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Autore: Black Swan    26/11/2008    1 recensioni
Junayd Kamil Alifahaar McGregory ha tutto.
E’ l’unico punto di contatto fra due delle più potenti famiglie del paese, ha ricchezza, bellezza, intelligenza, una posizione di prestigio.
Junayd Kamil Alifahaar McGregory ha le idee chiare.
Sa cosa deve o non deve fare, ha imparato molto presto come far girare il mondo nel verso che gli fa più comodo, ha preso la decisione di condurre una doppia vita a soli quindici anni e custodisce segreti che i suoi genitori neanche immaginano lui possa conoscere.
Junayd Kamil Alifahaar McGregory è convinto di avere già tutto quello di cui ha bisogno: i pilastri della sua vita sono già stati piantati, i confini già marcati. Si renderà conto che anche lui può sbagliare.
Junayd Kamil Alifahaar McGregory non ha mai fatto i conti con il suo cuore. Si accorgerà quanto prima dell’errore commesso.
Junayd Kamil Alifahaar McGregory non ha mai realmente ascoltato il suo cuore. Scoprirà che non è mai troppo tardi per cominciare…
Genere: Avventura, Azione, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 8

Non E’ Mai Troppo Tardi

8

 

 

 

 

 

 

 

 

Arrivò a casa di Juna stabilendo un nuovo tempo record.

Cosa dannazione era successo?

Possibile avesse fatto appena in tempo a mettere piede in casa che il bambino si era tradito in qualche modo? Nella peggiore delle ipotesi, come avrebbe reagito trovandosi davanti anche lui?

Si sarebbe svegliato prima o poi da quell’incubo?

Gli venne ad aprire l’intramontabile Howard, quell’uomo sembrava eterno.

C’erano altre tre cameriere in quella casa, fra cui la moglie e la figlia di Howard, ma in giro c’era sempre e solo lui.

«Buonasera Howard.»

«Buonasera signor Tyler, ben arrivato.»

Apparve Connor, «Ah, sei tu Drake! Vieni, Juna scende fra poco. Howard, per favore, avvisi tu mio figlio che Drake è arrivato?»

Con il solito inchino da manuale l’uomo sparì.

«Come stai?» chiese a Connor.

«Molto bene, tu?»

«Tutto ok.»

Si lasciò guidare attraverso l’ingresso. «Tua madre e tuo padre?» continuò Connor.

«Mia madre in giro a fare shopping credo, mio padre è in Belgio.»

«Sempre le solite cose allora» commentò facendogli l’occhiolino.

«Direi proprio di sì!»

Da sempre una battuta classica di Connor e di suo padre riguardava il fatto che sua madre e Manaar, a spasso per negozi insieme o separatamente, facevano più danni di un tornado.

Entrarono nel salone principale e in un attimo inquadrò la famiglia Flalagan. Se si escludeva quella che doveva essere la madre, anche loro sembravano parenti suoi: tutti biondi con gli occhi chiari.

Se si escludeva l’assenza di Juna, c’era anche la famiglia McGregory al gran completo.

Che Dio lo aiutasse.

«Ah, ecco Drake, il migliore amico di Juna» lo presentò subito Patrick.

«Buonasera a tutti.»

Michael lo fissò per qualche secondo a bocca aperta, tanto per fargli capire che lo aveva riconosciuto, poi gli sorrise e gli trotterellò incontro, «Ciao Drake, io sono Michael, ma tutti mi chiamano Micky.»

Fu presentato all’intera famiglia Flalagan e Michael non si schiodò dalle sue gambe.

Soppesò per qualche secondo Jennifer con lo sguardo… prevedeva tempi duri per Juna.

Non faceva il minimo sforzo ad immaginare il piano che si era delineato nelle menti di Manaar e Madeline vedendo Jennifer… e soprattutto, vedendo Jennifer vicino a Juna.

Quel ragazzo non si trovava in una bella situazione, sotto nessun punto di vista.

Incontrò lo sguardo di Justin e per la prima volta da quando lo conosceva si scambiarono un gesto di saluto… oltre ad un’occhiata che gli fece capire che il ragazzo avesse non solo capito cosa aveva pensato, ma come avesse visto giusto: Madeline e Manaar probabilmente stavano già organizzando lo stampo degli inviti per il matrimonio.

«Hai frantumato tutti i tuoi precedenti record oggi» gli comunicò il suo migliore amico alle sue spalle.

Fresco di doccia, a giudicare dai capelli bagnati.

«Cosa non si fa per amicizia…»

«Drake, posso stare con voi mentre lavorate sulla tua tesi?»

Tesi?

Juna si era dovuto inventare qualcosa in quattro e quattr’otto!

«Certo, avrai modo di farti quattro risate.»

Juna ridacchiò, «Ho detto appena venti minuti fa che economia e commercio non era una materia allegra…»

«Tanto per cambiare mi hai sottovalutato. Io so rendere qualsiasi cosa divertente.»

«Una delle cose che mi piacciono di te Drake, è la tua immensa modestia. Vuoi un caffè?»

«Hai detto la parolina magica.»

Come da abitudini ormai radicate, Juna si posteggiò nella poltrona più vicina al caminetto e lui si prese posto sul bracciolo accanto a lui.

Michael, inutile dirlo, si sistemò in collo a Juna.

«Beh Drake, sembra che tu ti sia fatto un nuovo amico» commentò Patrick.

Non capì a cosa si riferiva fino a quando non guardò Michael e si rese conto che il bambino lo stava osservando con un sorriso raggiante.

Michael si voltò verso Patrick e dette una graziosa scrollatina di spalle, «E’ il migliore amico di Juna, quindi è anche amico mio, se a lui va bene. E’ anche biondo come me.»

Le cose stanno andando bene oppure a rotoli?

«Ho conosciuto i tuoi genitori ad una festa» disse Jeremy. «Anche tu, come Juna, assomigli in modo impressionante a tua madre.»

«Già, mio padre dice che ho ripreso il meglio: la testardaggine e il senso dell’umorismo da lui e i colori da mia madre.»

«Io e Brian guardiamo la vita dallo stesso punto di vista…» commentò Connor.

