Non
E’ Mai Troppo Tardi
8
Arrivò a casa di Juna stabilendo un nuovo tempo
record.
Cosa dannazione era successo?
Possibile avesse fatto appena in tempo a mettere
piede in casa che il bambino si era tradito in qualche modo? Nella peggiore
delle ipotesi, come avrebbe reagito trovandosi davanti anche lui?
Si sarebbe svegliato prima o poi da quell’incubo?
Gli venne ad aprire l’intramontabile Howard,
quell’uomo sembrava eterno.
C’erano altre tre cameriere in quella casa, fra
cui la moglie e la figlia di Howard, ma in giro c’era sempre e solo lui.
«Buonasera Howard.»
«Buonasera signor Tyler, ben arrivato.»
Apparve Connor, «Ah, sei tu Drake! Vieni, Juna
scende fra poco. Howard, per favore, avvisi tu mio figlio che Drake è
arrivato?»
Con il solito inchino da manuale l’uomo sparì.
«Come stai?» chiese a Connor.
«Molto bene, tu?»
«Tutto ok.»
Si lasciò guidare attraverso l’ingresso. «Tua
madre e tuo padre?» continuò Connor.
«Mia madre in giro a fare shopping credo, mio
padre è in Belgio.»
«Sempre le solite cose allora» commentò facendogli
l’occhiolino.
«Direi proprio di sì!»
Da sempre una battuta classica di Connor e di suo
padre riguardava il fatto che sua madre e Manaar, a spasso per negozi insieme o
separatamente, facevano più danni di un tornado.
Entrarono nel salone principale e in un attimo
inquadrò la famiglia Flalagan. Se si escludeva quella che doveva essere la
madre, anche loro sembravano parenti suoi: tutti biondi con gli occhi chiari.
Se si escludeva l’assenza di Juna, c’era anche la
famiglia McGregory al gran completo.
Che Dio lo aiutasse.
«Ah, ecco Drake, il migliore amico di Juna» lo
presentò subito Patrick.
«Buonasera a tutti.»
Michael lo fissò per qualche secondo a bocca
aperta, tanto per fargli capire che lo aveva riconosciuto, poi gli sorrise e
gli trotterellò incontro, «Ciao Drake, io sono Michael, ma tutti mi chiamano
Micky.»
Fu presentato all’intera famiglia Flalagan e
Michael non si schiodò dalle sue gambe.
Soppesò per qualche secondo Jennifer con lo
sguardo… prevedeva tempi duri per Juna.
Non faceva il minimo sforzo ad immaginare il piano
che si era delineato nelle menti di Manaar e Madeline vedendo Jennifer… e
soprattutto, vedendo Jennifer vicino a Juna.
Quel ragazzo non si trovava in una bella
situazione, sotto nessun punto di vista.
Incontrò lo sguardo di Justin e per la prima volta
da quando lo conosceva si scambiarono un gesto di saluto… oltre ad un’occhiata
che gli fece capire che il ragazzo avesse non solo capito cosa aveva pensato,
ma come avesse visto giusto: Madeline e Manaar probabilmente stavano già
organizzando lo stampo degli inviti per il matrimonio.
«Hai frantumato tutti i tuoi precedenti record
oggi» gli comunicò il suo migliore amico alle sue spalle.
Fresco di doccia, a giudicare dai capelli bagnati.
«Cosa non si fa per amicizia…»
«Drake, posso stare con voi mentre lavorate sulla
tua tesi?»
Tesi?
Juna si era dovuto inventare qualcosa in quattro e
quattr’otto!
«Certo, avrai modo di farti quattro risate.»
Juna ridacchiò, «Ho detto appena venti minuti fa
che economia e commercio non era una materia allegra…»
«Tanto per cambiare mi hai sottovalutato. Io so
rendere qualsiasi cosa divertente.»
«Una delle cose che mi piacciono di te Drake, è la
tua immensa modestia. Vuoi un caffè?»
«Hai detto la parolina magica.»
Come da abitudini ormai radicate, Juna si
posteggiò nella poltrona più vicina al caminetto e lui si prese posto sul
bracciolo accanto a lui.
Michael, inutile dirlo, si sistemò in collo a Juna.
«Beh Drake, sembra che tu ti sia fatto un nuovo
amico» commentò Patrick.
Non capì a cosa si riferiva fino a quando non
guardò Michael e si rese conto che il bambino lo stava osservando con un
sorriso raggiante.
Michael si voltò verso Patrick e dette una
graziosa scrollatina di spalle, «E’ il migliore amico di Juna, quindi è anche
amico mio, se a lui va bene. E’ anche biondo come me.»
Le cose stanno andando bene oppure a
rotoli?
«Ho conosciuto i tuoi genitori ad una festa» disse
Jeremy. «Anche tu, come Juna, assomigli in modo impressionante a tua madre.»
«Già, mio padre dice che ho ripreso il meglio: la
testardaggine e il senso dell’umorismo da lui e i colori da mia madre.»
«Io e Brian guardiamo la vita dallo stesso punto
di vista…» commentò Connor.
«Avete anche la stessa adorazione per le vostre
rispettive mogli» gli fece notare Juna.
Se Michael si era tradito in qualche modo, non
doveva essersene accorto nessuno all’infuori di Juna.
«E io e Jessica abbiamo la stessa pazienza nel
sopportare sia il consorte che la prole» commentò Manaar.
«Ah, Manaar, a proposito di sopportare la prole:
mia madre aspetta ancora la fattura per l’alloggio.»
Manaar rise, «Vorrà dire che faremo un tutt’uno a
fine anno!»
«Riferirò. Sarà sicuramente tranquillizzata da
questo.»
«Faremo anche uno sconto, vero mamma?» chiese Juna.
Cosa dannazione era successo?
Arrivò il caffè e dopo averlo bevuto, Juna si alzò
prendendo in collo Michael. «Si dice di andare Tyler?»
Era il fischio di partenza.
Si alzò anche lui e, salutati i presenti, lo seguì
fuori dalla stanza.
Appena si chiuse la porta della camera di Juna
alle spalle, si girò a fronteggiare qualsiasi cosa lo aspettasse.
Juna posò Michael sul suo letto.
