Serie TV > Once Upon a Time
Segui la storia  |       
Autore: Tury    26/01/2015    5 recensioni
“No.”
Emma Swan era abituata alle titubanze, le apprensioni e le paure dei suoi pazienti. Ma mai, prima di allora, si era imbattuta in una tale ferrea decisione, racchiusa in un’unica sillaba.
Si tolse gli occhiali dalla montatura nera e si passò due dita ai lati del naso con fare stanco, esattamente dove svettavano i segni lasciati dagli occhiali.
“Signora Mills, sarò sincera, questa è la sua unica possibilità di salvezza.”
____________________________________________________________
CAPITOLI
1-Incontri
2-Regali
3-Di promesse fragili come ali di farfalla
4-AVVISO!
5-Il mio nome è Regina
6-Pirati
7-Tenebre di luce
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Buonasera a tutti! Ebbene sì, nonostante i vari impegni, sono riuscita a rubare qualche oretta per stendere questo capitolo. Come ho già detto in alcuni commenti, questo è uno dei capitoli che più mi stanno a cuore. Vi avviso che ad un certo punto si parlerà di tematiche abbastanza dure. Chiedo scusa se le parole che ho usato potrebbero urtarvi in qualche modo, ma le mie scuse si limitano a questo. Credo, infatti, che certi discorsi non solo vadano affrontati, ma che certe realtà debbano essere combattute, in modo tale da estirparle completamente. So che quanto scrivo in questi righi è un sogno che difficilmente troverà attuazione. Ma io sono una sognatrice e credo che siano i sogni, in fondo, a far muovere questo mondo in cui ci troviamo a vivere. Detto questo, vi auguro buona lettura 

Quella mattina, il sole svettava alto nel cielo, inondando di luce il grande piazzale davanti all’ospedale. Un raggio, solitario quanto intrepido, si andò a poggiare sul foulard rosso di Regina Mills, rendendo il suo colore ancora più vivo.
Quando la donna entrò nell’immenso ospedale, un nuovo sorriso illuminava il suo volto. Un sorriso che, da qualche tempo, non faceva più visita alle sue labbra. Si diresse con passo spedito verso lo studio della dottoressa Swan, immaginando di trovarla china sui suoi fogli, come l’aveva vista ogni volta che aveva varcato quella soglia. Era quasi giunta alla sua destinazione, quando fu costretta ad arrestare i suoi passi, mentre il sangue le si gelava nelle vene.
Un urlo si era levato aldilà della porta.
“Siamo sotto attacco! Venite, presto!”
Regina riconobbe immediatamente la voce di Emma e avvertì in essa una celata preoccupazione.
Le sue gambe ripresero a muoversi, scattando veloci, senza che lei gliel’avesse ordinato. Il cuore, silente fino a quel momento, prese a battere freneticamente, mentre la paura iniziava ad invadere ogni fibra del suo corpo. Senza pensarci, portò una mano sulla maniglia della porta, aprendola di scatto. In circostanze diverse, Regina non si sarebbe mai lasciata andare ad un gesto tanto sconsiderato e pericoloso, rinunciando all’unica possibilità di salvare se stessa ed Emma. Ma, in quel momento, non era la ragione a guidare le sue scelte. E così, Regina aprì la porta, ben cosciente di essere ignara del pericolo incontro a cui stava volutamente andando.
Ma quando la porta si aprì, mostrando ciò che celava, Regina Mills arrestò ogni suo movimento, la presa ancora salda intorno alla maniglia della porta.
La scrivania, solitamente piena di fogli e cartelle cliniche, era immacolatamente vuota. Ad occuparla, vi era solo la dottoressa Swan.
Emma, infatti, era in piedi sul tavolo al centro della stanza, con un’espressione di assoluta confusione dipinta sul volto. Ma c’era qualcosa di diverso in lei. Non indossava il solito camice bianco ma, al suo posto, vi era un giacca lunga e di colore rosso, con decorazioni dorate. In mano, stringeva una spada di plastica e il suo corpo era ancora proteso in avanti, pronto all’attacco. Un attacco che era stata troncato dall’entrata in scena di Regina che, in quel momento, non riusciva a far nulla se non continuare a fissare la donna, le labbra leggermente schiuse, testimoni della sua sorpresa.
