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Autore: KikiShadow93    25/01/2015    7 recensioni
Durante una tranquilla giornata di navigazione, Barbabianca e la sua famiglia trovano qualcosa di incredibile in mare: una bambina, di cui però ignorano la vera natura.
Decidono di tenerla, di crescerla in mezzo a loro, ovviamente inconsapevoli delle complicazioni che questa scelta porterà, in particolar modo per l'arrogante Fenice.
Genere: Generale, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Marco, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'allegra combriccola di mostri.'
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Piccolo chiarimento: Teach non è scappato. Nel capitolo precedente evidentemente mi sono espressa male, ma ora mi spiego meglio: quello era solo un pensiero detto ad alta voce da Marco, una supposizione. Teach, per come è messo, non potrà mai scappare. Se riuscisse a liberarsi dalle catene e percorrere una cinquantina di metri sarebbe già un miracolo per lui!
Poi, che altro dire? Ah, sì: non ci saranno grandi sentimentalismi tra Marco e Akemi: stanno per andare in guerra, è l'ultima cosa a cui possono pensare. Diciamo pure che conteranno marginalmente, ecco.
Beh, ho finito :D Buona lettura a tutti!

 

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Ci sono silenzi che costruiscono enormi castelli nelle nostre anime; e noi raccogliamo in essi bauli di parole, di emozioni, che finiscono o con l'incenerirsi al primo fuoco o con l'ammuffire, e coinvolgono nel loro decadimento le mura intere.
Questo è ciò che è successo in tutti quei secoli a Fenrir. Ha taciuto su ciò che Peter è sempre stato per lui, e questo silenzio ha annientato quel poco che rimaneva della sua anima.
Con la nascita di Akemi credeva di aver trovato una nuova ragione per vivere, per ricominciare, e le sue speranze sono state alimentate con il matrimonio con la donna della sua vita, la nascita dei gemelli e la resurrezione dell'amato fratello.
Ma si sbagliava.
«Quello psicopatico è tuo figlio e non hai mai pensato di dovercelo dire?!»
Týr continua ad urlargli contro, furioso come mai è stato in vita sua. Sente un dolore lancinante allo stomaco, un dolore continuo che sembra volerlo mangiare da dentro.
Lui, suo fratello, l'uomo che da sempre stima di più, colui che ha seguito per tutta la vita, colui a cui ha detto ogni singola cosa, anche la più brutta, gli ha tenuta segreta una cosa del genere.
Lo stesso dolore sta colpendo Astrid.
Il dolore, per lei, è così forte da impedirle pure di respirare. Ma sa, in cuor suo, che purtroppo deve reagire anche quando non si trova la forza, ed è per questo che si alza di nuovo in piedi, fiera e statuaria, e si porta al fianco di Fenrir. Anche se le ha tenuta segreta una cosa del genere, anche se è riuscito a minare la sua fiducia, gli ha comunque giurato fedeltà eterna. Ha giurato di stargli vicino nella buona e nella cattiva sorte al cospetto di tutti gli Déi in cui crede, quindi non lo abbandonerà neanche in questo orrendo momento.
«Non erano affari che vi riguardavano.» sibila tetro l'Imperatore, sostenendo a fatica gli sguardi sconcertati dei presenti.
L'unico che non gli ha voltato le spalle, che non lo sta guardando come se fosse il più grande traditore mai esistito, è Freki, colui che da sempre sa di questa parentela e che ha contribuito a tenerla segreta.
«Ah! Tu dici?!» gli urla contro Wulfric, furioso.
«Lo abbiamo creduto morto per secoli! Sai bene quanto me che i licantropi non sopravvivono da soli, soprattutto se feriti!» controbatte prontamente Freki, in difesa del proprio Signore.
Il fratello lo guarda sconcertato e offeso, colpito dallo stesso dolore provato da Týr.
«Beh, lui c'è riuscito!» soffia assottigliando lo sguardo l'antico vampiro dai capelli d'argento, trattenendosi con tutto sé stesso dal saltargli alla gola e staccargli la testa di netto a morsi.
«Mi hai delusa, Fenrir...» mormora con un filo di voce Astrid, che ancora non riesce a togliersi dalle orecchie il suono graffiante della sua precedente affermazione.
Non erano affari che vi riguardavano.” Non riguardavano neanche lei, sua moglie. Avrebbe accettato qualsiasi cosa, qualsiasi scusa, ma non può digerire una tale affermazione.
Lo guarda da sotto i capelli scompigliati, con due grandi e lucidi occhioni ricolmi di lacrime.
«Delusa per cosa, Astrid? Per aver avuto un figlio che non ho mai voluto riconoscere? O perché così è evidente che non sono il perfetto cagnolino a cui bastava un fischio perché tornasse da te?» non vorrebbe essere crudele con lei, non in un momento del genere, ma si sente seriamente troppo attaccato e di conseguenza il suo istinto gli impone di difendersi come può «Quando ci lasciavamo tu vedevi altri uomini e questo è un dato di fatto. Io non sono mai stato stupido, Astrid, e per evitare altre inutili chiacchiere mi muovevo nell'ombra!»
Astrid boccheggia in cerca di una risposta tagliente da urlargli in faccia, ma un insopportabile blocco in gola le impedisce di pronunciare una qualsiasi sillaba.
Silly, accovacciata a terra al fianco di un più che distrutto Ace, osserva sconcertata la sua Signora. Non l'ha mai vista piangere, non l'ha mai vista distrutta in questo modo.
Pure lei, come tutti gli altri, è rimasta allibita nell'apprendere la notizia, ma non ha osato esprimere alcun parere. In fondo tutti quanti hanno dei segreti, chi più importanti di altri, e sapeva, in cuor suo, che pure il grande e forte Fenrir non poteva essere immacolato come voleva apparire.
«Un giorno, tantissimo tempo fa, incontrai una donna... ed era... bellissima. Davvero, era la donna più bella che avessi mai visto. Il suo nome era Maddalena.» tutti ascoltano le flebili parole che escono dalle labbra dell'Imperatore, rimanendo shockati.
Nessuno ricorda di aver mai visto quella donna, nessuno ricorda di averne mai sentito parlare.
Quell'antica bellezza vive solo nei ricordi di Fenrir, che finalmente ha deciso di riportarla alla luce.
«Pelle d'avorio, lunghi ricci neri e brillanti, occhi color della pece... rimasi incantato. Anche quando scoprii che per mantenere sé stessa e i tre bastardi che aveva messo al mondo faceva la puttana, non mi tirai indietro. La corteggiai come la sua bellezza meritava, suscitando un certo scalpore nel piccolo e misero villaggio in cui viveva.» lo ricorda bene, Fenrir. Ricorda che le portava sempre dei bellissimi fiori di campo; ricorda le sue gote pallide imporporarsi ad ogni complimento; ricorda il suo stupore quando la invitò a cena la prima volta, e ricorda ancor meglio quanto la sua semplice compagnia riusciva ad affievolire il dolore che provava a causa della recente rottura con Astrid.
«Tutto sembrò andar bene per qualche mese, finché non cominciò a manifestare dei malori all'addome.» in questo momento Fenrir non guarda nessuno di loro. Preferisce fissare la pallida Luna quasi piena sopra le loro teste, mentre i ricordi scorrono veloci e violenti nella sua mente «Il feto cresceva troppo velocemente e di quel passo sarebbero morti entrambi. Ed è a questo punto che è entrato in scena Freki.»
Il castano fa un passo in avanti, tenendo la testa alta. Non si vergogna di quel che ha fatto, non si pente di aver aiutato il suo Signore in un momento del genere. Certo, ha sempre detestato Peter, e adesso lo detesta ancora di più, ma non per questo si pente delle proprie azioni.
«Per far nascere il bambino e far sopravvivere la donna, ho cominciato a somministrare loro un leggero infuso di strozzalupo. Onestamente non sapevo se avrebbe funzionato o se avrebbe ucciso il nascituro, ma Fenrir volle provare lo stesso.»
«Tutto andò per il meglio.» lo interrompe prontamente Fenrir, passandosi nervosamente le mani tra i capelli «Il piccolo nacque prematuro, ma era forte ed è riuscito a sottrarsi alla morte. Per mia fortuna somigliava in tutto alla madre, così mi potei allontanare. Prima di andarmene, però, ordinai a Maddalena di somministrare al piccolo due gocce di strozzalupo ad ogni pasto, così da rallentare la sua crescita e farlo sembrare un bambino come un altro, fino al giorno in cui sarei tornato a prenderlo.»
Un profondo ed assordante silenzio regna sovrano in quella spiaggia. I presenti sembrano pure trattenere il respiro, tanto sono shockati.
Solo Týr si lascia scappare una risatina isterica, mentre i ricordi di quei lunghi anni trascorsi a Raug senza una ragione logica assumono finalmente un senso. Solo ora riesce a capire perché erano rimasti confinati in grotte sotterranee, lontani dalla civiltà, per più di vent'anni: voleva monitorare il bastardo.
«Lo presi con me quando aveva raggiunto l'età che mi ero prefissato. Era debole al tempo, odiato dalla sua gente, e per questo decisi di donargli il morso. Non avrei mai pensato che potesse diventare un tale mostro.» gli fa male ricordare tutte quelle cose. Gli fa male ricordare il suo sorriso pieno di meraviglia ogni volta che gli mostrava qualcosa, ogni volta che lo rendeva partecipe di ciò che faceva. E gli fa ancor più male ricordare quello splendido sorriso pieno di meraviglia e dolcezza trasformarsi in un ghigno sadico e perverso dopo i primi brutali omicidi.
«Ecco, adesso sapete tutto ciò che vi ho tenuto segreto in questi anni. Spero che la cosa vi rallegri. Adesso, col vostro permesso, devo andare a capire come ucciderlo.» detto questo si congeda, allontanandosi lentamente verso il tempio di Odino. È un tempio piccolo, lontano da occhi indiscreti, dove pochi si recano di rado per trovare risposte a dilemmi a cui non riescono a venire a capo.
I presenti lo guardano allontanarsi ammutoliti, con una nuova e spaventosa consapevolezza nel cuore: Helheimr, la loro adorata isola, non è più sicura.