«E’ sempre un piacere lo scoprire che sei pronto
all’improvvisazione» disse con il tono inequivocabilmente da agente.
Cambiava il tono, la cadenza… non lo sapeva
neanche lui di preciso, fatto sta che era inconfondibile.
«Ho dovuto farci l’abitudine a furia di starti
accanto.»
«Immagino che tu abbia capito che Micky ci ha
riconosciuto entrambi, vero?»
Il bambino li guardava tranquillo.
Aveva accettato quanto meno bene di dividere la vita con due agenti dell’F.B.I..
Quel bambino sapeva un qualcosa che lo accomunava
ad un generale e ad un comandante dei servizi segreti degli Stati Uniti
d’America… e adesso le loro vite dipendevano anche da lui.
Se non c’era da aver paura di questo…
«Direi che è uno dei pochi punti fermi dell’intera
faccenda. Come va Micky?»
«Bene. Tu?
«Eh, da Dio.»
Michael si rivolse a Juna, «Ho fatto bene a
comportarmi così con Drake?» chiese.
«Sì Micky. Non credo avresti potuto fare di
meglio.» Si rivolse a lui «Siediti Drake, devo raccontarti qualcosa che non ti
piacerà.»
Alla fine della storia si trattenne a stento dal
mettersi le mani nei capelli.
Andando letteralmente alla cieca, Lennie aveva
preso in pieno il centro della situazione.
«Mi dispiace tanto» disse Michael. «Io non sapevo
di Melissa.»
Juna lo guardò con un sorriso, «Nessuno si è
accorto di niente. Forse mia madre, come al solito… non sfugge niente a quella
donna, ma quando tiro in ballo il mal di testa, non concepisce altro… con un
po’ di fortuna si scorderà tutto.»
«Vi giuro sulla mia mamma, sul mio papà e sulla
mia sorellina che non dirò mai niente a nessuno.»
Forse neanche Dio sarebbe stato sufficiente a
salvarli, stavolta.
«Juna, siamo in una situazione assurda, per usare
un eufemismo, ti rendi conto?»
Michael abbassò lo sguardo sulla coperta.
«No piccolo non fare così, non ce l’ho
assolutamente con te. Da quello che mi avete detto, ti sei comportato
benissimo.»
Il bambino alzò di nuovo lo sguardo con un debole
sorriso, «Ero così felice di averlo ritrovato…» cominciò.
«Micky, l’importante è che non ti scappi detta una
parola» disse Juna.
«Senti Micky…» cominciò, «dovrei farti delle
domande… sugli uomini che ti hanno rapito.»
Juna sussultò e lo guardò sorpreso.
Eh già, questa non la sapeva neanche Juna: Lewing
aveva telefonato a lui e basta. «Se non te la senti di parlarne, lo capisco e
sono disposto ad aspettare.»
Michael aveva ripreso ad osservare con interesse
la coperta, «Lo vogliono sapere i tuoi capi?» chiese.
Istintivamente fece un semplice assenso con la
testa, ma Michael non poteva vederlo, occupato com’era ad osservare la coperta
del letto di Juna. «Sì.»
«E i tuoi capi sono anche quelli di Juna, vero?»
In quel momento dimostrava tutti i suoi quattro
anni. «Sì.»
Sollevò la testa, «Cosa vuoi sapere?»
Juna si sedette vicino a lui e Michael gli si
appiccicò letteralmente addosso.
Dio, fa che tutto questo non lo traumatizzi
più di quello che è.
«Ti dirò dei nomi, se li hai già sentiti, mi devi
dire se hai mai visto questi uomini.» Michael annuì «Carlos Estrada.»
«Era il capo degli uomini che mi hanno rapito»
rispose istantaneamente il bambino. «Era lui a dirmi che se non fossi stato
bravo mi avrebbe gettato in piscina.»
«Diego Estrada.»
Michael sussultò, «E’ suo fratello… lui è proprio
cattivo. Mi ha picchiato qualche volta… ma davanti a lui non ho mai pianto.»
Juna gli scompigliò i capelli. Ne aveva avuto di
coraggio, il puffo.
«Migũel Estrada.»
«Lui è stato quello più buono con me. Mi ha dato
dei dolci una volta… non mi avevano dato da mangiare perché ero stato cattivo…
secondo loro, e lui me li ha portati di nascosto.»
«Michael, stiamo parlando di uomini che erano
nella villa dove ti abbiamo trovato?» chiese tanto per essere sicuro.
Il bambino annuì.
«Fantastico» disse rivolto a Juna, «c’è l’intera
famigliola in gita.»
Juna annuì, «I fratelli devono aver tolto le tende
poco prima del mostro arrivo.»
«Continuiamo Micky?» Al suo cenno affermativo,
riprese «Pablo Scontria.»
Michael socchiuse gli occhi, «L’ho visto solo due
volte, pochi giorni prima che mi trovaste, quando parlavano della trappola per
Darkness e Falcon.»
Vide Juna scattare come una molla e seppe di
guardarsi allo specchio quando vide l’espressione allibita dell’amico.
«Quante volte hanno parlato di questi due?» chiese
Juna.
«Li ho sentiti nominare spesso negli ultimi
giorni… ma non li ho mai visti.»
«Cosa dicevano di preciso, te lo ricordi?»
Michael rimase in silenzio per qualche secondo con
gli occhi ridotti a due fessure, «Li avrebbero portati lì o sarebbero arrivati
da soli, non ho capito, e li avrebbero uccisi. Poi però non credo che lo
abbiano fatto perché siete arrivati v…»
Lo vide letteralmente cambiare colore: capì tutto
all’improvviso, «Oh no! No!» si aggrappò al maglione di Juna «Eravate voi che volevano uccidere!»
Juna lo abbracciò, «Calma Micky.» Guardò lui
«Dannazione, sanno i nostri nomi in codice.»
«E c’è solo da sperare che non sappiano altro.»
«Quell’uomo con la giacca e la cravatta non è
riuscito a sapere i vostri nomi, non ho mai sentito i vostri nomi o me li
ricorderei sicuramente. Non sanno chi siete.»