«Avete anche la stessa adorazione per le vostre rispettive mogli» gli fece notare Juna.

Se Michael si era tradito in qualche modo, non doveva essersene accorto nessuno all’infuori di Juna.

«E io e Jessica abbiamo la stessa pazienza nel sopportare sia il consorte che la prole» commentò Manaar.

«Ah, Manaar, a proposito di sopportare la prole: mia madre aspetta ancora la fattura per l’alloggio.»

Manaar rise, «Vorrà dire che faremo un tutt’uno a fine anno!»

«Riferirò. Sarà sicuramente tranquillizzata da questo.»

«Faremo anche uno sconto, vero mamma?» chiese Juna.

Cosa dannazione era successo?

Arrivò il caffè e dopo averlo bevuto, Juna si alzò prendendo in collo Michael. «Si dice di andare Tyler?»

Era il fischio di partenza.

Si alzò anche lui e, salutati i presenti, lo seguì fuori dalla stanza.

Appena si chiuse la porta della camera di Juna alle spalle, si girò a fronteggiare qualsiasi cosa lo aspettasse.

Juna posò Michael sul suo letto.

«E’ sempre un piacere lo scoprire che sei pronto all’improvvisazione» disse con il tono inequivocabilmente da agente.

Cambiava il tono, la cadenza… non lo sapeva neanche lui di preciso, fatto sta che era inconfondibile.

«Ho dovuto farci l’abitudine a furia di starti accanto.»

«Immagino che tu abbia capito che Micky ci ha riconosciuto entrambi, vero?»

Il bambino li guardava tranquillo.

Aveva accettato quanto meno bene di dividere la vita con due agenti dell’F.B.I..

Quel bambino sapeva un qualcosa che lo accomunava ad un generale e ad un comandante dei servizi segreti degli Stati Uniti d’America… e adesso le loro vite dipendevano anche da lui.

Se non c’era da aver paura di questo…

«Direi che è uno dei pochi punti fermi dell’intera faccenda. Come va Micky?»

«Bene. Tu?

«Eh, da Dio.»

Michael si rivolse a Juna, «Ho fatto bene a comportarmi così con Drake?» chiese.

«Sì Micky. Non credo avresti potuto fare di meglio.» Si rivolse a lui «Siediti Drake, devo raccontarti qualcosa che non ti piacerà.»

Alla fine della storia si trattenne a stento dal mettersi le mani nei capelli.

Andando letteralmente alla cieca, Lennie aveva preso in pieno il centro della situazione.

«Mi dispiace tanto» disse Michael. «Io non sapevo di Melissa.»

Juna lo guardò con un sorriso, «Nessuno si è accorto di niente. Forse mia madre, come al solito… non sfugge niente a quella donna, ma quando tiro in ballo il mal di testa, non concepisce altro… con un po’ di fortuna si scorderà tutto.»

«Vi giuro sulla mia mamma, sul mio papà e sulla mia sorellina che non dirò mai niente a nessuno

Forse neanche Dio sarebbe stato sufficiente a salvarli, stavolta.

«Juna, siamo in una situazione assurda, per usare un eufemismo, ti rendi conto?»

Michael abbassò lo sguardo sulla coperta.

«No piccolo non fare così, non ce l’ho assolutamente con te. Da quello che mi avete detto, ti sei comportato benissimo.»

Il bambino alzò di nuovo lo sguardo con un debole sorriso, «Ero così felice di averlo ritrovato…» cominciò.

«Micky, l’importante è che non ti scappi detta una parola» disse Juna.

«Senti Micky…» cominciò, «dovrei farti delle domande… sugli uomini che ti hanno rapito.»

Juna sussultò e lo guardò sorpreso.

Eh già, questa non la sapeva neanche Juna: Lewing aveva telefonato a lui e basta. «Se non te la senti di parlarne, lo capisco e sono disposto ad aspettare.»

Michael aveva ripreso ad osservare con interesse la coperta, «Lo vogliono sapere i tuoi capi?» chiese.

Istintivamente fece un semplice assenso con la testa, ma Michael non poteva vederlo, occupato com’era ad osservare la coperta del letto di Juna. «Sì.»

«E i tuoi capi sono anche quelli di Juna, vero?»

In quel momento dimostrava tutti i suoi quattro anni. «Sì.»

Sollevò la testa, «Cosa vuoi sapere?»

Juna si sedette vicino a lui e Michael gli si appiccicò letteralmente addosso.

Dio, fa che tutto questo non lo traumatizzi più di quello che è.

«Ti dirò dei nomi, se li hai già sentiti, mi devi dire se hai mai visto questi uomini.» Michael annuì «Carlos Estrada.»

«Era il capo degli uomini che mi hanno rapito» rispose istantaneamente il bambino. «Era lui a dirmi che se non fossi stato bravo mi avrebbe gettato in piscina.»

«Diego Estrada.»

Michael sussultò, «E’ suo fratello… lui è proprio cattivo. Mi ha picchiato qualche volta… ma davanti a lui non ho mai pianto.»

Juna gli scompigliò i capelli. Ne aveva avuto di coraggio, il puffo.

«Migũel Estrada.»

«Lui è stato quello più buono con me. Mi ha dato dei dolci una volta… non mi avevano dato da mangiare perché ero stato cattivo… secondo loro, e lui me li ha portati di nascosto.»

«Michael, stiamo parlando di uomini che erano nella villa dove ti abbiamo trovato?» chiese tanto per essere sicuro.

Il bambino annuì.

«Fantastico» disse rivolto a Juna, «c’è l’intera famigliola in gita.»

Juna annuì, «I fratelli devono aver tolto le tende poco prima del mostro arrivo.»

«Continuiamo Micky?» Al suo cenno affermativo, riprese «Pablo Scontria.»

Michael socchiuse gli occhi, «L’ho visto solo due volte, pochi giorni prima che mi trovaste, quando parlavano della trappola per Darkness e Falcon.»

Vide Juna scattare come una molla e seppe di guardarsi allo specchio quando vide l’espressione allibita dell’amico.

«Quante volte hanno parlato di questi due?» chiese Juna.

«Li ho sentiti nominare spesso negli ultimi giorni… ma non li ho mai visti.»

«Cosa dicevano di preciso, te lo ricordi?»

