Titolo: Innocence (Avril Lavigne©)
Autrici:
yami_x_dark
Parte: 1/4
Rating:
nc17, AU
Paring: J-squared ( Jensen
Ross Ackles x Jared Tristan Padalecki)
Disclaimers: i personaggi qui presentati sono maggiorenni ed
ogni riferimento a cose, persone o fatti è puramente casuale.
INNOCENCE
Primo Capitolo
Past
Norimberga, 1801
Neve, freddo,
bosco.
E sangue.
Sulle mani, sui
vestiti, sulle manopole di lana che pendevano dai polsi.
Non ricordava
quando, ma sapeva di essere scappato da prima che il sole se ne andasse dietro
le montagne. Aveva continuato a correre, terrorizzato, cercando di mettere più
strada possibile tra lui e gli uomini in verde. La mamma era morta, il papà era
stato gettato nel fuoco. Tutti i peluche di pezza fabbricati dai suoi genitori
erano andati in cenere, tra le fiamme di quella che per i sei anni della sua
breve vita era stata la sua casa.
Il sole del
tramonto s'era precipitato a lasciare spazio alla luna
calante,
spettatrice di brusii, preghiere ed incontri predestinati.
Il suo pallido
torpore faceva strada ad un felino dal pelo mediamente lungo, ocra e bianco. La
coda e le orecchie ben facevano intendere il suo stato di perenne allerta.
Faceva freddo anche per lui, quella sera.
Per lui e per il
suo padrone, alla costante ricerca delle sue tracce.
Ma era un freddo
non propriamente legato al fisico.
La luna di quella
notte sembrava annunciare un'omelia fin troppo poco gradita ai suoi occhi di
vetro, attenti a seguire le impronte lasciate sulla neve del suo compagno:
« Zanzi, figlio dei
ghiacci...dove mi stai conducendo...?» chiese il giovane moro, osservando i
vicoli in cui stava vagando.
La mente persa a
rimembrare avvenimenti ormai lontani, avvenuti in quelle stesse strade
secondarie, anni prima.
Si lasciò sfuggire
un sorriso.
D'incoraggiamento.
Dedicato solo a sé
stesso.
Il rumore di alcuni
passi indistinti, nel silenzio della neve.
Il cuore fece un
salto, correndo alle sue orecchie, dicendogli di fuggire, lontano, di non
lasciare che la morte dei genitori fosse stata vana. Forte in lui, tuttavia, il
bisogno di vedere qualcuno. Di gridare il proprio dolore, di lasciarsi andare
alle lacrime. Ma il suo corpo sembrava agire per conto proprio ormai da ore. Il
terrore di essere raggiunto era tale da surclassare ogni bisogno fisico.
E poi, forse apparì dal nulla.
Un gatto, che
zampettava osservando il silenzio più assoluto, i suoi occhi smeraldo già fissi
in quelli di lui, così simili ai suoi.
Gli si sedette
davanti, muovendo lentamente la coda con movimenti lenti, aggraziati,
calcolati.
Le zampe bianche
sprofondate nella fredda neve, i baffi frementi di vita.
Il bimbo lo guardò
incantato, senza ben capire da dove fosse spuntato fuori. Un attimo prima era
solo, e quello dopo non più. Reclinò appena il capo di lato, gli occhi
sgranati: « Micio? » chiese, avvicinando una mano a quel muso dall'aria severa.
Quello rimase
pressoché immobile, del tutto indifferente all'apparente curiosità del
ragazzino seduto davanti a lui.
Era una visione
dolce e crudele al contempo.
Questo fu l'unico
pensiero della sagoma nascosta dalla luce della luna, le braccia incrociate al
petto, la schiena posata al muro di una vecchia casa ormai in disuso.
Socchiuse gli
occhi, quasi indignato dalla glacialità del suo compare:
«Zanzi, Zanzi...il
tuo cuore non lascia forse mai spazio ai sentimentalismi...?» chiese facendosi
avanti con passi misurati, attento, nel tentativo di non spaventare il
piccoletto a pochi passi da lui.
Quello lo guardò di
scatto, cadendo all'indietro sulla neve per lo spavento, sprofondando con il
busto, le gambe all'aria. Aveva serrato gli occhi di riflesso, come se nel
farlo avesse potuto cancellare quella nuova presenza.
Agiva in quel modo
anche nei suoi sogni, quando appariva un mostro cattivo ma, nell'aprire gli
occhi pochi secondi dopo, constatò che la realtà non era facile come il sogno.
Il giovane moro,
completamente vestito di nero, tranne che per una cinghia rossa legata alla
vita, ora era inginocchiato al suo fianco.
Tanto vicino da
sfiorarlo, troppo lontano per bloccarlo.