“Emma! Non ci avevi detto che avevi finalmente trovato il vicecapitano!”
A quelle parole, Regina spostò lo sguardo da Emma per posarlo sul proprietario della squillante voce e, solo in quel momento, si rese conto che non erano sole nella stanza. Con loro, infatti, vi erano quattro bambini.
Nell’udire quelle parole, Emma si lasciò andare ad una sonora risata, che ebbe il potere di riempire l’intera stanza, catturando nuovamente l’attenzione di Regina, che osservò la giovane dottoressa sedersi sulla scrivania, mentre poggiava la spada al suo fianco e richiamava a sé i piccoli bambini. Erano passati molti giorni dalla prima volta che Regina aveva visto quel sorriso che, in quel momento, era tornato a baciare le labbra della donna, eppure quella luce mistica che circondava la giovane dottoressa continuava ad incantarla.
Emma prese in braccio il bambino che aveva parlato, sulla cui testa svettava una bandana arancione dai disegni neri.
“Allora ciurma, vi presento la signora Mills- disse Emma, rivolgendo a Regina un caloroso sorriso- lei è…”
“Lei non è la signora Mills.” La interruppe il bambino, seduto a cavalcioni in braccio alla dottoressa.
Regina si accorse che, stranamente, si teneva a una leggera distanza da Emma.
“Cosa intendi, Tiger?” chiese Emma, senza mai perdere il suo sorriso.
“Tiger ha ragione, capitano. Questa donna non è semplicemente la signora Nits.” Rispose una bambina. Anche lei portava una bandana, di un blu intenso con ricami argentati.
“Mills, Luna.” La corresse dolcemente Emma.
“Quello che è.” Rispose la bambina, alzando le spalle.
“Andiamo, capitano! Pensa davvero di poterci prendere in giro così? Siamo pirati, certe cose le capiamo subito.” Disse Tiger, con nuova convinzione.
“Non vi sto dando degli stupidi, ragazzi, né vi ho in alcun modo nascosto qualcosa.”
“Ma ci hai nascosto il vicecapitano!” riprese Tiger, mettendo su un adorabile cipiglio, che fece allargare ancor di più il sorriso di Emma.
“Capitano, credo proprio che la sua idea di farci una sorpresa sia totalmente fallita.” Disse un terzo bambino, appoggiato al muro in fondo alla stanza. Sul suo capo, invece, svettava una bandana di un marrone chiaro con piccoli ricami bianchi.
“La tua sarebbe un’ottima osservazione, Piccolo Falco, se solo le cose fossero realmente così. Ma io non volevo farvi nessuna sorpresa.”
“Ma andiamo!- disse nuovamente Tiger- È chiaro che lei è qui perché è il nostro vicecapitano!”
“Invece non è così. La signora Mills è qui per altre ragioni.”
“Bene, allora da oggi è il nostro vicecapitano, con tutte le sue altre ragioni.”
Emma si lasciò andare ad una leggera risata, prima di riprendere a parlare.
“Ma non funziona così, Tiger. Non puoi costringere una persona a fare qualcosa che non vuole.”
“Ma chi non vorrebbe essere un pirata come noi?” chiese una piccola vocina. A parlare, era stata la bambina seduta per terra, il capo coperto da una bandana dorata dai ricami di un lieve arancione. Era la più piccola del gruppo.
Emma stava per risponderle, ma fu anticipata da Regina, che andò a sedersi di fronte a lei.
“Come ti chiami?”
“Il mio nome da pirata è Star.” Rispose la bambina, puntando i suoi occhi azzurri in quelli di Regina, mentre un sorriso si allargava sul suo giovane volto.
“Perché desideri diventare un pirata?”
“Io non desidero diventare un pirata. Io sono un pirata.”
“Non preferiresti essere una principessa? Come quelle delle favole.”
“Certo che no.” Rispose Luna, andandosi a sedere accanto a Stella.
“Perché?” chiese Regina, incuriosita da quella risposta.