Michael rimase in silenzio per qualche secondo con gli occhi ridotti a due fessure, «Li avrebbero portati lì o sarebbero arrivati da soli, non ho capito, e li avrebbero uccisi. Poi però non credo che lo abbiano fatto perché siete arrivati v…»

Lo vide letteralmente cambiare colore: capì tutto all’improvviso, «Oh no! No!» si aggrappò al maglione di Juna «Eravate voi che volevano uccidere!»

Juna lo abbracciò, «Calma Micky.» Guardò lui «Dannazione, sanno i nostri nomi in codice.»

«E c’è solo da sperare che non sappiano altro.»

«Quell’uomo con la giacca e la cravatta non è riuscito a sapere i vostri nomi, non ho mai sentito i vostri nomi o me li ricorderei sicuramente. Non sanno chi siete.»

Juna spettinò il bambino in un gesto di affetto, «Sai cosa significa questo, vero Drake?» gli chiese senza guardarlo.

 

Quando alzò lo sguardo su di lui, Drake lo stava guardando quasi rassegnato, «Ci stanno dando davvero la caccia. Il fatto che Flyer non sia riuscito a scoprire le nostre identità non significa niente: se sono riusciti ad agganciare lui, possono agganciarne altri. Dobbiamo assolutamente avvertire Cip e Ciop.»

Michael lo guardò stralunato, «Cosa c’entrano Cip e Ciop?»

«Diciamo che sono i nomi in codice dei nostri capi» gli spiegò.

Michael sorrise meravigliato, l’F.B.I. doveva cominciare a sembrargli una specie di Paese delle Meraviglie: prima lui, poi Drake, ora Cip e Ciop.

«Li hanno scelti loro?»

Drake ridacchiò, «Decisamente no Micky… anzi, credo che non sarebbero affatto contenti di sapere come li chiamiamo io e Juna!»

Seguì un breve silenzio, poi Michael sospirò, «Sono così felice di avervi ritrovato.»

Drake guardò lui.

Uno sguardo dove c’era di tutto.

Era successo esattamente quello che non avrebbero mai voluto che accadesse… e adesso dovevano trovare il modo di venirne fuori senza mettere in pericolo anche chi gli stava intorno.

«Micky, ricordi qualcos’altro?» riprese Drake.

«Non mi hai chiesto del papà di Carlos, Diego e Migũel, ma c’era anche lui. E’ venuto insieme a Pablo e ad un altro che stava sempre insieme a Diego… un nome strano, tipo Anton. Mi è rimasto in mente perché un mio compagno è italiano e si chiama Antonio. Da quello che ho capito non voleva che Carlos rimanesse lì con me.»

«Il padre non è nella lista che mi hanno dato L… Cip e Ciop» disse Drake.

«Come mai non voleva? Parlavano americano o spagnolo?» chiese.

«Beh, come tutti i padri si preoccupava del figlio…» fu la disarmante risposta del bambino. «Parlavano spagnolo più che altro, ma un mio compagno di scuola ha la baby-sitter spagnola e a forza di sentir parlare lei, qualcosa lo capivo.»

«Pensi che loro sospettassero che tu un po’ li capivi?»

«Non credo… comunque bastava che stessi fermo e zitto e mi ignoravano. Quando mi davano da mangiare mi slegavano e a volte non mi rilegavano se c’erano i cani.»

La verità, e ci era arrivato anche Drake ne era certo, era che avevano già messo in conto di ucciderlo, quindi cosa poteva o non poteva sapere non era mai stato un problema per loro.

«Questo Anton invece è nella lista, bravo Micky» riprese Drake. Si rivolse a lui, «Sembra sia il braccio destro di Diego, ma non c’era quando siamo arrivati noi. Se è per questo non abbiamo beccato neanche Pablo, che era il braccio destro di Carlos. Non ti ricordi il nome del padre?»

Michael scosse la testa, «Tutti lo chiamavano per cognome… tranne Migũel, Diego e Carlos che lo chiamavano papà. Quando una volta è venuto il signore con la giacca e la cravatta lo nascosero al piano di sopra.»

«Ti ricordi come si chiamava questo signore?» chiese Drake.

«Non lo so, lo chiamavano Mister F.B.I.» rispose Michael. «La prima volta che l’ho sentito, credevo fosse venuto a salvarmi.»

Probabilmente la sua ingenuità di bambino aveva iniziato ad incrinarsi in quel momento: qualcuno che avrebbe dovuto portarlo via da quell’incubo, ne faceva parte.

«Cento ad uno che è lui» disse Drake rivolgendosi a lui.

«Ma se Flyer era uno di loro, perché nasconderlo al suo arrivo?» chiese.

Drake si bloccò perplesso. «Non lo so. Onestamente non so immaginare come funzioni il cervello di gente del genere. Forse non si fidavano molto neanche di Flyer, in fondo uno che ha già tradito, non ci mette niente a farlo una seconda volta.»

In fondo era plausibile: si stava parlando della famiglia Estrada al gran completo.

«Micky… a proposito dei cani. Hai paura di loro?»

Drake chiuse gli occhi, evidentemente si era scordato che Lizar e Dragar erano della stessa razza di quelli che avevano trovato alla villa.

«Quelli lì facevano paura.»

«Qui alla villa ce ne sono di identici, si chiamano Lizar e Dragar e non ti faranno del male.»

Michael sorrise, «Se lo dici tu, ci credo. Anche Jennie ha paura di quei cani.»

Ci avrei scommesso.

«Temo che anche tua sorella dovrà farci amicizia.» Rimase un attimo in silenzio, decidendo se era il caso o no di parlarne, poi decise di farlo «Micky, c’è anche un’altra cosa della quale vorrei parlarti.»

Il bambino si limitò a girarsi verso di lui e rimase in attesa.

«Sai che i tuoi genitori ci stanno molto male per quello che ti è successo, vero?»

Michael chiuse gli occhi, «Sì. Anche Sue ha sempre le lacrime agli occhi, anche quando non capisco il perché.»

Si soffermò a pensare che Michael avesse una padronanza del linguaggio che andava molto oltre la sua età.

D’altra parte lui non lo stava certo trattando come un bambino di quattro anni.