Juna spettinò il bambino in un gesto di affetto,
«Sai cosa significa questo, vero Drake?» gli chiese senza guardarlo.
Quando alzò lo sguardo su di lui, Drake lo stava
guardando quasi rassegnato, «Ci stanno dando davvero la caccia. Il fatto che
Flyer non sia riuscito a scoprire le nostre identità non significa niente: se
sono riusciti ad agganciare lui, possono agganciarne altri. Dobbiamo
assolutamente avvertire Cip e Ciop.»
Michael lo guardò stralunato, «Cosa c’entrano Cip
e Ciop?»
«Diciamo che sono i nomi in codice dei nostri
capi» gli spiegò.
Michael sorrise meravigliato, l’F.B.I. doveva
cominciare a sembrargli una specie di Paese delle Meraviglie: prima lui, poi
Drake, ora Cip e Ciop.
«Li hanno scelti loro?»
Drake ridacchiò, «Decisamente no Micky… anzi,
credo che non sarebbero affatto contenti di sapere come li chiamiamo io e Juna!»
Seguì un breve silenzio, poi Michael sospirò,
«Sono così felice di avervi ritrovato.»
Drake guardò lui.
Uno sguardo dove c’era di tutto.
Era successo esattamente quello che non avrebbero
mai voluto che accadesse… e adesso dovevano trovare il modo di venirne fuori
senza mettere in pericolo anche chi gli stava intorno.
«Micky, ricordi qualcos’altro?» riprese Drake.
«Non mi hai chiesto del papà di Carlos, Diego e Migũel,
ma c’era anche lui. E’ venuto insieme a Pablo e ad un altro che stava sempre
insieme a Diego… un nome strano, tipo Anton. Mi è rimasto in mente
perché un mio compagno è italiano e si chiama Antonio. Da quello che ho
capito non voleva che Carlos rimanesse lì con me.»
«Il padre non è nella lista che mi hanno dato L…
Cip e Ciop» disse Drake.
«Come mai non voleva? Parlavano americano o
spagnolo?» chiese.
«Beh, come tutti i padri si preoccupava del
figlio…» fu la disarmante risposta del bambino. «Parlavano spagnolo più che
altro, ma un mio compagno di scuola ha la baby-sitter spagnola e a forza di
sentir parlare lei, qualcosa lo capivo.»
«Pensi che loro sospettassero che tu un po’ li
capivi?»
«Non credo… comunque bastava che stessi fermo e
zitto e mi ignoravano. Quando mi davano da mangiare mi slegavano e a volte non
mi rilegavano se c’erano i cani.»
La verità, e ci era arrivato anche Drake ne era
certo, era che avevano già messo in conto di ucciderlo, quindi cosa poteva o
non poteva sapere non era mai stato un problema per loro.
«Questo Anton invece è nella lista, bravo Micky»
riprese Drake. Si rivolse a lui, «Sembra sia il braccio destro di Diego, ma non
c’era quando siamo arrivati noi. Se è per questo non abbiamo beccato neanche Pablo,
che era il braccio destro di Carlos. Non ti ricordi il nome del padre?»
Michael scosse la testa, «Tutti lo chiamavano per
cognome… tranne Migũel, Diego e Carlos che lo chiamavano papà.
Quando una volta è venuto il signore con la giacca e la cravatta lo nascosero
al piano di sopra.»
«Ti ricordi come si chiamava questo signore?»
chiese Drake.
«Non lo so, lo chiamavano Mister F.B.I.»
rispose Michael. «La prima volta che l’ho sentito, credevo fosse venuto a
salvarmi.»
Probabilmente la sua ingenuità di bambino aveva
iniziato ad incrinarsi in quel momento: qualcuno che avrebbe dovuto portarlo
via da quell’incubo, ne faceva parte.
«Cento ad uno che è lui» disse Drake rivolgendosi
a lui.
«Ma se Flyer era uno di loro, perché nasconderlo
al suo arrivo?» chiese.
Drake si bloccò perplesso. «Non lo so. Onestamente
non so immaginare come funzioni il cervello di gente del genere. Forse non si
fidavano molto neanche di Flyer, in fondo uno che ha già tradito, non ci mette
niente a farlo una seconda volta.»
In fondo era plausibile: si stava parlando della
famiglia Estrada al gran completo.
«Micky… a proposito dei cani. Hai paura di loro?»
Drake chiuse gli occhi, evidentemente si era
scordato che Lizar e Dragar erano della stessa razza di quelli che avevano
trovato alla villa.
«Quelli lì facevano paura.»
«Qui alla villa ce ne sono di identici, si
chiamano Lizar e Dragar e non ti faranno del male.»
Michael sorrise, «Se lo dici tu, ci credo. Anche
Jennie ha paura di quei cani.»
Ci avrei scommesso.
«Temo che anche tua sorella dovrà farci amicizia.»
Rimase un attimo in silenzio, decidendo se era il caso o no di parlarne, poi
decise di farlo «Micky, c’è anche un’altra cosa della quale vorrei parlarti.»
Il bambino si limitò a girarsi verso di lui e
rimase in attesa.
«Sai che i tuoi genitori ci stanno molto male per
quello che ti è successo, vero?»
Michael chiuse gli occhi, «Sì. Anche Sue ha sempre
le lacrime agli occhi, anche quando non capisco il perché.»
Si soffermò a pensare che Michael avesse una
padronanza del linguaggio che andava molto oltre la sua età.
D’altra parte lui non lo stava certo trattando
come un bambino di quattro anni.
«Devi parlargli di cosa ti è successo.»
«Ma stanno così…!»
«Lasciarli fuori da questa… definiamola parentesi
della tua vita non è la soluzione per farli stare meglio,
credimi.»
«Sei sicuro?»
«Purtroppo sì. I problemi non si risolvono
aggirandoli o ignorandoli, bisogna affrontarli, per quanto facciano male.»
Con una scarpina cominciò a strusciare contro la
coperta, si concentrò su di essa «Sai, papà mi ha fatto fare una visita medica
strana… un po’ il dottore mi ha fatto male anche se… aveva il guanto coperto di
quella gelatina.»
Anche Drake sbiancò.
Cristo.
Avevano controllato che non avesse subito abusi
sessuali.