† † † † † † † †


Inngangen til Helvete fu, all'inizio, un luogo verde e piacevole, con molto alberi antichi e prati erbosi, resi rigogliosi dal fiume prima che fosse ostruito su ordine di qualche condottiero, convinto di poter così ottenere una significativa vittoria.
La fortezza che troneggia su quella piccola isola ormai desertica, situata sul promontorio a sud, fu realizzata con una pietra rosso pallido, ed era dotata di cinque gigantesche torri cilindriche protette da bastioni di ferro e mura massicce con feritoie per gli arcieri. Adesso, dopo svariati bombardamenti, sono rimaste solo due torri, e buona parte delle mura sono crollate.
Un tempo vi era un grande portale di bronzo, protetto da una grata, ma da qualche secolo è rimasto solo l'ingresso secondario, una stretta porta di una garitta posta lateralmente.
Il castello è dotato di numerosi passaggi segreti, alcuni dei quali però sono stati resi impraticabili dopo dei crolli. Uno di questi conduce alle prigioni si trovano molto in profondità nei sotterranei. Le celle dei livelli inferiori hanno della paglia sul pavimento, nessuna finestra, nessun letto e nemmeno un secchio per gli escrementi. I muri sono disseminati di chiazze di salnitro e le celle sono chiuse da porte di legno spesse quattro pollici e rinforzate da bande di ferro. Una volta chiusa la porta, il buio nelle celle diventa totale.
È proprio in una di queste celle che è stato rinchiuso Satch, febbricitante e disidratato.
Non ha idea da quanto tempo sia sdraiato su quel pavimento lercio, da quanto tempo non veda la luce. Per quanto ne sa potrebbero essere anche anni.
Questa sua confusione mentale è dovuta, oltre al forte stato di panico cui è preda, a dei forti sedativi che non gli permettono più di usare a dovere la ragione.
L'unica cosa di cui è pienamente consapevole è che ha le gambe rotte e steccate, una profonda ferita nel braccio che non smette di sanguinare e una alla testa, che gli è stata inspiegabilmente ricucita dopo che l'hanno rasato a zero.
«La stanza è di vostro gradimento?»
Il suo cuore perde un battito, per poi accelerare di colpo.
Si sente completamente sconfitto in quel momento, privato delle sue armi ed incatenato come un animale, spoglio dei suoi abiti come uno schiavo, lontano dalla sua famiglia, lontano da qualsiasi barlume di speranza.
«Chi diavolo sei?» ansima dolorante, faticando solo a tenere gli occhi aperti.
Lo sconosciuto gli si avvicina con passo lento. È calmo, sa che niente può nuocergli. Sa che può fare di quel pirata tutto quello che vuole e la cosa lo inebria.
«In gioventù mi venne insegnato che non si dà mai del “tu” ad un estraneo. Ma convengo con voi, considerato il vostro basso rango, che si possa anche sorvolare sulle buone maniere.» si prende gioco di lui in modo aperto ed umiliante, girandogli attorno come un avvoltoio, scrutandolo minuziosamente, arrivando alla conclusione che come umano non è male. Ha una buona struttura fisica, è in salute ed è ancora piuttosto giovane.
Nella sua mente contorta dall'agonia e dalla disperazione, non riesce a scegliere quale stratagemma adottare. Non sa se strappargli la pelle per foderarci delle lampade, se disossarlo per comporre dei magnifici oggetti d'arredamento, se lasciarlo in vita finché gli è possibile e poi darlo in pasto ai cani dei suoi alleati.
Alla fine accantona in problema, decidendo di pensarci in seguito, e semplicemente gli si avvicina, piegandosi sulle ginocchia per poterlo guardare in volto.
«Sono Peter Bàthory Lothbrook, della dinastia di Fenrir... rinnegato dal mio Signore e costretto alla rovina.» gli afferra il mento tra le dita, stringendolo così forte che per poco non gli spezza le ossa «Sono lieto di informarvi, Comandante Satch, che voi sarete il mio biglietto di ritorno alla ribalta.»
Si alza in piedi di scatto, passeggiando per quella cella sporca e umida, guardando un punto imprecisato e lontano, il tutto sotto lo sguardo attento del pirata.
«Perché entrambi sappiamo che la creatura non vi lascerà morire. No?» si volta e gli sorride arrogantemente, mandandolo in bestia.
«Non chiamarla così...» ringhia Satch, adirato oltre ogni limite. Che si prenda pure gioco di lui, che gli faccia ciò che vuole, ma che non si azzardi a toccare l'adorata sorella che in pochi mesi gli ha dato così tanto, che l'ha portato tra le braccia della dolce vampira di cui è innamorato.
Peter semplicemente sorride, intrecciando le dita davanti al volto per nascondere i denti affilati, per poi avvicinarglisi di nuovo, sempre con quella calma disarmante che l'ha sempre contraddistinto.
«Stavo pensando a cosa potrei fare di voi...» gli sfiora la spalla nuda e muscolosa con la punta delle dita, facendolo dimenare e imprecare.
«Avete il fuoco dentro, Comandante... e questo è... interessante...»
In una frazione di secondo Bàthory sparisce dalla sua vista, mandandolo nel panico.
Come può pensare di difendersi da qualcosa che neanche riesce a vedere? Come può pensare di poter fuggire da qualcosa così indecentemente più veloce di lui?
Mentre continua a cercarlo freneticamente con lo sguardo, la sua cella viene aperta da due uomini. Sono grossi e ben armati. Uno di loro porta il suo foulard giallo legato al polso.
Chiamano Peter, gli dicono che devono controllare alcuni dettagli per la guerra.
«Presto tornerò a vedere come state, Comandante Satch...»
Sente la sua voce ma non lo vede. Non riesce neanche a capire da dove provenga.
I due uomini lo richiamano di nuovo, stavolta con voce tremante. Si domanda, Satch, perché lo temono così tanto, di cosa sia capace per terrorizzarli a tal punto, ma la sua mente va in blackout nel momento esatto in cui qualcosa gli squarcia in profondità il fianco destro, facendolo piegare in due per il dolore.
Urla con tutta l'aria che ha nei polmoni, mentre una pozza scura si allarga sotto di lui.
«Ciao, ciao!»
La cella si chiude e Satch non è più solo. A tenergli compagnia adesso c'è un profondo ed insopportabile dolore al fianco. Dolore che si espande al resto del corpo, che gli fa perdere sempre più sangue, che gli fa perdere i sensi e, con essi, anche quel barlume di speranza.

 

† † † † † † † †


Da quando Fenrir ha lasciato quell'affollata spiaggia, è scoppiato il caos.
I pirati di Barbabianca vogliono vendetta e urlano perché non li lasciano andare alla Moby Dick, in modo che loro stessi possano prendere a calci nel culo Peter.
I mostri, oltre a dover tenere a bada quelle teste calde, non sanno cosa devono pensare. Si erano sempre fidati ciecamente del loro condottiero, avevano sempre pensato che fosse una specie di cavaliere senza macchia – beh, per quanto sia possibile per individui del genere – e che mai avrebbe fatto qualcosa che potesse nuocere loro.
Ma adesso sono confusi. E spaventati. E arrabbiati, perché quel calcolatore psicopatico ha rapito e malmenato un pirata dai modi gentili e affabili, che in breve tutti quanti hanno preso in estrema simpatia.
Non sanno cosa fare, a chi rivolgersi, e di conseguenza urlano al primo che gli capita, creando così una baraonda paragonabile solo alle più devastanti delle loro feste.
«ADESSO BASTA!!!»
Potevano aspettarsi un urlo del genere da tutti quanti. Tutti, proprio tutti. Pure i cuccioli non avrebbero destato poi questo stupore che invece questa determinata persona ha creato.
Perché questa persona è sempre calma, pacata, quasi assente mentalmente. Per molti vive in un mondo tutto suo, pieno di arcobaleni, pony colorati e un dolce profumo simile al rosmarino nell'aria.
Nessuno, assolutamente nessuno, si sarebbe potuto aspettare una reazione simile da lei.
«Momoko, cara...» Arista, sorpresa tanto quanto gli altri, le poggia delicatamente una mano sulla spalla per cercare di dissuaderla e calmarla, ma la mannara si rigira rapida e la fulmina con i suoi brillanti occhi dorati.
«NO!» strilla furibonda, voltandosi poi verso l'enorme folla che la fissa con gli occhi oltremodo spalancati per lo stupore «Perché continuate a discutere?! Fenrir ci ha dato un posto sicuro dove vivere, dove poter essere quello che siamo senza doverci preoccupare della nostra stessa ombra! Come potete voltargli le spalle in questo modo?! Vi ha nutriti, protetti, vi ha dato una casa, vi ha permesso di crearvi una vita vera! È così che lo ringraziate?» urla tutto in un fiato, mentre delle calde lacrime cristalline* le rigano le pallide guance.
Tutti la osservano in silenzio, non riuscendo a ricordare l'ultima volta in cui l'hanno vista piangere. Poi, invece, come un fulmine a ciel sereno, eccolo lì quel ricordo, vivido come se fosse una cosa successa qualche giorno prima e non diversi secoli prima: lei piangeva, in una pozza di sangue, il corpo della sorellina piccola che penzolava tra le sue braccia. Ricordano che alzò gli occhi e supplicò di essere uccisa perché era un mostro, ma Fenrir le diede l'opportunità di redimersi: l'avrebbe allenata e l'avrebbe portata dal suo creatore, così da poterlo uccidere insieme. Perché non si trasforma mai qualcuno contro la sua volontà, è la seconda legge che stipularono i due anziani Signori.
«Quando mi trovò...» a prendere la parola è Rin, una delle lupe più anziane sull'isola. La sua storia non la conosce praticamente nessuno, poiché troppo dolorosa per lei da raccontare, ma adesso, dopo essersi asciugata i bellissimi occhi a mandorla, decide di rivelare loro ciò che era un tempo «...ero solo una randagia. Nel mio precedente branco ero al livello Omega. Quando venivo picchiata, lasciata digiuna per settimane e... stuprata, dovevo tacere e farmelo andar bene. Ma non andava bene... così scappai. M'imbattei in Fenrir prima che gli altri potessero raggiungermi per uccidermi, e lo supplicai di lasciarmi vivere.»
Killian, con passo lento ma deciso, la raggiunge e le stringe le braccia attorno alla vita, come per dirle silenziosamente che è tutto finito, che nessuno le farà mai più del male, non adesso che è a Helheimr.
«Se non fosse stato per lui, io adesso non avrei tutto questo...» mormora infine Rin, asciugandosi la guancia con il dorso della mano.
Un goblin, incoraggiato dalle parole della mannara, si fa avanti tra la folla, torturandosi nervosamente il grosso orecchio floscio che gli pendola vicino al piccolo e sottile occhio.
«Dei Dragoni stavano per uccidere i miei figli appena nati quando lo incontrai. Io ero gravemente ferito, mia moglie morta tra le mie braccia. Lui mi posò una mano sulla spalle e mi domandò se volessi continuare a vivere in un luogo dove tutto questo male non può entrare... e adesso i miei figli possono vivere sereni, e hanno avuto la possibilità di crearsi a loro volta una famiglia.» racconta con voce rotta dalla commozione, lasciando vagare per un secondo lo sguardo sui due giovani goblin che lo guardano stupiti. Loro non ricordavano niente, sapevano che la madre era morta di parto, non che dei Dragoni l'avessero uccisa tra le braccia del padre!
«Adesso, tutti quanti voi, vorreste farmi credere che non avete una storia simile da raccontare? Vorreste dirmi che Fenrir, il nostro Signore, non vi ha in qualche modo salvati?!» urla di nuovo Momoko, carica come non era mai stata. Sente l'adrenalina, il coraggio e la rabbia scorrere nelle vene, forti ed impetuose come fiumi in piena.
Wulfric la guarda con fierezza, apprezzando realmente le sue parole. Lui non sarà stato salvato da Fenrir, è vero, ma Dio solo sa quante cose gli ha insegnato e quante volte gli ha parato il culo!
«Quell'uomo... Peter...» mormora Blamenco, affranto, quasi supplichevole, alzando lo sguardo su tutti quei mostri adesso carichi di una nuova energia distruttiva «Ha preso nostro fratello.»
Wulfric si alza in piedi e scatta verso di loro. Afferra l'uomo corpulento per una spalla e lo scuote come se volesse ridestarlo, sorridendo con quell'aria da maniaco che fa rabbrividire. Poi sposta il folle sguardo su ognuno dei presenti, fermandosi infine sull'imponente capitano che a sua volta lo guarda con sguardo duro.
«E allora, per tutti gli Déi, andiamo a riprendercelo!»