«Devi parlargli di cosa ti è successo.»

«Ma stanno così…!»

«Lasciarli fuori da questa… definiamola parentesi della tua vita non è la soluzione per farli stare meglio, credimi.»

«Sei sicuro?»

«Purtroppo sì. I problemi non si risolvono aggirandoli o ignorandoli, bisogna affrontarli, per quanto facciano male.»

Con una scarpina cominciò a strusciare contro la coperta, si concentrò su di essa «Sai, papà mi ha fatto fare una visita medica strana… un po’ il dottore mi ha fatto male anche se… aveva il guanto coperto di quella gelatina.»

Anche Drake sbiancò.

Cristo.

Avevano controllato che non avesse subito abusi sessuali.

Seguì un lungo silenzio.

«Hai capito perché ha chiesto che te la facessero?»

Michael fece una smorfietta, «Sicuramente per il mio bene… anche se… no, non ho capito.»

Drake lo guardò chiedendogli senza un suono se era il caso di imbarcarsi in una discussione del genere.

Esattamente la stessa cosa che si stava chiedendo anche lui.

«Ti va di parlarne?»

Michael si morse il labbro inferiore.

Seguì un altro silenzio.

Era già pronto a cambiare in qualche modo argomento, quando con vocina appena udibile il bambino riprese a parlare. «Il dottore ha detto che avrebbero potuto farmi delle brutte cose… io gli ho detto che mi avevano picchiato a volte, ma non mi ha creduto.»

«Chi?»

«Papà.»

«Michael, non è vero che tuo padre non ti ha creduto. Lui ti ha creduto… disperatamente. Con tutte le sue forze. Sei stato fortunato, ma anche i bambini a cui capitano queste brutte cose a volte si ostinano a dire che non sono successe.» Michael alzò di scatto la testa, incredulo «So che ti sembra incredibile, ma per la vergogna fanno finta che non siano successe… e tuo padre, tua madre e Jennifer non potevano vivere con questo dubbio, capisci?»

La sua espressione gli disse che aveva capito, aveva capito dannatamente bene per un bambino di quattro anni.

Stava parlando di stupro con un bambino di quattro anni.

Se qualcuno glielo avesse predetto, non ci avrebbe mai creduto.

Sorrise appena, «Sono contento di averne parlato con te, adesso sto meglio.»

Gli sorrise in risposta.

Lanciò un’occhiata a Drake e vide il suo migliore amico chino su se stesso, con una mano sugli occhi… tutti i corsi di addestramento all’F.B.I. non li avevano preparati ad una cosa del genere.

E al posto di Michael sarebbe potuta esserci Jennifer.

 

Il resto della serata, almeno fino alla fine della cena, si svolse tranquillamente.

Durante la cena Melissa dimostrò, contro ogni previsione, di aver completamente accettato Michael e lo volle assolutamente accanto a sé, cosa che rivoluzionò l’originale mappa dei posti ideata da sua nonna… il che, a sua volta, portò Jennifer ad essere molto più distante da lui di quanto sua nonna avesse mai voluto.

Ormai poteva dare per scontato che suo nonno avesse raccontato tutto.

A proposito di Jennifer, sembrava quanto meno restia a posare gli occhi sulla sua persona, cosa che gli fece venire il dubbio che forse l’aveva lasciata alla mercé di sua nonna e di sua madre… senza contare Justin, un po’ troppo a lungo.

C’erano un bel po’ di cose da affrontare con quella ragazza.

Drake si rivelò essere il solito, solido appoggio di sempre e lo sorprese la velocità con cui si abituò all’idea che Justin da potenziale nemico era passato ad essere amico.

Jeremy osservava di tanto in tanto il figlioletto come se lo vedesse per la prima volta, ma si guardò bene dal fare commenti.

I bambini furono messi a letto alle nove in punto e stranamente Melissa non fece storie.

Lo stato di grazia terminò quando Drake, a sorpresa, lasciò il campo in anticipo sulla solita tabella di marcia.

Non poteva neanche dirgli di rimandare, perché sapeva che Cip e Ciop non erano questioni che si potessero rimandare… questa volta poi, erano troppo vicini alla catastrofe totale per permettersi di perdere tempo in qualche modo.

Questo diede il via a suo padre che senza troppe cerimonie gli mise un fascicolo sotto il naso, incurante dell’occhiataccia che gli rivolse la consorte.

«Cos’è?» chiese rassegnato.

«Che ne dici se ci lanciassimo in un nuovo campo?» chiese suo nonno accendendosi il sigaro che completava il rito della cena.

«Questo ha tutta l’aria di essere un accerchiamento…» commentò guardandosi intorno sospettoso. Poi aggiunse «Quale campo?»

«La moda» rispose suo zio Paul. «Oggi siamo andati a vedere l’agenzia.»

«E…?»

«L’idea è di comprarla» disse Justin.

«Comprarla o rilevarla?»

Succedeva di rado, ma succedeva, che la McGregor Investments si lanciasse in acquisti di società di vario genere che tergiversavano in cattive acque, le rimettesse in sesto e le rivendesse. Ancora più di rado, ma esistevano precedenti, la società comprava attività per estendere il suo raggio di azione.

«Comprarla» ripeté suo padre. «Gli affari vanno a gonfie vele» continuò poi assumendo il tono dell’orefice che valuta la pietra grezza… un tono che conosceva bene. «Abbiamo finito stamani di controllare i libri e l’agenzia è in ottime condizioni. Il proprietario si è improvvisamente scoperto attore nato… dovresti solo vederlo figlio mio» aggiunse come se l’espressione che aveva non dicesse già di per sé che per suo padre la scoperta era completamente sballata!

Juna non mosse un muscolo.

«Zio, che significa quando fa così?» chiese Georgie.

«Non mi sembri molto entusiasta della notizia, sai?» continuò Justin.

«Non capisco la mossa, tutto qui.»

«E’ un ramo di cui mi occuperei io» riprese Georgie. «Tutto puoi dire di me, fuorché che di moda non me ne intendo. Non è solo un’agenzia di modelle, capisci? Quella è solo una parte dell’azienda. E’ anche un atelier con tanto di laboratorio proprio e boutique.»

