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Autore: Yami_x_Dark    27/11/2008    1 recensioni
“Sento la tua mancanza ogni giorno.
Ogni giorno, ogni notte.
Ogni volta che mi sveglio.
Ogni volta che mi addormento.
Quattro anni di lettere mai lette.
E tu non sei ancora qui.”
Un vampiro ed un umano. Jensen Ackles, sopravvisuto ad un'attacco effettuato alla propria famiglia; e Jared Padalecki, un vampiro dallo stile misterioso. Una notte di neve. Ed un'esistenza greve, nascosta per secoli.
Genere: Romantico, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jared Padalecki, Jensen Ackles
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Innocence (Avril Lavigne©)

Autrici: yami_x_dark

Parte: 1/4

Rating: nc17, AU

Paring: J-squared ( Jensen Ross Ackles x Jared Tristan Padalecki)

Disclaimers: i personaggi qui presentati sono maggiorenni ed ogni riferimento a cose, persone o fatti è puramente casuale.

INNOCENCE

Primo Capitolo

Past

Norimberga, 1801

Neve, freddo, bosco.

E sangue.

Sulle mani, sui vestiti, sulle manopole di lana che pendevano dai polsi.

Non ricordava quando, ma sapeva di essere scappato da prima che il sole se ne andasse dietro le montagne. Aveva continuato a correre, terrorizzato, cercando di mettere più strada possibile tra lui e gli uomini in verde. La mamma era morta, il papà era stato gettato nel fuoco. Tutti i peluche di pezza fabbricati dai suoi genitori erano andati in cenere, tra le fiamme di quella che per i sei anni della sua breve vita era stata la sua casa.

Il sole del tramonto s'era precipitato a lasciare spazio alla luna

calante, spettatrice di brusii, preghiere ed incontri predestinati.

Il suo pallido torpore faceva strada ad un felino dal pelo mediamente lungo, ocra e bianco. La coda e le orecchie ben facevano intendere il suo stato di perenne allerta. Faceva freddo anche per lui, quella sera.

Per lui e per il suo padrone, alla costante ricerca delle sue tracce.

Ma era un freddo non propriamente legato al fisico.

La luna di quella notte sembrava annunciare un'omelia fin troppo poco gradita ai suoi occhi di vetro, attenti a seguire le impronte lasciate sulla neve del suo compagno:

« Zanzi, figlio dei ghiacci...dove mi stai conducendo...?» chiese il giovane moro, osservando i vicoli in cui stava vagando.

La mente persa a rimembrare avvenimenti ormai lontani, avvenuti in quelle stesse strade secondarie, anni prima.

Si lasciò sfuggire un sorriso.

D'incoraggiamento.

Dedicato solo a sé stesso.

Il rumore di alcuni passi indistinti, nel silenzio della neve.

Il cuore fece un salto, correndo alle sue orecchie, dicendogli di fuggire, lontano, di non lasciare che la morte dei genitori fosse stata vana. Forte in lui, tuttavia, il bisogno di vedere qualcuno. Di gridare il proprio dolore, di lasciarsi andare alle lacrime. Ma il suo corpo sembrava agire per conto proprio ormai da ore. Il terrore di essere raggiunto era tale da surclassare ogni bisogno fisico.

E poi, forse apparì dal nulla.

Un gatto, che zampettava osservando il silenzio più assoluto, i suoi occhi smeraldo già fissi in quelli di lui, così simili ai suoi.

Gli si sedette davanti, muovendo lentamente la coda con movimenti lenti, aggraziati, calcolati.

Le zampe bianche sprofondate nella fredda neve, i baffi frementi di vita.

Il bimbo lo guardò incantato, senza ben capire da dove fosse spuntato fuori. Un attimo prima era solo, e quello dopo non più. Reclinò appena il capo di lato, gli occhi sgranati: « Micio? » chiese, avvicinando una mano a quel muso dall'aria severa.

Quello rimase pressoché immobile, del tutto indifferente all'apparente curiosità del ragazzino seduto davanti a lui.

Era una visione dolce e crudele al contempo.

Questo fu l'unico pensiero della sagoma nascosta dalla luce della luna, le braccia incrociate al petto, la schiena posata al muro di una vecchia casa ormai in disuso.

Socchiuse gli occhi, quasi indignato dalla glacialità del suo compare:

«Zanzi, Zanzi...il tuo cuore non lascia forse mai spazio ai sentimentalismi...?» chiese facendosi avanti con passi misurati, attento, nel tentativo di non spaventare il piccoletto a pochi passi da lui.

Quello lo guardò di scatto, cadendo all'indietro sulla neve per lo spavento, sprofondando con il busto, le gambe all'aria. Aveva serrato gli occhi di riflesso, come se nel farlo avesse potuto cancellare quella nuova presenza.

Agiva in quel modo anche nei suoi sogni, quando appariva un mostro cattivo ma, nell'aprire gli occhi pochi secondi dopo, constatò che la realtà non era facile come il sogno.

Il giovane moro, completamente vestito di nero, tranne che per una cinghia rossa legata alla vita, ora era inginocchiato al suo fianco.

Tanto vicino da sfiorarlo, troppo lontano per bloccarlo.