“Semplice, perché i principi e le principesse non rubano.” Rispose Tiger, sciogliendo l’abbraccio di Emma e andandosi a sedere di fianco alle due bambine.
Regina rivolse il suo sguardo ad Emma, comodamente appoggiata alla scrivania, le braccia incrociate.
“Appunto. Rubare non è una bella cosa.” Disse, rivolgendosi nuovamente ai bambini.
Nell’udire quelle parole, un sorriso furbetto si allargò su ognuno di quei piccoli visi, come se tutti, in fondo, si aspettassero quella risposta.
“Dipende.” Disse Falco, avvicinandosi al piccolo gruppo e andandosi a sedere insieme a loro.
“Dipende?” chiese scettica Regina.
“Il nostro capitano dice che dipende da cosa rubi. Dice che rubare può anche rendere eroi.” Disse Luna.
“Ah sì?- chiese Regina, leggermente infastidita da quella situazione, perché mai avrebbe creduto che Emma potesse dispensare simili insegnamenti- Quindi voi siete pirati perché rubate? E cosa rubate, i giocattoli degli altri bambini?”
A quelle parole, i quattro bambini rivolsero a Regina un dolce sorriso, di quelli che si riservano alle persone che faticano a comprendere anche la realtà più semplice.
“No, non rubiamo giocattoli. Nel nostro forziere non c’è spazio per gli oggetti.” Rispose Tiger.
“E allora cosa rubate?”
“La tristezza.” Rispose Star, con la sua lieve vocina.
Dopo quelle parole, il tempo parve fermarsi.
Regina smise di respirare per qualche secondo, guardando la piccola bambina dalla bandana dorata, mentre tentava di metabolizzare quella risposta. Ma fu tutto inutile.
“Che cosa?” si ritrovò a chiedere con un filo di voce.
“Noi rubiamo la tristezza delle persone e diamo in cambio i sorrisi. Infatti il nostro forziere è grande grande grande, perché la tristezza delle persone è tanta. Però anche i sorrisi sono tanti, anzi, sono infiniti!” E, per avvallare le sue parole, Star regalò a Regina il sorriso più bello che potesse donare, facendola sorridere a sua volta.
“Bene, ciurma- disse Emma, inginocchiandosi alle spalle del piccolo gruppetto- Direi di sciogliere la seduta settimanale di allenamento, il vostro capitano ha un impegno. Su, prendete le spade e tornate in reparto. Ora chiamo Ruby e vi faccio accompagnare.”
“Non ce n’è bisogno, Emma. Sono qui.” Disse una ragazza alta e slanciata, che era appena entrata nella stanza. Sul suo volto era dipinto un luminoso sorriso.
“Allora noi andiamo, capitano. Arrivederci vice.” Disse Tiger, salutando e dirigendosi verso la porta, seguito da tutti gli altri bambini.
“Ah, capitano- disse il bambino dalla bandana marrone, prima di varcare la soglia- La smetta di chiamarmi Piccolo Falco. Il mio nome è Falco.”
“Va bene, piccoletto.” Disse Emma, marcando l’ultima parola, ricevendo in risposta una divertente smorfia dal bambino, prima che questo svanisse dietro la porta.
Emma guardò ancora per qualche secondo il punto in cui era sparito Piccolo Falco, prima di rivolgersi a Regina.
“Perdona la confusione.”
Regina continuava a guardare la porta, quasi come se non avesse udito nulla.
Emma si avvicinò all’appendiabiti posto in fondo alla stanza, comprendendo il bisogno di Regina di restare da sola con i suoi pensieri. Conosceva bene quella situazione, il momento in cui comprendi quanto sia sottile il confine tra ciò che credevi di conoscere e ciò che conosci realmente. Il confine che separa l’idealizzazione di una realtà dalla realtà stessa. La consapevolezza che, in fondo, nessuna immaginaria visione potrà mai farti provare il sapore amaro e aspro dell’inutilità.
Emma sapeva bene contro cosa stava combattendo Regina, perché, in passato, quel nemico fu anche il suo. E sapeva che, per quanto potesse farle sentire la sua presenza, quella era una battaglia che la donna doveva combattere da sola.
