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Autore: Rachel_Daae    26/01/2015    1 recensioni
Nella mia mente, Teresa non è stata l'unica ragazza ad entrare a far parte dei Radurai. Poco prima di lei, Pearl ha inseguito il suo passato ed i suoi ricordi, correndo nell'intricato Labirinto nel quale si è trovata prigioniera. Divisa tra la voglia di libertà e ricordi confusi e spaventosi che la legano ad un raduraio, Pearl cercherà la sua via di fuga. | Ispirata molto liberamente al primo romanzo della saga di Dashner.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gally, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Our time apart, like knives in my heart.'
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Ciao bellissimi pive! Dunque è deciso: aggiorno di lunedì e di giovedì! Così oggi, appena tornata da un esame in università, aggiorno!
Ecco la seconda parte della fic. Come al solito vi invito a tener conto delle modifiche che ho apportato ai personaggi, sperando di non averli sconvolti del tutto, rifacendomi al film e soprattutto vi ringrazio per le recensioni!
Rachel
 

Parte 2
 
Un mese dopo il mio arrivo, la sirena nella Radura suonò di nuovo e a noi si unì Chuck.
Se io ero la prima donna a raggiungere il gruppo, lui fu sicuramente il più giovane di tutti a salire attraverso la Scatola. Aveva sì e no undici anni ed era perennemente spaventato.
Alby lo affidò a me, pensando che, visto che ero l’unica ragazza fra i radurai, avrei avuto la sensibilità adatta ad accogliere il giovane. Finalmente non ero più una Fagio. Tutti gli altri iniziarono a chiamarmi con quello che sapevo essere il mio nome, Pearl. Tutti tranne Gally, ovviamente, che a dire il vero non mi rivolgeva la parola affatto.
Nel suo primo giorno alla Radura, Chuck mi fece da ombra, trotterellando al mio fianco mentre lo introducevo alla nuova vita. Mi ci volle un po’ per calmarlo, dopo che se la fece addosso due o tre volte per lo choc di essere approdato qui, ma quando si convinse che non ero una minaccia, ci mise poco a fidarsi di me.
- Chuck, ti presento Newt, Jeff, Zart e Frypan…- gli dissi in prossimità dell’orto presso il quale i ragazzi si erano incontrati per pranzare.
Il sole era alto nel cielo e faceva caldo, ma nessuno di loro pareva accorgersi della fatica del lavoro.
Dei costruttori, comunque, non c’era traccia. Da alcuni giorni erano impiegati in un qualche cantiere importante e lavoravano senza freno anche durante la pausa pranzo, così ringraziai la mia buona stella per aver tenuto Gally ed i suoi lontani da me, o sarei stata costretta a presentare a Chuck l’unica persona con la quale non volevo avere a che fare.
Incontrare Gally per la Radura o durante i pasti mi provocava ancora qualche problema di contegno, soprattutto perché lui non si risparmiava dal mostrare il suo astio nei miei confronti con aspri sguardi di disappunto o, talvolta, con commenti maligni.
- Wow!- esclamò Chuck, riportando la mia attenzione su di é. – Allora è vero!-.
- Vero cosa?- domandai confusa.
- Che sei l’unica femmina qui! Forte!-.
Ridemmo tutti. – Beh, Fagio, sono contenta di vedere che la cosa ti ha tirato un po’ su il morale-. Battei sulla sua spalla, esattamente come aveva fatto Alby con me alla mia prima apparizione nella Radura.
- Ti lascio nelle mani di Frypan. Sono sicura che andrete molto d’accordo!- gli dissi, alludendo alla passione per il cibo, palese nelle rotondità di entrambi.
Quel giorno, l’arrivo di Chuck e la mia “promozione” non furono le uniche novità, almeno per me.
Lasciai il nuovo arrivato con Frypan perché dovevo riprendere il mio allenamento e compiere una ventina di giri del perimetro della Radura prima del ritorno di Minho e degli altri. Ci tenevo particolarmente, ora che ero tornata ad essere solo Pearl, ad essere considerata un po’ di più anche all’interno del gruppo dei Velocisti. Volevo mostrare a Minho quanto mi stessi impegnando e quanto meritassi di affiancarlo nel Labirinto. Volevo vedere cosa c’era fuori dalla Radura.
Probabilmente in me si era fatta spazio anche la piccola speranza di uscire da qui, di ottenere risposte, di capire chi fossi e da dove provenissi.