Seguì un lungo silenzio.
«Hai capito perché ha chiesto che te la
facessero?»
Michael fece una smorfietta, «Sicuramente per il
mio bene… anche se… no, non ho capito.»
Drake lo guardò chiedendogli senza un suono se era
il caso di imbarcarsi in una discussione del genere.
Esattamente la stessa cosa che si stava chiedendo
anche lui.
«Ti va di parlarne?»
Michael si morse il labbro inferiore.
Seguì un altro silenzio.
Era già pronto a cambiare in qualche modo
argomento, quando con vocina appena udibile il bambino riprese a parlare. «Il
dottore ha detto che avrebbero potuto farmi delle brutte cose… io gli ho detto
che mi avevano picchiato a volte, ma non mi ha creduto.»
«Chi?»
«Papà.»
«Michael, non è vero che tuo padre non ti ha
creduto. Lui ti ha creduto… disperatamente. Con tutte le sue forze. Sei stato
fortunato, ma anche i bambini a cui capitano queste brutte cose a volte si
ostinano a dire che non sono successe.» Michael alzò di scatto la testa,
incredulo «So che ti sembra incredibile, ma per la vergogna fanno finta che non
siano successe… e tuo padre, tua madre e Jennifer non potevano vivere con
questo dubbio, capisci?»
La sua espressione gli disse che aveva capito,
aveva capito dannatamente bene per un bambino di quattro anni.
Stava parlando di stupro con un bambino di quattro
anni.
Se qualcuno glielo avesse predetto, non ci avrebbe
mai creduto.
Sorrise appena, «Sono contento di averne parlato
con te, adesso sto meglio.»
Gli sorrise in risposta.
Lanciò un’occhiata a Drake e vide il suo migliore
amico chino su se stesso, con una mano sugli occhi… tutti i corsi di
addestramento all’F.B.I. non li avevano preparati ad una cosa del genere.
E al posto di Michael sarebbe potuta esserci
Jennifer.
Il resto della serata, almeno fino alla fine della
cena, si svolse tranquillamente.
Durante la cena Melissa dimostrò, contro ogni
previsione, di aver completamente accettato Michael e lo volle assolutamente
accanto a sé, cosa che rivoluzionò l’originale mappa dei posti ideata da sua
nonna… il che, a sua volta, portò Jennifer ad essere molto più distante da lui
di quanto sua nonna avesse mai voluto.
Ormai poteva dare per scontato che suo nonno
avesse raccontato tutto.
A proposito di Jennifer, sembrava quanto meno
restia a posare gli occhi sulla sua persona, cosa che gli fece venire il dubbio
che forse l’aveva lasciata alla mercé di sua nonna e di sua madre… senza
contare Justin, un po’ troppo a lungo.
C’erano un bel po’ di cose da affrontare con
quella ragazza.
Drake si rivelò essere il solito, solido appoggio
di sempre e lo sorprese la velocità con cui si abituò all’idea che Justin da
potenziale nemico era passato ad essere amico.
Jeremy osservava di tanto in tanto il figlioletto
come se lo vedesse per la prima volta, ma si guardò bene dal fare commenti.
I bambini furono messi a letto alle nove in punto
e stranamente Melissa non fece storie.
Lo stato di grazia terminò quando Drake, a
sorpresa, lasciò il campo in anticipo sulla solita tabella di marcia.
Non poteva neanche dirgli di rimandare, perché
sapeva che Cip e Ciop non erano questioni che si potessero rimandare… questa
volta poi, erano troppo vicini alla catastrofe totale per permettersi di
perdere tempo in qualche modo.
Questo diede il via a suo padre che senza troppe
cerimonie gli mise un fascicolo sotto il naso, incurante dell’occhiataccia che
gli rivolse la consorte.
«Cos’è?» chiese rassegnato.
«Che ne dici se ci lanciassimo in un nuovo campo?»
chiese suo nonno accendendosi il sigaro che completava il rito della cena.
«Questo ha tutta l’aria di essere un
accerchiamento…» commentò guardandosi intorno sospettoso. Poi aggiunse «Quale
campo?»
«La moda» rispose suo zio Paul. «Oggi siamo andati
a vedere l’agenzia.»
«E…?»
«L’idea è di comprarla» disse Justin.
«Comprarla o rilevarla?»
Succedeva di rado, ma succedeva, che la McGregor
Investments si lanciasse in acquisti di società di vario genere che
tergiversavano in cattive acque, le rimettesse in sesto e le rivendesse. Ancora
più di rado, ma esistevano precedenti, la società comprava attività per
estendere il suo raggio di azione.
«Comprarla» ripeté suo padre. «Gli affari
vanno a gonfie vele» continuò poi assumendo il tono dell’orefice che valuta la
pietra grezza… un tono che conosceva bene. «Abbiamo finito stamani di
controllare i libri e l’agenzia è in ottime condizioni. Il proprietario si è
improvvisamente scoperto attore nato… dovresti solo vederlo figlio mio»
aggiunse come se l’espressione che aveva non dicesse già di per sé che per suo
padre la scoperta era completamente sballata!
Juna non mosse un muscolo.
«Zio, che significa quando fa così?» chiese
Georgie.
«Non mi sembri molto entusiasta della notizia,
sai?» continuò Justin.
«Non capisco la mossa, tutto qui.»
«E’ un ramo di cui mi occuperei io» riprese Georgie.
«Tutto puoi dire di me, fuorché che di moda non me ne intendo. Non è solo
un’agenzia di modelle, capisci? Quella è solo una parte dell’azienda. E’ anche
un atelier con tanto di laboratorio proprio e boutique.»
«Se te ne occupi tu, mi spieghi che ci fate tutti intorno a me?» fece una smorfietta guardandosi intorno «O sono io che
soffro di improvvise manie di persecuzione?»
«Ti stiamo tutti intorno essenzialmente per
quattro motivi: sei il numero due della società, per il passaggio di proprietà
mi servirà tutto il tuo aiuto, conto tanto sul fatto che nella prossima
avanscoperta ci sarai anche tu con me… e soprattutto, perché ti vogliamo bene!»