Dopo che hanno deciso di non voltare le spalle al loro Signore, l'intera isola si è mobilitata per muovere guerra contro Peter, il Flagello.
Molti sono andati al porto per mettere in sesto le navi e controllare che niente vi manchi.
Altri sono andati alle armerie, per affilare le lame e farle poi caricare sui grandi vascelli.
Fenrir è stato raggiunto dai membri della sua famiglia, e questo gli ha congelato il cuore.
Suo fratello, quello che forse doveva essere il più offeso di tutti, lo ha stretto forte tra le braccia e gli ha sussurrato, in tono scherzoso, che sfangheranno anche quella.
Astrid, seppur con passo incerto, gli si è avvicinata e lo ha baciato delicatamente a fior di labbra.
“Una promessa è una promessa, amore mio. E io ti sarò vicina fino alla fine.” ha mormorato al suo orecchio, beandosi dell'abbraccio che si sono scambiati. Fenrir sa bene che quando tutto sarà finito gliela farà pagare per molti secoli a venire, ma adesso non ha importanza: potrebbe non tornare, potrebbe non rivederla mai più, e non avrebbe sopportato il suo viso in lacrime per colpa sua come ultimo ricordo.
Adesso, lontani dalla stanza del Concilio, Cinque Comandanti seguono Freki mentre percorre con passo svelto quei lunghi e tetri corridoi. Se tanto non possono assistere alla riunione, dove i maggiori esponenti dell'isola decideranno chi va in guerra e chi invece rimane a protezione dell'isola, hanno deciso di assicurarsi, quanto meno, come sta l'adorata sorella.
Quando però sono giunti davanti alla camera dei gemelli e l'hanno trovata vuota, si sono sentiti il cuore sprofondare nelle viscere. L'idea che qualcuno di loro fosse riuscito ad entrare lo stesso, eludendo così per la seconda volta le guardie, li ha invasi completamente, attorcigliando loro lo stomaco.
Quando però hanno visto il fiero mannaro fare marcia indietro e camminare veloce in tutt'altra direzione, hanno capito, senza dirsi una parola, che potevano stare tranquilli. Se uno come lui mantiene la calma, allora significa che non è successo un bel niente.
Dopo quasi cinque minuti di cammino, però, il nervosismo che va sempre più aumentando dentro di loro è diventato quasi insostenibile, e Jaws non si è fatto alcun problema a rivolgersi al mannaro in tono rabbioso.
«Dove sono finiti?!»
«Venite.» risponde pacatamente il maggiore del sestetto, rallentando il passo. Vuole dar loro un briciolo di vantaggio prima di massacrarli di botte, e vuole sapere cosa è passato per il cervello di quei tre squilibrati che hanno ben pensato di andarsene a zonzo senza protezione in una situazione del genere. Sa anche che la colpa non è stata, almeno questa volta, della sua allieva, ma bensì dei gemelli, decisamente poco propensi a prendere ordini.
«Tu non stai al Consiglio?» domanda Ace per rompere il ghiaccio e alleggerire un poco quella situazione tragica. Malgrado provi a pensare a qualsiasi altra cosa, però, non riesce a togliersi dalla testa l'espressione devastata di Silly quando ha visto l'amica a terra in una pozza di sangue. A quel punto, pure lui si è sentito male. Non per il sangue, e neanche tanto per Mimì. No: lui si è sentito male per Silly.
«Dovrei, ma essendo il tutore di Lilith devo, prima di tutto, assicurarmi che non le sia successo niente.» risponde frettolosamente Freki, svoltando velocemente a destra, ignorando il macello che i pirati fanno non appena urtano contro il primo tavolino, ben nascosto nell'ombra.
«Perché vai verso le cucine?» ringhia a denti stretti Fossa, tenendosi una mano sul fianco colpito.
Marco, al suo fianco, fissa con odio crescente quel bastardo presuntuoso. Se fosse stato davvero forte come tanto si atteggia, avrebbe dovuto immediatamente rendersi conto che qualcosa non andava, anziché aspettare l'ululato disperato di Silly.
«Perché conosco bene i miei polli...» soffia in risposta il maggiore, spalancando le grandi porte di legno massiccio e trovando i tre giovani Lothbrook intenti a divorare ogni cosa capiti loro a tiro.
I gemelli si sono buttati su tutto quello che può essere dannoso per l'organismo, ingurgitandone quantità indescrivibili come se fossero briciole.
Akemi, invece, è accucciata a terra e sta divorando a mani nude un costato di vacca. Il gancio che la teneva sollevata nella cella frigorifera è stato strappato di netto dal soffitto, e adesso giace vicino alla porta, ai piedi di Freki.
La guarda mentre mangia e s'imbratta di sangue, ringhiando come un animale rabbioso. Attorno a lei, nota, ci sono tante, troppe ossa completamente spolpate.
«Il tuo Comandante è stato rapito e tu perdi tempo ad ingozzarti?» la sfotte prontamente, avvicinandola senza alcuna paura.
Akemi, in tutta risposta, scatta in avanti per proteggere la preda e gli mostra le zanne in chiaro avvertimento, fissandolo con i suoi demoniaci occhi neri e privi di vita.
«Non prendere il mio appetito per apatia, Freki! Non posso far niente, quindi mangio quanto voglio!» urla isterica, tornando ad occuparsi della carne sanguinolenta che stava gelosamente proteggendo con il proprio corpo.
Marco la guarda inorridito, non riuscendo quasi più a riconoscerla.
Freki lo nota e un ghigno divertito gli stende le labbra screpolate. Per un attimo vorrebbe dirgli che le licantrope diventano particolarmente ingorde quando si avvicina il momento del mestruo, ma preferisce tacere. Che se le scopra da solo queste diavolerie!
Si volta poi di scatto quando suo fratello, a corto di fiato, irrompe nella stanza e lo avvicina, sussurrandogli velocemente i nuovi ordini nella loro antica lingua.
«Vai, ti raggiungo subito.» ordina secco, osservando per un breve istante il ragazzo che corre via. Ha paura anche lui, non lo dà a vedere, ma è così. E non ha paura per sé, questo no: da sempre sogna un avversario tanto speciale capace di ucciderlo. Lui ha paura per suo fratello, il suo dolce fratellino che non ha mai fatto niente senza di lui.
Volta di scatto la testa, cacciando via quei dolorosi pensieri, e punta gli occhi sui piccoli principi sporchi di cibarie ormai non più identificabili.
«Prendete i vostri amici Comandanti e andate nella Sala Grande con vostra madre e gli altri pirati. Tu, Lilith, con me.» ordina secco, afferrando la ragazza per un braccio e trascinandosela dietro.
«Perché noi non veniamo?» domanda Marco, con tono rabbioso e allo stesso tempo deluso. Vuole combattere, vuole riprendersi suo fratello e vuole infilare un braccio in gola a quel bastardo per fargli fuoriuscire le budella. Vuole anche, seppur si renda conto che non è il momento adatto a certi pensieri, che Akemi stia il più lontana possibile da quel licantropo borioso.
«Ve lo spiegherà Astrid.» urla Freki, ormai in fondo al corridoio.
Akemi lo guarda terrorizzata, ormai conscia di quanto la situazione sia critica. E anche lei ha paura. Una paura nera che le paralizza le gambe e non le permette di respirare.
Il lupo si blocca a sua volta e la guarda con attenzione, leggendo nei suoi grandi occhi di ghiaccio il panico più totale.
L'avvicina svelto e le poggia con forza le mani sulle spalle, costringendola a guardarlo negli occhi.
«Cosa ti dissi, tempo fa?»
Akemi ci pensa su qualche secondo, poi ricorda e ricomincia a respirare.
«La paura all'uomo non frutta niente perché... perché il gomitolo della nostra vita è stato misurato alla nostra nascita.»
Freki le sorride e, seppur per pochi secondi, poggia delicatamente le labbra sulle sue, facendola sciogliere.
Quando Freki ti bacia in questo modo, così dolce, protettivo e romantico, vorresti sempre che il tempo si fermasse. Pure Akemi lo desidera: vorrebbe tenere quel calore per sé, nutrirsene fino a scoppiare, ma sa bene che non può farlo: è una Lothbrook e un membro della ciurma di Barbabianca, dannazione!
«Muoviamoci.»