«Se te ne occupi tu, mi spieghi che ci fate tutti intorno a me?» fece una smorfietta guardandosi intorno «O sono io che soffro di improvvise manie di persecuzione?»

«Ti stiamo tutti intorno essenzialmente per quattro motivi: sei il numero due della società, per il passaggio di proprietà mi servirà tutto il tuo aiuto, conto tanto sul fatto che nella prossima avanscoperta ci sarai anche tu con me… e soprattutto, perché ti vogliamo bene!»

«Ah! Mi vuoi bene! T’immagini se tanto tanto facevo di starti un po’ di traverso?! Ci doveva essere la fregatura da qualche parte… perché non ti fai accompagnare da tuo fratello?»

«Hai voglia di scherzare?» insorse Diana «In un’agenzia di modelle? Con tutte quelle tentazioni in giro? Non se ne parla neanche!!»

«Pensa un po’ te la fortuna che hai cugino: non ti sei innamorato di una fidanzata gelosa, quindi sei libero come l’aria e sembri un modello! Visto che sei praticamente il capo dove lavori adesso…»

«Grazie della considerazione Just…» commentò suo padre. «In fondo sono solo il presidente vero?»

«… potresti prenderti un bel periodo di ferie, farti assumere in quell’agenzia e lavorare un po’ in incognito per vedere se davvero il gioco vale la candela no?» concluse Justin.

Il bicchiere si fermò a mezz’aria e rimase ad osservare suo cugino da sopra il bordo, «Justin, fermo restando che sono anni che battaglio con i talents scouts di queste agenzie per essere lasciato in pace quindi è probabile vedermi nelle vesti di un modello quanto di vedermi vestito di giallo… è una mia impressione o tu sei addirittura felicissimo di evitare tutte quelle tentazioni?»

«Devo essere sincero? Beh, tanto non ti si può nascondere nulla… senti, io ci sono stato e ho visto che razza di ambiente è: solo quella pazza di mia sorella può pensare di aver ragione di gente del genere.»

«Justin!» esplose Georgie con tono chiaramente minaccioso.

«Le modelle ci sono, come no… ma prima di arrivare a loro devi affrontare orde di segretarie e fotografi con le loro troupes al seguito. Le prime sono isteriche perché vorrebbero essere loro stesse delle modelle, i secondi sei fortunato se li becchi solo isterici!»

«Justin!!» ripeté la ragazza… sensibilmente più minacciosa della prima volta.

Justin la ignorò per la seconda volta. Lo soppesò un attimo assorto, poi disse, «Pensandoci bene cugino, forse è meglio se uno come te lì dentro non ci mette piede…»

Georgie si rivolse a Diana, «Portalo via se davvero tieni a lui!»

Diana appoggiò una mano sul braccio del fidanzato, «Avanti Just, ti ospito da me stanotte.»

«Ssseeee… è ventiquattro anni che dice che mi ammazza e sono sempre qui.»

«Just, fossi in te, accetterei l’invito della tua fidanzata» disse suo zio Ryan. «Tua sorella mi sembra veramente nera adesso.»

Georgie si rivolse a lui, «Non gli crederai vero?»

«Sei proprio decisa eh?»

«Juna, non puoi abbandonarmi al mio destino…»

«Ah no?»

«Juna!»

Scoppiò a ridere, «Ok cugina, va bene: mi arrendo. Non ricordo i miei appuntamenti adesso, ti chiamo domani mattina dall’ufficio per dirti quando posso venire con te… e voglio la tua parola che mi difenderai a spada tratta dai talents scouts

 

Era quasi mezzanotte, ma ancora Jennifer non riusciva a prendere sonno… e dire che si sentiva esausta.

La stanza dove si trovava in quel momento era due volte e mezzo quella che l’aveva ospitata sin da bambina.

Il letto a baldacchino da solo occupava i due terzi dell’intera parete, era immenso per una persona sola, di fronte aveva un armadio che occupava l’intera parete… tutta la roba che si era portata, che le era sembrata tanta, lo aveva a malapena riempito per un terzo.

Alla sua destra si apriva una parete di vetro che dava sul balcone con vista nel parco che circondava la villa, sulla sinistra, accanto alla porta, si trovavano una scrivania e il tavolino per il trucco.

Tutto era immenso e la villa era un insieme di meraviglie… si muoveva con il terrore di rompere qualcosa!

Si girò verso la vetrata da dove filtrava il debole bagliore della luna.

Tutto intorno a lei parlava di potere, ricchezza… eppure vi era un’atmosfera meravigliosa.

A parte i commenti che aveva raccolto da Justin e Juna, suo padre le aveva spiegato che in pratica la famiglia si era compattata di nuovo poche settimane prima.

Sembrava che fino ad allora, ci fosse stata una guerra senza quartiere fra Juna e Patrick, guerra che aveva finito con il travolgere l’intera famiglia… in realtà tutto era cominciato quando Connor aveva sposato Manaar, ma alla fine era stato Juna il muro dove Patrick era andato a sbattere per diciotto anni.

La cosa non la meravigliava affatto.

Non riusciva a capire bene cosa fosse successo, ma quello che le aveva detto suo padre quadrava con quello che ricordava di quella vacanza trascorsa insieme alla famiglia McGregory e collimava con tutte le voci che erano circolate fino ad allora sui McGregory… quadrava anche con il fatto che si era trovata tu per tu con una famiglia completamente diversa da quella che si aspettava.

Le ragazze delle classi superiori che in qualche modo avevano conosciuto Georgie ne parlavano come una ragazza altezzosa, saccente, viziata ed egoista… perfettamente cosciente di essere una McGregory. La ragazza che si era trovata davanti era dolce, buona, disponibile e tutt’altro che egoista: in pratica le aveva messo a disposizione la sua stanza e il suo guardaroba.

Justin era conosciuto come un ragazzo chiuso e scontroso e le malelingue dicevano che si fosse messo insieme a Diana per interesse, in pratica erano stati i genitori dei due a decidere tutto. Aveva passato la giornata con due ragazzi che si adoravano e Justin aveva un senso dell’umorismo pronto e vivace.

L’unico che era esattamente come lo descrivevano era Juna… e forse anche meglio.