Solo quando Emma si fu tolta la lunga giacca rossa, indossando nuovamente il camice bianco, Regina trovò il coraggio di voltarsi verso di lei.
“Erano bambini.”
“Già.” Rispose semplicemente Emma, sistemandosi il colletto.
“Emma- riprese Regina, puntando i suoi occhi in quelli della donna, permettendole di leggere tutta la confusione che albergava in essi- Quei bambini sono…”
“Sì.” Rispose semplicemente la dottoressa.
Regina andò a sedersi, per poi coprirsi il volto con le mani e sospirare.
“Non ci posso credere.”
Emma prese posto all’altro lato della scrivania, mentre i suoi occhi si velavano di una lieve tristezza.
“È una realtà. Una delle tante con cui dobbiamo imparare a convivere.”
Gli occhi di Regina saettarono in quelli di Emma, brucianti di ira.
“Convivere? Mi stai dicendo che dobbiamo semplicemente coprirci gli occhi o girare la faccia davanti a tutto questo?”
“È ciò che l’uomo fa da sempre.”
“Ma sono bambini! Non hanno alcuna colpa, non meritano questo destino.”
“Se c’è una cosa che ho capito in tutti questi anni, Regina, è che la vita non guarda negli occhi nessuno. Quello, è compito della morte e, purtroppo, la morte non può sottrarsi al suo ruolo. Nel momento in cui nasciamo, per questa vita siamo già abbastanza adulti per poter morire. È questa, la realtà che ci è destinata.”
“Tutto questo è ingiusto.”
“A quanto pare, non lo è poi così tanto.”
L’ira che, fino a quel momento, era rimasta confinata nello sguardo di Regina, straripò dai suoi occhi, andandosi a riversare sul suo volto, facendolo contrarre, rendendo la cicatrice, che svettava sul suo labbro superiore, ancora più visibile.
“Ma che cosa stai dicendo.” Sibilò la donna.
“La verità, Regina. Solo la verità. Vuoi accusare il fato ingiusto o la beffarda vita? Bene, fallo, accomodati pure al tavolo dei finti perbenisti. Ma non obbligarmi a sedere con te.”
“Tu stai delirando, Emma.”
La dottoressa si alzò, dirigendosi verso la finestra. Aprì una delle tende, in modo che il sole entrasse nella stanza e che le inondasse col suo calore. Dando le spalle alla sua interlocutrice, impedendole di vedere il suo volto, Emma riprese a parlare.
“Di certo questa vita è ingiusta, Regina, e su questo non posso che trovarmi d’accordo con te. Ma di tutte le morti di cui sentiamo parlare, quante di queste sono davvero riconducibili al destino avverso?”
Emma si voltò, permettendo a Regina di ammirare la nuova luce che brillava nei suoi occhi.
“Cosa intendi, Emma?” chiese la donna, ritrovando la sua calma.
“Alcuni bambini muoiono di fame, mentre quintali di cibo vengono sprecati nei paesi che tendiamo a definire evoluti. Altri, muoiono durante le guerre, vittime innocenti della brutalità e della stupidità umana. Altri ancora, perdono la vita a causa di malattie facilmente guaribili in altri paesi del mondo. E ad altri, la vita viene stroncata da un’esplosione, perché qualcuno aveva deciso che dovevano divenire kamikaze. In alcuni paesi, la violenza sui minori è divenuta addirittura oggetto di guadagno e, se aggiungi alla cifra qualcosa in più, puoi anche decidere di uccidere quel bambino che tu stesso hai seviziato. Ora, dimmi, Regina, è davvero la vita ad essere ingiusta o forse siamo noi a non esserne degni?”
Regina non rispose. Aveva i gomiti puntati sulle ginocchia, mentre le mani le coprivano metà del suo volto, lasciando scoperti solo gli occhi. Quegli occhi scuri, puntati su ciò che non era presente in quella stanza ma che, ormai, era presente dentro di lei.
Emma rimase immobile a guardarla, attendendo che si riprendesse. Era cosciente di quanto forti fossero state le sue parole, ma era sicura che Regina avrebbe saputo metabolizzarle e reagire. E così, quando la donna riprese la posizione eretta, Emma riprese a parlare.