Chinò appena il capo, le braccia abbandonate alle ginocchia fasciate dai pantaloni; il gatto al suo fianco che sembrava fissarlo con un moto di rimprovero: « L'avrò anche spaventato, ma tu sei l'insensibilità fatta persona » rispose al gatto, nella voce un strano tono di rimprovero.

Zanzi miagolò contrariato.

Il bimbo guardò prima il felino, poi l'estraneo che sembrava farsi beffe di quello che aveva chiamato “Zanzi”. Fece una smorfia, tra lo stupito e lo schifato, non capendo il perché di quel nome.

Si rialzò a sedere, le mani ch'erano diventate viola a contatto con il freddo biancore che ricopriva il terreno. Indeciso, provò ad avvicinare una manina al naso del gatto: « Sanzi...? » disse incerto, le parole che faticavano a formarsi sulle sue labbra.

«Zanzi, si» rispose il moro, sorridendo compiaciuto a quell'apparente interessamento del bimbo al suo fianco, mentre il felino posava totalmente il naso caldo contro il palmo della mano del piccolo.

Gli si rizzarono tutti i peli, la coda diritta per lo spavento causato dalla presa di coscienza dello stato del biondino.

Quest'ultimo se ne accorse, ritraendo dispiaciuto la mano che strinse al petto, mentre si mordeva un labbro screpolato per i sensi di colpa. Gli occhi verdi che esprimevano profondo dispiacere, consapevoli di essere stati causa di turbamento.

Il ragazzo al suo fianco gli porse una mano affusolata, tanto più grande di quella sua. Gli sorrise cordiale: « Posso provare a scaldartele un pochettino » propose nascondendo la scarsa convinzione insita in lui.

Ma il felino fu più rapido di lui, andando ad accoccolarsi fra le braccia del piccoletto. Il moro lo fissò con cipiglio perplesso: « Cosa mi stai chiedendo di fare Zanzi...?» alzò gli occhi al cielo, sospirando sommesso.

L'ingenuo soggetto della loro disputa cinse il felino con gratitudine, nascondendo il viso nella pelliccia invernale che sembrava emanare un lieve, piacevole tepore, chiudendo gli occhi per meglio sentire l'effetto che faceva. Ridendo, il bambino rialzò la testa, guardando il giovane accanto a loro, per poi affondare il viso nel petto di lui, cingendogli il busto come poté, rimanendo un po' deluso. Rialzò il capo, guardando il giovane negli occhi con una strana sorta di compassione: « La tua pelliccia non è molto calda...» gli fece notare, spingendo ripetutamente l'indice sulla maglia nera che copriva il suo interlocutore.

« La stufa costava troppo, allora l'ho venduta a Zanzi...» rispose con ironica gentilezza prima di esibirsi in un breve inchino di presentazione: « Sono Jared Tristan Padalecki, al suo servizio principino...» sorrise dolcemente.

Il bambino annuì, dimostrando di aver capito i problemi economici del signor Jared, per poi provare ad inchinarsi a sua volta, finendo con la fronte nella neve, il ciuffo che gli si congelò di botto. Rapido, si rialzò, rosso in viso: «Jen...Jensen Ross...Acc..Acke...Ackles...» gli riuscì infine a dire, non avendo ancora ben imparato tutto il suo nome. «Ma...io non sono un picipino...» cercò di giustificarsi.

Jared gli accarezzò il viso arrossato, con naturalezza, il felino che prendeva a scodinzolare più rapido: « Forse perché non sai di esserlo...» rispose in un breve sussurro amichevole, subito accompagnato da un tenue miagolio di approvazione.

Jensen lo guardò con perplessità, prima di mettersi le mani in testa come alla ricerca di qualcosa: « Io no ho la corona...» ammise dispiaciuto, guardando anche Zanzi per scusarsi.

Il moro si fece pensoso, gli occhi al cielo innevato: « eppure io la vedo...» sorrise, tornando a guardare negli occhi il piccolo, preoccupato per ciò che sarebbe potuto succedergli lì, da solo, in quella stradina buia e deserta.

Il biondino ricambiò tranquillo quello sguardo, ora sentendosi al sicuro con quelle sue due nuove conoscenze. Sorrise a Jared, senza ben capire perché questi lo stesse fissando nello stesso modo in cui molte volte sua madre lo aveva osservato. Era come se lo sondasse, alla ricerca delle paure che lui nascondeva in tutti i modi. Ma suo padre gli aveva insegnato che un uomo non poteva essere debole, quindi non poteva avere paura di nulla. Per questo Jensen rizzò il capo, guardando il moro con aria decisa, impropria su quel visetto da bambino.

« E che cos'è questo musetto arrabbiato ora...?» chiese senza trattenere un sorriso divertito a quell'espressione decisamente buffa, specie se stampata su un visetto come quello.

Zanzi che fissava il piccolo, indeciso sul da farsi.

Jensen s'inumidì appena le labbra danneggiate dal freddo: « Queto è lo guardo dell'uomo decisato...» cercò di spiegare, lo sguardo ancora corrucciato, più per lo sforzo di mettere insieme quelle parole che per sembrare l'uomo che suo padre avrebbe voluto vedere.

Jared fece uno sbuffo, incapace di nascondere una mezza risata dovuta alla “decisattagine” di Jensen.