Aveva sempre creduto che quello che veniva detto su di lui fosse in gran parte leggenda: il suo senso degli affari, il fatto che fosse praticamente infallibile, la sua determinazione, la sua spietatezza negli affari, la sua glacialità come essere umano… era pur sempre una ragazzo di appena diciannove anni, per la miseria. Genio e bellissimo quanto vuoi, ma doveva pur avercelo qualche limite!

Qualsiasi mamma a Boston che avesse una figlia di almeno quindici anni sapeva vita, morte e miracoli di lui e probabilmente la cosa non si limitava a Boston, visto che i nonni materni di Juna erano di Los Angeles.

Inutile dire che qualsiasi ragazza nella sua scuola sapeva chi fosse Junayd Kamil Alifahaar McGregory. Sorrise al pensiero che Sharon sapesse chi fosse Juna perché Drake le piaceva da anni.

Quando aveva passato quel mese in vacanza con l’intera famiglia, aveva un’idea piuttosto confusa di cosa fosse un genio ed obbiettivamente non poteva dire di aver passato molto tempo con Juna all’epoca… la spaventava troppo.

Il quoziente d’intelligenza di quel ragazzo faceva paura solo a pensarlo, si era convinta che la cosa pesasse quando ti trovavi a parlarci… invece Juna riusciva a comportarsi come un ragazzo qualsiasi, aveva semplicemente un carisma impossibile da ignorare: entrava in una stanza e la stanza diventava improvvisamente troppo piccola.

E quegli occhi…

La sua non era semplice bellezza fisica: era qualcuno e lo si notava subito.

Una cosa era certa: Michael lo adorava.

Sprofondò nel sonno senza rendersene conto.

 

La mattina dopo scoprì ad attenderla una colazione che era un pranzo, almeno a giudicare dai vassoi che andavano e venivano.

Per ora aveva contato un maggiordomo e due cameriere.

Michael era venuto a prenderla in camera, abitudine che aveva da quando aveva imparato a camminare, e lo vide saltare a piè pari gli ultimi due gradini.

«Bomboloni!» esclamò estasiato guadagnandosi il sorriso di due cameriere che stavano portando i vassoi che avevano attirato la sua attenzione.

Lo riprese per la cintura dei pantaloni, «Michael Flalagan, non si corre in casa! Potresti farti male!»

Suo fratello alzò lo sguardo su di lei e sorrise, «Hai ragione, scusa.»

Dio, com’era felice.

«Buongiorno.»

Non riuscì a trattenere un sussulto.

Come dannazione faceva ad arrivarti così vicino senza fare un rumore?!

«Ciao Juna!» salutò suo fratello.

«Ciao cucciolo. Ciao Jennie, dormito bene?» Al suo cenno di assenso, aggiunse «Il cambio di letto non ti ha creato problemi allora.»

«No, grazie.»

Le poggiò una mano sulla base della schiena quando d’istinto puntò verso il salone e le fece segno di avviarsi alla vetrata, «Facciamo colazione nel gazebo quando il tempo è così bello.»

Uscirono fianco a fianco e si avviarono verso una piccola costruzione circolare. Era chiusa da vetri decorati tenuti insieme da una struttura di ferro lavorato.

Era un piccolo capolavoro.

«E’ bellissimo.»

«Piace a tutta la famiglia, quando posso mi porto il lavoro qui. Ti piace la tua stanza?»

Fece appena caso al radicale cambio di discorso, «Molto. E’ tutto bellissimo qui.»

«Oh, grazie.»

Il suo cuore ebbe un’improvvisa accelerazione, ma si costrinse a guardarlo. Ok, nel completo gessato era anche più che bellissimo.

Gli sorrise d’istinto, «Abiti qui da quando sei nato, pensavo che lo sapessi… inoltre ho visto molti specchi sparsi un po’ da per tutto» aggiunse come diretta risposta alla frecciatina del ragazzo.

Il sorriso che le rivolse Juna la sconvolse, «Jennie, sto cominciando a credere nei miracoli.»

«Perché?»

«Non solo mi hai parlato guardandomi, ma mi hai anche sorriso. Cominciavo a temere di starti sull’anima.»

Anche il giorno prima, in piscina, aveva buttato lì che l’acqua la spaventava più di lui.

Se n’era accorto.

Decisamente non aveva cominciato bene con lui… appena si erano rivisti gli aveva in pratica detto di ritenerlo umano quanto un pezzo di ghiaccio e adesso…

«Mi… mi dispiace averti dato quest’impressione.»

«Figurati.»

Entrarono dentro la costruzione, che all’interno era molto più spaziosa di quanto apparisse dall’esterno, e Juna le scostò una sedia, «Prego.»

«Grazie.»

Le si sedette accanto, «Cosa ti va? Tea, caffè, succo di frutta?»

«Tea al limone.»

«Micky?»

Il bambino si era piazzato davanti a loro e li osservava, notò solo lo sguardo adorante che rivolse al ragazzo, «Succo di frutta.»

Apparve Howard, come partorito dalla terra, «Buongiorno, desiderate?»

«Un tea al limone, un succo di frutta… come lo preferisci?»

«Albicocca?»

«E’ una domanda o una proposta?»

Michael scoppiò a ridere, «Albicocca!»

Juna sorrise, «… e il solito caffè per me.»

«Quanti bomboloni posso mangiare?» chiese Michael.

«Fino ad un paio al di sotto della soglia dell’indigestione» rispose la voce di suo padre alle loro spalle. «Ho l’impressione che lo faresti anche senza il mio permesso!»

«Buongiorno Jeremy» disse Juna senza voltarsi.

«Buongiorno papà» dissero in coro lei e suo fratello.

C’era anche Connor, ma Juna non poteva averlo visto.

«Buongiorno figlio, dormito bene?»

«Certo. Tu?»

«Impertinente.»

Juna alzò gli occhi sul padre che si era seduto davanti a lui, accanto a Michael e sorrise, «Imparerai prima o poi che certe domande a quest’ora la mattina non me le devi fare…»

«A volte mi chiedo da chi hai ripreso.»

«Prova a chiederlo alla mamma e senti cosa ti dice.»