Chinò appena il
capo, le braccia abbandonate alle ginocchia fasciate dai pantaloni; il gatto al
suo fianco che sembrava fissarlo con un moto di rimprovero: « L'avrò anche
spaventato, ma tu sei l'insensibilità fatta persona » rispose al gatto, nella
voce un strano tono di rimprovero.
Zanzi miagolò
contrariato.
Il bimbo guardò
prima il felino, poi l'estraneo che sembrava farsi beffe di quello che aveva
chiamato “Zanzi”. Fece una smorfia, tra lo stupito e lo schifato, non capendo
il perché di quel nome.
Si rialzò a sedere,
le mani ch'erano diventate viola a contatto con il freddo biancore che
ricopriva il terreno. Indeciso, provò ad avvicinare una manina al naso del
gatto: « Sanzi...? » disse incerto, le parole che faticavano a formarsi sulle
sue labbra.
«Zanzi, si» rispose
il moro, sorridendo compiaciuto a quell'apparente interessamento del bimbo al
suo fianco, mentre il felino posava totalmente il naso caldo contro il palmo
della mano del piccolo.
Gli si rizzarono
tutti i peli, la coda diritta per lo spavento causato dalla presa di coscienza
dello stato del biondino.
Quest'ultimo se ne
accorse, ritraendo dispiaciuto la mano che strinse al petto, mentre si mordeva
un labbro screpolato per i sensi di colpa. Gli occhi verdi che esprimevano
profondo dispiacere, consapevoli di essere stati causa di turbamento.
Il ragazzo al suo
fianco gli porse una mano affusolata, tanto più grande di quella sua. Gli
sorrise cordiale: « Posso provare a scaldartele un pochettino » propose
nascondendo la scarsa convinzione insita in lui.
Ma il felino fu più
rapido di lui, andando ad accoccolarsi fra le braccia del piccoletto. Il moro
lo fissò con cipiglio perplesso: « Cosa mi stai chiedendo di fare Zanzi...?»
alzò gli occhi al cielo, sospirando sommesso.
L'ingenuo soggetto
della loro disputa cinse il felino con gratitudine, nascondendo il viso nella
pelliccia invernale che sembrava emanare un lieve, piacevole tepore, chiudendo
gli occhi per meglio sentire l'effetto che faceva. Ridendo, il bambino rialzò
la testa, guardando il giovane accanto a loro, per poi affondare il viso nel
petto di lui, cingendogli il busto come poté, rimanendo un po' deluso. Rialzò
il capo, guardando il giovane negli occhi con una strana sorta di compassione:
« La tua pelliccia non è molto calda...» gli fece notare, spingendo ripetutamente
l'indice sulla maglia nera che copriva il suo interlocutore.
« La stufa costava
troppo, allora l'ho venduta a Zanzi...» rispose con ironica gentilezza prima di
esibirsi in un breve inchino di presentazione: « Sono Jared Tristan
Padalecki, al suo servizio principino...» sorrise dolcemente.
Il
bambino annuì, dimostrando di aver capito i problemi economici del signor
Jared, per poi provare ad inchinarsi a sua volta, finendo con la fronte nella
neve, il ciuffo che gli si congelò di botto. Rapido, si rialzò, rosso in viso:
«Jen...Jensen
Ross...Acc..Acke...Ackles...»
gli riuscì infine a dire, non avendo ancora ben imparato tutto il suo nome.
«Ma...io non sono un picipino...» cercò di giustificarsi.
Jared gli accarezzò
il viso arrossato, con naturalezza, il felino che prendeva a scodinzolare più
rapido: « Forse perché non sai di esserlo...» rispose in un breve sussurro
amichevole, subito accompagnato da un tenue miagolio di approvazione.
Jensen
lo guardò con perplessità, prima di mettersi le mani in testa come alla ricerca
di qualcosa: « Io no ho la corona...» ammise dispiaciuto, guardando anche Zanzi
per scusarsi.
Il moro si fece
pensoso, gli occhi al cielo innevato: « eppure io la vedo...» sorrise, tornando
a guardare negli occhi il piccolo, preoccupato per ciò che sarebbe potuto
succedergli lì, da solo, in quella stradina buia e deserta.
Il
biondino ricambiò tranquillo quello sguardo, ora sentendosi al sicuro con
quelle sue due nuove conoscenze. Sorrise a Jared, senza ben capire perché
questi lo stesse fissando nello stesso modo in cui molte volte sua madre lo
aveva osservato. Era come se lo sondasse, alla ricerca delle paure che lui
nascondeva in tutti i modi. Ma suo padre gli aveva insegnato che un uomo non
poteva essere debole, quindi non poteva avere paura di nulla. Per questo Jensen rizzò il capo, guardando il
moro con aria decisa, impropria su quel visetto da bambino.
