i suoi zii lo fissarono con disgusto, come se avesse detto chi sa quale atrocità. Poi Vernon si rivolse a suo figlio e gli fece un cenno con la testa.

“Figliolo, dagli la lettera.”

Scocciato da quella interruzione, Duddley infilò lentamente una manona dentro la tasca posteriore dei jeans, e fissò la lettera con un sorrisetto maligno.

“Ti sei fatto la ragazza, eh Potter? Deve essere di sicuro una fuori di testa, per stare con uno come te.” Lo schernì Dudley, facendo volteggiare la busta aperta, davanti al naso di suo cugino.

Harry sgranò gli occhi e sentì il sangue ribollire nelle vene. “Avete letto la mia posta?” urlò fuori di sé, strappandogli con rabbia la lettera dalle mani e fulminando suo zio con lo sguardo.

“Ti ho detto di abbassare il tono della voce quando parli con me! E’ un nostro diritto leggere la posta che ricevi. Fin tanto che abiterai sotto questo tetto, dobbiamo sapere quali diavolerie stai macchinando a nostra insaputa.”

VOI NON AVEVATE NESSUN DIRITTO DI FARLO! VOI NON…” Harry si sentì come una bomba ad orologeria, pronta ad esplodere da un momento all’altro. Sentiva il cuore battere furiosamente e aveva preso a tremare dalla rabbia, serrando il pugno chiuso attorno alla lettera.

“Hai sentito tuo zio? Ti ha appena detto di abbassare il tono della voce,” lo redarguì zia Petunia con la sua vocetta acuta. “Tra l’altro, non è decoroso ricevere lettere da una ragazza.”

Adesso la rabbia di Harry si stava trasformando in indignazione. Come avevano potuto leggere una lettera di Hermione, indirizzata a lui?

“Queste sono cose personali. Se vi scopro un’altra volta a leggere la mia posta, ve la farò pagare!” Minacciò Harry fissandoli con odio; poi si girò di scatto e corse via sbattendo la porta.

Stava già salendo le scale a due a due, quando sentì suo zio sbraitare dall’ingresso. “Harry Potter! Se ci mancherai di rispetto ancora una volta, ti butterò fuori di casa senza neanche lasciarti il tempo di radunare le tue cose. Mi hai capito bene?”

Mordendosi le labbra, Harry si chiuse a chiave in camera sua, raggiunse il letto e vi si sdraiò pesantemente, facendo lunghi e profondi respiri per riuscire a calmarsi.

Questa volta hanno superato il limite!” continuava a ripetersi fra sé, “ma quando sarò maggiorenne, me ne andrò da questa casa e non mi farò più vedere.”

Gli ci vollero parecchi minuti prima di ritrovare la tranquillità necessaria e finalmente potersi concentrare sulla lettera; quando riuscì a rasserenarsi, srotolò la pergamena e lesse il contenuto.

“Caro Harry,

spero che tu stia bene e mi auguro che tu abbia già iniziato i compiti. Non credo che potremo rivederci prima dell’inizio del prossimo anno scolastico, comunque spero che tu possa trascorrere delle piacevoli vacanze.

Saluti, Hermione.”

Harry rimase a lungo a fissare quelle quattro righe, chiedendosi il motivo di tanta freddezza. Eppure, l’ultima volta che si erano visti, gli era sembrato che tra lui ed Hermione ci fosse qualcosa di più profondo.

Insomma, lei gli era stata accanto durante il periodo più difficile della sua vita, lo aveva accudito con amore, gli aveva detto di amarlo.

“Ehi, aspetta un minuto!” Si disse a voce alta mettendosi a sedere di scatto.

Harry tirò fuori la sua bacchetta dalla tasca posteriore dei jeans e la puntò dritta alla pergamena, pronunziando le parole magiche sotto voce.

“Apparecium!”

In un secondo, quelle poche righe scritte frettolosamente scomparvero, e il vero contenuto della pergamena fu rivelato dinanzi ai suoi occhi. Harry rise fra sé, sentendo il cuore scaldarsi.

Soddisfatto si rimise sdraiato sul letto e lesse con calma la lunga lettera della sua ragazza.

“DEDICATO A TE…

Il mio amato ha braccia forti come rami d’ulivo

e gambe dritte come colonne di marmo.

Il mio amato ha gli occhi verdi come giada

e le labbra rosse come ciliegie mature.

Il mio amato ha i capelli color della notte

e guance chiare come raggi di luna.