«Mh, figurati: stando a lei tutti i tuoi lati migliori mi appartengono. Buongiorno Jennifer.»

«Buongiorno Connor.»

Ricomparve Howard che prese le ordinazioni degli ultimi arrivati.

Di lì a poco cominciarono ad arrivare le tazze.

«Allora» disse suo padre, «stamani si comincia nella nuova classe Micky?»

Suo fratello non alzò gli occhi dal bombolone, «Sì papà.»

«Non mi sembri molto entusiasta della cosa» commentò Juna prima di bere un sorso di caffè. «E’ una mia impressione?»

«Non conosco nessuno.»

«Conosci mia nipote» disse Connor. «Melissa è una specie di leader in quella classe, se arrivi con lei non farai il minimo sforzo a conoscere altri bambini.»

«Me lo ha detto anche Lissa.»

Come evocata comparve la bambina che puntò Juna, «Buongiorno Juna.»

«Buongiorno Lissa, ben svegliata.»

«Non ho fatto incubi stanotte, visto?»

E lui non aveva messo il naso fuori di casa… la perfezione, praticamente.

«Sono molto contento.»

«Buongiorno a tutti» disse Ryan dietro di lei.

Gli rispose un coro.

«Ciao Jennifer, come stai?»

Non si era accorta che Melissa si era spostata accanto a lei, «Bene Melissa, grazie.»

«Lissa, cosa vuoi per colazione?» chiese Ryan.

«Quello che ha preso Micky. Jennifer, posso sedermi accanto a te?»

«Ma certo.»

«Zio Connor?»

«Stai per dirmi che ho preso il tuo posto vero? Perdona la mia sbadataggine: è l’età. Non succederà più, promesso.»

Melissa sorrise a Connor, poi si concentrò su suo fratello, «Micky?»

«Ciao Lissa.»

«Ciao… cos’hai?»

«Niente.»

«Allora perché non mi guardi?»

Suo fratello alzò lo sguardo e vide che aveva le lacrime agli occhi.

«Micky, cosa c’è?» chiese sull’orlo del panico.

Juna le afferrò una mano sotto il tavolo, bastò quel gesto a calmarla.

«Non… non voglio andare a scuola» bisbigliò suo fratello. «Per favore. Ho paura.»

Vide suo padre chiudere gli occhi e smettere di respirare.

Melissa lo guardava come se lo vedesse per la prima volta, «Scherzi vero?» chiese.

Michael la guardò e un lacrimone gli scivolò lungo la guancia, «Non è colpa tua Lissa. Io… io non…»

Juna le lasciò la mano, «Michael.»

Suo fratello spostò di botto lo sguardo su di lui, «Ho capito di cosa hai paura, ti prometto che non succederà più. Ti accompagneranno anche tuo padre e Patrick a scuola, e ti verranno a riprendere. A tua sorella penseremo io e mio padre. A scuola ci sarà sempre Lissa con te, vero Lissa?»

La bambina asserì con la testa, anche a quell’età si rendeva conto che c’era qualcosa che le sfuggiva. Qualcosa d’importante. «Micky, mi dici cosa ti fa paura?»

«Quegli uomini mi hanno rapito all’uscita da scuola» fu la lapidaria risposta di suo fratello. «Ci torno oggi per la prima volta.»

Melissa sgranò gli occhi, «Ti hanno rapito??» esplose. «Come l’uomo nero fa con i bambini cattivi?» Si rigirò verso suo padre «Tu lo sapevi!»

Ryan si guardò intorno in cerca di aiuto.

«Lissa, nessuno a scuola deve saperlo, intesi?» disse Juna «E’ un qualcosa che Michael deve lasciarsi alle spalle e in meno lo sanno e meglio è.»

«E non mi hanno rapito perché sono un bambino cattivo» disse suo fratello. «Mi hanno rapito per far del male al mio papà.»

 

Jeremy era ad un passo dal crollare e Jennifer non era messa meglio.

«Ok» disse. «Melissa, ascoltami bene.» Aspettò che la bambina lo guardasse, «La situazione è questa: Jeremy è un uomo importante, credo che tu l’abbia capito. Sta per firmare una legge che potrebbe mettere nei guai molta gente cattiva, questa gente ha pensato bene di rapire Michael per impedire a Jeremy di firmare questa legge.»

«Ma questo è un ricatto!» esclamò la bambina con un’ingenuità che solo a cinque anni si può avere.

«Esatto, della peggior specie per di più.»

«La mamma mi ha detto una bugia allora: non sono qui perché hanno lavori in casa, vero?»

«Mamma ha detto e fatto quello che riteneva più giusto per te. Ti ripeto che nessuno a scuola deve sapere di questa storia.»

Melissa asserì decisa con la testa, «Non lo dirò a nessuno Juna. Micky, ti proteggo io a scuola.»

Neanche Jennifer riuscì a restare seria davanti ad un’affermazione così innocente e ingenua e un sorriso le piegò le labbra, Melissa se ne accorse e rispose al sorriso.

«Michael, perché non mi hai detto tutto prima?» chiese Jeremy.

«Non… non credevo di essere così pauroso papà.»

Jeremy resse abbastanza bene all’ennesima legnata che gli arrivò fra capo e collo… Jennifer si morse il labbro inferiore fino quasi a sangue.

Le riprese una mano e la ragazza per la sorpresa smise di mordersi e lo guardò.

Mentre si specchiava in quegli occhi, pensò che in momenti come quello gli sarebbe stato utile essere telepatico, come faceva a farle capire che non doveva assolutamente avere reazioni del genere davanti al fratello?

Jennifer chiuse gli occhi e annuì velocemente. Serrò un attimo la stretta intorno alla sua mano e la ritrasse.

Aveva capito?

Con la coda dell’occhio intravide un movimento dietro di lui e si voltò.

Sua madre lo stava guardando con occhi sgranati… e Sarah accanto a lei guardava con espressione altrettanto sorpresa la schiena della figlia.

Si voltò di nuovo verso la tavola, chiedendosi dove fosse la giustizia divina se per arginare un problema ne creava uno ancora più grosso.

 

La mattinata passava lentamente e per la testa aveva tutto all’infuori del lavoro.