“La verità è che a noi non importa, Regina. Non ci importa se degli innocenti muoiano, non ci importa della vita di quei bambini. Possiamo coprire il nostro volto con miriadi di maschere raffiguranti la tristezza che il mondo vuole vedere sui nostri visi, ma la verità è che, fintanto che non ci toccherà, fintanto che non ci interesserà in prima persona, a noi non importerà mai nulla della sorte di quei bambini.”
“Cosa hai intenzione di fare?” chiese Regina, tornando a puntare il suo sguardo in quello di Emma.
Sapeva che quella giovane dottoressa non avrebbe mai potuto fare nulla, eppure quegli occhi così verdi la spingevano a credere che, se mai ci fosse stato qualcuno capace di cambiare le cose, anche in maniera minima, quella persona era la stessa che, in quel momento, aveva di fronte.
“Cosa potrei mai fare, Regina?- chiese Emma, tornando a sedersi- Se potessi fare qualcosa, credimi, lo farei. Ma tutto questo è aldilà della mia portata, aldilà della portata di qualsiasi uomo. Purtroppo, questo è un male che solo l’intera umanità può estirpare. Tutto ciò che posso fare io, nel mio piccolo, è cercare di insegnare a quei bambini l’importanza di vivere.”
“L’importanza di vivere quando si trovano a dover combattere un nemico simile?”
“Fa differenza? Oggigiorno, l’aspettativa di vita delle persone si è molto allungata, ma di queste, quante possono dire di aver vissuto davvero?”
“Cosa intendi?”
“Regina- disse Emma, piegandosi leggermente in avanti- c’è una grande differenza tra vivere e sopravvivere e, ti posso assicurare, la maggior parte di noi si limita a sopravvivere.”
“E cosa bisogna fare per smettere di sopravvivere e iniziare a vivere?”
“Semplicemente iniziare a vedere le cose belle che ci circondano, nonostante la pioggia, nonostante gli errori. Nonostante la malattia. Godere di ciò che si ha e non rincorrere ciò che si vorrebbe avere.”
Regina si lasciò andare ad una leggera risata, per poi tornare a guardare Emma, regalandole un meraviglioso sorriso.
“E così quei bambini vorrebbero che io fossi il loro vicecapitano.” Disse infine, decidendo di portare il discorso su temi più leggeri.
“Ti sbagli, non lo vogliono. Per loro, tu già lo sei.”
“Come mai hanno scelto me?”
Emma indicò il foulard che copriva il capo di Regina e che non aveva mai abbandonato quel luogo, fin dal giorno in cui gli era stato regalato.
“Per quello. Portiamo lo stesso foulard, di conseguenza io e te rivestiamo due cariche molto simili, ai loro occhi.”
“Solo per questo? Solo per il foulard?”
“Non sottovalutare quelle piccole pesti. Credimi, sanno andare oltre qualsiasi apparenza.”
“A proposito di quei bambini- disse Regina, incrociando le braccia al petto- Non ti sembra di star esagerando con loro? Capisco la tua volontà di voler dar loro un motivo per vivere, ma il fardello che gli hai affidato è troppo pesante.”
“A cosa ti riferisci?”
“Emma, quei bambini credono di poter salvare le persone dalla tristezza, di poterle salvare da loro stesse.”
“Loro non si limitano a crederci, Regina. Non si sono mai limitati solo a questo. Loro ci riescono davvero a salvare le persone.”
“Come fai a dirlo?”
“Perché, se non fosse così, io adesso non sarei qui a parlarti.”
Regina riservò ad Emma uno sguardo confuso, non comprendendo a cosa l’altra stesse alludendo.
“Che significa?”
“Regina, non credere che la persona che oggi hai davanti non abbia mai dovuto affrontare momenti difficili.”
“Non l’ho mai creduto, infatti. Anzi, io credo che a te le cose difficili piacciono, altrimenti non saresti ciò che sei.”
Emma si lasciò andare ad una leggera risata.
“Devo darti ragione, su questo.”
“Allora, cosa hai dovuto affrontare?”
“Diciamo che un tempo anche io ero affetta da una specie di tumore.”