Il destino ci ha fatto incontrare

e mai più ci potrà separare.

Il nostro amore è come un candido fiore,

come la bianca spuma del mare,

come la rugiada del mattino,

come il dolce sonno di un bambino.

Le nostre vite non ruberà mai nessuno,

perché i nostri cuori sono già un tutt’uno.

 

Carissimo Harry,

ti piace questa poesia? L’ho trovata in una raccolta che sto leggendo, e mi è sembrata molto bella. Come stai? Io bene, anche se da quando ci siamo lasciati, trascorro la maggior parte delle mie giornate chiusa in camera a pensare a te. 

Per fare qualcosa di diverso, questa mattina sono andata a nuotare in una piscina pubblica qui vicino; con il caldo che c’è in questo periodo, mi è anche servito a rinfrescarmi le idee!

 Riflettendo su quello che ci è successo durante lo scorso anno, mi sono resa  conto che nulla sarà più lo stesso d’ora in poi. Per cominciare, io non sarò più la stessa! Per tutto il tempo che sei stato in coma, ho avuto modo di riflettere sulla mia vita e sono arrivata ad una conclusione: le persone che amiamo sono la cosa più importante! Non voglio più sprecare il mio tempo inutilmente, ma voglio dedicarmi a rendere felici gli altri. Ti sembro sciocca? Spero di no!

Ho ricevuto un gufo da Ron ieri sera: mi sembra che tra lui e Luna stia andando tutto magnificamente. Sono così fortunati quei due ad abitare vicino. Non posso nasconderti che mi manchi già moltissimo e che non vedo l’ora di rivederti.

Spero che i tuoi zii non ti strapazzino troppo. Tieni duro, le vacanze passano in fretta...

Adesso devo andare. Io e i miei genitori siamo stati invitati ad un seminario sul surriscaldamento terrestre... non vedo l’ora!

Tua Hermione.

PS: Ti mando la lettera con un gufo che mio padre ha appena acquistato a Diagon Alley. Non mi sembra ancora molto sveglio e temo che non sarà in grado di portare a termine il suo compito come dovrebbe, quindi ho pensato ad un modo sicuro per non far leggere la nostra corrispondenza ad occhi indiscreti. Ti è piaciuto come trucchetto? Visto che ormai sei quasi maggiorenne, non credo che ti caccerai nei guai per aver svelato il contenuto di una lettera! Per stare più tranquilla, ho comunque chiesto il permesso a Silente!”

 

“Hermione, sei un genio!” si disse Harry fra sé, scattando in piedi e dirigendosi verso la sua scrivania per tirare fuori piuma, inchiostro e pergamena.

Poi tornò sul letto e si mise a pensare per qualche secondo, prima di iniziare a scrivere.

Mia carissima Hermione…” Harry si fermò a leggere queste tre parole, ma gli sembrarono un po’ troppo esplicite e decise che non andavano bene; accartocciò la pergamena nervosamente, ne prese un’altra e dopo aver riflettuto un momento, iniziò nuovamente a scrivere.

Hermione…” Anche questa volta non ne fu contento; buttò via la seconda pergamena e ne prese una terza.

“Cara Hermione…” Finalmente sembrò andare bene come inizio, non era né troppo intimo e né troppo formale, quindi riprese a scrivere.

“Scusami se ti rispondo soltanto adesso, ma i miei zii ne hanno combinata un’altra delle loro. Ti dico soltanto che, come avevi previsto, il tuo gufo ha recapitato la lettera alla persona sbagliata.

Ti ringrazio per la poesia, è veramente molto bella. Anche io rifletto spesso su quello che ci è successo l’anno scorso; non posso credere che ne siamo usciti vivi e mi dispiace di averti fatto preoccupare, durante la mia malattia. Spero che il prossimo anno non sarà così “tragico”.

Fino adesso, ho cercato di far notare la mia presenza in casa il meno possibile. I miei zii, comunque, continuano ostinatamente ad ignorarmi, quindi per me non è poi così difficile.

Una cosa che mi fa proprio impazzire, è non sapere niente di quello che sta succedendo là fuori! La guerra, gli attacchi dei Mangiamorte, Mark ancora prigioniero…

Come al solito, Silente mi sta tenendo all’oscuro di tutto (e non sai quanto sia frustrante!), anche riguardo alla ricerca del nascondiglio di Voldemort.

L’unica cosa che sento di sapere con certezza, riguarda proprio Mark. E’ ancora vivo!  Non so come spiegartelo, ma riesco a sentirlo nel mio cuore. Di sicuro, starai pensando che non devo provare tanta pena per uno come lui, ma è più forte di me.