Gli scompigliò i capelli, in un gesto quasi amorevole: « Avrai tempo per quello...» gli confidò, mentre Zanzi prendeva a ciondolare attorno a loro, in un vano tentativo di scaldare le zampe « Non avere fretta, su...».

L'altro scosse il capo contrariato, stringendo le manine in due piccoli pugni: « Ma un uomo deve esere sempre decisato! » esclamò, mentre il suo stomaco lo interruppe con un sonoro gorgoglio, facendolo sprofondare nella più nera vergogna.

« Il tuo stomaco è più decisato di te » rise Jared, scuotendo debolmente il capo, divertito dal piccolo al suo fianco « andiamo a mangiare qualcosina, principino decisato? » chiese poi, lanciando una breve occhiata al gatto che scrollava le zampe dalla neve che gli stava inzuppando tutto il pelo.

« Poletta e sanguaccio? » chiese il bimbo speranzoso, l'acquolina già in bocca solo all'idea. « La mamma per i giorni speciali faceva sempre polenta e sanguinccio! »

« Credo che Ellen sarà felice di accontentarti...» rispose, mettendo in piedi il piccolo con un semplice gesto fluido e deciso, il gatto che gli saltava in spalle, totalmente congelato « e la mamma dov'è ora...?» aggiunse poi, indeciso nel porre quella domanda.

Jensen afferrò, come per controllarsi, un lembo dei pantaloni del moro, guardando verso la direzione nella quale, un tempo, c'era stata la sua casa, i suoi giochi, il suo papà e la sua mamma. Con uno sforzo immane, cercò di trattenere le lacrime che facevano a gara per fargli perdere il precario equilibrio mentale che si era creato, causandogli una crisi di respirazione. Il petto che sembrava bruciare, il cuore che riprendeva a battere come quando la mamma gli aveva detto di scappare, di salvare almeno sé stesso.

Mentre le lacrime vincevano sulla sua forza, Jensen singhiozzò cercando di cancellare dalla mente le grida della madre, morta dopo l'ennesima accoltellata: « La mamma è diventata sanguinaccio...» cercò di scherzare, troppo sciocco persino per lui.

Il moro fu colpito da un unghiata del gatto, che lo distrasse dall'ondata di profumo che lo aveva raggiunto improvvisamente, senza preavviso. Deglutì a fatica, scuotendo a stento il capo mentre tornava ad inginocchiarsi davanti a Jensen, nuovamente in sé.

Lo prese in braccio, senza più chiedere nulla a riguardo.

I suoi occhi di vetro ora fissi ad osservare il nulla davanti a loro, i denti serrati, i lineamenti ora più duri mentre continuava ad accarezzare il capo del ragazzino.

Apprensivo.

Il bimbo sembrava essersi nuovamente immerso nei ricordi, stretto alla maglia del suo nuovo protettore. Sperava di svanire al più presto. Voleva tornare dai suoi genitori. Ma sapeva, sapeva che per tornare da loro avrebbe dovuto sacrificare sé stesso.

Singhiozzando, si aggrappò con tutte le sue forze al collo di Jared, alla ricerca di un appiglio alla sua disperazione.

« Andiamo a riempire questo povero stomaco » concluse allora Jared, massaggiando con calma la pancia del piccolo, trattenendo tutta la rabbia che si stava man mano manifestando in lui. Che si rimescolava dentro di lui.

Facendogli perdere il controllo che, prontamente, il gatto si apprestava a fargli tornare.

Dopo tutti gli anni vissuti su quel pianeta, ancora non riusciva ad abituarsi alle ingiustizie che, puntualmente, gli capitavano sotto agli occhi.

Spesso si era limitato a guardare altrove, fingendo che nulla fosse successo.

Che non fosse affar suo.

Ma non questa volta.

Non era riuscito a lasciarsi tutto alle spalle.

Aumentò di poco l'andatura, palesando il suo essere diverso, senza smettere di coccolare il bambino che teneva fra le braccia.

Jensen si perse a guardare gli alberi passare accanto a loro con una strana velocità. Voltò il capo avanti, e la città sembrava venire loro incontro con rapidità. Corrucciò lo sguardo, incredulo: «...Signor Giarretta

Quello si volse a guardarlo con cipiglio divertito, senza smettere di tenere quel passò finché non giunse ad un incrocio che portava in centro o in periferia.

All'angolo, una vecchia locanda che ospitava ben poche persone.

Vi si avvicinò con passo ora decisamente più umano: «dimmi» lo incitò con pacatezza.

Una voce di velluto.

Jensen scrutò una signora anziana fissare con una strana luce negli occhi il suo protettore, correndo via zoppicando nel notare di essere stata scoperta in flagrante. Alzò per un attimo lo sguardo sul viso di Jared, poi scosse il capo, cercando di ritrovare il filo del discorso che aveva elaborato prima.

«...Lei è un atletaro...?» chiese titubante, non ben sicuro di farsi capire.

Jared si limitò a ridere compiaciuto scuotendo debolmente il capo, mentre entrava nella locanda sotto lo sguardo disfattista dei clienti: « ho solo le gambe molto lunghe » spiegò tranquillo, andando a sedersi su di un tavolo libero, trovando subito Ellen che stava sempre dietro al bancone.