«Ah! Mi vuoi bene! T’immagini se tanto tanto facevo
di starti un po’ di traverso?! Ci doveva essere la fregatura da qualche parte…
perché non ti fai accompagnare da tuo fratello?»
«Hai voglia di scherzare?» insorse Diana «In
un’agenzia di modelle? Con tutte quelle tentazioni in giro? Non
se ne parla neanche!!»
«Pensa un po’ te la fortuna che hai cugino: non ti
sei innamorato di una fidanzata gelosa, quindi sei libero come l’aria e sembri
un modello! Visto che sei praticamente il capo dove lavori adesso…»
«Grazie della considerazione Just…» commentò suo
padre. «In fondo sono solo il presidente vero?»
«… potresti prenderti un bel periodo di ferie,
farti assumere in quell’agenzia e lavorare un po’ in incognito per vedere se
davvero il gioco vale la candela no?» concluse Justin.
Il bicchiere si fermò a mezz’aria e rimase ad
osservare suo cugino da sopra il bordo, «Justin, fermo restando che sono anni
che battaglio con i talents scouts di queste
agenzie per essere lasciato in pace quindi è probabile vedermi nelle vesti di
un modello quanto di vedermi vestito di giallo… è una mia impressione o tu sei
addirittura felicissimo di evitare tutte quelle tentazioni?»
«Devo essere sincero? Beh, tanto non ti si può
nascondere nulla… senti, io ci sono stato e ho visto che razza di ambiente è:
solo quella pazza di mia sorella può pensare di aver ragione di gente del
genere.»
«Justin!» esplose Georgie con tono chiaramente
minaccioso.
«Le modelle ci sono, come no… ma prima di arrivare
a loro devi affrontare orde di segretarie e fotografi con le loro troupes al seguito. Le prime sono isteriche perché
vorrebbero essere loro stesse delle modelle, i secondi sei fortunato se li
becchi solo isterici!»
«Justin!!» ripeté la ragazza… sensibilmente più
minacciosa della prima volta.
Justin la ignorò per la seconda volta. Lo soppesò un
attimo assorto, poi disse, «Pensandoci bene cugino, forse è meglio se uno come
te lì dentro non ci mette piede…»
Georgie si rivolse a Diana, «Portalo via se
davvero tieni a lui!»
Diana appoggiò una mano sul braccio del fidanzato,
«Avanti Just, ti ospito da me stanotte.»
«Ssseeee… è ventiquattro anni che dice che mi
ammazza e sono sempre qui.»
«Just, fossi in te, accetterei l’invito della tua
fidanzata» disse suo zio Ryan. «Tua sorella mi sembra veramente nera
adesso.»
Georgie si rivolse a lui, «Non gli crederai vero?»
«Sei proprio decisa eh?»
«Juna, non puoi abbandonarmi al mio destino…»
«Ah no?»
«Juna!»
Scoppiò a ridere, «Ok cugina, va bene: mi arrendo.
Non ricordo i miei appuntamenti adesso, ti chiamo domani mattina dall’ufficio
per dirti quando posso venire con te… e voglio la tua parola che mi difenderai
a spada tratta dai talents scouts!»
Era quasi mezzanotte, ma ancora Jennifer non
riusciva a prendere sonno… e dire che si sentiva esausta.
La stanza dove si trovava in quel momento era due
volte e mezzo quella che l’aveva ospitata sin da bambina.
Il letto a baldacchino da solo occupava i due
terzi dell’intera parete, era immenso per una persona sola, di fronte aveva un
armadio che occupava l’intera parete… tutta la roba che si era portata, che le
era sembrata tanta, lo aveva a malapena riempito per un terzo.
Alla sua destra si apriva una parete di vetro che
dava sul balcone con vista nel parco che circondava la villa, sulla sinistra,
accanto alla porta, si trovavano una scrivania e il tavolino per il trucco.
Tutto era immenso e la villa era un insieme di
meraviglie… si muoveva con il terrore di rompere qualcosa!
Si girò verso la vetrata da dove filtrava il
debole bagliore della luna.
Tutto intorno a lei parlava di potere, ricchezza…
eppure vi era un’atmosfera meravigliosa.
A parte i commenti che aveva raccolto da Justin e Juna,
suo padre le aveva spiegato che in pratica la famiglia si era compattata di
nuovo poche settimane prima.
Sembrava che fino ad allora, ci fosse stata una
guerra senza quartiere fra Juna e Patrick, guerra che aveva finito con il
travolgere l’intera famiglia… in realtà tutto era cominciato quando Connor
aveva sposato Manaar, ma alla fine era stato Juna il muro dove Patrick era
andato a sbattere per diciotto anni.
La cosa non la meravigliava affatto.
Non riusciva a capire bene cosa fosse successo, ma
quello che le aveva detto suo padre quadrava con quello che ricordava di quella
vacanza trascorsa insieme alla famiglia McGregory e collimava con tutte le voci
che erano circolate fino ad allora sui McGregory… quadrava anche con il fatto
che si era trovata tu per tu con una famiglia completamente diversa da quella
che si aspettava.
Le ragazze delle classi superiori che in qualche
modo avevano conosciuto Georgie ne parlavano come una ragazza altezzosa,
saccente, viziata ed egoista… perfettamente cosciente di essere una
McGregory. La ragazza che si era trovata davanti era dolce, buona,
disponibile e tutt’altro che egoista: in pratica le aveva messo a disposizione
la sua stanza e il suo guardaroba.
Justin era conosciuto come un ragazzo chiuso e
scontroso e le malelingue dicevano che si fosse messo insieme a Diana per
interesse, in pratica erano stati i genitori dei due a decidere tutto. Aveva
passato la giornata con due ragazzi che si adoravano e Justin aveva un senso
dell’umorismo pronto e vivace.
L’unico che era esattamente come lo descrivevano
era Juna… e forse anche meglio.
Aveva sempre creduto che quello che veniva detto
su di lui fosse in gran parte leggenda: il suo senso degli affari, il fatto che
fosse praticamente infallibile, la sua determinazione, la sua spietatezza negli
affari, la sua glacialità come essere umano… era pur sempre una ragazzo di
appena diciannove anni, per la miseria. Genio e bellissimo quanto vuoi, ma
doveva pur avercelo qualche limite!