Le cose che Mark mi ha rivelato, fanno parte del mio passato ma anche del mio futuro; nessun’altro ha avuto il coraggio ( o per meglio dire, la follia necessaria … ) per farlo. Quindi, nonostante tutto, gli devo molto.

Non vedo l’ora di compiere diciassette anni, così potrò finalmente usare la magia come mi pare e piace. La prima cosa che farò ( dopo quella di vendicarmi con mio cugino Duddley per l’ultima che mi ha combinato…) sarà esercitarmi ad usare i miei poteri. Il controllo sugli elementi potrà tornarmi utile in futuro.

Sicuramente non avrò problemi a controllare l’aria e l’acqua, ma con il fuoco e la terra sarà molto più dura!

Ron ha scritto anche a me. Mi ha mandato il piccolo Leo per dirmi che sta bene: sarà già andato a trovare Luna un centinaio di volte! Sono sempre più convinto che quei due formino una coppia niente male.”

Harry si fermò un momento a riflettere; c’era ancora qualcosa che non aveva rivelato ad Hermione, e non sapeva se poteva farlo oppure no. Da quando era tornato a Privet Drive, quasi tutte le notti aveva avuto degli orribili incubi, che gli rendevano impossibile riuscire a dormire. Sarebbe stato inutile farla preoccupare più del dovuto e sospirando, decise di non accennarle niente.

“Beh… credo di averti raccontato un po’ di tutto, e adesso tocca a te. Ti prego, non ci mettere troppo a scrivermi, qui è una noia mortale.

Tuo Harry.”

Harry rilesse più volte la pergamena, cambiando qualche parola qua e là; quando ne fu soddisfatto, attese che fosse calata la notte e poi la legò alla zampa di Edwige che scalpitava ansiosa dentro la sua gabbia, pronta a spiccare il volo. Poi si rimise disteso sul letto, con le braccia dietro la testa e lo sguardo rivolto verso il bianco profilo della sua civetta, che si allontanava nell’oscurità. Quando fu diventata più piccola di una stella all’orizzonte, Harry tornò a fissare il soffitto, senza pensare ad accendere una luce o una candela.

Gli piaceva stare al buio, respirare l’aria fresca della notte, dopo una lunga giornata afosa. Si mise a pensare a tutti gli incredibili avvenimenti dell’anno appena trascorso; il giorno di San Valentino, era riuscito finalmente a confessare il suo amore ad Hermione. Aveva conosciuto Mark Evans, un cugino di sua madre, che era stato un Mangiamorte da ragazzo; Mark poi si era pentito ed era fuggito via, rimanendo per diversi anni lontano da tutto e da tutti. Durante l’assenza di Lupin dovuta ad un grave incidente, Silente aveva dato il posto di insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure proprio a Mark; quest’ultimo aveva fatto scoprire ad Harry di essere un veggente, come lo era sua madre Lily, e lo aveva esortato ad esercitare i suoi nuovi poteri, come quello della preveggenza, la capacità di leggere nella mente delle persone e di comunicare con loro anche a distanza, il controllo sugli elementi.

Durante un attacco dei Mangiamorte, Harry era stato colpito gravemente da un incantesimo senza perdono; per circa un mese, era rimasto tra la vita e la morte, ma aveva anche fatto una meravigliosa esperienza sul Mondo Astrale con i suoi genitori. E poi, una volta guarito, era riuscito a liberare Sirius dal Velo dell’Oblio attraverso un’antica cerimonia; di sicuro, l’anima del suo padrino aveva raggiunto liberamente il Mondo Astrale, per continuare la sua esistenza accanto a Lily e James.

Harry si guardò attorno, la luce della luna filtrava dalla finestra; la sua stanza non era cambiata molto negli anni; minuscola, con il pavimento in moquette grigia, disseminato di vestiti sia da babbano che da mago; il letto, ormai troppo piccolo per lui, appoggiato al muro sotto la finestra; uno stretto armadio di legno nel quale era gelosamente custodita la sua scopa magica; una scrivania colma di libri di magia e ai piedi del letto, il suo baule aperto dal quale fuoriuscivano il calderone e numerose pergamene di ricambio.