Appena Emma ebbe pronunciato quelle parole, il silenzio calò nella sala. Un silenzio carico di tensione e preoccupazione.
“Che cosa?- chiese infine Regina, con un filo di voce- Tu avevi un tumore?”
“In un certo senso.”
“Fammi capire bene. Tu avevi un tumore e quei bambini ti hanno salvata?”
“Esattamente.”
“Stai scherzando?” chiese scettica Regina.
“Non tutti i tumori colpiscono le cellule.”
Regina meditò su quella risposta, prima di porre la sua domanda.
“Che significa, Emma?”
“Quello che ho detto.” Rispose la dottoressa, con un sorriso divertito sul volto.
“Mi stai prendendo in giro.” Concluse Regina.
“Assolutamente no. Ora, se vuoi scusarmi, devo andare nei vari reparti a fare le visite quotidiane.” Disse Emma, alzandomi.
“Credevo dovessi visitare me.” rispose Regina, alzando un sopracciglio.
“Per tua sfortuna- cominciò Emma, avvicinandosi alla donna e piegandosi leggermente su di lei- il turno delle visite ambulatoriali è appena terminato. Credo che sarai costretta a tornare domani.”
“Si può sapere cosa mi nascondi, Emma? Perché non mi hai mai detto che anche tu eri malata?”
“Non c’è molto da dire al riguardo, Regina.”
“Credevo avessimo superato questa fase di cordiale rispetto.”
“Non credere che il mio non volerne parlare sia legato ad un mio malcelato desiderio di tutelarmi da te, perché non è assolutamente così. Se davvero ci tieni a scoprire cosa nascondo, Regina, allora torna domani mattina. Ma, nel frattempo, prova a scoprire il nome del mio male.”
“Emma -La chiamò Regina, proprio nel momento in cui la donna stava per aprire la porta- Perché lo fai?”
“Cosa intendi?”
“Perché ti fai coinvolgere così tanto quando sai che quei bambini potrebbero…” cominciò Regina, ma capì subito di non avere la forza di continuare.
“Non farcela.” Terminò per lei Emma.
Lo sguardo profondamente triste e preoccupato di Regina si incatenò in quello di Emma.
“Non sei debole, Regina. Semplicemente, io affronto questa realtà da più tempo- la rassicurò la dottoressa, comprendendo l’inquietudine dell’altra- In ogni caso, lo faccio per un motivo molto semplice.”
“Quale sarebbe?”
“Che tutto il dolore che io potrei mai provare non varrà mai quanto un loro sorriso.”
E con quelle parole, Emma uscì dalla stanza, lasciando Regina da sola con i suoi pensieri.
 
Dopo qualche minuto, la porta dello studio di Emma si aprì nuovamente.
“Missione compiuta! I bambini sono sani e salvi nelle…”
Regina alzò gli occhi, fino a quel momento persi nel vuoto, puntandoli sul viso della ragazza, le cui labbra erano leggermente schiuse, immobili su quelle parole che non sarebbero mai state pronunciate.
Regina riconobbe immediatamente la giovane donna che era venuta a prendere i bambini, qualche ora prima. Ma, questa volta, a differenza della prima, lasciò che il suo sguardo indugiasse sulla sua persona. Portava un camice bianco, con una piccola targhetta attaccata alla tasca superiore del camice, che riportava la sigla TSRM. I capelli, lisci e neri come la più oscura delle notti, terminavano in ciocche di un rosso vivo, simile a quello del sangue.
“Mi perdoni, avevo visto che la porta era aperta e così sono entrata. Credevo che Emma fosse ancora nello studio.” Disse la ragazza, mentre il suo viso si rilassava in un luminoso sorriso.
“No, la dottoressa Swan è andata a fare le sue visite in reparto.”
“Quindi non tornerà prima dell’ora di pranzo. Allora, come mai è ancora qui, signora Mills?”
Regina socchiuse leggermente gli occhi, mentre un’espressione di assoluta diffidenza si dipingeva sul suo volto.
“Ci conosciamo?”
“Ruby Lucas, al suo servizio- rispose la ragazza, inscenando un inchino- Lei forse non mi conoscerà, ma io conosco lei.”