Nessuno ne faceva mai alcun cenno, ma ero sicura che ogni raduraio nel proprio intimo coltivasse l’idea di poter un giorno salvarsi. Anche se la Radura era un posto sicuro e anche se dopo anni senza alcuna risposta, Alby e gli altri erano riusciti a costruire una piccola società pacifica e funzionante, non potevo davvero immaginare che si potessero essere arresi a vivere per sempre così, lavorando e affrontando i Dolenti con stoicismo, come se fosse tutto ordinario, come se fosse quella la vita vera.
Andai a correre, motivata e piena di vita. Dopo un paio di giri avevo detto addio al fiatone e raggiunto l’equilibrio nel ritmo del respiro e nei passi. Possedevo persino un nuovo paio di scarpe da corsa, giunte nella Scatola insieme a Chuck, e questo mi rendeva in qualche modo più felice.
Arrivata in prossimità del casolare che ci faceva da dormitorio, dove i costruttori erano al lavoro; approfittai di un albero dietro al quale passai per tenermi lontana dalla vista di Gally e proprio l’albero fu la causa di quello che ogni Velocista non si augura di dover mai affrontare: inciampai in piena corsa in una radice sporgente, caddi rovinando sulla terra battuta e sull’erba e mi slogai una caviglia.
Dovetti ringraziare che non mi fosse successo nel Labirinto, ma mi maledissi per aver urlato a causa del dolore lancinante al piede. Se qualcuno mi avesse sentita e mi avesse soccorsa, per me e per il mio ruolo nei Velocisti sarebbe stata la fine. Dovevo rialzarmi, darmi un contegno, trascinarmi in infermeria, sperare che nessuno dei Medicali fosse presente, fasciarmi da sola la caviglia e continuare a comportarmi come se nulla fosse.
In poche parole puntavo all’impossibile, poiché, anche se fossi riuscita a curarmi da sola, avrei destato i sospetti di tutti, Minho in primis, non avendo alcun modo per nascondere eventuali fasciature, dolori o camminate zoppicanti.
Non potevo nemmeno rimettermi a correre o avrei solo peggiorato lo stato della mia caviglia e comunque il dolore era troppo forte perché riuscissi a mettermi in piedi. Mi ci voleva del tempo e, quando anche il tramonto sarebbe passato, i Velocisti sarebbe venuti a cercarmi e mi avrebbero scoperta qui, dietro l’albero.
Chiusi gli occhi e strinsi le mani attorno alla caviglia, concentrandomi ed imponendomi di non emettere alcun suono per non attirare l’attenzione di nessuno mentre facevo mente locale alla ricerca di una soluzione al guaio nel quale mi ero appena cacciata.
Sentii comunque i passi affrettati dirigersi verso di me e lo scrocchiare di foglie al passaggio di una persona decisa e pesante. Quando riaprii gli occhi, Gally era davanti a me e si stava chinando.
- Ti sei fatta male?- chiese atono, evitando di guardarmi.
- No, non è nulla. Lasciami in pace, devo tornare ad allenarmi.-
L’ultima persona che avrei voluto accorresse in mio soccorso era con me e stava allungando le sue mani per afferrarmi la caviglia slogata. Mi ritrassi per tempo e non mi trattenni dal gridargli contro:
- Non toccarmi! Stammi lontano! Non voglio che ti avvicini…-.
Gally alzò le mani, mostrandomi i palmi. – D’accordo, d’accordo! Vuoi calmarti? Sei caduta, ti sei fatta male, devi permettermi di guardare in che condizioni è il tuo piede.-
- Non mi fido di te.-
- Non importa, Fagio. Non mi importa quello che pensi di me. Non ti ho chiesto di fidarti di me. Ti aiuto solo perché sono leale al gruppo e perché so che la mia coscienza non mi lascerebbe in pace se ti lasciassi qui dolorante.-
- Ti ho detto che non mi sono fatta nulla!-.
La mia voce decisa finalmente gli fece alzare lo sguardo. Quelli che incontrai furono occhi furenti e, forse fu a causa del dolore, per la prima volta da quando ero giunta qui, non provai quella forte necessità di avventarmi su di lui e fargli del male.
Gally mi intimoriva, questo era vero, ma ora la paura che provavo nei suoi confronti si era mescolata ad un altro genere di sensazione, meno violenta, ma comunque difficile da decifrare.