Harry sospirò profondamente, chiedendosi se anche quella notte sarebbe stato disturbato da uno dei suoi soliti incubi. Poi si girò su un fianco e guardò con affetto la foto dei suoi genitori, che teneva sempre sul comodino. Sorrise fra sé, consapevole che loro avrebbero sempre vegliato su di lui, e che lo avrebbero sempre protetto. Quindi chiuse gli occhi e si addormentò.

***O***

Harry stava camminando lungo un labirinto dalle mura di pietra, stringendo nella mano destra la sua bacchetta accesa, attorno a lui l’oscurità. Il silenzio della notte era rotto unicamente dal fruscio della sua lunga veste scura e dal ticchettio ritmico di una goccia, che da una crepa sul soffitto, cadeva sul gelido pavimento. La sensazione di essere seguito gli fece salire un brivido freddo lungo la schiena e lo spinse ad affrettare il passo. Harry cambiò direzione più volte, fino a quando non raggiunse la fine del labirinto, e dinanzi a lui apparve una porta di ferro, socchiusa.

La porta si aprì lentamente e lui entrò dentro, con molta cautela; la stanza, dalle mura e dal pavimento di pietra, era sporca e logora. Un’aria umida e pesante penetrò nei suoi polmoni, ma Harry non vi diede peso. Dopo aver mosso alcuni passi verso il centro della stanza, intravide un uomo rannicchiato in un angolo; quest’uomo indossava una lunga veste scura, strappata in più punti, e aveva i capelli lunghi che gli ricadevano scompigliati sul viso. Harry si avvicinò ancora di più e all’improvviso, quest’uomo alzò la testa verso di lui.

“Mark!” esclamò Harry sorpreso. Quelle che erano state un tempo le piacenti fattezze di Mark Evans, adesso si intravedevano appena in quel viso stanco ed emaciato, segnato da profonde occhiaie e cicatrici.

Mark sembrò non  riconoscerlo e prese a fissarlo con terrore, strisciando verso il muro, il più possibile lontano da lui. “Nooo! Vattene! Non avvicinarti, non farmi del male, ti prego!” urlò ad occhi sgranati.

Harry non riuscì a capire questa assurda reazione e continuò ad avvicinarsi lentamente. “Sono io. Sono Harry. Non mi riconosci? Mark! Sono venuto a portarti via da questo posto.”

Nonostante Harry cercasse di confortarlo con sue le parole, Mark sembrava fuori di sé dalla paura; cercava di allontanarsi il più possibile da lui, sforzandosi di non guardarlo in faccia.

“Mark, prendi la mia mano. Vieni via con me.” Lo esortò Harry, allungando le braccia verso di lui; ma non appena ebbe abbassato lo sguardo sulle sue mani, il ragazzo lanciò un grido di orrore. Quelle non erano le sue mani, non era possibile! Pallide, quasi cadaveriche, dalle lunghe dita scheletriche e contorte come rami di albero.

Harry indietreggiò stravolto, continuando a fissarsi le mani. “Non è possibile, questo non sono io, non sono io!” ripetè ostinatamente a sé stesso, ma i suoi occhi non potevano mentire. D’un tratto, alzò lo sguardo e vide una pozza d’acqua sul pavimento. Timoroso vi si diresse e lentamente si sporse per specchiarsi.

“Noooo!” gridò disperato, portandosi le mani sul viso; lo specchio d’acqua, rifletteva l’immagine di un essere immondo, dal volto cadaverico, e dagli occhi color rosso sangue, con la pupilla a fessura, come quelli di un serpente. Il volto di Lord Voldemort.

Una risata echeggiò nella sua mente, e una voce fredda e malefica parlò.

“Pensi di essere tanto di verso da me? Come ti sbagli.”

“Vattene via! Lasciami in pace, mostro!” urlò Harry con rabbia, ma la voce nella sua testa riprese con testardaggine.

“Non hai altra via di scampo, Harry. Io e te siamo uguali. Scegli di lottare al mio fianco, o morirai.”

“Nooooo! Non lo farò mai! Hai capito? NON LO FARO’ MAI! MAI!”

Urlando a squarcia gola, Harry si svegliò di soprassalto e si mise a sedere sul letto; ansimando violentemente, si portò una mano alla cicatrice, che pulsava dal dolore. Sentì la fronte e il pigiama umidi di sudore ed emise lunghi e profondi respiri per cercare di riprendere il controllo su di sé.

Con mani tremanti, indossò subito gli occhiali, poi con un balzo scattò giù dal letto e si precipitò dinanzi allo specchio. Il volto riflesso sembrava essere proprio il suo, illuminato dalla flebile luce della luna piena, che filtrava dalla finestra.