Zanzi ora sul tavolo a scrollarsi la neve di dosso.

Il biondino si sedette con attenzione sullo sgabello accanto al gatto, guardandosi attorno senza porre troppa attenzione ai presenti: « Un giorno anch'io avrò le gambe così lunge...? » chiese stornando nuovamente lo sguardo su Jared, incuriosito.

«Forse...» rispose quello fissandogli le gambe che non erano nemmeno un quarto delle sue.

Voltò appena il capo, ridacchiando senza farsi vedere, mentre Ellen si avvicinava con aria non troppo convinta.

La donna, la cui altezza raggiungeva a stento il metro e settanta, si accostò a loro senza dire una sola parola, gli occhi fissi su Jared. Non ci voleva molto per capire la domanda che le frullava nella testa, senza contare le sporadiche occhiate di alcuni clienti agli abiti insanguinati di Jensen. Quest'ultimo la guardava con insolito interesse, forse nella speranza di cogliere un gesto famigliare, qualcosa di simile ai gesti che sua madre spesso faceva. Una sorta d'insolita speranza in .

« Ecco, lei è Ellen. Colei che sarà così gentile da prepararti ciò che più desideri » la presentò con prontezza Jared, che aveva elegantemente accavallato le gambe, le braccia conserte al petto. Comportandosi come se nulla fosse successo.

Jensen annuì dando a vedere di aver capito. Scambiò uno sguardo con la giovane trentenne, poi sorrise innocentemente: « Vorrei del sanguiccio con della polenta...per piacere. E acqua...se può. » disse mettendosi dritto con la schiena, come sua madre avrebbe voluto.

Ellen annuì, prendendo appunti sul suo taccuino: « E tu, Jared? Che cosa desideri? » chiese, rifilandogli un'occhiataccia: « Un collo giovane e ben rifocillato?».

Quello le sorrise pacifico: « no, grazie. Un bicchier d'acqua dovrebbe bastare » rispose fissandola dritto negli occhi. Per niente rassicurante nello studiarla.

Senza scomporsi, la donna si allontanò, dando il taccuino delle ordinazioni al cameriere dietro il banco. Parlò con lui pochi secondi, poi tornò subito da loro due, guardando Jensen pulirsi con la manica della giacca un po' di sangue che aveva sul collo. Rabbrividì, senza poter immaginare perché Jared avesse con sé quel bambino.

lo conosceva da anni, eppure, eccezion fatta per quel gatto che si portava sempre dietro, non aveva mai visto nessuno fargli compagnia. Tutti si sentivano a disagio, solitamente, anche solo ad avvicinarlo. Quasi avessero avuto un sesto senso che l'informasse della vera natura del giovane. Anche se dire “giovane” era pressoché un azzardo, certa che fosse come minimo più vecchio di lei, pur conservando l'aspetto di un venticinquenne o poco più.

Sospirò, una mano alla nuca nel guardare forzatamente Jared: « Che ne dici di fargli un bagno? Attira leggermente l'attenzione, più di te addirittura...» gli fece notare, sotto lo sguardo confuso di Jensen, che non comprendeva nulla della situazione.

Jared si guardò attorno, inarcando leggermente un sopracciglio nell'alzarsi con estrema lentezza dalla sedia: « Jensen... vieni, che andiamo a darti una pulita...» disse facendogli un leggero cenno del capo per indicargli una porta marrone scuro appena dietro al bancone. Il bagno degli inservienti.

« Non credo sia il caso di lasciarti girare per la città ridotto così...».

Poi il suo sguardo si raggelò nel passare a guardare Ellen « potresti prestargli un po' dei vestiti dei tuoi bei figlioletti...?» chiese con fare alquanto ironico.

D'altronde ben sapeva che quelli erano letteralmente terrorizzati da lui.

E allora una domanda sorgeva spontanea.

Si chiedeva per quale assurdo motivo Ellen non lo cacciasse fuori dalla locanda, a suon di calci.

Probabilmente per paura, arrivò a concludere scuotendo il capo con fare rassegnato mentre si avviava verso il bagno con finto fare allegro.

Ellen fece strada al ragazzino, che la guardava con curiosità propria solo della sua tenera età. Gli sorrise, trovandolo adorabile.

« Ti ha trovato per strada...?» gli chiese, porgendogli una mano.

Jensen la prese quasi subito, sorridendo: « Sì, il signor Giarrette mi ha invitato a venire da Ellen...Sei tu Ellen?» chiese curiosamente, cercando di sembrare calmo. Dentro di , la voglia di piangere sempre pronta ad attaccarlo.

« Vieni Jensen» li interruppe allora Jared che si mise in ginocchio davanti alla porta, il gatto al suo fianco che miagolava quasi contento, la porta già aperta.

Ellen lo guardò con un lampo d'odio negli occhi, notando il sorrisetto ironico che le era rivolto. Sempre così. Sempre a testarla.

« Fottiti.» sbottò, lasciando andare il bambino, che corse in braccio a Jared chiudendo gli occhi, stringendogli le braccia attorno al collo con tutte le forze che aveva in corpo.