« E che cos'è
questo musetto arrabbiato ora...?» chiese senza trattenere un sorriso divertito
a quell'espressione decisamente buffa, specie se stampata su un visetto come
quello.
Zanzi che fissava
il piccolo, indeciso sul da farsi.
Jensen
s'inumidì appena le labbra danneggiate dal freddo: « Queto
è lo guardo dell'uomo decisato...» cercò di spiegare,
lo sguardo ancora corrucciato, più per lo sforzo di mettere insieme quelle
parole che per sembrare l'uomo che suo padre avrebbe voluto vedere.
Jared
fece uno sbuffo, incapace di nascondere una mezza risata dovuta alla “decisattagine” di Jensen.
Gli scompigliò i
capelli, in un gesto quasi amorevole: « Avrai tempo per quello...» gli confidò,
mentre Zanzi prendeva a ciondolare attorno a loro, in un vano tentativo di
scaldare le zampe « Non avere fretta, su...».
L'altro scosse il
capo contrariato, stringendo le manine in due piccoli pugni: « Ma un uomo deve esere sempre decisato! » esclamò,
mentre il suo stomaco lo interruppe con un sonoro gorgoglio, facendolo
sprofondare nella più nera vergogna.
« Il tuo stomaco è
più decisato di te » rise Jared, scuotendo debolmente
il capo, divertito dal piccolo al suo fianco « andiamo a mangiare qualcosina, principino decisato?
» chiese poi, lanciando una breve occhiata al gatto che scrollava le zampe
dalla neve che gli stava inzuppando tutto il pelo.
« Poletta e sanguaccio? » chiese il
bimbo speranzoso, l'acquolina già in bocca solo all'idea. « La mamma per i
giorni speciali faceva sempre polenta e sanguinccio!
»
«
Credo che Ellen
sarà felice di accontentarti...» rispose, mettendo in piedi il piccolo con un
semplice gesto fluido e deciso, il gatto che gli saltava in spalle, totalmente
congelato « e la mamma dov'è ora...?» aggiunse poi, indeciso nel porre quella
domanda.
Jensen
afferrò, come per controllarsi, un lembo dei pantaloni del moro, guardando
verso la direzione nella quale, un tempo, c'era stata la sua casa, i suoi
giochi, il suo papà e la sua mamma. Con uno sforzo immane, cercò di trattenere
le lacrime che facevano a gara per fargli perdere il precario equilibrio
mentale che si era creato, causandogli una crisi di respirazione. Il petto che
sembrava bruciare, il cuore che riprendeva a battere come quando la mamma gli
aveva detto di scappare, di salvare almeno sé stesso.
Mentre
le lacrime vincevano sulla sua forza, Jensen
singhiozzò cercando di cancellare dalla mente le grida della madre, morta dopo
l'ennesima accoltellata: « La mamma è diventata sanguinaccio...» cercò di
scherzare, troppo sciocco persino per lui.
Il
moro fu colpito da un unghiata del gatto, che lo distrasse dall'ondata di
profumo che lo aveva raggiunto improvvisamente, senza preavviso. Deglutì a fatica,
scuotendo a stento il capo mentre tornava ad inginocchiarsi davanti a Jensen, nuovamente in sé.
Lo prese in
braccio, senza più chiedere nulla a riguardo.
I suoi occhi di
vetro ora fissi ad osservare il nulla davanti a loro, i denti serrati, i lineamenti
ora più duri mentre continuava ad accarezzare il capo del ragazzino.
Apprensivo.
Il bimbo sembrava
essersi nuovamente immerso nei ricordi, stretto alla maglia del suo nuovo
protettore. Sperava di svanire al più presto. Voleva tornare dai suoi genitori.
Ma sapeva, sapeva che per tornare da loro avrebbe dovuto sacrificare sé stesso.
Singhiozzando, si
aggrappò con tutte le sue forze al collo di Jared, alla ricerca di un appiglio
alla sua disperazione.
« Andiamo a
riempire questo povero stomaco » concluse allora Jared, massaggiando con calma
la pancia del piccolo, trattenendo tutta la rabbia che si stava man mano
manifestando in lui. Che si rimescolava dentro di lui.
Facendogli perdere
il controllo che, prontamente, il gatto si apprestava a fargli tornare.
Dopo tutti gli anni
vissuti su quel pianeta, ancora non riusciva ad abituarsi alle ingiustizie che,
puntualmente, gli capitavano sotto agli occhi.
Spesso si era
limitato a guardare altrove, fingendo che nulla fosse successo.
Che non fosse affar
suo.
Ma non questa
volta.
Non era riuscito a
lasciarsi tutto alle spalle.
Aumentò di poco
l'andatura, palesando il suo essere diverso, senza smettere di coccolare il
bambino che teneva fra le braccia.
