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Autore: Dust Fingers    24/01/2015    0 recensioni
L’aveva scoperta, era la fine. Avrebbe chiamato le guardie, l’avrebbero presa, l’avrebbero torturata per sapere cosa ci facesse in casa del tesoriere, le avrebbero fatto giurare che non era il rosso il colore del cielo.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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013. Consequence
 
  Figurarsi se fosse mai passata per quel camino, si sarebbe sporcata di fuliggine dalla testa ai piedi e avrebbe finito per lasciare ancora più tracce che passando da una semplice finestra.
Persa in quelle scomode considerazioni, Onnjel si rese conto che il maestro non aveva fatto altro che prenderla in giro.
  Ma no, magari vuol semplicemente mettermi alla prova, si disse, ma non era troppo convinta lo stesso. Dal camino spento, però, vaporò uno sbuffo nero seguito da alcune scintille: lo stavano accendendo, dunque la sua vittima era sveglia. Storse il naso, le cose si complicavano.
  Se avessi con me un po’ di sonnifero o qualche veleno, pensò sconsolata, frugandosi il tascapane, ma trovò solamente dei dardi che non aveva ancora preparato con veleni o sonniferi e si maledisse: le avrebbero fatto enormemente comodo in quel momento.
  Un soffio di vento la fece rabbrividire, si calcò meglio il cappuccio sul capo e strinse le cinghie e i lacci che le chiudevano il corpetto e la casacca. Il rosso del cielo aveva già ceduto il passo al nero firmamento attraversato da rapide saette bianche, stelle cadenti. Era una notte particolarmente serena, non c’era una nuvola e non era ancora spuntato il primo sole. Onnjel avrebbe voluto vedersi esprimere un desiderio in quel momento: avrebbe fatto addormentare la sua vittima così avrebbe potuto agire indisturbata e con rapidità. Ormai era fatta però, per cui si arrese e si calò agile dal tetto verso una finestra buia: aggrappata al cornicione infilò la lama tra i due battenti per far scattare il meccanismo e questa si aprì docile. Sbirciò all’interno, cauta e vi sgattaiolò dentro riaccostando le imposte.
  Il buio era totale, non un suono regnava in quella stanza. La ricompensa non la pagava per sporcarsi scendendo da un camino, avrebbe fatto di testa sua e nella maniera più rapida possibile. Le cadde l’occhio sulla luce che filtrava fioca da sotto la porta chiusa: sbirciò dalla serratura per scorgere eventuali pericoli, ma davanti alla porta era solo stata posta una candela che illuminasse il largo corridoio.
Posò la mano, prudente, sulla maniglia e la fece scattare. Si affacciò nel corridoio e allungandosi veloce spense la candela dopo essersi inumidita la punta delle dita.
Acquattata contro le pareti le percorse rapida, mimetizzandosi con le ombre ad ogni minimo suono.
Giunse infine in prossimità della stanza in cui era stato acceso il fuoco che scoppiettava in un enorme camino, vivace e caldo, lanciando scintille sul piccolo gradino anteriore dove stavano ammucchiati alcuni ceppi. Stava ritto in piedi a godere di quel calore davanti al focolare, nel bel mezzo della notte, un uomo alto e slanciato, le spalle tese e le mani giunte dietro la schiena, come se si stesse perdendo in pensieri lontani. I suoi capelli si mossero appena quando dalla grande finestra spalancata entrò la brezza notturna. Onnjel lo vide dirigersi verso il davanzale e scrutare fuori, poi chiuse la finestra e prese un libro dall’enorme scaffale che l’affiancava.
  Si sporse appena un poco di più da dietro l’angolo per seguire meglio i movimenti di quella che non era, purtroppo, la sua vittima, quando scontrò con il piede la porta che cigolò e si aprì leggermente di più verso l’interno. L’uomo si voltò, ma lei non fu abbastanza rapida nel ritrarsi nell’ombra.
  «Chi va là?» domandò allarmato, con il libro stretto in mano a mo’ di arma. Onnjel si maledisse per quell’errore da novellina, il maestro le avrebbe detto di tutto se solo fosse stato lì.
  Però saprebbe anche come cavarmi fuori da questa situazione, adesso, rifletté, in agitazione.
  Udì i passi dell’uomo muoversi nella sua direzione, ma era pietrificata e non riuscì a muovere mezzo muscolo, nemmeno quando scorse la sua ombra nel rettangolo di luce che la porta proiettava nel corridoio buio.
Ormai era vicinissimo. Infine i suoi occhi la puntarono e, spaventato, balzò indietro di qualche passo, scorgendo nelle mani di lei, ancora stretto convulsamente, la condanna di ciò che era e per cosa si trovava lì, appostata nell’ombra in casa sua.
  «Chi sei tu?» chiese ancora. Era un ragazzo, probabilmente già molto più grande di lei, ma ancora troppo giovane per essere definito uomo. Controluce la sua pelle appariva scura, ma i suoi occhi risplendevano come le braci del focolare alle sue spalle, rossi come il sangue spaccati da una lunga e sottile pupilla verticale.
  «Io…» balbettò Onnjel, incerta su cosa fare, impietrita. L’aveva scoperta, era la fine. Avrebbe chiamato le guardie, l’avrebbero presa, l’avrebbero torturata per sapere cosa ci facesse in casa del tesoriere, le avrebbero fatto giurare che non era il rosso il colore del cielo.
In meno di un battito di ciglia la sua mano tappò la bocca del ragazzo e il coltello puntato sulla sottile pelle della gola. Lo sospinse all’interno della stanza chiudendo la porta alle proprie spalle con un calcio.
  «Fai silenzio o ti taglio la gola e getto il tuo corpo dalla finestra» lo minacciò appena colse un tenue tentativo di opposizione da parte del suo ostaggio.
  «È questa la casa del tesoriere?» gli chiese, premendo maggiormente la lama sulla pelle, un po’ sconsolata dal non scorgere ancora la conseguente ed abituale linea rossa. Per l’agitazione forse non riusciva a fare abbastanza forza, si disse, ma i suoi pensieri si bloccarono appena i suoi occhi ricaddero in quelli del giovane uomo. Le sue pupille verticali la scrutavano senza un’ombra di vera paura dietro quel finto velo di timore, in mezzo ad un mare rosso carminio.
Il ragazzo non rispose alla domanda quando lei gli liberò la bocca, estraendo un nuovo pugnale, questa volta il suo preferito, con il serpente con gli occhi di lapislazzulo. Si limitò a replicare: «Chi lo vuole sapere?».
  «Non ti deve interessare chi lo vuole sapere» lo minacciò, riprendendo finalmente il controllo di sé. Aumentò la pressione dei pugnali incrociati sulla sua gola, fissandolo dritto negli occhi: ora la sua voce non tremava più, né era spaventata. Avrebbe ucciso anche lui, era solo uno sporco mezzo demone.
  «Rispondi alla mia domanda» questa volta un sottile taglio si aprì nella pelle scura del mezzo demone che deglutì silenziosamente ed annuì. Onnjel sorrise malignamente e, cogliendo alla sprovvista, gli spazzò una gamba con la propria facendolo cadere pesantemente a terra e chinandosi poi, su di lui, immobilizzandolo.
«Indicami le sue stanze e ti sarà risparmiata la vita».
  «Posso anche indicarti le sue stanze» rispose lui «ma non ve lo troverai perché non si trova qui» concluse con un sorriso vittorioso, soddisfatto. Onnjel spalancò gli occhi, interdetta. Com’era possibile? Eppure le informazioni che le aveva dato il maestro erano del tutto attendibili, lo erano sempre. Che lo avesse fatto di nuovo per metterla alla prova? Per insegnarle che non doveva fidarsi di nessuno e che avrebbe dovuto accertarsi della veridicità di quelle informazioni?
Riemerse dalle sue riflessioni con rabbia e premette con forza una delle due lame, quella con il serpente che ora quasi le pareva scurirsi, nel fianco del ragazzo il quale emise un gemito strozzato.
  «Non mentire!» ringhiò.
  «Non sto mentendo» fece lui di rimando, con altrettanta rabbia e, con un fluido movimento, slanciato dall’ondata di furia, si liberò dalla presa della sua carceriera. Le strappò di mano il pugnale che pochi attimi prima gli era puntato alla gola e compì un arco col braccio cercando di colpirla, ma lei schivò prontamente con un salto. Non si fece sfuggire l’occasione e attese che toccasse il pavimento nuovamente per colpirle le caviglie con un calcio e farla finire schiena a terra.
Non riuscì ad immobilizzarla perché lei fu più veloce di lui nel rialzarsi, ma tentò ancora di difendersi con quel piccolo coltello che le aveva sottratto ma, distratto da un guizzo degli occhi insoliti verso un punto alle sue spalle, si ritrovò ben presto nuovamente immobilizzato.
  «Dunque mentivi» dedusse lei, inclinando leggermente di lato la testa in un cenno compiaciuto.
  «No che non mento, semplicemente non mi piace sentirmi sottomesso». I suoi occhi rossi la squadrarono da testa a piedi, come attratti, ma Onnjel era consapevole che si trattasse di una volgare tattica per farle abbassare la guardia. Non ci cascò. Poi le venne un’idea.
  «Tu mi frutterai un bel po’ di soldi, e forse addirittura qualche rowij» gli comunicò con un largo sorriso mentre lo faceva voltare sulla pancia e gli legava i polsi con un laccio che teneva in tasca.
Il mezzo demone non emise un suono, stranamente, ma questo per lei non era che un vantaggio per cui lo fece alzare e lo sospinse verso la porta da cui era entrata.
  «Andiamo, devi aiutarmi ad uscire di qui».
  «Non sei molto professionale come mercenaria» la schernì lui.
  «Taci e cammina» lo ammonì.
  Il maestro ne sarebbe stato contento. Avrebbe apprezzato la sua idea.
 