Jared ridacchiò appena, accogliendo il biondo fra le proprie braccia, lanciando un 'occhiata maliziosa a Ellen mentre affondava appena il viso sul collo del piccolo. Senza mai distogliere lo sguardo dalla donna.

Strinse Jensen ancora più forte: « sei decisamente imbrattato... già...» accarezzò lievemente con l'indice il collo del bambino, ridacchiando nel chiudersi in bagno assieme a quello.

Ellen rimase a guardare la scena impotente, senza capire più se correre a prendere la pistola con pallottole d'argento, o andare a servire i clienti. Poi alzò gli occhi al soffitto, grugnendo esasperata: « Non lo sopporto, quel cazzo di vampiro. » dichiarò tornando al proprio lavoro.

Jensen si guardò intorno, per quel poco che poteva muovere la testa a causa della stretta che Jared teneva su di lui: il bagno era piccolo, quel tanto necessario per accogliere una vasca, un water e un lavandino.

Fissò a lungo la carta da parati di un bianco sporco, poi le manopole di ottone opaco, gli appendini su cui v'erano riposti gli asciugamani.

«...Ellen ha detto “casso”...?» chiese sollevando un sopracciglio.

Jared fissò lo sguardo sulle zampe della vasca, sorridendo ambiguo: « si, ha detto “cassonetto”. Cercava il cassonetto... non ha proprio una buona memoria...» posò a terra il bimbo, mettendosi alla sua altezza « mi chiedo come faccia a vivere a casa sua... è proprio una smemorata...» disse, cercando di dare al piccolo una pessima della Signorotta.

Jensen annuì, come per dargli ragione. In realtà, non aveva capito niente. Forse era stupido? Guardò il gatto, comodamente seduto su di un angolo della vasca. Zanzi non sembrava conoscere la risposta a quella domanda.

Tristemente, il bambino si voltò appena, le lacrime agli occhi, sentendosi ben poco all'altezza. Forse Jared non avrebbe voluto un bambino orfano, stupido e puzzolente come amico. Si annusò un'ascella mentre sollevava un braccio. Fece una smorfia disgustata. Lui non avrebbe voluto stare con qualcosa di così orrendamente combinato. Gonfiò le guance, sentendosi di colpo molto, molto triste. Le lacrime che già gli risalivano gli occhi, all'idea che Jared si disfacesse di lui non appena si fosse fatto il bagno.

Anzi, forse non avrebbe nemmeno aspettato che si lavasse! Forse se ne sarebbe andato non appena avrebbe distolto lo sguardo da lui...

Jared lo fissò chinando appena il capo.

L'espressione del suo viso pressoché perfetto mutò dal corrucciato, al sorpreso, all'esilarato nel percepire i pensieri del piccoletto.

Gonfiò le guance a sua volta attirandolo a sé, permettendosi così di cullarlo per l'ennesima volta: « finito il bagno, mangiamo insieme... va bene...? basta che non scappi via...» sorrise accarezzandogli i capelli con calma.

« La polenta ti aspetta ».

«...e il sanguinaccio...?»chiese il bimbo tirando su col naso.

« Anche quello. Basta che non piangi più » gli pizzicò una guanciotta sorridendo, prima di andare ad aprire l'acqua calda « su, spogliati...»

Jensen arrossì di botto, guardandolo senza dire una parola.

In testa, la vergogna più nera. Doveva spogliarsi davanti a Jared?

Lo guardò, rimanendo impietrito nel vedere che il suo protettore già si era tolto la maglia, esibendo dei pettorali scolpiti, adulti, abbronzati.

Spalancò la bocca senza saper più che fare, per poi alzare la maglia e guardare la sua pancetta pallida e molliccia.

Jared sorrise appena: « devo stare girato...?» accese l'acqua del lavandino, immergendovi la maglia nera che aveva indossato fino a poco prima mentre qualcuno veniva a bussare alla porta. Doveva essere Ash, uno dei figli di Ellen.

Esibì un sorrisone compiaciuto nell'andare ad aprire con un rapido scatto: «BUH!!»

Ash, un bambino di poco più vecchio di Jensen, urlò terrorizzato, lanciando per aria i vestiti per il biondino; quest'ultimo che ne approfittava per spogliarsi tutto di corsa e nascondersi sott'acqua. Vide il ragazzino al di là della porta correre via gridando come un ossesso, quasi avesse visto un mostro.

Guardò Jared.

Rifletté un attimo, sguardo al soffitto.

Jared era troppo figo per essere un mostro.

Nell'osservare il bambinetto “Ash-Ascella”, come lo chiamava lui, e nel sentire i pensieri del biondo dietro di lui, Jared si lasciò sfuggire una risata liberatoria raccogliendo tutti i vestiti sparsi per terra, prima di richiudersi la porta dietro le spalle.

Lanciò un'occhiata divertita a Jensen prima di andare a ripiegare gli abiti appena raccolti: « Figo, eh? » chiese, quasi si stesse rivolgendo all'aria.

Jensen arrossì per l'ennesima volta, cercando di sprofondare sott'acqua. Completamente.

Per non mostrare nulla.

Se non un ciuffetto biondo che galleggiava solitario a pelo d'acqua.