All’una Jennifer usciva da scuola e tecnicamente lui e suo padre sarebbero passati a prenderla per tornare poi a pranzo a casa.

Lui non sapeva che fare.

Ok, il punto fermo della situazione era che doveva parlare con Jennifer di Michael, pensandoci aveva anche stabilito che per arrivare a qualcosa con quella ragazza, doveva parlarci da solo… avevano di regola già abbastanza problemi di comunicazione a tu per tu, senza bisogno di ulteriori complicazioni esterne.

Il tornare o meno per pranzo a casa non avrebbe fatto la differenza da quel punto di vista perché soli non sarebbero stati di sicuro, ma forse sua nonna lo avrebbe visto come un suo tentativo di evitare Jennifer quando c’erano tutti e non riusciva a pensare ad un modo migliore per complicarsi la vita.

Nel tragitto casa-scuola e ritorno c’era suo padre… allora?

Doveva anche trovare un terreno neutro… si guardò un attimo intorno…

Il suo ufficio?

Soluzione che trovava, nuovo problema che nasceva: come far arrivare Jennifer nel suo ufficio?

No. Doveva trovare un posto adatto nel perimetro della proprietà McGregory… per esempio il gazebo.

Ottimo, il gazebo.

Si lasciò andare contro la poltrona e sentì bussare. «Avanti» disse senza preoccuparsi di recuperare la posizione del vice presidente: con Alison non esistevano problemi del genere.

«Ti vedo pensieroso.»

Per un attimo pregò di avere le allucinazioni uditive, poi si voltò verso la porta e… c’era inderogabilmente sua madre sulla soglia. «Mamma?»

«In persona. Posso entrare?»

«Ma certo.» Si alzò per andarle incontro, «E’ successo qualcosa?»

Subito dopo averlo detto si sarebbe preso a calci.

«Sono venuta qui per saperlo da te.»

Rimase un attimo in silenzio maledicendosi per la propria capacità di tirarsi la zappa sui piedi… specie con quella donna. «Questa me la sono proprio cercata.»

«Effettivamente di solito sei molto più prudente.»

«Eh, invecchio anch’io, sai mamma?»

«Non cercare di forviare… tutto tuo padre, povera me. Sediamoci un po’ nel tuo salottino personale, vuoi?»

La seguì verso le poltrone e il divano che, insieme al tavolino di cristallo, formavano quello che sua madre definiva salottino personale, mentre per lui era solo il posto più comodo dove decidere le sorti dei soldi dei clienti più importanti della compagnia.

«Vuoi un caffè?»

«L’ho già preso con tuo padre.»

Sempre meglio.

Prese posto accanto a lei nel divano e, come sempre, sua madre andò dritta al punto.

Un punto che lui neanche aveva lontanamente immaginato.

«Voglio sapere cosa ti preoccupa da qualche settimana Juna. Non ci dormo più la notte vedendoti sempre così cupo e pensieroso. E’ come se avessi un problema che non sai da che parte rifarti per risolvere e se n’è accorto anche tuo padre.»

Il che significa che anche i muri in casa si erano accorti di qualcosa? si chiese cercando di recuperare la voce.

Qualsiasi cosa era meglio del primo problema saltato fuori settimane prima, quindi senza il minimo rimorso di coscienza mise in pratica cosa gli avevano insegnato all’F.B.I.: a mali estremi, estremi rimedi.

«Effettivamente per te non è un problema avere sotto lo stesso tetto una potenziale fidanzata per tuo figlio, vero?»

Avrebbe dovuto segnare sul calendario quella data: era la prima volta in vita sua che riusciva a prendere in contropiede sua madre.

«E’ per Jennifer?!» chiese meravigliata.

«Mamma, non fare la finta tonta, ok? Ve l’ho letto in faccia, a te e alla nonna, il piano che si è delineato nella vostra mente… addirittura Justin si è sentito in dovere di mettermi in guardia.»

«Cosa ha fatto Justin?»

«Già che siamo entrati in argomento, ti avverto: non cercate di mettermi con Jennifer, o peggio ancora di mettere lei con me. Non si merita assolutamente una cosa del genere quella ragazza.»

Sua madre lo guardò un attimo, «Ti preoccupi per lei?»

«No mamma, mi preoccupo per me. Al momento non ho la testa per una relazione.»

«Allora ti preoccupa qualcos’altro?»

Dannazione, quella donna sentiva solo quello che voleva sentire.

«Sì, una preoccupazione di quattro anni e una di cinque… comunque collegate a quella di sedici.»

«Melissa e Michael.»

«Esatto. Hai avuto modo stamani di sentire cosa ha detto Michael o hai solo notato come sono riuscito a calmare Jennifer?»

Sei veramente uno stronzo McGregory.

Sua madre sospirò, «Ho sentito. Mai avrei immaginato una cosa del genere.»

«Siamo in due. Ascoltami mamma, dovrò parlare con Jennifer riguardo a Michael, e dovrò parlarci seriamente. Mi rendo conto che ho sottovalutato e di parecchio la situazione… e non posso assolutamente avere il patema d’animo che se tu o la nonna ci vedete parlare da soli cominciate a stampare le partecipazioni al matrimonio, lo capisci?»

Sua madre si morse il labbro inferiore. «E’ solo per questo? Sei sicuro? Perché se è solo per questo, allora ti prometto che i tuoi problemi sono risolti. Parlerò con Madeline.»

«Non puoi fare niente di meglio mamma. Non chiedo altro alla vita.»

Manaar Alifahaar lo guardò negli occhi, e come sempre si sentì nudo sotto quello sguardo, «Juna, se ci fosse qualcosa di… grave, me lo diresti, vero?»

Chiamò a raccolta tutto quello che gli avevano insegnato del tipo pensa nero e rispondi bianco e le sorrise, «Lo faccio da tutta una vita mamma. Non c’è niente, sul serio.»

La vide arrendersi con un sospiro di sollievo.

Gli aveva creduto.

Disperatamente.

Con tutte le sue forze.

McGregory, sei proprio uno stronzo.

 

 

 

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NOTE:

 

Zarah, che bello ritrovarti anche in questa sezione! Mi sento a casa! Grazie per il commento! *inchino*

   
 
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