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Autore: Dust Fingers    24/01/2015    0 recensioni
«Tu hai salvato me, ma io mai dissi che avrei salvato te: rispettavo i patti»
Genere: Dark, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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014. Gratitude
 
  «Gratitudine? Non sai nemmeno cosa sia la gratitudine, tu!».
  «Invece lo so, e dovresti mostrarne per averti risparmiato la vita».
  «Vuoi farmi ridere!?» esclamò incredulo ancora l’uomo che giaceva a terra sotto il tiro della punta affilata di quella lama, puntellato sui gomiti e sudato. «Non mi hai mai ringraziato per quella volta, semplicemente ti sei voltato e te ne sei andato, lasciandomi in mano ai pirati».
  «Tu hai salvato me, ma io mai dissi che avrei salvato te: rispettavo i patti» ribatté Vexe con una scrollata di spalle, avvicinando la sciabola nera ancor più alla gola dell’uomo.
Non era cambiato per niente: il suo viso, come il suo corpo, era ancora quello giovane e marchiato dalle cicatrici di molti anni prima, forse con appena un paio di anni in più, quando durante una seconda consegna in quel posta sperduto che era Doa, ormai regione del regno completamente scomparsa e inglobata dall’immensa città di Sasshkane. Se l’era visto correre incontro come una furia, inseguito dalle guardie che stavano al cancello d’ingresso del cortile, con una freccia nella spalla; lo aveva quasi scaraventato giù dalla groppa di Imeughe ma, a causa delle guardie, anche lui era stato costretto a fuggire di gran carriera, portandosi dietro lo strano ragazzo biondo e ferito che però non aveva emesso un suono né una parola per tutto il tragitto in volo.
  «Non c’erano neanche mai stati dei patti! Mi sei piombato addosso e mi sono visto costretto a darmela a gambe anche io, senza ritirare il mio compenso per giunta!».
  «Che grave perdita…» lo schernì Vexe con un ghigno aggressivo, sorridendo e pungendogli la pelle dello sterno con il metallo freddo che era divenuto estensione del suo braccio da anni ormai.
  «Non puoi capire se non ti sei mai dovuto guadagnare onestamente da vivere sputando sangue!» replicò Jeff, inviperito. A quella frase Vexe parve infastidito, non era riuscito a farsela scivolare addosso com’era solito fare.
  «Questo non è vero, sporco nordico!» sibilò tra i denti bianchi e affilati, i canini leggermente più grossi del normale. «È stato quando mi sono accorto che non retribuiva abbastanza, che ho cambiato ambiente» rispose, fissando Jeff negli occhi slavati dall’età.
Jeff abbassò lo sguardo. Quel giorno, quando lo aveva portato via con sé in groppa ad Imeughe, era stato forse il più brutto della sua vita, ma al contempo quello decisivo per cambiarla: com’era spuntato, Vexe se n’era andato, non lo aveva ringraziato per avergli estratto la freccia dalla spalle né per averlo medicato, e tanto meno per averlo aiutato a lasciare quel castello cupo e losco.
 
*****
 
  «C’è nessuno?» chiese Jeff, scendendo dalla groppa di Imeughe e iniziando a slegare la cassa. Un’altra dannata e pesantissima cassa: che contrabbandavano quelli, pietre?
Chiamò ancora nella speranza di ricevere una qualche risposta ma nulla fu, solo un lugubre silenzio rotto dagli ululati del vento che spazzava la neve. Poi, dal fondo del cortile, Jeff vide comparire una figura alta e sottile.
  «Oh bene! Finalmente qualcuno che viene a prendersi ‘sta roba!» esclamò scocciato mentre la figura si avvicinava. Posò a terra la cassa che sprofondò nello strato di neve ghiacciata, frantumandola; quando Jeff risollevò lo sguardo, a pochi passi da lui, un ragazzo lo squadrava gelidamente con occhi cobalto profondi e scuri. Ma non fu quello a catturare per prima la sua attenzione, dopo la completa assenza delle guardie o di chiunque altro, fu piuttosto il fatto che chi gli stava ritto dinnanzi in quel momento era completamente ricoperto di sangue fresco e grondante. In mano stringeva un lungo coltello dalla forma strana e spaventosa e la presa su di esso pareva poco salda per via della grande quantità di sangue che lo ricopriva fino ai gomiti. Grossi schizzi di sangue inumani lo avevano raggiunto sul viso e altri gli macchiavano il busto tanto da poter quasi nascondere una grossa ferita su quella pelle diafana. I lunghissimi capelli chiari erano fradici e impastati di grumi.
  Ricordava quel ragazzo, lo aveva già incontrato una volta in quel cortile. Gli lanciò uno sguardo atterrito, ma non riuscì ad articolare niente di più di un indistinguibile verso incredulo, e per il resto la sua bocca rimase muta di fronte a quello spettacolo.
  Ora, infondo all’ampio spiazzo riusciva a scorgere un paio di corpi riversi a terra in pozze scure.
  «Levati di mezzo o ammazzo anche te». La voce roca e dura arrivò alle orecchie di Jeff come provenisse dall’oltretomba e non appartenesse, invece, allo strano ragazzo che ancora lo fissava.
  Si riscosse. «D’accordo, me ne vado, ma stai calmo» disse, deglutendo, ma a quelle parole Jeff se lo trovò in un soffio addosso che gli premeva il coltello sulla gola e poteva percepire l’acre odore di ferro che gli permeava la pelle.
  «Taci e portami via da qui» ringhiò, ma in quel breve momento, in cui premere il coltello sulla gola di Jeff e andarsene erano le preoccupazioni maggiori, una delle guardie, in un ultimo alito di vita, riuscì a caricare la balestra e a colpire il ragazzo biondo ad una spala; il forte colpo lo mandò a sbattere contro Jeff e rialzare, poi, scostandolo in malo modo, con uno sguardo ancora più aggressivo di prima. Si volse nella direzione da cui era giunto il quadrello e scagliò il coltello: l’uomo morì sul colpo trafitto in mezzo alla fronte.
  Tornò a voltarsi verso di lui, totalmente incurante della freccia che ancora gli spuntava dalla spalla e che lo faceva sanguinare copiosamente. «Andiamo» ordinò perentorio, con il modo di fare di uno abituato a farsi obbedire o, più semplicemente, di uno che non voleva sentirsi dire di no.
  Senza che potesse più opporsi, Jeff lasciò che il ragazzo salisse sulla groppa di Imeughe, contrariata quanto lui.
 