Jared, che prese una saponetta all'ortica, si avvicinò alla vasca, iniziando a passarla lungo la schiena di Jensen che, a quanto pareva, aveva deciso di suicidarsi. Rise appena, prendendolo per un braccio con delicatezza, tirandolo su: « vuoi ammazzarti...? » chiese sorridendo, continuando ad insaponargli la schiena con calma.

Jensen lo guardò titubante, senza sapere cosa rispondere. Scosse il capo il tempo necessario per riprendere fiato, cercando di riprendere il dominio della vasca immergendosi di faccia.

Jared ridacchiò, sollevandogli il viso con sole due dita, prima di mostrargli la saponetta quasi con fare dispiaciuto: « tieni... sei grande abbastanza, no? » sorrise in attesa.

Il biondo provò a prendere quella strana cosa vischiosa con entrambe le mani, guardandola con strano interesse. Sua madre usava delle cose a scaglie, molto diverse da quel piccolo rettangolo. Lo strinse un po' di più, curioso, e quell'aggeggio si sparò fuori dalle sue mani, in faccia a Jared.

Sbiancò, rifugiandosi di nuovo sotto acqua per paura di prenderle.

Il moro si passò una mano al viso con fare perplesso, un sopracciglio alzato nel notare il pessimo tentativo di rifugio del piccolo.

Senza mostrare alcuna espressione, affondò la mano sott'acqua, inizialmente con l'intento di ritrovare la saponetta ch'era caduta.

Sorrise sghembo nel trovare, piuttosto, una gamba di Jensen.

Prese a fargli il solletico, sporgendosi poco di più sulla vasca.

Il ragazzino dovette riprendere fiato, ridendo nervosamente, senza riuscire a stare in equilibrio nella vasca, cosa che lo fece scivolare nuovamente in immersione, per di più facendogli bere un bel po' d'acqua.

Risalì, tossendo convulso tra le risate: « Batttaaa!».

Jared sorrise, smettendo all'istante, andando a battergli appena sulla schiena per farlo riprendere: « su, finisci di lavarti... ho la maglia ancora in ammollo...» si rimise in piedi, sospirando pesantemente.

Dopo pochi minuti, Jensen uscì titubante dalla vasca, stando bene attento a non perdere l'equilibrio per l'ennesima volta. Controllò che Jared stesse ancora guardando la propria maglia, così si avvolse nell'asciugamano, prendendo con uno scatto anche i vestiti dietro al giovane.

Si voltò, dandogli di spalle, così da potersi vestire senza mostrarsi.

Un po' sapeva di essere ridicolo, ma non poteva farci nulla. Anche se suo padre gli aveva spesso detto che un uomo dev'essere sempre orgoglioso del suo corpo, Jensen non riusciva ad esserlo davanti ai muscoli scolpiti di Jared.

Insomma...

Era decisamente inferiore...

Mugolò appena, contrariato, e prese ad infilarsi calzini e pantaloni sotto lo sguardo attento di Zanzi, ma quando provò ad infilare anche il secondo piede nei pantaloni, cadde all'indietro, scivolando a terra come un sacco di patate.

Inferiore, inferiore, inferiore.

Jared sorrise strizzando la propria maglia, osservando i vestiti precedenti del biondino in ammollo dentro ad una bacinella blu.

Non si volse a guardarlo più per non scaturire ulteriore vergogna sul piccolo, che per proprio volere personale.

Se fosse stato per lui, sarebbe scattato a prenderlo ancor prima che cadesse: « tutto bene...?» chiese, per niente sicuro della risposta.

Jensen mugolò in risposta un sì strascicato, infilando per bene i pantaloni dalla posizione in cui era. Si mise a gambe incrociate, una mano alla testa e l'altra alla ricerca della maglia che doveva indossare. Sospirò dolorosamente, infilando anche quella, ma con scarso successo. Non ci passava con la testa.

Abbattuto e frustrato, abbandonò le mani a terra, mettendosi a piangere senza ritegno, tanto stanco era.

« Jareeett...Sono una sfranaaaaa!» pianse disperato.

Quello sospirò, voltandosi e mettendosi in ginocchio con lentezza misurata.

Gli sistemò un ciuffo di capelli biondi, prima di baciargli la fronte tranquillo: « Non è vero...» raccolse la maglia che Jensen aveva lasciato cadere, aiutandolo ad infilarla con tutta la pazienza di cui era in possesso.

Alla fine gli sorrise, scompigliandogli i capelli: « su...».

Socchiuse appena gli occhi, infilando la maglia ora umida a sua volta.

Poi la collana, ed infine la giacca che gli giungeva sino alla caviglia.

Si rimise in piedi.

Jensen lo guardò fare con sguardo perso, alzatosi in piedi mentre l'altro si vestiva. Degluttì a fatica, sentendosi incredibilmente a disagio.

Fissando Jared, il bambino dimenticava per lunghi momenti l'evento accaduto solo poche ore prima. L'evento che aveva portato via con sé i suoi genitori e la sua vita. Per dei lunghi momenti, perso nel candore della neve, aveva creduto di morire lì, raggiungendo così i suoi genitori molto velocemente.

Ma ora si chiedeva: e se Jared fosse stato un segno...?

Il messaggio ultimo dei suoi genitori, il loro testamento...