“Come?” chiese Regina, cercando di nascondere la sua curiosità.
“In primis- cominciò Ruby, andando a prendere posto sulla sedia che, solitamente, era occupata da Emma- perché io sono la persona a cui chiese indicazioni per raggiungere lo studio di Emma, la prima volta che è stata qui. In secondo luogo, perché lei è la donna che ha colpito Emma e, mi creda, una notizia del genere non rimane silente a lungo.”
Il colorito di Regina svanì completamente dal suo volto, nell’udire quelle parole.
“Andiamo, non c’è bisogno che reagisca così. È stata grandiosa.”
“Prego?”
Ruby si sporse in avanti, mentre un sorrisetto malizioso si allargava sul suo volto, come se stesse per confidare alla donna che le sedeva di fronte un enorme segreto.
“Sa quante volte ho cercato di colpire Emma? Ne ho perso il conto, oramai. E, mi creda, in tutti questi anni, non ci sono mai riuscita. Poi arriva lei ed ecco che l’indomabile dottoressa Swan si ritrova a dover camminare per i corridoi dell’ospedale con un bel livido sul volto. Non c’è che dire, lei si è davvero guadagnata la mia ammirazione.”
 “Perché dovrebbe voler colpire la dottoressa Swan?” chiese guardinga Regina, accogliendo in maniera silente il complimento della ragazza.
“Eviti certi formalismi in mia presenza, signora Mills, perché so perfettamente che anche lei si rivolge ad Emma col suo nome. In ogni caso, non c’è un vero e proprio motivo. È da quando ci conosciamo che va avanti questa sfida tra di noi.”
“Si direbbe che siate molto legate.”
“Ovvio, è la mia migliore amica.”rispose Ruby, mentre il suo sorriso, da malizioso, diveniva dolce.
“Avete frequentato gli stessi studi?” chiese Regina, curiosa di saperne di più sul passato della giovane dottoressa dagli occhi verdi.
“La nostra amicizia non è nata tra i banchi di scuola, signora Mills- rispose Ruby, comprendendo l’implicita richiesta della donna- E non abbiamo perseguito gli stessi studi universitari. Io ed Emma, semplicemente, proveniamo dallo stesso luogo.”
“Capisco.” Rispose semplicemente Regina.
Il silenzio calò tra le due, un silenzio statico, che iniziava ad assumere il sapore del disagio, almeno per quanto concerneva Regina.
Ruby, infatti, continuava a guardare la donna, il sorriso sempre sulle labbra, mentre si dondolava dolcemente sulla sedie, in un moto che ricordava vagamente quello delle onde stanche che si infrangono sugli scogli.
“Allora, quante volte si è posta quella domanda?” chiese infine la ragazza, distogliendo Regina dai suoi pensieri.
“Prego?”
“Quante volte si è chiesta il motivo per cui Emma faccia tutto questo.”
Lo stupore che quelle parole procurarono in Regina, si riversò sul volto della donna, facendo allargare maggiormente il sorriso di Ruby.
“So che in questo momento lei si sta chiedendo come io faccia a saperlo, ma la risposta è semplicissima. Io conosco Emma, so come è fatta e so con quanta dedizione si dedica al suo lavoro. Poi lei, signora Mills, rappresenta un caso davvero particolare.”
“Perché sarei un caso particolare?” chiese Regina, cercando di recuperare parte della sua fermezza.
“Perché lei è la manifestazione del suo passato.”
Regina rivolse uno sguardo serio alla donna, incerta se chiederle o meno cosa fosse successo nel passato di Emma. Ma, soprattutto, quale male, quella ragazza, era stata costretta a dover combattere.
“C’è qualcosa che vuole chiedermi?” disse Ruby, comprendendo il motivo dell’esitazione che leggeva in quello sguardo.
“Lei conosce Emma da molto tempo?”
“La conosco da così tanto da non faticare a considerarla come mia sorella.”
“Bene- disse Regina, facendo un respiro profondo e cercando di trovare la forza di porre quella domanda- Emma era malata?”