Continuò a guardarmi negli occhi, mentre allungava ancora una volta una mano e afferrava con decisione il mio piede, stendendo la mia gamba per poterla osservare. Poi distolse lo sguardo e lo abbassò sulla mia caviglia ormai gonfia. Iniziò a massaggiarla con le dita forti e decise, provocandomi fitte di dolore che trattenevo a stento serrando i denti con forza.
- Pearl.- gli dissi.
- Cosa?- domandò lui, confuso, dopo che lo avevo distratto dall’esame attento che stava dando al mio piede.
- Mi chiamo Pearl ora. Non Fagio. Oggi è arrivato uno nuovo, si chiama Chuck. È lui il Fagio adesso.- lo informo.
- Già…Beh, come ti ho già detto non mi importa molto di te, ma grazie per l’aggiornamento. Ho avuto da fare nel costruire la parte di dormitorio che ti spetta, visto che i Creatori sono stati così generosi da mandarci un essere che non può nemmeno adattarsi alle nostre condizioni di vita…- disse con una punta di disprezzo nella voce.
- Io mi adatto benissimo.- ribattei. Non avevo idea del fatto che Alby avesse messo Gally ed i suoi al lavoro per munire me di un posto in cui dormire, di un angolo sicuro in cui avere anche un po’ di privacy e una pausa dal mondo interamente maschile nel quale ero capitata.
- Questo si vedrà. Adesso ti aiuto ad alzarti. Devi venire con me al dormitorio. Lì nessuno ti vedrà.-
- Vuoi dire che non hai intenzione di dirlo agli altri?-. Fui sinceramente sorpresa di sentirgli dire una cosa simile. Fra tutti i radurai, Gally era quello sul quale non avrei mai fatto affidamento. E in quel momento mi stava dicendo che avrebbe tenuto un segreto del genere con Alby, Minho e gli altri, suoi amici fidati da tre anni ormai.
- Non sono quel genere di persona. Continuo a pensare che l’idea di mandarti nel Labirinto sia pessima, ma non sono una spia e se tu ci tieni a suicidarti correndo in braccio ai Dolenti, tanto meglio. Sarai una bocca in meno da sfamare.-
Così dicendo fece passare il mio braccio attorno al suo collo, mi cinse il fianco e mi sostenne, accompagnandomi attraverso il limitare del bosco fino al dormitorio.
Lì mi fece adagiare su un giaciglio che non era il mio, si assentò per qualche minuto e tornò con un unguento e delle garze pulite, materiale probabilmente appena sottratto all’infermeria.
- Questo dovrebbe alleviare il dolore. Ora, per favore, ‘sta calma. Devo solo fasciarti.- e con una tranquillità ed una precisione che mi parvero innaturali, finì il lavoro in pochi minuti.
Strinsi i denti qualche istante per il dolore e, prima che lui si alzasse e se ne andasse, trovai il coraggio di domandargli: - Gally, perché mi detesti così tanto?-.
Lui parve sorpreso, accennò un sorriso sarcastico e mi rispose: - E tu perché odi tanto me?- si voltò e mi lasciò sola nel dormitorio a fronteggiare il dolore alla caviglia.
Gally non aveva risposto alla mia domanda, ma nel suo essere evasivo mi aveva dato l’impressione non solo di avere ben chiari in mente i motivi che lo spingevano a detestarmi, ma anche di sapere, in qualche modo che mi era oscuro, le cause del mio odio nei suoi confronti.
Lui aveva risposte che io non avevo e che forse non avrei mai avuto.

 
***
 
Gally non disse nulla del mio infortunio, né ad Alby e nemmeno a Minho. Gliene fui grata, ma non ebbi mai davvero l’occasione di ringraziarlo per il favore che mi aveva fatto gratuitamente, poiché, sebbene il suo atteggiamento nelle settimane che seguirono si fosse acquietato un po’, lui si tenne comunque alla larga da me, riducendo i contatti ai saluti di cortesia e alle frasi di facciata.
Riuscii in qualche modo a tenere Minho allo scuro di tutto. La slogatura non era così grave come mi sembrò all’inizio ed ogni mattino mi fingevo occupata in esercizi di stretching aspettando che Minho entrasse nel Labirinto, per evitare di camminare davanti ai suoi occhi. Indossavo pantaloni lunghi che nascondessero la fasciatura e ogni notte sistemavo la caviglia con gli unguenti che Gally mi aveva lasciato e che io avevo portato al mio giaciglio e nascosto con cura. I medicali lamentarono la mancanza di alcuni rifornimenti, ma questo genere di cose erano così frequenti nella Radura, dove spesso ci si faceva male lavorando e dove chiunque si permetteva di non disturbare i Medicali e servirsi da solo per curarsi le piccole ferite, che nessuno fece caso ad una garza scomparsa insieme ad un po’ di pomata per le contusioni.