« Jaretto...?» lo chiamò, un nodo strano alla gola che gl'impediva di parlare con voce calma.

L'interpellato si volse nuovamente a guardarlo con aria serena, tornando a mettersi al suo livello, la porta non ancora aperta: « ora cosa non va? » chiese allungando una mano verso di lui.

Si sistemò la collana distrattamente con l'altra mano libera.

Jensen fece un respiro profondo, lasciando cadere lo sguardo al pavimento:

«...secondo te la mamma e papà voiono che io continuo...a vivere...?» chiese, le mani strette al bordo della maglia, quasi nel tentativo di allungarla.

Jared gliene strinse una fra le proprie cercando di catturare lo sguardo di lui, più che altro per fargli capire che stava parlando seriamente.

Sorrise, sicuro di sé per una volta, limitandosi ad annuire con il capo, un ciuffo di capelli castani che andava a nascondergli parte dell'occhio sinistro: « e non solo loro...» lasciò la frase in sospeso, lanciando un'occhiata a Zanzi che sembrò quasi approvare, con quella coda bianca, scodinzolante.

Jensen guardò la propria mano chiusa tra quelle di Jared e si sforzò di sorridere.

Annuì a sua volta, come per dare validità a quell'espressione, poi si lanciò su una gamba di Jared, come fosse stato il suo unico appiglio.

«...Non mi lasciare solo...» disse in un bisbiglio, per poi correre fuori dalla porta come un fulmine, vergognandosi del suo stesso gesto.

Non voleva sentirsi negare una simile richiesta.

Infantile, lo sapeva, ma lui non riusciva a ragionare altrimenti.

Jared guardò il suo gatto per l'ennesima volta, prima di voltarsi ad osservare i vestiti di Jensen ben nascosti dietro il lavabo.

Controllò che tutto fosse in ordine prima di raggiungere il tavolo in cui sedeva Jensen con fare decisamente non comune.

Qualcosa in lui trasmetteva in ogni suo singolo gesto una parvenza d’eleganza.

Si accomodò sulla sedia, spostando lo sguardo su Ellen, pregando che si sbrigasse a portare il cibo al biondino.

Quella giunse non appena vide entrambi seduti, porgendo il piatto a quel bimbo dall'aria mesta. Non le riuscì di non accarezzargli il capo, cosa che lui non sembrò nemmeno notare, prendendo un cucchiaio ed immergendolo nella polenta molliccia e gialla.

La donna sospirò, voltandosi a guardare ora Jared, lo sguardo fermo come nessuno in quel luogo: « Dobbiamo parlare. » disse severamente, un tono che non ammetteva alcun rifiuto.

« Non qui...» rispose allora lui mettendosi in piedi, fissando Zanzi dritto negli occhi. Quello sembrò capire, sistemandosi rigido sopra alla tavola, orecchie e coda diritti. Vigile come sempre.

Jared annuì impercettibilmente, sollevato, allontanandosi il minimo necessario da quel tavolo, trovando un angolo il più possibile isolato da occhi indiscreti:

« desidera...?» chiese allora, sadico. Allontanando di malavoglia lo sguardo dal ragazzino che cenava poco distante.

« Chi è? E dove diamine l'hai trovato? » chiese senza voler fingere di essere irritata e spaventata al contempo: « Non è opera tua spero.»

Il giovane si limitò a sospirare, senza mostrare alcun segno d'apparente irritazione. Aveva già capito ogni singola preoccupazione di quella donna.

E no. Non l'avrebbe lasciato a lei. Mai.

« Si chiama Jensen. E' stato Zanzi a notarlo. Stava rannicchiato a terra, al buio, tremante, in un vicolo secondario nascosto anche alla luna. » dichiarò senza riuscire a donare a quell'immagine un qualcosa di mortificante per i più.

« E no. Non ho massacrato la sua famiglia. Credevo avessi capito che da anni non privo più alcun umano della vostra preziosa linfa vitale » aggiunse, senza riuscire a nascondere nei propri occhi una strana luce pressoché disgustata da tale mancanza di fiducia nei suoi confronti.

Ellen sbuffò, incrociando le braccia al petto: « Non sapevo il suo nome, però sapevo che non è nel tuo stile bruciare la casa di una famiglia indebitata.» lo ammonì, per poi guardare che il bimbo fosse al sicuro.

Stornò nuovamente lo sguardo al suo interlocutore, amarezza dipinta sul suo volto: « Mi è giunta voce che oggi, nella zona nord, le truppe hanno eliminato una famiglia, si presuppone un burattinaio indebitato e una curatrice inesperta. Bruciato la casa e distrutto ogni loro avere, ecco che hanno fatto. Ma nessuno ha parlato di bambini.» sospirò, una mano alla nuca.«...Hanno ammazzato a coltellate la donna...Ho provato a capire se c'era dell'altro, qualche indizio, o qualche parente che sapeva qualcosa, ma sembra proprio che quella famiglia non tenesse rapporti con nessuno. Eccezion fatta per i clienti, e per il duca. A quanto pare, era con lui il debito. E quell'uomo sai quanto tiene ai suoi soldi...»

Jared respirò a fondo, la mandibola serrata e gli occhi fissi in quelli di lei. Nervoso. Un lampo rossastro nelle profondità di quelle iridi smeraldo.