*****
 
  «Tu lo sapevi!» lo aggredì subito lei. Il suo maestro le dava le spalle, tenuta in posa rilassata come se già si aspettasse quella reazione da parte sue.
  «Ma devo proprio insegnarti tutto? Non devi fidarti di nessuno, devi verificare sempre le-» disse lui, calmo, voltandosi.
  «Certo, ma intanto ho quasi rischiato la vita per niente!» sbottò.
  «Ma intanto sei viva. Anche se potevi evitarti di portati appresso quel…coso» aggiunse Evan, indicando vagamente il mezzo demone legato e seduto in un angolo della stanza, bendato.
  «Quel coso, tanto per cominciare, mi ha permesso di sopravvivere» lo apostrofò Onnjel sempre più irritata, seguendolo nei suoi movimenti per la piccola stanza, mentre si stava apprestando a consumare la sua frugale cena.
  «Sì, brava, bel lavoro. E adesso che ce ne facciamo?» fece lui, cinico, con un seccato movimento delle spalle. «Affronta le conseguenze delle tue azioni».
Onnjel non seppe come replicare per cui si diresse verso il suo prigioniero, lo costrinse ad alzarsi e lo condusse fuori, verso la propria stanza.
  «Non è saggio ciò che stai facendo» l’avvertì Evan.
  «Affronto le conseguenze delle mie azioni» replicò secca, ed uscì.
  
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