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Autore: ClaireLongHair    26/01/2015    0 recensioni
Inghilterra 1937.
Un ragazzo, Josh Lohan.
Una ragazza, Anita McGragor.
Una grande passione a tenerli vicini.
Una tragedia ad allonanarli.
Può la forza dell'amore lasciare sperare un lieto avvenire?
Solo il tempo può dimostrarlo.
Solo il vero amore ci può riuscire, e io credo che esista.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO V

 
29 settembre 1937, Oxford – Inghilterra.
Erano passate un paio di ore dall’alba di quel giorno e la sala in cui si sarebbe tenuto il corso di letteratura inglese delle origini cominciava lentamente a riempirsi di studenti dai volti emozionati per la loro prima lezione. Josh Lohan era appena giunto nell’atrio della sala, portando con se un paio di volumi, la sua biro e un quadernetto su cui meticolosamente prendere appunti. Sopra alla linda camicia blu cobalto indossava la solita giacca di suo padre, illudendosi in qualche modo di essere ancora tra le mura di casa per placare quel pizzico di nostalgia che ogni tanto gli bussava dentro. Era diventata ormai come il suo portafortuna. Prima di procedere, si fermò a guardare la panoramica che gli si poneva di fronte. Una massiccia cattedra in legno di mogano era piazzata al centro della sala che architettonicamente ricordava moltissimo la struttura di un teatro greco. Poi a semicerchio si stagliava una sfilza di posti per le matricole. Dovevano essere più di un centinaio. Josh, più sereno di quanto avrebbe mai immaginato, si incamminò verso il corridoio centrale sedendosi in quarta fila, sulla sinistra. Poggiò gli oggetti che si era portato dietro sull’apposito piano che fuoriusciva dal bracciolo della poltrona e, con molta discrezione, prese ad osservare quelli che da quel giorno sarebbero ufficialmente diventati i suoi colleghi di università. Diversi di loro avevano un’aria molto sicura di sé, forse per certi versi anche fin troppo. A Josh sembrava quasi di vederli a distanza di vent’anni, seduti in panciolle, alternando a sorsi di scotch tiri di pipa e discutendo su come tenere alto il loro buon nome, portando a termine affari incentrati sull’acquisto di miniere di carbone, convegni politici e finanziamenti per la promozione di spettacoli teatrali o associazioni di beneficienza. Altri sembravano già immersi nello studio, sfogliando ossequiosamente volumi che parevano già vissuti. Qualcuno aveva un’aria completamente spaesata e nervosa, forse a motivo dell’indomabile timidezza.
E poi c’era Josh che non riusciva a provare nessuna delle sensazioni che potevano essere identificate con una parola. Probabilmente perché erano così tante le emozioni che si affastellavano dentro di sé al punto che diventava praticamente impossibile distinguerle.
L’aula si riempì del tutto, lasciando solo pochi posti ancora vuoti.
« E’ libero qui? » chiese un ragazzo, indicando con estrema calma il posto vuoto di fianco a Josh.
« Certo. Accomodati pure. » rispose, cercando di apparire il più cordiale possibile.
Il ragazzo, sedutosi, inforcò un paio di occhiali dalle tonde lenti profonde e se li mise sul naso, poi prese dalla sua borsa qualche libro dalla copertina un po’ sgualcita, poggiandoselo sulle gambe e assumendo una postura più composta. Aveva uno sguardo solenne e completamente rapito come se stesse aspettando l’inizio di un evento di eccezionale importanza. O almeno questa era l’impressione che aveva avuto Josh al punto che non aveva osato dissacrare con qualche stupida frase di circostanza l’atmosfera che il ragazzo si era costruito attorno. Forse era meglio rimandare a qualche altra volta la possibilità di allargare la cerca di conoscenti.
« Buongiorno a tutti. » echeggiò la voce dell’uomo che presumibilmente doveva essere il docente del corso.
Gli studenti si alzarono in segno di rispetto, zittendosi all’istante.
Il professore si sfilò il pastrano, adagiandolo sulla poltrona di pelle rossa, dietro la cattedra. Poi si schiarì la voce e cominciò il suo pacato discorso inaugurale.
Dopo che ebbe illustrato il programma che andava affrontato nelle lezioni seguenti, impugnò un gessetto bianco e squarciò l’enorme lavagna nera, scrivendo: Old English.
Il professor Taylor (così disse di chiamarsi), senza perdere altro tempo con i convenevoli, cominciò a spiegare il concetto di Old English o lingua anglosassone, proponendo un excursus storico-culturale sulle popolazioni che si erano avvicendate nel territorio britannico e le novità linguistiche che avevano apportato. Raccontò di Angli, Sassoni, Iuti, della politica di evangelizzazione per mano di papa Gregorio I tra la fine del 500 e l’inizio del 600 d.C., dell’operato di sant’Agostino in Inghilterra e san Patrizio in Irlanda, argomentando il tutto con delle interessanti riflessioni sugli atti di distruzione di monasteri e biblioteche da parte dei vichinghi di Danimarca, fino alla svolta segnata dalla grande missione culturale di Alfredo il Grande.
Dopo qualche ora, il docente tirò fuori dalla giacca un orologio da taschino e osservando che mancava solo qualche minuto al termine della sua lezione si avviò alla conclusione.
« Prima di dileguarvi nei corridoi, passate a ritirare dalla mia scrivania questo modulo con su i nomi dei volumi antologici che leggerete e approfondiremo insieme col procedere delle lezioni. In cima alla lista troverete il titolo del codice Cotton o manoscritto di Beowulf. Procuratevelo per la prossima settimana. Per vostra informazione, nei meandri delle nostre biblioteche ce ne sono centinaia di copie. Superfluo è dire che dovrete cominciare a leggere quanti più versi riterrete opportuno, e man mano che leggete appuntatevi tutte le domande che vi vengono in mente, i passaggi che non sono chiari. Scrivete tutto su un foglio così da potermelo consegnare. Siamo qui per farci domande, per creare dubbi e non certezze. Chiedetevi il perché di ogni singolo termine o espressione. Interrogate voi stessi nel modo più spietato. » poi si sedette e prima di congedare quei volti un po’ perplessi, aggiunse, alzando le mani:
« Dominus illuminatio mea. »
 