Non sentendosi ancora tranquillo, accese una luce lì accanto e iniziò ad ispezionare ogni linea del suo viso. Gli occhi verde smeraldo, le guance magre e rosate, i capelli neri e scompigliati, tutto era tornato normale. Con le dita, sfiorò appena la cicatrice sulla fronte, che sembrava più gonfia e arrossata del solito. Ma dopo tutto, c’era abituato; quella cicatrice era una specie di antenna, e doleva insopportabilmente ogni volta che faceva un incubo su Voldemort oppure quando riusciva a percepire i sentimenti del suo nemico.

Questo terribile incubo continuava a tormentarlo da quando era ritornato a Privet Drive, e non c’era via di scampo. Al risveglio sentiva un tale senso di impotenza e di frustrazione, da non aver nemmeno la forza di alzarsi dal letto. Se non fosse stato per sua zia Petunia che lo chiamava con insistenza ogni mattina, sarebbe rimasto tutti i giorni chiuso in camera sua.

Harry spense la luce e tornò mollemente a sedersi sul letto; poggiò la schiena alla parete, e si mise ad aspettare che il bruciore alla cicatrice finisse. Ancora non gli era chiaro se questi incubi fossero dei messaggi inviatigli da Voldemort, o peggio ancora, delle premonizioni. Da quando aveva scoperto di essere un veggente, cercava di interpretare ogni sogno o visione che gli capitava di avere. Si era persino sforzato di seguire il consiglio di Piton, l’insegnante di Pozioni, e mettere in pratica l’Occlumanzia, provando a chiudere la mente prima di addormentarsi, ma gli incubi avevano continuato imperterriti a tormentarlo notte dopo notte.

Forse avrebbe dovuto chiedere aiuto ad Albus Silente, ma in quel caso sarebbe stato come ammettere che lui non era in grado di cavarsela da solo. E dopo tutto, aveva sempre avuto degli incubi simili, non c’era nessuna novità al riguardo. Questa volta, sapeva di dover risolvere il problema da solo, anche se non aveva ancora idea di come fare.

Il giovane mago chiuse gli occhi ed attese con pazienza che il sole sorgesse; avrebbe potuto benissimo andare a prepararsi, ma se avesse fatto qualche altro rumore, i suoi zii sarebbero andati su tutte le furie; era già tanto che riuscissero a sopportare le sue grida strazianti nel mezzo della notte, dovute agli incubi, che non sia aspettava una tolleranza maggiore da parte loro.

Quando i primi raggi di luce filtrarono dentro la stanza, Harry sentì un battito d’ali alla finestra ed aprì gli occhi. La sua amata civetta Edwige era appena ritornata, portando con sè un piccolo pacchetto, legato alla zampa da un allegro nastro rosso. La candida creatura atterrò con grazia sul letto e attese le meritate coccole.

“Sei arrivata proprio al momento giusto, Edwige.”

Harry carezzò Edwige sulla testa, poi sciolse il pacchetto dalla zampa dell’animale, che spiccò subito il volo verso la sua gabbia, per abbeverarsi. Harry tolse in fretta la carta ed aprì la scatolina; era da parte di Hermione, dentro c’erano dei dolcetti glassati e una pergamena. Si erano scritti molto spesso nelle ultime settimane, e questo aveva reso il suo soggiorno a Privet Drive molto più sopportabile. Il giovane prese uno dei dolcetti e lo addentò con gusto, quindi srotolò la pergamena e la lesse avidamente.

“Carissimo Harry,

Spero che tu stia bene. Mi ha fatto un piacere immenso ricevere così presto la tua ultima lettera.

Come ogni anno, i miei genitori stanno progettando una breve vacanza all’estero. Questa volta vorrebbero andare in Italia, ma io non ho nessuna voglia di seguirli e di sicuro ne immagini anche il motivo. Preferirei di gran lunga trascorrere il resto delle mie vacanze insieme a te.

Chi sa? Magari ci potremo vedere prima di quanto pensi. Nel frattempo sto studiando, tanto per cambiare. Tra l’altro, ho già ultimato uno dei temi assegnati dalla McGranitt, e devo dire che ne sono molto soddisfatta.

Sto quasi pensando di cominciare con la ricerca per Piton, così, tanto per avvantaggiarmi un po’. Ma non voglio annoiarti parlando dei compiti. Ma ci pensi? Sarà il nostro ultimo anno di scuola, e non riesco ancora a crederci. Già provo un’infinita nostalgia.