Nella grande sala del Concilio, ormai, ci sono tutti i più grandi guerrieri. Hanno analizzato per almeno quaranta minuti le fotografie che Peter aveva messo dentro allo scrigno, oltre alla lettera dove rivelava la paternità dell'Imperatore.
Hanno osservato quelle foto, quegli eserciti enormi, e per un attimo lo sgomento li ha pervasi totalmente. Per un attimo hanno creduto che fosse inutile anche solo provare a resistere, che sarebbe stato meglio scappare, ma poi si sono ricordati del dolore di Mimì, quell'allegra e giovane vampira che li ha sempre fatti ridere, che dava sempre tante cene e si faceva in quattro per rendere felice tutti quanti, come una mamma affettuosa.
È grazie a quel doloroso frammento che sono rimasti, più agguerriti che prima, e hanno cominciato a buttar giù strategie su strategie. Ovviamente alla fine toccherà ai tre Astri decidere cosa fare, ma sperare di riuscire a trovare qualcosa che possa essere loro di aiuto non guasta di certo.
D'improvviso le grandi porte nere si spalancano, e nella sala irrompono, furiosi e offesi in volto, tutti i Comandanti.
Camminano con passo fiero, e osservano tutti loro con l'aria di chi ha visto di peggio, di chi ha fatto di peggio.
«Cosa ci fate voi qui?» ringhia a denti stretti Fenrir mentre fissa con astio i vari Comandanti che si stanno mettendo comodi attorno al suo tavolo, sotto gli sguardi assai perplessi dei vari Generali. Un Windigo, la cui espressione cambia dallo smarrito all'incuriosito a momenti alterni, è pure costretto a spostare la propria seggiola per fare spazio alla considerevole mole di Jaws.
«Mi pare ovvio: veniamo con voi!» esclama sicuro di sé Ace, dondolandosi sulla comoda poltrona imbottita come un bambino. Quando però nota gli sguardi assai scocciati di alcune creature pensa bene di mettersi composto, allungando poi una mano al piatto pieno di biscotti con le mandorle che sembrano quasi urlare il suo nome.
«Bene.» esclama con falso entusiasmo Fenrir, sorridendo loro con aria derisoria per qualche secondo, tornando poi con la solita aria cupa e pensierosa «Rimarrete sulla nave principale. Dovrete avere una via di fuga immediata nel caso le cose si mettessero davvero male per noi.» ordina poi con tono duro, osservando maniacalmente le carte stese sul tavolo.
«E verreste con noi, vero?» azzarda Ace, parlando con tono rabbioso. L'idea di abbandonarli, di lasciarli alla morte, lo disgusta semplicemente. Saranno pure i peggiori assassini in circolazioni, creature dannate rifiutate pure dall'Inferno, ma c'è comunque una specie di alleanza tra loro, e lui non è certo il tipo che abbandona i compagni.
«Nessuno di noi si muoverà finché quei bastardi saranno ancora in vita.» risponde aspramente Freki, che ormai non sta più nella pelle dall'idea che da li a poco potrà di nuovo combattere come un tempo e mostrare a tutto il mondo che l'unico Sovrano che mai avranno è sempre stato e sarà sempre è solo Fenrir Lothbrook.
«Se anche uno di loro riuscisse a rimanere in vita, questa guerra non avrebbe mai fine.» borbotta distrattamente Týr, giocherellando con i rimasugli di un biscotto, creando dei disegnini astratti con le briciole.
«E pretendete che noi scappiamo?!» urla assai contrariato Curiel, scattando immediatamente in piedi e sbattendo con violenza i pugni sul tavolo, facendo vibrare tutto ciò che vi è sopra.
«Peggio, fratello: loro pretendono che rimaniamo sulla nave a far niente!» lo riprende subito Atmos, scattando in piedi a propria volta e guardando quei presunti immortali uno alla volta. Era convinto che avrebbe potuto partecipare attivamente al salvataggio di Satch, invece deve restarsene fermo a guardare come un pivello alle prime armi.
«C'è la vita di nostro fratello in gioco, amico.» ringhia a denti stretti Ace, alzandosi lentamente e camminando con passo furente verso il Sovrano, alla quale si avvicina senza paura. «Tu non ci fermerai.» afferma sicuro guardandolo dritto in faccia, a pochi centimetri di distanza.
«Questo sì che è il degno figlio di Roger!» urla pieno di gioia Týr, saltando in piedi sul tavolo «Andiamo, lasciali provare! Mal che vada crepano!»
I due fratelli si guardano negli occhi per qualche secondo. Rimangono immobili, silenziosi. Tutti aspettano solo il verdetto finale, e l'aria è diventata improvvisamente carica di elettricità.
«Come volete.» si arrende semplicemente il maggiore, che poco può contro lo sguardo sicuro e sognante del minore. Lo accontenterebbe sempre, e dopo quello che ha fatto non può certo permettersi di fare troppo lo scorbutico.
Si volta con sguardo fermo e determinato verso i propri alleati, guardandoli uno per uno con attenzione. «Chi in combattimento ne avrà l'occasione, provi a guardare le spalle di questi coraggiosi esseri umani, siamo intesi? Sono nostri alleati, è nostro dovere proteggerli.» ordina con tono duro, ricevendo in risposta dei cenni d'assenso col capo.
«Tu riesci a convincere sempre tutti quanti, vero?» bisbiglia Ace all'orecchio di Týr, ghignando divertito.
«Puoi scommetterci il culo, ragazzino!»
«Che genere di isola è quella dove si è rifugiato?» domanda Izo, con voce ferma e carica di rabbia. Vuole andare subito laggiù a combattere, a distruggere, ma osservando la cartina sbiadita che il nemico ha donato loro, proprio non riesce a ricordare di averla mai vista prima d'ora, e un leggero sgomento comincia a pesargli sulle spalle.
«È una piccola isola disabitata da secoli, ormai. A causa di tutte le guerre che ci abbiamo combattuto, è stata stupidamente soprannominata “Inngangen til Helvete”.» risponde pacatamente Wulfric, osservando una cartina più recente e decisamente più dettagliata.
I corvi, per loro, servono anche a questo: li mandano in ricognizione dovunque e, quando tornano con i ricordi, bevono qualche goccia di sangue e così sono in grado di poter vedere a loro volta i cambiamenti subiti.
«Eh?»
«Ingresso per l'Inferno.»
«Certo che dovevate essere delle vere bestie.» mormora Ace grattandosi la nuca. L'idea che delle creature abbiano reso un'intera isola – per quanto questa possa essere grande o piccola – totalmente inabitabile lo sgomenta un poco, ma non per questo ha intenzione di tirarsi indietro. Anzi! Combatterà con ancora più ferocia, mostrando a tutti le sue capacità. Chissà, magari così potrei attirare pure la sua attenzione!
«Ohhh, tesoro... tu non ne hai idea.» commenta sarcastica Arista, in fondo alla sala, intenta ad affilare con precisione maniacale la sua ascia.
«Si tratta di un’isola praticamente desertica; il terreno è arido, da secoli non vi cresce più niente. Sulla prominenza a sud c’è ancora il castello in rovina. Secondo quanto riportato da un corvo, attorno al castello adesso ci sono migliaia di accampamenti misti, cioè sia Dragoni che altre creature. L’unico lato accessibile per le navi è la baia ad est: tra i due promontori c'è una piccola insenatura, perfetta per un attacco in vecchio stile.» continua Týr, carezzando il suo adorato corvo, incredibilmente docile e mansueto quando in sua compagnia.