* * *
 
Dopo aver seguito altre ore di lezione sulla grammatica e sulle tecniche stilistiche dell’inglese anglosassone, Josh poté considerare concluso il suo primo giorno di università.  
Si sentiva un po’ stordito. Aveva prestato la massima attenzione a tutto ciò di cui si era discusso. E, instancabilmente, la sua mano aveva diligentemente scritto gran parte delle parole proferite dai docenti. Era molto soddisfatto, e soprattutto appagato di come erano cominciati i lavori. Si erano fatte le cinque del pomeriggio e, prima di tornare alla locanda di Mrs Gibbson, gli balenò in mente quel caffè in cui l’altro giorno aveva visto la ragazza dai morbidi capelli color carota. Inspiegabilmente sul suo volto si disegnò un incantevole sorriso e quando se ne rese conto se ne meravigliò, cercando di tornare serio. Guardò l’orologio e vide che mancavano ancora venti minuti prima dell’arrivo di Nate. Quasi sollevato per il tempo ancora a sua disposizione, a passo più spedito percorse quei pochi metri che lo separavano dal bar, speranzoso di rivedere quella giovane e scoprire almeno come si chiamasse.
Prima di entrare, diede un’occhiata da dietro ai vetri. Il locale non era particolarmente affollato. Dietro al bancone c’era solo la ragazza col morbido caschetto castano, dallo sguardo innocente e trasognato. Finalmente Josh entrò e ordinò del the e qualche biscotto di marzapane, poi prese posto nel tavolo vicino alla vetrata, come la prima volta.
Guardandosi in giro, non vide nemmeno l’ombra di quel visino lentigginoso che lo aveva ricondotto lì. E dovette ammettere a sé stesso di esserci rimasto un po’ male. Una volta che ebbe finito di sorseggiare il the dalla sua tazza, pagò il conto e ritornò al Bridge of Sights, in attesa di scorgere la Rolls Royce di Nate. Voleva ritornare in hotel al più presto per riposare e godersi gli ultimi giorni in compagnia della signora Gibbson, prima di trasferirsi in uno dei dormitori a disposizione del college. Dopo più di una decina di giorni poteva dire di sentirsi un po’ a casa grazie alle chiacchierate con quella donna assai simpatica  e tenace. Anche con Nate si sentiva molto a suo agio. Era un bravo ragazzo ed era certo che, una volta lasciato l’albergo, sarebbe andato spesso a trovarlo.
Si sedette su una panchina dirimpetto all’edificio universitario e tirò fuori dalla sua borsa il suo libro di poesie greche scritte da Saffo.
Aprì il volume più o meno al centro e gli occhi gli si posarono su alcuni versi di un’ode che dicevano:
 