Parlando di qualcosa di più romantico, anche tu mi manchi moltissimo.

Quando ci rivedremo, preparati. Non ho intenzione di perderti di vista neanche per un momento. Voglio recuperare il tempo perduto, coccolandoti e viziandoti più che mai. Oltre tutto, dopo la magra estate che starai passando con i tuoi zii, sono certa  che ne avrai proprio bisogno.

Ora ti devo lasciare, mi stanno chiamando per la cena.

Tua Hermione”

 

Harry sorrise fra sé; richiuse la scatola dei dolcetti e la ripose nel cassetto del suo comodino, poi ne estrasse piuma e pergamena ed iniziò a scrivere.

“Cara Hermione, come stai? Io sto bene, anche se mi annoio da morire. Le mie giornate vengono scandite dal lentissimo ticchettio dell’orologio e da mia zia Petunia che mi chiama ogni minuto per aiutarla in cucina oppure in giardino.

Pensa che ieri, mio cugino Duddley è tornato a casa con un occhio nero, dicendo di essere caduto dalla bici. I miei zii l’hanno bevuta come al solito, ma io so che invece le ha prese da uno più grosso di lui, anche se non lo ammetterà mai.

Con questo fatto della guerra, Silente ha ordinato di non farmi uscire per nessun motivo da casa, quindi non posso nemmeno andarmene in giro per conto mio e cambiare aria. Ti giuro che è veramente difficile a volte.

E’ solo grazie alle tue lettere, che riesco ad andare avanti, dico d’avvero!”

“Harry! HARRY POTTER!” La voce acuta di zia Petunia lo fece ritornare con i piedi per terra. Sospirando profondamente, arrotolò la pergamena a malincuore e la nascose dentro al cassetto del suo comodino, progettando di finirla più tardi. Quindi saltò giù dal letto ed iniziò a prepararsi, senza fare caso al “gracchiare” di sua zia che continuava a chiamarlo ad intervalli regolari. Nella fretta, non si accorse di aver lasciato la bacchetta magica dentro al cassetto.

Dopo una doccia veloce, infilò un paio di jeans, larghi e sdruciti, una maglietta celeste sgualcita, il solito paio di scarpe da tennis, tutte consumate e, guardandosi allo specchio si passò le dita tra i capelli, ottenendo l’unico risultato di scompigliarli ancora di più. Poi uscì dalla sua camera e chiuse la porta dietro di sé.

Quando raggiunse la cucina, Harry trovò sua zia alle prese con l’ennesima pulizia straordinaria; le sedie erano state voltate e sistemate sul tavolo, gli elettrodomestici smontati e infilati nell’acquaio, e zia Petunia stava appollaiata su di un’altissima scala di legno, impegnata a svuotare e ripulire la credenza.

“Ma perché mai ci hai messo così tanto a scendere?” chiese stizzita, ed Harry rispose con un’alzata di spalle. “La tua colazione è sul tavolo! Mangia in fretta e poi aiutami!” gli disse con tono sbrigativo, senza neanche voltarsi a guardarlo.

Harry si avvicinò lentamente al tavolo, dove, in un minuscolo spazietto tra le quattro sedie capovolte, trovò un piatto con al centro mezzo panino secco, spalmato con del burro di arachidi. Il ragazzo fece una smorfia e decise di rinunciare alla colazione, poi prese uno strofinaccio ed iniziò a lucidare il microonde.

“Zio Vernon e Duddley si sono già alzati?” chiese Harry distrattamente.

“Tuo zio è già uscito, e Duddley sta ancora dormendo. Attento a non fare rumore mentre pulisci, o potresti svegliarlo.” Lo intimò la zia; Harry alzò gli occhi al cielo ed annuì, senza mai distogliere la sua attenzione dal microonde che aveva dinanzi.

La mattina trascorse tranquilla; sia Harry che sua zia lavorarono in silenzio, facendo tutto il possibile per ignorarsi; all’ora di pranzo la cucina brillava come uno specchio ed Harry sentiva sempre più forti i crampi della fame. Già da una buona mezz’ora, stava pregustando di mangiare uno di quei deliziosi dolcetti di Hermione e non vedeva l’ora di poter tornare in camera sua. Quando gli sembrò di aver finito, posò lo strofinaccio e si diresse verso la porta.

“Dove credi di andare tu?” Gli chiese zia Petunia, gelida.

Harry emise un profondo sospiro prima di rispondere. “Salgo un momento...”