«Non vi seguo.» sbotta Curiel, rompendo il silenzio che si era venuto a creare.
Loro non sono tipi che creano grandi strategie di battaglia: loro arrivano su un'isola e la depredano, avvistano una nave avversaria o mercantile e l'affondano, trafugandone i tesori. Non hanno mai sentito la necessità di programmare nel dettaglio l'attacco di qualche particolare isola.
«L'insenatura offre un totale riparo sia dagli attacchi laterali, che da quelli aerei. Possiamo passare da lì.» sbuffa il Re delle Tenebre, roteando gli occhi al cielo.
Era convinto che vecchie tattiche come quelle usate da antiche popolazioni come, per esempio, quelle greche, fossero conosciute da tutti, ma evidentemente si sbagliava.
Solo in questo momento si rende conto che, per un verso, li ha sopravvalutati: persone come loro non hanno mai avuto le sue possibilità di farsi una così vasta cultura.
«In quanti ci passano?» domanda con tono fermo Fossa, sbuffando una densa nube di fumo, attirando su di sé gli occhi glaciali dell'antico e bizzarro vampiro.
«Ci potrebbero passare tre grossi carri messi di traverso, quindi le orde di zombie saranno in prima linea, p-»
«Li usi come scudi?» lo interrompe prontamente Ace, che proprio non riesce a concepire l'idea di usare i propri alleati – seppur morti e privi di intelletto – come carne da macello.
«Qualcosa in contrario?» lo sfida Týr, allungandosi con il busto in sua direzione e assottigliando lo sguardo, senza abbandonare il ghigno perverso e divertito che si è stampato in faccia da quando è riuscito a piegare il fratello ai suoi capricci.
I vari Comandanti lo guardando disgustati, mentre il resto dei presenti domanda con un filo di voce se la lentezza dei non-morti potrà in qualche modo svantaggiarli.
«Come tattica non mi convince.» afferma pensieroso Wulfric, colui che più di chiunque altro ha la mente migliore per preparare una guerra.
E mentre pensa ai preparativi, a come disporre gli uomini, a quali imprevisti incontreranno e come sbarazzarsene velocemente, pensa pure a come poter fare per adattare le armature precedentemente create per i propri compagni sui corpi dei fragili umani. Perché deve trovare il modo, se non vuole riportarli ad Helheimr a brandelli.
«Cosa suggerisci?» gli domanda realmente interessato Fenrir, che non aspettava altro che sentire il suo piano.
«Gli zombie attenderanno su due navi, poste ai lati della baita. Che le affondino o meno non fa differenza tanto, no?» i presenti, alcuni malvolentieri, annuiscono appena, ascoltando con attenzione ciò che il vampiro ha da dire «Dopo formeremo una corazza: Windigo in cima alle file, con la loro mole e la loro forza impediranno a qualsiasi cosa di entrare. Dietro di loro i vampiri, poi i mannari, poi tutti coloro che vorranno unirsi ed infine gli umani. Al momento giusto, avanzeremo tutti quanti.»
Questo piano, seppur semplice e facilmente prevedibile, è quanto di meglio possono trovare, considerato il poco tempo che è stato loro concesso.
Peter, infatti, gli ha concesso un giorno per raggiungerlo, altrimenti l'anima del Comandante sarà sua per l'eternità. Un'ulteriore sfida in pratica, che li allarma particolarmente: non tanto per la brevità dei tempi, no: il problema sopraggiunge quando attaccheranno e l'influsso della Luna Piena sarà piena su di loro.
Ma adesso Wulfric non vuole assolutamente pensarci. Adesso deve solo trovare la disposizione adatta per quegli umani fuori di testa.
«Ottavo Comandante Namiur, ho un incarico ben specifico per te.» annuncia con un tono che non ammette repliche, facendo scattare sull'attenti il diretto interessato «Tu controllerai le truppe subacquee e dovrai proteggere le navi dai loro attacchi.»
«Faranno tutto ciò che possono per tagliarci la ritirata, quindi dovrai essere davvero veloce. Pensi di esserne capace?» aggiunge subito Fenrir, osservando con attenzione l'uomo-pesce.
È coraggioso, non lo mette assolutamente in dubbio. Ed è spaventato, e per questo ha la sua ammirazione. Perché solo un idiota andrebbe in guerra senza provare un minimo di paura.
«Non c'è problema.» afferma sicuro il Comandante, fiero di sé stesso.
Malgrado la situazione tragica, Namiur è felice: lui ha un compito ben preciso, contano davvero su di lui per la vittoria e, quanto è vero che Fenrir gli sta dando una sonora pacca sulla spalla, ci riuscirà.
«Primo Comandante Marco.» la voce di Týr è tagliente, fredda e glaciale. Non ha niente contro di lui. Cioè, qualcosa si, ma niente di allarmante. Vuole solo essere sicuro che quel pirata sia degno della sua adorata bambina.
Il Comandante alza lo sguardo e lo punta in quello gelido di Týr.
«Tu guiderai i grifoni durante l'attacco aereo: dovrete mettere immediatamente fuori combattimento i cecchini.»
«Io e Akemi ci muoveremo verso il castello, raggirando il campo di battaglia.» aggiunge velocemente Fenrir, poggiando i palmi delle mani sul grande tavolo immerso di fogli per poter esaminare meglio la cartina che sono riusciti ad ottenere.
La ragazza lo raggiunge velocemente e si appoggia con la guancia alla sua spalla, osservando a sua volta.
Si sente così inutile, così debole. Tutti loro hanno combattuto innumerevoli guerre, hanno visto i più grandi orrori del mondo... e lei? Lei è su quell'isola da qualche mese, è stata allentata al combattimento da Freki, ma niente di più.
«C'è soltanto un'entrata, le altre sono state sbarrate, provare a forzarle sarebbe solo una perdita di tempo.» la voce dello zio la riporta alla realtà, facendola trasalire «Quando saremo dentro, ci divideremo.»
«COSA?!» urlano in coro Ace e Marco, totalmente contrari a quell'idea suicida.
«Lei non è capace di combattere una battaglia del genere!» ringhia Týr, sbattendo con violenza le mani sul grande tavolo.
«Peter sarà troppo impegnato con me per poter badare anche a lei, Týr.» lo tranquillizza il maggiore, più consapevole di lui delle capacità della ragazza. Si è infatti accorto che quando sente che qualcosa di suo è minacciato, viene fuori il suo lato bestiale, quello indomabile a cui occorreranno anni e anni di allenamenti per tenerlo un minimo sotto controllo. Si è accorto, inoltre, che è davvero molto, ma molto veloce.
Fenrir si volta di scatto verso la nipote e le mette entrambe le mani sulle spalle, guardandola dritto negli occhi «Dovrai concentrarti sull'olfatto e nient'altro. Dovrai dimenticare ogni altra cosa e, quando sarà il momento, dovrai liberare la bestia. Sarai capace di farlo?»
Akemi boccheggia. Ha paura, da morire.
Continua a pensare che la vita di suo fratello, il suo adorato fratello Satch, è nelle sue mani, e che per un piccolo e banale errore potrebbe perderlo.
«Dovrò. In ballo c'è la vita di mio fratello.» mormora in risposta, abbassando timidamente lo sguardo e sgattaiolando via.
Ha bisogno di star sola, di pensare in maniera più lucida possibile. Ma più di tutto, ha bisogno del consiglio di sua madre.
«Bene, i piani sono decisi. Andate a finire i preparativi, voglio essere in mare entro un'ora