Τας κέ βολλοίμάν έρατόν τε βάμά/ κάμάρυχμά λάμβρόν ϊδήν προσώπώ/ ή τά Λυδών άρματα καν όπλόισι/ πεσδόμάχεντάς.
 
« è il suo amabile inceder che vorrei
rivedere e il lampo chiaro del volto
più che i carri dei Lidi e con le armi
la fanteria. »
 
Erano dei versi sottolineati, che aveva letto e riletto. Eppure ogni volta gli trasmettevano un messaggio nuovo, simile a una forte nostalgia idealizzata nei confronti di un qualcosa. O di qualcuno. E in quel momento, negli occhi della sua mente si figurò la delicata bellezza di quel volto lunare costellato di lentiggini all’altezza di quel naso piccolo e all’insù. E poi si immaginò il manto rosso ed energico dei larghi ricci che danzavano sulle sue spalle, accompagnando ogni sua movenza.
Voleva rivedere quella ragazza. Quante possibilità aveva di rincontrarla in una città affollata e di quelle dimensioni? Probabilmente nessuna.
“E’ il suo amabile incedere che vorrei rivedere e il lampo chiaro del volto.” Pensò, toccando una sbavatura di inchiostro, colata via da una sottolineatura.
Un colpo di clacson lo destò da quelle fantasie. Spostò il suo sguardo sull’altro lato della carreggiata e vide Nathan dentro all’autovettura che lo salutava con la mano.
Josh gli fece cenno e rimise di fretta il libro di poesie dentro alla borsa. Si alzò, attraversò la strada e solo mentre stava per aprire la portiera si accorse che davanti alla panchina, su cui era seduto fino a pochi secondi prima, stava passando una giovane dall’aspetto raffinato e soave. Una ragazza tanto simile a quella della sua mente. Rimase immobile qualche istante, cercando di scrutarla meglio per accertarsi che fosse proprio lei. Indossava un tailleur molto elegante che si intravedeva appena da sotto al cappotto marrone scuro. Passeggiava con un portamento sicuro, ma non orgoglioso, a braccetto con un uomo di diversi anni più grande che portava dei baffi folti e ben curati. La ragazza aveva un lieto sorriso sul volto, chiacchierando con quello che sembrava essere suo padre e che, al contrario suo, aveva un’espressione poco gioviale e quasi imbronciata.
Furono istanti lunghissimi per Josh. Guardandola intensamente sperava che si voltasse a ricambiarlo tanto per essere più sicuro che si trattasse proprio di lei.
E la speranza si fece concreta.
Anita si voltò attratta dagli occhi che la desideravano, come era successo al Caffè.
Per un attimo incredibilmente stupendo Josh realizzò ciò che aveva in cuore. La giovane, avendolo riconosciuto, piegò le labbra in una smorfia di sorriso e lui divenne più incredulo di prima, arrossendo lievemente e sorridendo a sua volta. 
Ma furono appunto solo attimi.
La passeggiata proseguì per il suo corso e Josh, svegliatosi da quell’inimmaginabile realtà, entrò in macchina senza dire una parola.
« E’ tutto apposto? » chiese Nate di fronte a quel silenzio.
« Come dici? »
« Eh? Non avrai mica lasciato il cervello l’ha dentro? » ipotizzò il giovane, indicando la struttura dell’Heartford College.
« Scusami, ma stavo pensando. » sorrise.
« L’ho notato, sai? E a cosa? »
« A niente, non ha importanza. »
« Sembrerebbe che ne abbia, invece. Sono curioso, adesso.» lo inlcazò.
« Si tratta di una ragazza. »
« Frena frena frena! » lo interruppe Nate, eccitato per quanto aveva sentito: « Già al tuo primo giorno ti lasci rubare il cuore? » lo canzonò. « E chi sarebbe? »
Josh scoppiò in una risata divertita: « Potrei parlartene per ore e ore. Raccontarti di ogni singola parte di lei, del suo sorriso e dei suoi occhi. Ma non conosco il suo nome. »
« E dove l’hai incontrata? »
 