Continuai ad allenarmi, evitando di correre ed evitando di farmi cogliere a zoppicare davanti agli altri. Mi capitava di incrociare lo sguardo di Gally, intento a fissarmi dalla sua postazione di lavoro o durante i pasti e mi pareva a volte di vedere in lui un po’ di quella complicità che mi dava la speranza di riuscire in poco tempo a riprendere la mia scalata nei velocisti.
Buffo era come, sia con il suo disprezzo che con il suo apparente sostenermi, Gally mi spronasse a dimostrare a tutta la Radura quanto valessi come velocista e come compagna.
Dopo l’episodio della caviglia, entrambi fummo protagonisti di un “incidente” alquanto strano.
Devo ammettere che una parte molto grande della colpa fu mia. Messa davanti al fare criptico di Gally, avevo già cambiato idea sul mio comportamento futuro nei suoi confronti e cercai con ogni mezzo di essere amichevole, con il solo scopo di estorcergli le informazioni di cui avevo un gran bisogno.
Volevo risposte e non mi facevo scrupoli per ottenerle. Persino gli altri radurai si accorsero del mio cambiamento e solo Newt ebbe il coraggio, o semplicemente la voglia, di chiedermi come mai avessi seppellito l’ascia di guerra con Gally; domanda alla quale, ovviamente, rifiutai di rispondere.
Il costruttore, dal canto suo, non fece altro che assecondare la mia cortesia senza sbilanciarsi mai.
Come ho già detto, a più riprese mi parve di cogliere il suo sguardo in mezzo al gruppo durante i pasti o seguirmi mentre camminavo per riabilitare il mio piede in prossimità dei suoi cantieri.
In una di quelle occasioni pensai che finalmente stavo per ottenere le risposte che cercavo, quando vidi Gally, in una mattina soleggiata e promettente, abbandonare la postazione di lavoro e correre verso di me, che intanto avevo rallentato il passo per permettergli di raggiungermi.
Mi accorsi presto che quello che pensavo essere uno sguardo amichevole, in realtà era un’espressione di esasperazione ed insofferenza nei miei confronti.
- Ehi, Gally!- lo salutai, cercando di mantenermi cordiale, mentre ansimavo a causa dello sforzo.
Lui non mi guardò nemmeno, mi afferrò per un gomito e mi condusse nel folto del campo di granturco, a pochi passi da dove mi ero fermata. Fu solo lì, in mezzo al fogliame, che placò il suo moto e mi fissò intensamente.
- Si può sapere a che gioco stai giocando?!- mi chiese, evidentemente scocciato dal mio comportamento.
- Non sto giocando, Gally! Perché devi essere sempre così sospettoso? Mi hai aiutata con la caviglia, così ho pensato che forse potevamo…-
- Cosa?! Che potevamo essere amici? No, grazie; io non sono come Minho e Newt, non mi faccio abbindolare da te.-
Non capivo nemmeno a cosa alludesse. I due raduai passavano molto tempo con me, ma l’uno lo faceva in qualità di mio intendente e l’altro perché, essendo vice di Alby, si sentiva in dovere di proteggere e far sentire chiunque al sicuro all’interno della Radura.
Alzai le mani in segno di resa, sospirando rumorosamente. – Sai che ti dico? Ok, mi sta bene! Continua pure a non volermi dare spiegazioni. Da oggi smetterò di sforzarmi di piacerti, visto che nella Radura ci sono tante altre persone che…-
Gally non mi permise di finire lo sproloquio dettato dalla confusione e dalla rabbia del momento, perché in meno di un secondo annullò la distanza che ci separava, mi prese il viso fra le mani e, con una certa urgenza, appoggiò le sue labbra sulle mie, chiudendo gli occhi in un’espressione di sforzo sovrumano, come se stesse cercando di contenere l’ra.
Rimasi impietrita e lo lasciai fare, non so nemmeno perché. Quello era il mio primo bacio, almeno nella mia nuova vita, e per cause che non mi spiegai, mi ritrovai dopo qualche secondo a partecipare con trasporto.