Qualsiasi mamma a Boston che avesse una figlia di
almeno quindici anni sapeva vita, morte e miracoli di lui e probabilmente la
cosa non si limitava a Boston, visto che i nonni materni di Juna erano di Los
Angeles.
Inutile dire che qualsiasi ragazza nella sua
scuola sapeva chi fosse Junayd Kamil Alifahaar McGregory. Sorrise al pensiero
che Sharon sapesse chi fosse Juna perché Drake le piaceva da anni.
Quando aveva passato quel mese in vacanza con
l’intera famiglia, aveva un’idea piuttosto confusa di cosa fosse un genio
ed obbiettivamente non poteva dire di aver passato molto tempo con Juna
all’epoca… la spaventava troppo.
Il quoziente d’intelligenza di quel ragazzo faceva
paura solo a pensarlo, si era convinta che la cosa pesasse quando ti trovavi a
parlarci… invece Juna riusciva a comportarsi come un ragazzo qualsiasi, aveva
semplicemente un carisma impossibile da ignorare: entrava in una stanza e la
stanza diventava improvvisamente troppo piccola.
E quegli occhi…
La sua non era semplice bellezza fisica: era qualcuno
e lo si notava subito.
Una cosa era certa: Michael lo adorava.
Sprofondò nel sonno senza rendersene conto.
La mattina dopo scoprì ad attenderla una colazione
che era un pranzo, almeno a giudicare dai vassoi che andavano e venivano.
Per ora aveva contato un maggiordomo e due
cameriere.
Michael era venuto a prenderla in camera,
abitudine che aveva da quando aveva imparato a camminare, e lo vide saltare a
piè pari gli ultimi due gradini.
«Bomboloni!» esclamò estasiato guadagnandosi il
sorriso di due cameriere che stavano portando i vassoi che avevano attirato la
sua attenzione.
Lo riprese per la cintura dei pantaloni, «Michael
Flalagan, non si corre in casa! Potresti farti male!»
Suo fratello alzò lo sguardo su di lei e sorrise,
«Hai ragione, scusa.»
Dio, com’era felice.
«Buongiorno.»
Non riuscì a trattenere un sussulto.
Come dannazione faceva ad arrivarti così vicino
senza fare un rumore?!
«Ciao Juna!» salutò suo fratello.
«Ciao cucciolo. Ciao Jennie, dormito bene?» Al suo
cenno di assenso, aggiunse «Il cambio di letto non ti ha creato problemi
allora.»
«No, grazie.»
Le poggiò una mano sulla base della schiena quando
d’istinto puntò verso il salone e le fece segno di avviarsi alla vetrata,
«Facciamo colazione nel gazebo quando il tempo è così bello.»
Uscirono fianco a fianco e si avviarono verso una
piccola costruzione circolare. Era chiusa da vetri decorati tenuti insieme da
una struttura di ferro lavorato.
Era un piccolo capolavoro.
«E’ bellissimo.»
«Piace a tutta la famiglia, quando posso mi porto
il lavoro qui. Ti piace la tua stanza?»
Fece appena caso al radicale cambio di discorso,
«Molto. E’ tutto bellissimo qui.»
«Oh, grazie.»
Il suo cuore ebbe un’improvvisa accelerazione, ma
si costrinse a guardarlo. Ok, nel completo gessato era anche più che
bellissimo.
Gli sorrise d’istinto, «Abiti qui da quando sei
nato, pensavo che lo sapessi… inoltre ho visto molti specchi sparsi un po’ da
per tutto» aggiunse come diretta risposta alla frecciatina del ragazzo.
Il sorriso che le rivolse Juna la sconvolse,
«Jennie, sto cominciando a credere nei miracoli.»
«Perché?»
«Non solo mi hai parlato guardandomi, ma mi
hai anche sorriso. Cominciavo a temere di starti sull’anima.»
Anche il giorno prima, in piscina, aveva buttato
lì che l’acqua la spaventava più di lui.
Se n’era accorto.
Decisamente non aveva cominciato bene con lui…
appena si erano rivisti gli aveva in pratica detto di ritenerlo umano quanto un
pezzo di ghiaccio e adesso…
«Mi… mi dispiace averti dato quest’impressione.»
«Figurati.»
Entrarono dentro la costruzione, che all’interno
era molto più spaziosa di quanto apparisse dall’esterno, e Juna le scostò una
sedia, «Prego.»
«Grazie.»
Le si sedette accanto, «Cosa ti va? Tea, caffè,
succo di frutta?»
«Tea al limone.»
«Micky?»
Il bambino si era piazzato davanti a loro e li
osservava, notò solo lo sguardo adorante che rivolse al ragazzo, «Succo di
frutta.»
Apparve Howard, come partorito dalla terra,
«Buongiorno, desiderate?»
«Un tea al limone, un succo di frutta… come lo
preferisci?»
«Albicocca?»
«E’ una domanda o una proposta?»
Michael scoppiò a ridere, «Albicocca!»
Juna sorrise, «… e il solito caffè per me.»
«Quanti bomboloni posso mangiare?» chiese Michael.
«Fino ad un paio al di sotto della soglia
dell’indigestione» rispose la voce di suo padre alle loro spalle. «Ho
l’impressione che lo faresti anche senza il mio permesso!»
«Buongiorno Jeremy» disse Juna senza voltarsi.
«Buongiorno papà» dissero in coro lei e suo
fratello.
C’era anche Connor, ma Juna non poteva averlo
visto.
«Buongiorno figlio, dormito bene?»
«Certo. Tu?»
«Impertinente.»
Juna alzò gli occhi sul padre che si era seduto
davanti a lui, accanto a Michael e sorrise, «Imparerai prima o poi che certe
domande a quest’ora la mattina non me le devi fare…»
«A volte mi chiedo da chi hai ripreso.»
«Prova a chiederlo alla mamma e senti cosa ti
dice.»
«Mh, figurati: stando a lei tutti i tuoi lati
migliori mi appartengono. Buongiorno Jennifer.»
«Buongiorno Connor.»
Ricomparve Howard che prese le ordinazioni degli
ultimi arrivati.
Di lì a poco cominciarono ad arrivare le tazze.