* * *
Durante il tragitto, Josh raccontò per sommi capi di Anita, senza entrare nel vivo delle sue emozioni, limitandosi semplicemente a parlare del suo aspetto incantevole e aggraziato.
Voleva tenere nascosti i suoi sentimenti, almeno fino a che non avesse avuto il coraggio di scambiare quattro chiacchiere con lei. Non voleva montare attorno alla ragazza dei suoi sogni una storia evanescente, carica di particolari nati dalla sua fantasia a furia di parlarne.
 
La cena alla locanda di Mrs Gibbson era più che deliziosa.
Josh aveva un appetito gigantesco. Si sentiva davvero sfinito dopo l’intensa giornata di studio e, fatta una rigenerante doccia calda, si recò nella sala da pranzo. Mrs Gibbson e Nathan lo invitarono al loro tavolo e la donna con entusiasmo palpabile gli chiese dettagli sul suo primo giorno di college in cambio di risposte con dovizia di particolari.
Josh si sentiva davvero fortunato ad avere trovato persone così affabili e disponibili. Sarebbe stato più difficile se non avesse avuto qualcuno con cui sfogarsi o confidarsi. Mrs Gibbson e Nate erano per lui una benedizione.
 Il piatto di Roast Beef era il più buono che Josh avesse mai mangiato. Porzioni di tenera carne, circondate da una squisita crosta dorata, erano accompagnate da patate a tocchetti e da una gustosa purea che emanava un pungente ma delicato aroma di rosmarino.
Il giovane lo divorò in pochissimo tempo e quando ebbe finito, Mrs Gibbson gli verso del vino rosso:
« Bevi, caro. Mio marito diceva sempre che dopo un buon pasto il vino delle nostre campagne è d’obbligo. »
Josh sorrise, ripensando a suo padre e alla botte di vino gelosamente custodita nel suo laboratorio. E mentre sorseggiava dal suo bicchiere gli venne un’irrefrenabile voglia di trovarsi con la sua famiglia, con suo fratello Matt e quel pazzoide di Zac.
Dopo qualche altra breve conversazione, si congedò dal tavolo e si recò in camera sua, augurando loro di trascorrere una notte serena. Giunto in stanza, si tolse i vestiti di dosso e infilandosi sotto alle coperte, accese il lume per controllare ancora una volta la lista dei libri che avrebbe letto nei mesi a venire. Erano tutti testi molto antichi che non possedeva di sua proprietà. Perciò la mattina seguente, prima delle lezioni avrebbe dato un’occhiata in biblioteca per non perdere altro tempo con i compiti assegnatigli. Peraltro, molto presto si sarebbe trasferito al dormitorio dell’università e si dispiaceva un po’ di lasciare quell’ambiente che lo aveva accolto con tanto calore. Mentre la sua mente vagava, il sonno ebbe la meglio e si addormentò beatamente avvolto da quelle calde coperte, preparandosi a vivere un altro giorno di emozioni che la vita gli aveva riservato.    
   
 
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