“Si, ma torna subito. Ho ancora bisogno di te.”

“D’accordo zia Petunia,” rispose Harry rassegnato, salendo due scalini per volta.

Sin da quando aveva messo piede in quella casa, la vita era stata molto dura per Harry; i suoi zii lo avevano sempre trattato con durezza, paragonandolo continuamente a suo cugino Duddley, che invece viziavano senza ritegno. Quando si trovava a Privet Drive, Harry cercava di tenere a freno il più possibile il suo temperamento ribelle, visto che ormai sapeva bene di essere obbligato a rimanere in quella casa; infatti, soltanto il legame di sangue con la sua famiglia poteva proteggerlo da Lord Voldemort.

Harry era appena arrivato sul pianerottolo, quando notò che la porta della sua camera da letto era accostata; corrucciato, si avvicinò lentamente. “Eppure ero sicuro di averla chiusa, quando sono sceso.” Si disse pensieroso. Mise una mano sulla maniglia, contò fino a tre, e poi spalancò la porta di scatto. Quello che vide, non gli piacque per niente.

“Cosa diavolo stai facendo in camera mia?” Urlò Harry infuriato.

Suo cugino Duddley era stato appena colto sul fatto; seduto sul letto, il viso ancora sporco di briciole, con in una mano uno dei dolci di Hermione, e nell’altra la lettera che Harry stava scrivendo. I due cugini rimasero a fissarsi negli occhi per alcuni secondi, ed entrambi impiegarono questo lasso di tempo in modo molto diverso; Harry si sforzò di trovare l’incantesimo giusto per trasformare il cugino in un grosso maiale, mentre Duddley si mise a riflettere il più in fretta possibile, per trovare una buona via d’uscita da quell’impiccio. Tra le tante opzioni che gli vennero in mente, alla fine, scelse proprio la più sbagliata.

Duddley si alzò in piedi e si stampò in faccia un sorriso da ebete, agitando la lettera che teneva ancora in mano. “Allora è proprio vero. Ti sei fatto la ragazza!” Esordì, deciso ad imbarazzare il cugino, fino a farlo correre via dalla vergogna.

Quello che Harry stava provando dentro, però, non era affatto vergogna, ma rabbia. Una rabbia furiosa ed incontrollabile, che cresceva sempre di più, in attesa di esplodere.

“Dammi quella lettera!” Ordinò Harry, avvicinandosi al cugino con la mano tesa e il cuore che gli batteva furiosamente.

“Niente affatto! Non vorrai mica raccontare i fatti miei alla tua ragazza? E poi, voglio farla leggere ai miei amici. Sai quante risate ci faremo? Com’è che le scrivi?” Duddley allargò la pergamena con le sue manone cicciotte e si concentrò per trovare la parte interessante. “Ah, ecco qui: E’ solo grazie alle tue lettere, che riesco ad andare avanti…”  Duddley lesse la frase con una vocina stridula, poi si piegò in due dalle risate.

“Ho detto, DAMMI QUELLA LETTERA!” Urlò nuovamente Harry, sempre più arrabbiato; vedendo però che il cugino non accennava a restituirla, Harry fu preso da un impulso improvviso, e si avventò su di lui cercando di strappargliela dalle mani; Duddley allora strinse la pergamena ancora più forte e tese il braccio sopra la testa per non fargliela prendere.

DAMMELA! Altrimenti io....”

“Altrimenti tu cosa? Non puoi fare un bel niente senza… questa!”

Harry sgranò gli occhi sorpreso; con un sorrisetto malefico Duddley estrasse la bacchetta dalla tasca dei suoi jeans e la mostrò con aria trionfante.

“Hai visto? Adesso siamo pari! Senza la magia non vali niente, cugino. Cos’ hai intenzione di farmi adesso?” Duddley rise ancora una volta, soddisfatto.

Harry non ci vide più; sentì il sangue pulsargli violentemente nelle vene e il risentimento soppresso di quei giorni esplose dentro di lui come una bomba ad orologeria. Quella sarebbe stata l’ultima volta che suo cugino si prendeva gioco di lui, sarebbe stata l’ultima volta che subiva senza reagire.

Senza fermarsi a riflettere, Harry si avventò su Duddley con tutta la forza che aveva in corpo e lo buttò per terra; con rabbia infinita, prese a tirare pugni a destra e a sinistra, cercando di colpire più punti possibile, la pancia, le grosse braccia e il mento gelatinoso. Nonostante tutto, sembrava proprio che Duddley si stesse divertendo moltissimo.