«Allora» disse suo padre, «stamani si comincia
nella nuova classe Micky?»
Suo fratello non alzò gli occhi dal bombolone, «Sì
papà.»
«Non mi sembri molto entusiasta della cosa»
commentò Juna prima di bere un sorso di caffè. «E’ una mia impressione?»
«Non conosco nessuno.»
«Conosci mia nipote» disse Connor. «Melissa è una
specie di leader in quella classe, se arrivi con lei non farai il minimo sforzo
a conoscere altri bambini.»
«Me lo ha detto anche Lissa.»
Come evocata comparve la bambina che puntò Juna,
«Buongiorno Juna.»
«Buongiorno Lissa, ben svegliata.»
«Non ho fatto incubi stanotte, visto?»
E lui non aveva messo il naso fuori di
casa… la perfezione, praticamente.
«Sono molto contento.»
«Buongiorno a tutti» disse Ryan dietro di lei.
Gli rispose un coro.
«Ciao Jennifer, come stai?»
Non si era accorta che Melissa si era spostata
accanto a lei, «Bene Melissa, grazie.»
«Lissa, cosa vuoi per colazione?» chiese Ryan.
«Quello che ha preso Micky. Jennifer, posso
sedermi accanto a te?»
«Ma certo.»
«Zio Connor?»
«Stai per dirmi che ho preso il tuo posto vero?
Perdona la mia sbadataggine: è l’età. Non succederà più, promesso.»
Melissa sorrise a Connor, poi si concentrò su suo
fratello, «Micky?»
«Ciao Lissa.»
«Ciao… cos’hai?»
«Niente.»
«Allora perché non mi guardi?»
Suo fratello alzò lo sguardo e vide che aveva le
lacrime agli occhi.
«Micky, cosa c’è?» chiese sull’orlo del panico.
Juna le afferrò una mano sotto il tavolo, bastò
quel gesto a calmarla.
«Non… non voglio andare a scuola» bisbigliò suo
fratello. «Per favore. Ho paura.»
Vide suo padre chiudere gli occhi e smettere di
respirare.
Melissa lo guardava come se lo vedesse per la
prima volta, «Scherzi vero?» chiese.
Michael la guardò e un lacrimone gli scivolò lungo
la guancia, «Non è colpa tua Lissa. Io… io non…»
Juna le lasciò la mano, «Michael.»
Suo fratello spostò di botto lo sguardo su di lui,
«Ho capito di cosa hai paura, ti prometto che non succederà più. Ti
accompagneranno anche tuo padre e Patrick a scuola, e ti verranno a riprendere.
A tua sorella penseremo io e mio padre. A scuola ci sarà sempre Lissa con te,
vero Lissa?»
La bambina asserì con la testa, anche a quell’età
si rendeva conto che c’era qualcosa che le sfuggiva. Qualcosa d’importante.
«Micky, mi dici cosa ti fa paura?»
«Quegli uomini mi hanno rapito all’uscita da
scuola» fu la lapidaria risposta di suo fratello. «Ci torno oggi per la prima
volta.»
Melissa sgranò gli occhi, «Ti hanno rapito??»
esplose. «Come l’uomo nero fa con i bambini cattivi?» Si rigirò verso suo padre
«Tu lo sapevi!»
Ryan si guardò intorno in cerca di aiuto.
«Lissa, nessuno a scuola deve saperlo, intesi?»
disse Juna «E’ un qualcosa che Michael deve lasciarsi alle spalle e in meno lo
sanno e meglio è.»
«E non mi hanno rapito perché sono un bambino
cattivo» disse suo fratello. «Mi hanno rapito per far del male al mio papà.»
Jeremy era ad un passo dal crollare e Jennifer non
era messa meglio.
«Ok» disse. «Melissa, ascoltami bene.» Aspettò che
la bambina lo guardasse, «La situazione è questa: Jeremy è un uomo importante,
credo che tu l’abbia capito. Sta per firmare una legge che potrebbe mettere nei
guai molta gente cattiva, questa gente ha pensato bene di rapire Michael per
impedire a Jeremy di firmare questa legge.»
«Ma questo è un ricatto!» esclamò la bambina con
un’ingenuità che solo a cinque anni si può avere.
«Esatto, della peggior specie per di più.»
«La mamma mi ha detto una bugia allora: non sono
qui perché hanno lavori in casa, vero?»
«Mamma ha detto e fatto quello che riteneva più
giusto per te. Ti ripeto che nessuno a scuola deve sapere di questa
storia.»
Melissa asserì decisa con la testa, «Non lo dirò a
nessuno Juna. Micky, ti proteggo io a scuola.»
Neanche Jennifer riuscì a restare seria davanti ad
un’affermazione così innocente e ingenua e un sorriso le piegò le labbra,
Melissa se ne accorse e rispose al sorriso.
«Michael, perché non mi hai detto tutto prima?»
chiese Jeremy.
«Non… non credevo di essere così pauroso papà.»
Jeremy resse abbastanza bene all’ennesima legnata
che gli arrivò fra capo e collo… Jennifer si morse il labbro inferiore fino
quasi a sangue.
Le riprese una mano e la ragazza per la sorpresa
smise di mordersi e lo guardò.
Mentre si specchiava in quegli occhi, pensò che in
momenti come quello gli sarebbe stato utile essere telepatico, come faceva a
farle capire che non doveva assolutamente avere reazioni del genere davanti al
fratello?
Jennifer chiuse gli occhi e annuì velocemente.
Serrò un attimo la stretta intorno alla sua mano e la ritrasse.
Aveva capito?
Con la coda dell’occhio intravide un movimento
dietro di lui e si voltò.
Sua madre lo stava guardando con occhi sgranati… e
Sarah accanto a lei guardava con espressione altrettanto sorpresa la schiena
della figlia.
Si voltò di nuovo verso la tavola, chiedendosi
dove fosse la giustizia divina se per arginare un problema ne creava uno ancora
più grosso.
La mattinata passava lentamente e per la testa
aveva tutto all’infuori del lavoro.
All’una Jennifer usciva da scuola e tecnicamente
lui e suo padre sarebbero passati a prenderla per tornare poi a pranzo a casa.
