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Autore: Midnight the mad    27/01/2015    1 recensioni
"Kurt scoprì di chiamarsi Kurt quando aveva quattordici anni, e decise di chiamarsi St. Jimmy più o meno nello stesso periodo. Tutta colpa di un diario.
E di una sigaretta."
"Alzò gli occhi al cielo, sibilando una bestemmia. Qualcuno dietro di lui rise. Si girò e vide una ragazza che lo osservava divertita. Lei sollevò un sopracciglio e canticchiò: - Look down, look down, Sweet Jesus doesn't care... -
Lui sbuffò. - E allora cosa dovrei fare? -
La ragazza alzò le spalle. - Beh, diventa tu Gesù, così almeno puoi risolverti tutti i problemi che vuoi. -"
"- Syd? -
- Già. Syd. Problemi? -
- No, è che tipo, sei... "incastrata" a fare Syd. Che lo sai già che alla fine morirai da drogata pazza e chissà cos'altro. Io fossi in te me lo darei un futuro, almeno con il nome. Concediti il beneficio del dubbio. -
- Tu sei la prima a non darti un futuro con il tuo nome. -
Lei scrollò le spalle. - Non ho mai avuto così tanta voglia di avere un futuro. Tu invece non vuoi altro. Quindi almeno datti una possibilità. -
- Sì, ma non voglio sperare troppo, capisci cosa intendo? Che poi se va male resto delusa. -
- E allora chiamati Whatsername. -"
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Jesus of Suburbia, St. Jimmy, Whatsername
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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WAKE ME UP WHEN SEPTEMBER ENDS
(Stesso posto,
stesso sogno)
“E che cosa dovrei fare ora?”
“Andarmene? Restare? Come si fa ad andare via da qui? I miei genitori credono in questo posto, in questa università del cazzo, in me. Stanno spendendo un sacco di soldi per mantenermi e io sono qui a pensare di scappare. Non posso scappare, Whatsername. L’unica cosa che posso fare effettivamente è autodistruggermi, perché questo posto fa schifo, e io non posso sopportare di restare qui, ma io non sono te, io non ce l’ho il coraggio di scappare.”
Jesus sollevò lo sguardo e si ritrovò a fissare il parcheggio di un supermercato fallito. Non c’era nessuno, ed era tutto così schifosamente desolato e distrutto.
“Eccolo il tuo regno, Jesus of Suburbia.” si disse, schifato. “Qui. Dovrei restare qui, secondo voi?”
E, in effetti, ci restò, in senso letterale. Perché non riusciva a staccarsi da lì. Era come bloccato perché andare avanti e tornare indietro sarebbe stato uguale e, soprattutto, inutile.
Appoggiato alla parete dall’intonaco scrostato si chiese se si era mai davvero immaginato di finire così. E capì che no, non l’aveva mai fatto. Gli era capitato di immaginarsi di tutto, ma non quello. Non di finire a consumarsi in una città morta in mezzo a centinaia di cadaveri come lui.
Capiva Whatsername. Sì, ora la capiva, la capiva sul serio. Capiva perché gli aveva urlato quelle cose. Lei aveva avuto bisogno di una spinta, per andarsene, una spinta che, non essendo servita per aiutare lui, era rimbalzata e l’aveva scaraventata via. Whatsername se n’era andata, perché nessuno si meritava di sopportare una cosa simile e, soprattutto, non se lo meritava lei. Non si meritava di stare lì a morire lentamente, circondata da una pazza e da uno stronzo che se l’era portata a letto semplicemente per bisogno di sfogarsi e che poi l’aveva scaraventata via dopo essersi trovato di meglio.
Ripensò a quel giorno così lontano in cui aveva suonato per lei. Shine on you crazy diamond, una canzone che parlava del suo nome, Syd. Un nome che sembrava destinato a una brutta fine. Ma lei l’aveva cambiato, se n’era liberata, si era liberata dalle catene ed era andata via.
E lui, invece? Che ne era stato del ragazzo che amava suonare, che trovava sempre la maniera di essere felice? Morto. Quella città l’aveva ammazzato. Le parole di St. Jimmy l’avevano ammazzato. Eppure, pensò, era stato avvertito. Lei gliel’aveva detto centinaia di volte, e anche Whatsername. Gli avevano detto di tenerla lontana, ma lui non aveva ascoltato e, adesso, non aveva altre possibilità che avvicinarsi ancora di più a lei e fare in fretta a morire.
Sentì una lacrima scivolargli sulla guancia. Una volta ricordava di aver letto qualcosa, una storiella, gli sembrava. Neanche se lo ricordava più. Si ricordava solo una frase. Dov’è finito tutto il futuro che c’era quando eravamo giovani?
Già, dov’era? Che fine aveva fatto? Come aveva fatto a sparire così velocemente, senza che lui se ne accorgesse?
Continuò a piangere, singhiozzando sempre più forte. Si sentiva sempre più stupido, sempre più finito, sempre più disperato.
Probabilmente si addormentò, anche se non avrebbe saputo dirlo con certezza. E nei suoi sogni, oppure nei suoi pensieri, qualsiasi cosa fossero, c’era il passato. C’erano le speranza di una vita. C’era un’infanzia. C’era qualcosa che era stato strappato via come un cerotto e che aveva sempre coperto la ferita della sua personalità, una ferita infetta e grondante il suo carattere orribile e la sua incapacità di sopravvivere. Già, evidentemente lui non era capace di salvarsi né lo era mai stato, e trovarsi lì da solo, in quella situazione, aveva distrutto anche le ultime apparenze che restavano e avevano portato tutto alla luce.
Magari, pensò, disperato, magari era un sogno. Un sogno e basta. E poi avrebbe aperto gli occhi e si sarebbe trovato di nuovo con tutta la vita davanti, di nuovo con migliaia di possibilità.
Ma no, non era un sogno, e sarebbe finita lì.
Però, se proprio doveva finire...
“Posso addormentarmi e svegliarmi quando finisce tutto questo? Quando il dolore se n’è andato?”
“Posso addormentarmi e morire ora?”
Ripensò a St. Jimmy e al suo racconto. A quando aveva detto che aveva cercato di ammazzarsi con un’overdose, senza essere capace di confessarsi di stare per morire. St. Jimmy aveva avuto paura, e anche lui ce l’aveva, per questo restava con lei, per questo preferiva autodistruggersi un pezzo alla volta che spararsi in testa.
“Quanto siamo stupidi, stupidi, stupidi.” pensò. “Cazzo, dovrei parlare con lei. Dovrei dirle che dovremmo deciderci tutti e due. Vivere, morire, tutto ma non questo.”
“Aiutami, St. Jimmy...”
  
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