  Si alzò, tastandosi appena la fasciatura alla spalla, guardò il ragazzo rosso freddamente negli occhi, quasi come se non lo vedesse e, dopo un attimo, si incamminò nella neve alta che si estendeva per miglia al di fuori della piccola area protetta sotto l’abete dove si erano riparati.
  «Dove hai intenzione di andare in quelle condizioni?» aveva protestato Jeff quando aveva colto le sue intenzioni e l’aveva raggiunto, afferrandolo per un braccio magro e nervoso. Il ragazzo biondo lo aveva guardato con stizza e aveva ritratto il braccio, liberandosi dalla presa di Jeff.
  «Non mi toccare» aveva sibilato, velenoso. Jeff era rimasto interdetto: prima si era lasciato toccare per essere medicato, ma ora non voleva? Era un tizio strano a dir poco!
  «Non posso lasciarti andare così, le tue condizioni sono precarie, hai bisogno di essere medicato da un dottore». Lo sconosciuto aveva mostrato appena il pallido barlume di un’emozione, ma Jeff non aveva fatto in tempo a decifrarla perché il suo volto era già tornato inespressivo ed immobile.
  «Lasciami stare» scandì, sempre più irritato. Riprese a camminare nel bianco infinito, ma le gambe lo tradirono, cogliendolo chiaramente di sorpresa perché lui stesso non si capacitava di cosa gli stava accadendo e, dopo un paio di vani tentativi, faticosamente si rivolse verso Jeff.
  «Tirami su» gli ordinò. Il ragazzo rosso, vittorioso, lo fisso soddisfatto mentre lo aiutava ad alzarsi e lo riportava sotto l’abete.
  «Te lo aveva detto».
  «Taci!» ringhiò l’altro.
  «Come ti chiami?».
  «Non sono fatti tuoi».
  «D’accordo, scusa. Si prospetta un viaggio allegro fino a Sevannhle» sospirò Jeff, sconsolato con un borbottio rivolto al grifone.
  «Non mi porterai da nessun dottore, mi lascerai a metà strada» gli ordinò acido il ragazzo, ancora.
  «Morirai assiderato» protestò Jeff, mentre sistemava le cinghie della sella di Imeughe.
  «Taci, ti ho detto».
  «Non sei proprio capace a fingere un minimo di gentilezza, vero?» e a quella frase i suoi occhi buio e freddi parvero rimanere interdetti. «Allora, ce l’hai un nome?» domandò ancora Jeff, ma il ragazzo tacque.
  «Vexe» capitolò, infine.
  «Io sono Jeff» si presentò con un sorriso. Poi indicò Imeughe alle sue spalle: «Andiamo?».
  Malgrado la sua riluttanza ad assentire alla proposta, comunque, Vexe lo aveva poi seguito fino a Sevannhle, e nonostante Imeughe non mostrasse alcune simpatia nei suoi confronti si era lasciata cavalcare.
  «Non sarebbe male un “grazie”, comunque» aggiunse Jeff, dopo qualche mezz’ora di vola in cui nessuno dei due spiccicava parola. Vexe lo fissò storto, come se non comprendesse il significato della parola sottolineata da Jeff e, anche se tentato di ripeterla per farlo tacere una volta per tutte, non disse nulla.
  
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