Lui non sapeva che fare.
Ok, il punto fermo della situazione era che doveva
parlare con Jennifer di Michael, pensandoci aveva anche stabilito che per
arrivare a qualcosa con quella ragazza, doveva parlarci da solo… avevano di
regola già abbastanza problemi di comunicazione a tu per tu, senza bisogno di
ulteriori complicazioni esterne.
Il tornare o meno per pranzo a casa non avrebbe
fatto la differenza da quel punto di vista perché soli non sarebbero
stati di sicuro, ma forse sua nonna
lo avrebbe visto come un suo tentativo di evitare Jennifer quando c’erano tutti
e non riusciva a pensare ad un modo migliore per complicarsi la vita.
Nel tragitto casa-scuola e ritorno c’era suo
padre… allora?
Doveva anche trovare un terreno neutro… si guardò
un attimo intorno…
Il suo ufficio?
Soluzione che trovava, nuovo problema che nasceva:
come far arrivare Jennifer nel suo ufficio?
No. Doveva trovare un posto adatto nel perimetro
della proprietà McGregory… per esempio il gazebo.
Ottimo, il gazebo.
Si lasciò andare contro la poltrona e sentì
bussare. «Avanti» disse senza preoccuparsi di recuperare la posizione del vice
presidente: con Alison non esistevano problemi del genere.
«Ti vedo pensieroso.»
Per un attimo pregò di avere le
allucinazioni uditive, poi si voltò verso la porta e… c’era inderogabilmente sua
madre sulla soglia. «Mamma?»
«In persona. Posso entrare?»
«Ma certo.» Si alzò per andarle incontro, «E’
successo qualcosa?»
Subito dopo averlo detto si sarebbe preso a calci.
«Sono venuta qui per saperlo da te.»
Rimase un attimo in silenzio maledicendosi per la
propria capacità di tirarsi la zappa sui piedi… specie con quella donna.
«Questa me la sono proprio cercata.»
«Effettivamente di solito sei molto più prudente.»
«Eh, invecchio anch’io, sai mamma?»
«Non cercare di forviare… tutto tuo padre, povera
me. Sediamoci un po’ nel tuo salottino personale, vuoi?»
La seguì verso le poltrone e il divano che,
insieme al tavolino di cristallo, formavano quello che sua madre definiva salottino
personale, mentre per lui era solo il posto più comodo dove decidere le sorti
dei soldi dei clienti più importanti della compagnia.
«Vuoi un caffè?»
«L’ho già preso con tuo padre.»
Sempre meglio.
Prese posto accanto a lei nel divano e, come
sempre, sua madre andò dritta al punto.
Un punto che lui neanche aveva lontanamente immaginato.
«Voglio sapere cosa ti preoccupa da qualche
settimana Juna. Non ci dormo più la notte vedendoti sempre così cupo e
pensieroso. E’ come se avessi un problema che non sai da che parte rifarti per
risolvere e se n’è accorto anche tuo padre.»
Il che significa che anche i muri in casa
si erano accorti di qualcosa? si chiese cercando di recuperare la voce.
Qualsiasi cosa era meglio del primo
problema saltato fuori settimane prima, quindi senza il minimo rimorso di
coscienza mise in pratica cosa gli avevano insegnato all’F.B.I.: a mali
estremi, estremi rimedi.
«Effettivamente per te non è un problema avere
sotto lo stesso tetto una potenziale fidanzata per tuo figlio, vero?»
Avrebbe dovuto segnare sul calendario quella data:
era la prima volta in vita sua che riusciva a prendere in contropiede sua
madre.
«E’ per Jennifer?!» chiese meravigliata.
«Mamma, non fare la finta tonta, ok? Ve l’ho letto
in faccia, a te e alla nonna, il piano che si è delineato nella vostra mente…
addirittura Justin si è sentito in dovere di mettermi in guardia.»
«Cosa ha fatto Justin?»
«Già che siamo entrati in argomento, ti avverto:
non cercate di mettermi con Jennifer, o peggio ancora di mettere lei con
me. Non si merita assolutamente una cosa del genere quella ragazza.»
Sua madre lo guardò un attimo, «Ti preoccupi per
lei?»
«No mamma, mi preoccupo per me. Al momento
non ho la testa per una relazione.»
«Allora ti preoccupa qualcos’altro?»
Dannazione, quella donna sentiva solo
quello che voleva sentire.
«Sì, una preoccupazione di quattro anni e una di
cinque… comunque collegate a quella di sedici.»
«Melissa e Michael.»
«Esatto. Hai avuto modo stamani di sentire cosa ha
detto Michael o hai solo notato come sono riuscito a calmare Jennifer?»
Sei veramente uno stronzo McGregory.
Sua madre sospirò, «Ho sentito. Mai avrei
immaginato una cosa del genere.»
«Siamo in due. Ascoltami mamma, dovrò parlare con
Jennifer riguardo a Michael, e dovrò parlarci seriamente. Mi rendo conto che ho
sottovalutato e di parecchio la situazione… e non posso assolutamente avere il
patema d’animo che se tu o la nonna ci vedete parlare da soli cominciate a
stampare le partecipazioni al matrimonio, lo capisci?»
Sua madre si morse il labbro inferiore. «E’ solo
per questo? Sei sicuro? Perché se è solo per questo, allora ti prometto che i
tuoi problemi sono risolti. Parlerò con Madeline.»
«Non puoi fare niente di meglio mamma. Non chiedo
altro alla vita.»
Manaar Alifahaar lo guardò negli occhi, e come
sempre si sentì nudo sotto quello sguardo, «Juna, se ci fosse qualcosa di… grave,
me lo diresti, vero?»
Chiamò a raccolta tutto quello che gli avevano
insegnato del tipo pensa nero e rispondi bianco e le sorrise, «Lo faccio
da tutta una vita mamma. Non c’è niente, sul serio.»
La vide arrendersi con un sospiro di sollievo.
Gli aveva creduto.
Disperatamente.
Con tutte le sue forze.
McGregory, sei proprio uno stronzo.
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NOTE:
Zarah, che bello ritrovarti anche in questa sezione! Mi sento a casa! Grazie
per il commento! *inchino*