“Mi stai soltanto facendo il solletico, cuginetto,” disse lui, mosso dalle risa, “non hai nessuna speranza contro di me, quindi è meglio che non mi fai arrabbiare sul serio.”

L’ammonizione di Duddley ebbe l’effetto opposto su Harry, che rincarò la dose e prese a colpirlo ancora più forte, fino a quando suo cugino non lasciò andare la lettera e la bacchetta magica sul pavimento, e gli bloccò le braccia con le sue grosse mani.

“L’hai voluto tu, Harry!” minacciò Duddley iniziando a scaldarsi, e con un rapido gesto, gli strinse le braccia dietro la schiena. “Adesso sei in trappola!”

I due ragazzi presero a fissarsi con odio; Harry ansimava ancora, cercando di liberarsi dalla presa, mentre Duddley faceva fatica a tenerlo fermo.

“Non sei altro che uno sgorbio insignificante. Tu, con tutte le tue stranezze, sei sempre stato solo un peso per la mia famiglia. Sei un buono a nulla, proprio come i tuoi genitori,” ringhiò Duddley.

“Tutti quanti voi non valete nemmeno la metà dei miei genitori. Non vedo l’ora di andarmene via,” rispose Harry, fuori di sé. “E finalmente dimenticherò le vostre brutte facce.”

“Perché non te ne vai adesso? Buono a nulla! Fenomeno da baraccone!” Mentre Duddley lo canzonava, Harry sentiva il sangue ribollire nelle vene.

“Attento a quello che dici, Duddley.”

“Ha! Io dico quello che mi pare. I tuoi genitori erano soltanto dei fenomeni da baraccone Si! Fannulloni e fuori di testa, e tu sei come loro.”

“NON E’ VERO! NON E’ AFFATTO VERO!” Sbraitò Harry, sentendo il cuore in gola e con una forza che non aveva mai creduto di avere, riuscì a liberarsi dalla ferma presa del cugino; lo afferrò per le braccia e gli puntò i polsi sul pavimento, poi lo immobilizzò sedendosi sopra di lui. Uno sguardo di sorpresa e di terrore attraversò gli occhi spauriti di Duddley, che non lo aveva mai visto tanto determinato. Harry sentiva dentro di sé un’energia irrefrenabile, che doveva assolutamente sfogare.

“Ti farò rimangiare tutto quello che hai detto,” continuò Harry, ansimando violentemente. “Te ne farò pentire!”

All’improvviso, Harry perse la cognizione del tempo e dello spazio; ogni cosa attorno a lui scomparve, l’unico sentimento di cui era cosciente, era il suo odio infinito.

Il tremore violento delle pareti della stanza e del pavimento, lo riportò alla realtà; il lampadario iniziò ad ondeggiare, il letto scivolò verso il lato opposto della stanza e le ante dell’armadio si aprirono e si richiusero rumorosamente.

“Il terremoto, IL TERREMOTO!” urlò Duddley, prima che gli scaffali appesi al muro cedettero, e una serie di grossi libri gli cadde sulla testa.

Dalla finestra aperta, arrivarono le grida di tutta la gente che lasciava le proprie case e si riversava in strada, spaventata e confusa; da sotto le scale, si sentiva la voce acuta di zia Petunia che chiamava il figlio disperata.

Quasi in trance, Harry allentò la presa; Duddley gli diede uno strattone, scaraventandolo di lato, e riuscì a liberarsi; poi si alzò in piedi, e barcollando per tenersi in equilibrio, uscì dalla stanza e corse giù per le scale, terrorizzato.

Incurante di quanto stava accadendo attorno a lui, Harry chiuse gli occhi e come gli era già successo tutte le volte che aveva usato i suoi nuovi poteri, sentì che le forze lo stavano per abbandonare; provò una fitta lancinante al cuore e si portò una mano al petto, ansimando; si sentì mancare e cercò sostegno poggiandosi sul letto. Di colpo, le pareti della stanza smisero di tremare e il terremoto finì all’improvviso, così come era cominciato.

La fitta al cuore crebbe d’intensità, impedendogli di respirare; Harry strinse gli occhi in una smorfia di dolore, poi aprì e richiuse la bocca più volte, per cercare di prendere aria; senza più neanche un briciolo di energia, si accasciò a terra; stava precipitando in un baratro senza fondo, buio e spaventoso, giù, sempre più giù. Perse conoscenza e rimase lì, disteso sul pavimento, immobile.

 

  
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