Sapevo baciare, questo era chiaro, ma perché stavo baciando Gally? E perché, mi sorpresi ad ammettere, mi stava piacendo?
Mi aggrappai alla sua maglietta, alzandomi sulle punte nel tentativo di raggiungere la sua altezza vertiginosa, e, quando non ebbi più le forze per continuare “l’esercizio” nel quale ci eravamo cimentati, mi appoggiai al suo petto, incurante del fatto che Gally fosse completamente sudato a causa del duro lavoro sotto il sole.
Tornata in me, appoggiando i palmi delle mani sulle sue spalle, mi allontanai da lui con un sonoro “No!”. Lui parve subito imbarazzato e a disagio; si portò una mano ai capelli castani cortissimi, segnalandomi che anche per lui quello che era appena accaduto era qualcosa di nuovo ed inaspettato.
Tossicchiò per schiarirsi la voce. – Mi dispiace…ehm…non so cosa mi sia preso.-
Fissai la terra arata ai miei piedi, ringraziando che il granturco fosse cresciuto tanto in alto da impedire agli altri di vederci, e tentando di nascondere il fatto che ero arrossita parecchio.
- Già, dispiace anche a me…- iniziai io, ma Gally non mi permise di continuare:
- A dire il vero volevo solo che stessi zitta; a voi ragazze piacciono queste schifezze, no? Ora, se non ti dispiace, torno al lavoro.-
Lo osservai uscire dal campo a falcate decise e testa bassa.

 
***

Passato il mio secondo mese nella radura, dovetti assistere insieme agli altri all’arrivo del nuovo pivello.
Thomas giunse a noi quando ormai il mio piede si era ripreso ed io avevo iniziato a smettere di preoccuparmi che qualcuno mi scoprisse o di aver paura di incappare in Gally, Minho o Alby.
Purtroppo per noi quel poco di pace raggiunta dopo la mia aggressione a Gally e portata anche dall’arrivo di Chuck, che sapeva farsi voler bene da chiunque, fu spezzata da Thomas.
Il ragazzo si dimostrò difficile da contenere fin dal suo arrivo e a me fu subito chiaro che avevamo moltissimi punti in comune. Come me, anche lui tempestava gli altri di domande e, cosa non meno importante, come me anche lui suscitava in Gally un aperto ed inspiegabile astio.
Fu a causa di Thomas che ebbi la possibilità di fare un altro passo avanti nella comprensione di questo sentimento così radicato in me e nel costruttore da spaventarmi.
Il Fagio, affidato alle cure di Chuck, ben contento di passare a lui il testimone di nuovo arrivato, dopo un tentativo di fuga andato a vuoto (oltretutto, dove sarebbe potuto andare?), si era avvicinato pericolosamente ad una delle porte del Labirinto, incurante dei richiami del compagno che non riusciva a stargli dietro.
Lo osservai mentre mi avvicinavo alla porta, seguendo il mio abituale percorso di allenamento per la Radura e notai subito il suo stato confusionale, la sua ansia di ricevere risposte. Evidentemente i ragazzi erano stati con lui molto più criptici e brevi che con me.
- Non puoi entrare lì- gli intimò Chuck.
Mi avvicinai con l’intento di aiutare il mio amico.
- Ha ragione, non puoi. Quello è il Labirinto, solo i Velocisti vi accedono. Non preoccuparti…- mi sbrigai ad aggiungere, notando la sua espressione interrogativa -… lo so che adesso ti sembra tutto strano, ma col tempo le cose cambieranno, ti abituerai alla Radura. È successo ad ognuno di noi.-
Thomas mi guardò ancor più smarrito. Le mie parole, invece che rassicurarlo, lo avevano reso ancor più dubbioso.
- Chi siete voi? Perché siamo qui? Perché non mi ricordo nulla?-.
- Ti dico che è normale. Ora allontanati dalla porta.-
Notai che Thomas non faceva che muovere passi cauti verso il Labirinto. Presto la situazione mi sarebbe sfuggita di mano. Dovevo farlo ragionare.
Allungai una mano nella sua direzione, pronta a scattare nel caso in cui avesse deciso di gettarsi oltre le porte. Mi ero allenata molto, forse avrei saputo gestire il Fagio.
Un raduraio più veloce e più forte, tuttavia, precedette le mie azioni. A dir la verità precedette anche quelle di Thomas, che non si era mosso ancora dalla sua postazione a pochi passi dalla porta.
Era Gally che, gettatosi sul nuovo arrivato, lo aveva immobilizzato a terra con semplici gesti.