Ellen gli diede una gomitata: « Non guardarmi a quel modo. Non è colpa mia se accadono cose simili, lo sai meglio di me. Comunque...la cosa che più resta in dubbio è il movente. Si pensa che siano stati eliminati per via dei debiti, ma il loro notaio ha dichiarato che i suoi clienti avevano pagato ogni centesimo al duca. Ancora tre mesi fa.» disse tutto d'un fiato, controllando di nuovo il bambino.

« Per quanto riguarda Jensen? » chiese con voce roca, gli occhi ora a guardare il biondino con un moto d'esasperazione « su di lui...? » aggiunse.

La donna scosse mestamente il capo: « Niente, te l'ho già detto. Lui sembra non esistere per lo stato. Non è andato a scuola, non è stato registrato nelle nascite. un bene per lui, pare...» dichiarò, una vena di amarezza nella voce.

Jared ridacchiò quasi sollevato, alzando per un breve momento gli occhi al soffitto: « vorrà dire che lo terrò con me senza troppe complicazioni. Lo alleverò come fosse mio figlio » spiegò, sul volto una luce nuova. Felice di essere utile a qualcuno, di poter condividere la propria esistenza con qualcuno.

Qualcuno che ora poteva essere testimone della sua mera esistenza.

Ellen lo guardò con aria di sfida:« tu? Figuriamoci. È già tanto che il tuo gatto sia vivo.» disse con aria annoiata, guardando altrove.

« Mi dispiace, così ho deciso » fece per allontanarsi « ah. » fece poi, anticipandola « ho molta più esperienza di te » le fece l'occhiolino, portando le mani in tasca, tornando con nonchalanche al tavolo di Jensen. Quest'ultimo gli sorrise,la bocca piena e il viso sporco di polenta.

Nel vederlo, Ellen tradì il proprio intento di nascondere l'approvazione del gesto che Jared aveva deciso di compiere. Aveva cercato di tener distante quel piccolo particolare, troppo abituata alle “sbirciatine” che il vampiro adorava dare al cervello dei poveri umani.

« Hei, testardo...» lo chiamò « Almeno lascia che ti dia qualche vestito...Dati i danni alla faccia che posso notare...Non sa ancora dov'è la bocca...» ridacchiò, mentre Jensen faceva il suo meglio per esibirsi in un cipiglio perplesso.

« Ogni altro aiuto è ben accetto, bellezza » rispose tranquillo sedendo a fianco di Jensen, togliendogli con una mano i pezzi di polenta che aveva dispersi per il viso.

« E noi due dobbiamo parlare, Jensen » iniziò pacato, accavallando lentamente le gambe. Dopotutto non spettava a lui la decisione finale.

Le cose si decidevano in due.

Jensen lo guardò con un pezzo di polenta ancora sulla punta del naso: « Di che cos'è?» chiese, senza comprendere perché Ellen si nascondesse la bocca con una mano.

« Prima provvedi a pulirti quella faccia » disse con aria quasi severa, incrociando le braccia al petto, facendogli un cenno al naso.

Quello si guardò intorno senza sapere con che cosa pulirsi, finché Ellen non gli porse una salvietta. Lui la prese, passandosela per tutta la faccia, tornando a guardare Jared da sopra la salvietta che tenne sul naso.

« Fatto. E adesso?» chiese, curioso di scoprire che sarebbe successo.

« Adesso mi ascolti » spiegò tranquillo, socchiudendo leggermente gli occhi mentre andava ad incrociare le dita delle mani « Capirai che noi, io ed Ellen, non possiamo di certo abbandonarti a te stesso permettendoti di girovagare per le strade finché qualcosa di brutto possa succederti » disse, velando ogni intento « quindi, qualcuno dovrà badare a te » spiegò, sospirando pesantemente.

Zanzi nuovamente sull'attenti.

Gli riusciva difficile spiegare al ragazzino ciò che stava per succedere mascherando nel miglior modo possibile ciò che lui, più di tutti, desiderava in realtà.

Jensen posò sul tavolo il tovagliolo, guardandolo con aria divertita.

Per la prima volta, davvero, sorrise: « Tu!» esclamò, prendendo il gatto tra le braccia: « e Sanzi!»

Jared rise di cuore abbassando lo sguardo al pavimento, passandosi una mano ai capelli: « bene... non c'è bisogno di tanti discorsi complicati allora...» sussurrò lasciando cadere la fronte sul tavolo, sollevato improvvisamente da un peso troppo grande da sopportare oltre.

Odiava le illusioni.

Odiava farsi illusioni.

Ma, almeno quella volta, non si erano spezzate.

Sentì una mano, che da ben vent'anni conosceva, posarsi sulla sua spalla sinistra: Ellen che si chinava per parlargli all'orecchio: «...Vedi...c'è qualcuno che ti vuole bene davvero...anche se non sa nemmeno chi sei.»

Poi la donna si scostò, guardando Jensen « Mi raccomando ragazzino, tieni d'occhio il nostro Jared, ok?»

Il bimbo annuì energeticamente mettendosi sull'attenti:

« Finché avrò vita, capitano!» disse più che convinto.

To be continued

  
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