“Precisamente- disse Ruby, leggermente protesa in avanti, il capo sorretto dalle mani- A quale malattia fa riferimento?”
“Tumore.”
“Capisco. Emma cosa le ha detto al riguardo?”
“Nulla di più di quanto le ho detto.”
“Le ha detto il nome del suo male?”
“No, certo che no. Penso sarebbe stato anche inutile, non ho tutta questa conoscenza in campo oncologico.”
“Io credo, invece, che la conoscenza del nome sia di fondamentale importanza, in questo discorso.”
Regina la guardò perplessa, sempre più confusa da quella storia.
“Le ha detto altro, signora Mills?”
“Ha detto che posso provare a capirlo da sola e che, qualora non ci fossi riuscita, me l’avrebbe detto lei.”
“Allora segua il consiglio di Emma, signora Mills. Ora devo proprio andare, la mia pausa è finita.” Disse Ruby, alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso la porta.
“E se non volesse dirmelo?” chiese Regina, mentre il suo tono tradiva una certa preoccupazione.
“Emma mantiene sempre la parola data, ma, qualora questo non bastasse a rassicurarla, le darò un consiglio. La risposta si trova nel suo presente, signora Mills. Buona giornata.”
Detto ciò, Ruby uscì dalla porta, lasciando nuovamente Regina da sola.
La donna attese ancora qualche minuto, dopodiché recuperò la sua borsa e si incamminò con passo spedito verso l’uscita. Una volta giunta all’auto, mise prontamente in moto e guidò verso casa, con un unico pensiero ad affollarle la mente.
Appena entrò nella sua abitazione, Regina si diresse verso il computer portatile, lo accese e cominciò la sua ricerca.
Le ore passarono veloci come minuti, mentre i suoi occhi si districavano tra nomi impronunciabili e definizioni mediche. Eppure, per quanto diversi apparissero quei tumori tra di loro, tutti avevano un’origine comune. Le cellule. Ma, il tumore che le interessava, non aveva un origine cellulare. O almeno, questo le aveva detto Emma.
Regina si appoggiò con fare stanco allo schienale della sedia, chiudendo per un attimo gli occhi, immersa nel silenzio della sua immensa abitazione, con il ronzio della ventola come unica compagnia. E fu in quel momento che un’idea le balenò nella mente, assurda quanto geniale. I suoi occhi si spalancarono di colpo, mentre un sorriso le si allargava sul volto. Regina guardò per un’ultima volta lo schermo del suo computer, prima di spegnerlo. Perché, finalmente, aveva la risposta che cercava.
Ruby Lucas aveva detto la verità, la risposta, che tanto aveva anelato trovare, era sempre stata nel suo presente.


~Angolo autrice~
Ed eccoci giunti anche alla fine di questo quinto capitolo! 
Sì, so che nella cronologia riusltano essere sei, ma uno di questi è un avviso che, certo, potrei benissimo eliminare, ma dal momento che sono presenti dei commenti, mi dispiacerebbe eliminare la voce di quelle persone e, soprattutto, eliminare il tempo che mi hanno dedicato, perché è davvero prezioso.
Che dire, per questo capitolo non ho molto da aggiungere, spero che tutto ciò che aveva da esprimere sia arrivato tramite questi righi che avete appena letto.
Per quanto riguarda l'idea di vedere i bambini come piccoli pirati, questa nasce nel lontano 2013, quando la mia avventura universitaria era appena agli albori. 
In quel periodo, mi ritrovai a fare tirocinio in radioterapia e qui ebbi la possibilità di conoscere un piccolo angelo, che mi ispirò una storia dal carattere introspettivo e che, se vorrete, potrete trovare nel link qui sotto:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1624300&i=1

Per quanto riguarda la sigla TSRM, non so se qualcuno di voi si è domandato il significato di tale sigla, è l'acronimo di Tecnici Sanitari di Ragiologia Medica. Praticamente, il mio corso di laurea.
Bene, che dire, grazie come sempre per il calore che mi trasmettete con i vostri commenti. 
Alla prossima!

Ah, secondo voi, qual è il tumore di cui parlava Emma? Su, sbizzarritevi con la fantasia!
  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: Tury