- Devi smettere di disobbedire.- gli ringhiò, rosso in volto per lo sforzo nel tenerlo fermo.
Chuck chiamò a gran voce Alby, ma un gruppo di radurai era già accorso, richiamato dagli schiamazzi. Newt tentò invano di far calmare Gally, il quale però non ne voleva sapere di lasciar andare Thomas.
Non resistetti a lungo e mi buttai su Gally, spingendolo via dal nuovo arrivato e provocando in lui ulteriore ira.
- Si può sapere che ti è preso? Avevo tutta la situazione sotto controllo!- gridai.
- Sotto controllo?!- sibilò lui – Io conosco questo dannatissimo pive! Lo conosco!- gridò, lasciandoci tutti impietriti.
- Cosa vuoi dire, Gally?- chiese Newt, avvicinandosi un po’ di più al costruttore che ansimava per lo sforzo di contenere la rabbia.
- Che l’ho visto nella mia Mutazione!-.
Improvvisamente il suo volto, da rabbioso, divenne, se possibile ancor più scuro, mentre la sua mente pareva realizzare qualcosa di importante. Si voltò e con sorpresa notai che si stava rivolgendo a me:
- E tu… Ho visto anche te! C’eri anche tu! Io non mi fido di voi due!-.
Senza dare ulteriori spiegazioni, si allontanò a passo deciso e spedito verso il casolare.
Cosa significavano le sue parole? Era quello il motivo per il quale mi detestava? Mi aveva vista durante la mutazione e non poteva fare a meno di diffidare di me? Gally sapeva cose di me che io non conoscevo?
Non potevo lasciarlo andare, non dopo aver appreso parte della verità che tanto desideravo avere.
Lo rincorsi e, raggiunto il suo passo, lo spintonai nuovamente, per fermare il suo passo.
- Cosa significa tutto questo?! Perché hai detto di averci visti nella mutazione?-.
- Perché è così!- gridò lui, esasperato. – Ora lasciami in pace!-.
- Non ci penso nemmeno. Dovrai spiegarmi tutto. È per questo che mi odi, perché mi hai vista nella Mutazione? Gally, ho bisogno di sapere cosa hai visto. Voglio sapere qualsiasi cosa su di me, sul mio passato.-
- Credimi, è meglio per te non sapere nulla. È questa la tua caspio di vita adesso, fattene una ragione!-.
- Voglio sapere perché mi detesti così tanto!- insistetti.
Il suo sguardo rabbioso si posò su di me, zittendomi ed interrompendo il mio moto, poiché nel frattempo lui aveva continuato a camminare ed io a seguirlo.
- Ora rispondi tu a qualche mia domanda, Pearl…- pronunciò il mio nome con un tale disprezzo che mi fece venire i brividi. – Ti è sembrato ch’io ti abbia perseguitata mai, da quando sei uscita da quella scatola? Che abbia cercato di parlarti? Ti è parso che io sia mai venuto a domandarti come mai tu mi abbia aggredito un secondo dopo essere arrivata?! Il perché di tutti quei tuoi sguardi di odio? Sì, mi pare di aver capito che ci detestiamo a vicenda, ma io non ti tormento per conoscere i tuoi fantasmi, quindi lasciami in pace!-.
- Gally, mi dispiace, non volevo davvero…è solo che…- non seppi come giustificarmi dinnanzi al suo ragionamento.
Era vero: lui non mi aveva mai chiesto spiegazione alcuna riguardo il mio comportamento, ed ero stata io ad essere stata colta per prima da un moto di inspiegabile ira; ma per qualche strana ragione non riuscivo a fare a meno di domandarmi da dove provenisse questo sentimento ed ero quasi certa che Gally sapesse cose che io neanche immaginavo.
- Credimi, è molto meglio per te se mi stai lontana.- concluse lui.
Non seppi trattenerlo e quella fu la fine di ogni contatto fra noi due per le seguenti settimane. Gally mi lasciò così, con qualche idea in più sul mio passato ad occuparmi la testa, ma moltissimi cavilli da risolvere. Il mio problema era che non potevo farlo da sola e che Gally fu l’unico a darmi l’impressione di potermi aiutare, anche se qualcosa in me ancora mi faceva ribollire di rabbia ogni volta che lo vedevo; anche se avrei dovuto dare retta al suo consiglio spassionato e mettere da parte ogni sogno di uscire da questo posto.
 
 
  
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