Giunti finalmente all'enorme porto semi-sotterraneo dell'isola, si stupiscono tutti quanti del gran numero di navi che vi ormeggiano. Ce ne sono di tutti i tipi e dimensioni, alcune risalenti a chissà quale epoca.
La maggior parte, quelle costruite negli anni da Fenrir e Arista, sono quelle con cui erano abituati a navigare ai loro tempi, e adesso i Comandanti pirata possono finalmente vederle in tutto il loro antico splendore.
Il drakkar è caratterizzato da una forma lunga (in media attorno ai 25 metri), stretta e slanciata, e da un pescaggio particolarmente poco profondo. Queste caratteristiche conferiscono all'imbarcazione una grande velocità e le consentono di navigare in acque di un solo metro di profondità, permettendo di avvicinarsi molto alla riva, e rendendo così gli sbarchi velocissimi. Un altro vantaggio di queste imbarcazioni deriva dalla loro simmetria: la sua particolare forma consente infatti una inversione rapidissima.
Da quello che i pirati riescono a vedere in tutto quel via vai di persone, capiscono che ci sono ben due metodi di propulsione: remi e vela.
Blenheim, incuriosito, si avvicina all'imbarcazione più vicina e saggia con mano la robustezza dei remi, domandandosi per quale ragione abbiano deciso di portarseli dietro visto che lì sopra loro non possono stare.
«Durante un combattimento, la variabilità del vento fa dei remi lo strumento di propulsione principale.» afferma con voce annoiata Silly, alle sue spalle, lasciandosi andare poi ad un sorriso sconsolato, della serie “Non stare lì a trastullarti con i remi e aiutami!”
L'uomo, seppur controvoglia, afferra una decina di lunghi e pesanti remi e si imbarca, con passo lento e sguardo indagatore, su una delle lunghe navi, ben attento a dove mette i piedi. Si rende velocemente conto che non vi è traccia di panche per i vogatori, e Silly gli spiega pazientemente che sui drakkar siedono su dei bauli contenenti i loro effetti personali, che altrimenti occuperebbero solo spazio.
Fossa e Namiur, invece, aiutano i vari immortali con la preparazione delle altre imbarcazioni, le snekke, cioè la più piccola imbarcazione classificabile come drakkar. Una snekke comune ha una lunghezza di circa 17 metri e può portare un massimo di 25 uomini.
Ma ce n'è una in particolare che attira gli sguardi dei vari Comandanti: la nave Dragone. Una nave enorme e possente rispetto alle altre, particolarmente elaborata ed elegante. La prua è modellata a forma di due teste rosse di drago, entrambe minacciose e solenni, intagliate in robusto legno coperte con lamine d'oro e con dure gemme rosse negli occhi. Questa caratteristica, nei tempi antichi, adempiva a terrorizzare i nemici dei vichinghi e gli sventurati abitanti dei villaggi costieri, e di meravigliare gli amici.
Per i due Sovrani immortali è stato necessario, durante i secoli, modernizzare la loro possente nave in caso di necessità, rendendola il sogno di qualsiasi uomo di mare.
Lunga circa 400 metri viene spinta da due enormi propulsori posti sotto il castello di poppa, che permette veloci viaggi a lunga distanza senza il bisogno di mostri marini a trainarla.
L'armamento è composto principalmente dalle Torrette dei Cannoni, ognuna con tre distinti cannoni indipendenti nel movimento verticale, dette anche Bocche da Fuoco. L'arma secondaria è rappresentata da una sorta di lanciamissili con molte feritoie, posta alla base della torre di controllo. Emette fasci energetici simili a quelli dei cannoni ma molto più concentrati e veloci. Sono presenti anche tubi lancia missili ben visibili ai lati della prua, simili ai lancia siluri dei sottomarini, tre per lato. Inoltre è fornita di un gigantesco rostro a forma di lama di coltello ricurva e affilata che, all'occorrenza, viene fatto fuoriuscire dalla prua e con il quale è possibile perforare a fondo gli scafi nemici e squarciarli.
Queste terribili armi, però, possono essere usate solo in uno scontro ravvicinato tra due navi, col rischio però di attirare davvero troppo l'attenzione, cosa che sicuramente Peter non si azzarderà a fare. Diciamo che si portano dietro anche la Dragone come ultima precauzione e, ovviamente, per i grandi spazi di cui dispone. Infatti gli ambienti interni sono in genere molto ampi, perfetti per far gironzolare in santa pace dei licantropi resi nervosi dalla Luna Piena e dall'imminente guerra.
Altro fatto che rende necessaria l'uscita del Dragone è per il suo particolare ponte di comando, posto sulla torre di controllo, con grandi vetrate dalle quali si può controllare con uno sguardo dai cannoni superiori fino alla prua e allo spazio circostante. Al suo interno si trovano tutte le varie postazioni utili al governo della nave come il controllo dei radar e degli altri sistemi di rilevamento e comunicazione.
Dopo l'assai interessante giro turistico che Silly ha concesso ai Comandanti presenti – si sa, si è disposti a tutto pur di evitare il lavoro pesante - si volta verso di loro con un sorriso malandrino in volto e i pugni ben piantati sui fianchi: «Che state aspettando, gente? Il lavoro vi chiama!»
Detto questo, la bella licantropa dalla chioma fulva si allontana con un agile balzo, atterrando con grazia in mezzo al resto del branco ormai riunito.
Ci sono tutti, dal più debole e spaventato al più temibile e sanguinario. Tutti hanno risposto al richiamo del loro Signore, tutti sono disposti a morire sul campo pur di non far morire Helheimr e tutto ciò che in essa vive. Molti giovani valorosi si sono fatti avanti, pronti a dare il loro contributo, fregandosene della morte sicura che li attende, venendo però allontanati in malo modo dai maggiori. Solo ad uno di loro è concesso di partire, ovvero il primogenito di Duncan e Dana, il giovane Ed. Il ragazzo ha infatti dato prova di essere dotato di una considerevole forza e di una sorprendente velocità, motivo per cui hanno deciso di dargli questa possibilità.
Pure Dana, che mai in vita sua ha partecipato ad uno scontro del genere, si è messa in mezzo al branco, pronta a dare la vita per la sicurezza dei suoi piccolini, momentaneamente affidati alle cure di Astrid, costretta a rimanere sull'isola, e dei pirati.
C'è una grande tensione nell'aria, che diventa addirittura palpabile e carica di elettricità nel momento esatto in cui le enormi porte d'ingresso del porto vengono finalmente aperte e la luce investe le imbarcazioni ormai pronte.
Tensione che aumenta e si carica di aspettative quando il loro Imperatore e il suo seguito fanno il loro ingresso, carichi di armi e armature di vario genere.
I due Sovrani hanno deciso di indossare le vecchie armature di un tempo, quelle con cui sono cresciuti e che li hanno accompagnati per tutta la loro vita.
Wulfric si è tenuto la corazza di vibranio, così da essere sicuro di poter proteggere più combattenti possibili e riportare il minor numero di danni. Fino a pochi istanti prima, inoltre, era immerso nel suo difficile lavoro fino ai gomiti: ha smembrato e rimodellato quasi tutte le armature, così da poter dare un briciolo di protezione a quei fragili umani che, in assenza di questa blanda protezione, perirebbero in meno di un quarto d'ora.
Freki indossa ancora i suoi consueti abiti poiché solo quando muterà potrà indossare alcune parti dell'armatura, che gli copriranno testa, collo e torace. Per quanto la cosa lo disgusti, non è riuscito a dissuadere il proprio creatore, e si trova così costretto a doversi far andar bene un simile trucchetto.
Akemi, al contrario delle aspettative generali, che la vedevano ricoperta di ogni tipo di metallo esistente da capo a piedi, indossa dei semplici pantaloni elastici neri, molto aderenti, e una giubbotto nero imbottito di vibranio. All'inizio lei, come la maggior parte di loro, doveva essere seriamente ricoperta da capo a piedi, poiché l'iperprotettiva madre non avrebbe permesso altrimenti, ma considerati gli svariati centimetri di grasso che la giovane è riuscita sorprendentemente a mettere su, si sono dovuti adattare.
Fenrir, che apre la fila, fa cenno ai presenti di cominciare ad imbarcarsi.
I grifoni, dopo il suo cenno, si avvicinano a Marco e gli porgono, come promessa solenne della loro nuova alleanza, una collana con l'artiglio di un antichissimo membro della loro stirpe, che l'uomo indossa con onore. Perché sì, Marco la Fenice è onorato di poter combattere al fianco di creature tanto forti ed intelligenti, ed è ancor più onorato che loro, senza tante storie, lo abbiano accettato come leader.
Namiur, che ha già fatto visita ai mostri marini che dovrà comandare, monta velocemente sulla nave madre assieme ai compagni, raccontando loro quando siano bizzarri e sorprendentemente mansueti, e che non hanno fatto alcuna resistenza nel farsi legare alle navi come muli da tiro.
Newgate, che dovrebbe essere da tutt'altra parte, ovvero nella Sala Grande con la Regina e con coloro che non sono in grado di reggere una battaglia del genere, gira per il porto con aria calma e pensierosa. In cuor suo, però, è terrorizzato: i suoi figli, i suoi adoratissimi figli, stanno per andare ad affrontare un nemico che sa essere più forte di loro e che dispone di un esercito che farebbe impallidire chiunque al mondo.
Vederli scherzare tra loro e con quelle creature dall'aspetto grottesco, però, riesce ad infondergli un minimo di fiducia, che però non basta per farlo desistere dai suoi piani.
Affretta così il passo e mette con sicurezza piede sulla passerella che lo condurrà sulla Dragone, ma qualcuno lo blocca prontamente afferrandolo per un polso.
Una stretta salda, calda e decisa che riconoscerebbe ad occhi chiusi.
«Dove credi di andare, Newgate?» gli ringhia contro l'Imperatore, guardandolo in cagnesco.
«State per andare in guerra... e io a riprendermi mio figlio.» risponde piccato l'anziano capitano, sorreggendo lo sguardo omicida dell'antico lupo.
«Ascoltami bene, Newgate: non sapete contro chi ci stiamo per battere, ok? Noi conosciamo i punti deboli di alcune razze, ma non abbiamo il tempo di addestrarvi. Inoltre siamo in netta minoranza!»
«Dove vuoi arrivare, Fenrir?» sbuffa annoiato il capitano pirata, liberandosi dalla sua presa con un gesto di stizza.
Fenrir, consapevole di quanto l'uomo stia soffrendo, si impone si calmarsi e abbassare il tono, piegando un poco la testa e guardandolo, adesso, con comprensione e dispiacere.
«Tu non puoi combattere. Ho letto la tua cartella clinica e non posso mandarti a morire per un mio errore.» afferma sottovoce, cosicché i suoi sottoposti non possano sentirlo. Neanche lui, se fosse nei suoi panni, vorrebbe che qualcuno sapesse che sta molto male.
«C'è mio figlio laggiù!» gli urla contro Barbabianca, perdendo solo per un istante le staffe.
Per quanto risulti strano pure per lui, non vuole essere scortese con quell'uomo e non riesce ad avercela con lui per aver tenuta segreta una simile notizia.
Fa per rimontare, dandogli le spalle, ma il maggiore lo blocca di nuovo, costringendolo a girarsi per guardarlo in faccia.
«Voglio che tu e i tuoi uomini rimaniate su quest'isola, al sicuro.» afferma deciso, pur essendo consapevole che la sua è una richiesta assolutamente folle. Prima che il vecchio capitano possa controbattere, però, aggiunge subito le parole più dolorose della sua vita «Peter è mio figlio, Newgate... e so solo di cosa era capace. Mi fido ciecamente dei miei uomini, e anche di quei folli dei tuoi Comandanti che hanno deciso spontaneamente di seguirmi in questa missione suicida, quindi posso assicurarti che combatteremo al meglio delle nostre possibilità. Adesso, però, ti devo chiedere di rimanere qui e... di proteggere la mia famiglia come io non sono stato capace di fare con la tua. Ti chiedo umilmente di restare e di proteggerli quando il nostro muro cederà.»
L'ultima frase impietrisce completamente il grande pirata.
Quando il nostro muro cederà.”. Quando, non se. E questo gli fa male. E gli fa ancora più male quello sguardo supplichevole di un uomo che ha tutto da perdere, che sta andando a morire pur di poter dare un futuro ai propri innocenti figli.
Ed è proprio per questo che allunga una mano verso di lui, guardandolo con fierezza e umiltà.
«Considero un onore essere ritenuto tanto importante da un uomo del tuo calibro, Fenrir.»
Il licantropo stringe a propria volta quell'enorme mano e sorride grato a quel pirata a cui deve ogni cosa.
«E io considero un onore che tu, Edward Newgate, rimanga sulla mia isola a proteggere la mia famiglia.»
Ed è con queste parole e un sorriso tirato sulle labbra che i due potenti uomini si separano: l'Imperatore pirata va a mettersi in mezzo alla folla che è venuta ad assistere alla partenza di quei coraggiosi guerrieri che adesso li guardano dall'alto, e Fenrir osserva con dolore le figure spaventate dei figli, sgattaiolati fuori da La Solitaria per poterlo salutare, diventare sempre più lontani e piccoli.
Volta lo sguardo verso l'orizzonte, con il Sole che pigramente si sveglia e fa capolino.
Dietro di lui tutti urlano ordini a destra e a sinistra, si agitano e si prendono a parole per niente, ma a lui non importa: l'unica pensiero che invade la sua mente, sono i dolci occhioni dei suoi adoratissimi figli ricolmi di paura e lacrime.


Niente è più mostruosamente affascinante del mare in tempesta: così irruento, travolgente, rabbioso.
Gli schizzi d’acqua colorano le onde di un grigio sporco e di un azzurro ostentato.
Il rumore spaventa: è violento, ripetitivo, irregolare. Entra nelle orecchie e martella la mente, ma la vista placa tutto, perché osservando puoi goderti lo spettacolo.
E ciò che all’inizio sembrava rumore si trasforma in melodia, che sottolinea il flusso impetuoso della natura.
Tutto quel mare furioso, con le alte onde a sfidarti, i lampi e i tuoni a minacciarti. Tutto ti emoziona, ti eccita e ti senti esplodere dentro e precipiti nel caos, nella baraonda delle sensazioni e nella babilonia delle emozioni: affetto, eros, meraviglia, trasporto, ostilità, avversione, distacco, orrore.
E il cuore intanto pompa sangue caldo, linfa vitale, e le vene si riempiono e si gonfiano violacee sulla pelle come un bassorilievo.
Quando riesci a controllare la paura e ti senti onnipotente, osservi attentamente la natura e non ti senti sopraffatto dall’impeto ma sorridi e ammiri.
Ti senti spossato, stanco ma tiri un sospiro di sollievo e vivi.
Ed è così che si sentono tutti i coraggiosi guerrieri che si sono frettolosamente imbarcati per annientare la minaccia del secolo, per distruggere il Flagello.
I due antichi fratelli immortali fissano l'orizzonte con sguardo severo, immobili. Assaporano in silenzio ogni secondo che scorre, aspettando e scrutando.
Alle loro spalle, l'equipaggio sbraita ordini e affila le lame. Sentono l'adrenalina scorrere nelle vene, il cuore pulsare nelle tempie e battere nel loro petti violentemente.
I Comandanti pirata osservano quei mostri mentre si radunano in gruppi: alcuni parlano e basta, altri litigano per motivi a loro incomprensibili. Hanno pure scoperto che i vichinghi a bordo dei drakkar si dedicavano a diverse attività: il passatempo più popolare era la narrazione di storie e leggende, ma giocavano anche a scacchi, suonavano allegre melodie. Questi, se non altro, aiutano un poco a risollevare il morale.
Quelli più nervosi a causa dell'imminente plenilunio aiutano i vampiri ad indossare pezzi di brillanti armature, aiutandosi con dei guanti di protezione.
Prima è toccato pure ad uno di loro: Izo è stato infatti afferrato senza tante cerimonie e sbattuto contro la prima parete disponibile in modo da fargli indossare l'armatura di protezione sul petto.
Il Sedicesimo Comandante, tutt'altro che lieto di essere stato afferrato e conciato in quel modo, se ne sta sottocoperta con un broncio che tocca fino a terra.
In suo aiuto arriva la giovane e temeraria compagna, che gli poggia delicatamente le mani sulle spalle e gli deposita un lieve bacio sulla nuca.
Izo le sfiora la mano, delicato e leggero, senza però voltarsi a guardarla. Non vuole vedere il suo viso ancor più sconvolto, non vuole vederlo provato dagli eventi. Vuole ricordarlo sorridente e allegro come sempre, deciso e fiero, rilassato e con le gote arrossate dopo i loro frequenti amplessi.
«Izo...» lo richiama debolmente Halta, passandogli una mano tra i capelli sorprendentemente scompigliati «Andrà tutto bene, credimi.»
A Izo non serve il super-udito di Akemi per sentire il suo cuore che mente. Gli basta sentire il suono della sua voce, così incrinata e debole, per capire che ha paura quanto lui. Ed è proprio per questo che si volta e le sorride, sfiorandole la guancia. Lo stesso movimento delicato e lo stesso dolce sorriso di quando, qualche giorno prima hanno dovuto affrontare un falso allarme che li ha mandati nel panico più assoluto.
«Non potrei sopportare di perderti.» ammette il Comandante, sentendosi terribilmente in imbarazzo.
Si alza lentamente, sistemandosi quel pezzo di metallo sul torace.
«Ti dona molto...» ammette con un filo di voce la ragazza, sfiorando con la punta delle dita le vari rifiniture dorate.
Nel frattempo Izo la guarda negli occhi, avvicina lentamente le loro labbra fino a toccarle, per poi ritrarvi un attimo e rincontrale ancora, e così via per alcuni secondi, in una sequenza di baci casti e ravvicinati a preludio del bacio che seguirà. L'abbraccia lentamente ma con fermezza, il braccio destro cingere la sua vita, mentre la mano sinistra va infilarsi lentamente tra i suoi capelli all'altezza della nuca.
Ne ha parlato con alcuni suoi compagni, poco prima, e non vuole di certo perdersi quelli che potrebbero essere gli ultimi momenti intimi insieme a lei.
«Dimmi che andrà tutto bene...» mormora la Comandante, perdendosi negli occhi di onice del compagno.
Izo le sorride dolcemente, stringe con delicatezza le sue spalle e aspetta che la paura che l'angoscia svanisca.
Ma questo loro idilliaco momento, in cui non esiste altro che loro, vine infranto dall'arrivo di un più che agitato Curiel.
«Abbiamo bisogno di voi sul ponte!» ordina perentorio, trascinando la giovane coppia con sé.
Quando poi i Comandanti arrivano sull'imponente ponte di controllo, si rendono finalmente conto di cosa li abbia tanto turbati: navi nemiche che procedono a grandi velocità verso di loro, armati fino ai denti.
I vari immortali si precipitano per occupare le posizione migliore, i pirati osservano con una certa angoscia nel cuore ad assillarli le navi nemiche avanzare senza paura contro di loro.
Sentono delle urla, sia amiche che nemiche, e la situazione pare degenerare in un attimo.
Non hanno idea di come precedere, se devono dare sfoggio dei loro strabilianti poteri o meno, ma basta un gesto secco dell'Imperatore perché tutti si fermino.
Ordina nella sua strana lingua qualche ordine che i mortali non riescono a capire, ma gli basta guardare le altre navi disporsi in circolo per comprendere – a grandi linee, ovviamente - cosa si siano detti. Ciò che non riescono lo stesso a capire è il perché.
Vista lo raggiunge velocemente e lo afferra per un braccio, costringendolo a voltarsi.
«Perché hai ordinato ai tuoi di disporre le navi in circolo?» gli domanda realmente incuriosito, quasi rabbioso.
«Le navi dei Dragoni sono solide a prua, ma sono deboli nel mezzo.» spiega con tono calmo, quasi rilassato «Le attaccheremo là.» conclude subito dopo, nascondendo l'essere sorpreso dal non vederli cambiare tattica. In fondo è risaputo che il loro primo attacco funziona così, per verificare la portata dell'avversario.
Poi tutto rimane assolutamente immobile: pirati e immortali l'uno di fianco all'altra senza paura, pronti a scatenarsi per un fine comune. Rimangono fermi, ad aspettare un ordine che ancora non arriva, con l'incessante tempesta che fa da sottofondo. Secondo gli antichi vichinghi, il venerato Thor sta festeggiando la loro impresa eroica.
Fenrir, in cima alla polena, osserva lo spettacolo che si erge davanti a sé: duecento navi dell'Ordine del Dragone mandate per annientarlo.
Ohhh, Peter... contano davvero così poco per te?
Rimane fermo, ad aspettare.
Riesce a vedere il Primo Comandante delle loro flotte sulla prua per constatare la situazione, e vede anche lo stupore e la paura nei suoi occhi. Per un breve istante prova pietà per lui, per la sua debolezza, ma poi si ricorda degli occhi lucidi pieni di paura dei suoi figli, e l'odio che nutre nei loro confronti aumenta a dismisura.
Quando la distanza è giusta, urla a pieni polmoni «ADESSO!!!» e le navi velocemente si allontanano, aprendo un varco per far passare avanti quelle corazzate.
Affiancano i nemici e le loro grandi navi, portandoli ai margini per poter colpire meglio.
Il Dragone e la sua ciurma rimangono indietro come ordinato, ad attendere.
Qualcuno grida “ALL'ATTACCO!!!” e i feroci guerrieri alzano gli scudi ed impugnano le lance.
Gli avversari scoccano frecce d'argento per abbatterli, riuscendo talvolta a colpirli in punti vitali.
Anche i nostri, però, riescono ad andare a segno con le lance, trapassandoli da parte a parte, talvolta più corpi contemporaneamente, uccidendoli in massa.
Poi con un tacito accordo, due navi si dirigono perpendicolarmente alla nave madre avversaria.
I Dragoni non possono fare niente, se non maledirsi per aver deciso di seguire quel folle.
L'impatto è violento, brutale, e la nave nemica si spezza, donando agli abissi i corpi dei Dragoni boriosi.
Altre navi ripetono lo stesso procedimento, affondandone in gran numero.
Urla agghiaccianti come di terrore si levano in aria, non riuscendo però a scalfire il cuore dell'antico Sovrano.
Sotto di loro, il mare si tinge di rosso.
Killian gli si avvicina velocemente, pronto a riportare le notizie più importanti al suo Signore.
«Resoconto dei danni.» ordina questo con tono duro e piatto, tenendo sempre lo sguardo ben fisso davanti a sé. Se li ha mandati così velocemente e così in massa, significa semplicemente che l'isola è ormai molto vicina e voleva limitare i danni, se mai questo fosse stato possibile.
«Distrutte centosettantuno navi nemiche e sette alleate.» riferisce sbrigativo il mannaro, gioendo interiormente.
«Come inizio è accettabile, non trovi?» gli domanda Týr, sempre al suo fianco.
«Può andare.» ammette controvoglia, passandosi una mano tra i capelli, in modo da liberarsi dalla frangia ormai madida di pioggia «Ora andate ad indossare le vostre armature.»
«Come facciamo?» domanda realmente confuso Killian, che proprio non saprebbe dove metter mano. Finché devono aiutare gli umani o i vampiri è un lavoro semplice, ma se devi corazzare degli enormi lupi che a stento riescono a tenere piccoli oggetti per le mani, la situazione diventa un tantino più complicata.
«Ci pensiamo noi.» afferma duro Týr, dando una lieve pacca sulla spalla al fratello «Fai radunare tutti gli altri, c'è poco tempo.» ordina subito dopo a Killian, facendolo scattare come una molla.
Dopo quell'ordine, dato in fretta e furia da Killian, tutti i mannari sembrano essere caduti nel panico. Nessuno sa dove deve andare, a chi deve rivolgersi, quali siano i propri pezzi e soprattutto come montarli.
Uno dei Comandanti, inspiegabilmente più agitato di tutti gli altri, continua a scrutare tra la folla con uno sguardo maniacale.
Manca poco tempo, lo sa, e lui non è proprio il tipo che va a morire pieno di rimpianti. In realtà, poi, i rimpianti sono solo due: non poter vedere suo fratello diventare il Re dei Pirati e l'altro sarebbe facilmente risolvibile, se solo trovasse quella dannata lupa.
Poi, come un fulmine a ciel sereno, eccola lì, intenta a sbraitare contro i compagni perché le manca l'elmo.
Ace si blocca per un istante, sorridendo davanti alla sua determinazione, al fuoco che la anima, e poi, senza rendersene conto, le marcia contro, arrivando a pochi metri da lei.
Silly neanche lo calcola, troppo presa dai preparativi, e nemmeno sente la sua voce richiamarla in mezzo a quel caos. Quando però sta per sparire con i compagni sottocoperta per indossare l'armatura, sente chiaramente qualcuno strattonarla all'indietro per un braccio.
Non fa un tempo a sottrarsi o snudare le zanne, perché le labbra di Ace sono sulle sue, impetuose, calde, animate da una passione bruciante.
Contro ogni logica, poi, la lupa porta le sue sottili braccia attorno al collo muscoloso del ragazzo per sentirlo più vicino, affondando le dita sottili tra i suoi capelli corvini.
Ricambia quel bacio per pochi secondi, trasmettendogli forza e passione, per poi staccarsi. Rimane a pochi centimetri da lui, guardandolo con una taciturna richiesta negli occhi prima di andarsene.
Akemi gli si avvicina cautamente, con un sorrisetto ad incresparle gli angoli della bocca.
Ace lo nota immediatamente e semplicemente fa spallucce. «Sicuramente moriremo entro sera, dovevo togliermi lo sfizio!» si giustifica così, facendola ridere forte «Ora muovi il culo e vai a prepararti, forza!»
La guarda correre via per aiutare i compagni, e il suo cuore comincia a battere piano, ma allo stesso tempo forte.
Un tuono squarcia il cielo plumbeo, facendogli alzare gli occhi.
Sta accadendo tutto così velocemente...
Un lampo quasi lo acceca, conducendo poi il suo sguardo sulla piccola chiazza nera che si staglia all'orizzonte: Inngangen til Helvete.
Sospira forte, calcandosi il cappello da cowboy sulla testa, sorridendo tetro.
La morte ci attende.

 

Inngangen til Helvete ha un fascino sinistro e lugubre: l'erba smeraldina che un tempo ricopriva il terreno ora è arida, secca, rada e marroncina; il fiume che sfociava nel mare si è seccato, gli alberi spezzati.
Quando ancora era un'isola florida c'era un vasto villaggio di pescatori, adesso ridotto in un ammasso di capanne in rovina, in una vera e propria città fantasma.
Vedono in lontananza l’antico castello fatiscente, totalmente in balia delle condizioni atmosferiche da secoli. Guardandolo Fenrir comprende subito che dovrà trovare un modo, uno qualsiasi, per trascinare Peter lontano da lì, in modo tale da evitare che il tutto crolli sopra ad Akemi e il povero pirata. Non che si aspetti di trovarlo veramente vivo, ma vuole comunque sperarci.
Marco, in volo, circondato da quelli che si sono dimostrati degli assai fedeli grifoni, perlustra la zona a debita distanza, concentrandosi con tutto sé stesso per riuscire ad individuare i cecchini appostati ed eliminarli immediatamente. Sa bene che la maggior parte degli immortali alleati sono perfettamente in grado di schivare i colpi e che i suoi fratelli sono stati equipaggiati con pezzi di armature pressoché indistruttibili, ma in guerra nessuno può prendersi il lusso di prendere le cose alla leggera.
Dall'alto della sua posizione, può vedere chiaramente orde di creature che mai avrebbe pensato di poter vedere. Solo di alcune conosce il nome, quelle che ha visto ad Helheimr; per quanto riguarda le altre, può solo sperare che non siano letali come sembrano.
Di tanto in tanto allunga lo sguardo verso i compagni che stanno sbarcando velocemente: le ninfe, le banshee e i mostri marini, capitanati da Namiur, circondano le imbarcazioni, pronti a tutto pur di evitare che vengano danneggiate; due grosse imbarcazioni cariche di non-morti vengono nascoste dietro l'altura dalla quale hanno intenzione di attaccare; i pirati e gli immortali, armati fino ai denti, scendono veloci, pronti alla guerra.
Potrebbe funzionare, pensa sogghignando, mentre una lieve speranza si fa largo nel suo cuore.
Certo, il numero dei nemici è assai maggiore del loro, ma non sarà certo questo dettaglio a spegnere l'ardore che anima quei mostri, che li spinge a battersi per uno di loro.
Con la coda dell'occhio, neanche l'avesse fatto a posta, nota la chioma selvaggia di Akemi ondeggiare nel vento e la sua pelle candida risplendere sotto la luce del sole.
Vorrebbe essergli vicino in quel momento, prenderle una mano e guardarla nei suoi occhi gelidi e pieni di paura e dirle che andrà bene, che crede in lei e che ce la farà, ma sa che non è il momento di perdersi nei sentimentalismi.
Ha un plotone di grifoni incazzati neri a cui badare, che bramano solo la guerra e la morte dei loro avversari.
Per dirle tante smancerie avranno tempo dopo la battaglia. O, almeno, questo è quello che spera.


Peter Bàthory Lothbrook li guarda dall’alto della sua postazione, da una torretta ormai semidistrutta che continua a resistere con ferocia alle intemperie.
Li guarda e sorride, lieto di vedere che il suo banale trucchetto ha funzionato.
In realtà era convinto che avrebbe trovato diversi impicci sul suo cammino, ma invece tutto è filato liscio come l'olio: ha inciso la runa con il proprio sangue Lothbrook su una piccola imbarcazione e ha mandato le sue puttane alleate ha prendere il pirata e torturare la piccola e dolce vampira dal viso da bambola.
Oddio, come si chiamava?, si domanda sfiorandosi il mento con la punta delle dita, osservando i nemici affaticarsi mentre sbarcano.
Alcuni dei suoi sottoposti avevano proposto di attaccarli immediatamente, di distruggerli non appena li avessero avvitati, ma Peter è stato categorico: vuole la guerra, quella vera, dove le carcasse si ammassano, l'odore della polvere da sparo, della pelle carbonizzata e della morte. Vuole il caos assoluto!
Lui ha combattuto molte guerre nella sua lunga vita e ogni volta si è divertito un mondo.
«Vi dovrei parlare, mio Signore...» una delle sue ancelle gli cinge i fianchi con le esili braccia, poggiando la guancia sulla sua spalla e osservando distrattamente ciò che avviene non molto distante da loro.
«Non penso che sia necessario.» risponde pacato Peter, scrollandosela di dosso in malo modo. Non c'è tempo per il sesso o per qualsiasi sentimento. Adesso c'è solo il tempo di uccidere e dilaniare, squarciare gole e amputare arti. Solo questo conta.
«Si tratta di Týrion...» pigola la giovane mannara, provando ad andargli dietro.
Per un breve istante ripensa a quel povero, piccolo Dragone che si è preso. Prova una certa pena nei suoi confronti, rinchiuso in quella cella di contenimento da lui stesso ideata.
Si domanda se ci sono dei miglioramenti, se il suo organismo continua a rispondere positivamente al virus che gli ha iniettato, se le direttive che gli ha dato nella lettera sono chiare e, soprattutto, se le eseguirà.
Le donne che sono con lui, ne è sicuro, faranno tutto ciò che è in loro potere per deviare la sua fragile mente e convincerlo a battersi per la sua causa, un domani.
«Non voglio sapere niente.» risponde secco, voltandosi appena un secondo verso di lei e fulminandola con i suoi occhi che ardono come carboni scarlatti «Prendi una barca e allontanati da qui. Seguilo nel suo sviluppo e poi sparite. Mi rifarò vivo io.» ordina subito dopo, rigirandosi fulmineo e dirigendosi verso il grande letto a baldacchino dove ha riposato per tutti quei giorni.
«Ma Signore...» pigola la donna, torturandosi le mani per il nervoso. Sa bene che una parola di troppo con lui può essere l'ultima «Il pirata che abbiamo preso... sta...»
«Che crepi, non m'importa niente.» risponde secco, prendendo con entrambe le mani la magnifica arma che suo padre forgiò a posta per lui: la Mannaia Decapitatrice, un'arma che nonostante il suo enorme peso è in grado di maneggiare perfettamente. Questa spada ha un potere speciale, ovvero quello di rigenerarsi assorbendo il ferro dal sangue delle vittime falcidiate, motivo per cui non ha neanche un graffio.
Se la issa in spalla con fare disinvolto, quasi annoiato, e torna a fissare alla finestra la calcagna di gente che si ammassa e prende posizione.
Poveri idioti..., pensa, sghignazzando. Potrete combattere per interi decenni, ma sarà tutta fatica sprecata per voi. C'è solo un modo per porre fine a queste ostilità, miei preziosi guerrieri: tagliare la testa al serpente!




*Per evitare altri malintesi, spiego anche questo (Perché non ricordo di averlo fatto in precedenza): i vampiri piangono sangue, i licantropi no. Fatto!

Angolo dell'autrice:
Beh, malgrado l'esame di Venerdì – poi rimandato a Martedì... DI*****!!! - , sono stata veloce nell'aggiornare, no? :3
Piccolo chiarimento: sì, la spada di Peter è la stessa di Zabuza Momochi (Naruto), personaggio che ho sempre profondamente adorato *w*
Cooomunque! Che ve ne pare? Sono veloci i nostri immortali a pianificare tattiche di battaglia e mettersi in moto! In 24h sono arrivati a destinazione e sono già pronti allo scontro!
Dal prossimo capitolo botte a non finire, mutilazioni, sacrifici, sangue!... dite la verità, non aspettavate altro, eh? :P Beh, in tal caso, spero con tutto il cuore di non deludervi! Non ho mai scritto una scena di guerra come quella che ho in mente, quindi non sarà una cosa semplice per me!
Beh, detto questo, ringrazio di cuore Chie_Haruka, Okami D Anima, Aliaaara, Monkey_D_Alyce, KURAMA DI SAGITTER, ankoku e Yellow Canadair per le magnifiche recensioni che mi hanno lasciato nello scorso capitolo. Siete dei tesori!
E ringrazio anche tutti coloro che la seguono silenziosamente o che magari, anche solo una volta, hanno lasciato un loro pensiero. Siete davvero gentilissimi, grazie!

Un bacione
Kiki

  
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