Jensen si perse a
guardare gli alberi passare accanto a loro con una strana velocità. Voltò il
capo avanti, e la città sembrava venire loro incontro con rapidità. Corrucciò
lo sguardo, incredulo: «...Signor Giarretta?»
Quello si volse a
guardarlo con cipiglio divertito, senza smettere di tenere quel passò finché
non giunse ad un incrocio che portava in centro o in periferia.
All'angolo, una
vecchia locanda che ospitava ben poche persone.
Vi si avvicinò con
passo ora decisamente più umano: «dimmi» lo incitò con pacatezza.
Una voce di
velluto.
Jensen scrutò una
signora anziana fissare con una strana luce negli occhi il suo protettore,
correndo via zoppicando nel notare di essere stata scoperta in flagrante. Alzò
per un attimo lo sguardo sul viso di Jared, poi scosse il capo, cercando di
ritrovare il filo del discorso che aveva elaborato prima.
«...Lei è un atletaro...?» chiese titubante, non ben sicuro di farsi
capire.
Jared si limitò a
ridere compiaciuto scuotendo debolmente il capo, mentre entrava nella locanda
sotto lo sguardo disfattista dei clienti: « ho solo le gambe molto lunghe »
spiegò tranquillo, andando a sedersi su di un tavolo libero, trovando subito
Ellen che stava sempre dietro al bancone.
Zanzi ora sul
tavolo a scrollarsi la neve di dosso.
Il biondino si
sedette con attenzione sullo sgabello accanto al gatto, guardandosi attorno
senza porre troppa attenzione ai presenti: « Un giorno anch'io avrò le gambe
così lunge...? » chiese stornando nuovamente lo sguardo su Jared, incuriosito.
«Forse...» rispose
quello fissandogli le gambe che non erano nemmeno un quarto delle sue.
Voltò appena il
capo, ridacchiando senza farsi vedere, mentre Ellen si avvicinava con aria non
troppo convinta.
La donna, la cui
altezza raggiungeva a stento il metro e settanta, si accostò a loro senza dire
una sola parola, gli occhi fissi su Jared. Non ci voleva molto per capire la
domanda che le frullava nella testa, senza contare le sporadiche occhiate di
alcuni clienti agli abiti insanguinati di Jensen. Quest'ultimo la guardava con
insolito interesse, forse nella speranza di cogliere un gesto famigliare,
qualcosa di simile ai gesti che sua madre spesso faceva. Una sorta d'insolita
speranza in sè.
« Ecco, lei è Ellen.
Colei che sarà così gentile da prepararti ciò che più desideri » la presentò
con prontezza Jared, che aveva elegantemente accavallato le gambe, le braccia
conserte al petto. Comportandosi come se nulla fosse successo.
Jensen annuì dando
a vedere di aver capito. Scambiò uno sguardo con la giovane trentenne, poi
sorrise innocentemente: « Vorrei del sanguiccio con
della polenta...per piacere. E acqua...se può. » disse mettendosi dritto con la
schiena, come sua madre avrebbe voluto.
Ellen annuì,
prendendo appunti sul suo taccuino: « E tu, Jared? Che cosa desideri? » chiese,
rifilandogli un'occhiataccia: « Un collo giovane e ben rifocillato?».
Quello le sorrise
pacifico: « no, grazie. Un bicchier d'acqua dovrebbe bastare » rispose
fissandola dritto negli occhi. Per niente rassicurante nello studiarla.
Senza scomporsi, la
donna si allontanò, dando il taccuino delle ordinazioni al cameriere dietro il
banco. Parlò con lui pochi secondi, poi tornò subito da loro due, guardando
Jensen pulirsi con la manica della giacca un po' di sangue che aveva sul collo.
Rabbrividì, senza poter immaginare perché Jared avesse con sé quel bambino.
lo conosceva da
anni, eppure, eccezion fatta per quel gatto che si portava sempre dietro, non
aveva mai visto nessuno fargli compagnia. Tutti si sentivano a disagio,
solitamente, anche solo ad avvicinarlo. Quasi avessero avuto un sesto senso che
l'informasse della vera natura del giovane. Anche se dire “giovane” era pressoché
un azzardo, certa che fosse come minimo più vecchio di lei, pur conservando
l'aspetto di un venticinquenne o poco più.
Sospirò, una mano
alla nuca nel guardare forzatamente Jared: « Che ne dici di fargli un bagno?
Attira leggermente l'attenzione, più di te addirittura...» gli fece notare,
sotto lo sguardo confuso di Jensen, che non comprendeva nulla della situazione.
Jared si guardò
attorno, inarcando leggermente un sopracciglio nell'alzarsi con estrema
lentezza dalla sedia: « Jensen... vieni, che andiamo a darti una pulita...»
disse facendogli un leggero cenno del capo per indicargli una porta marrone
scuro appena dietro al bancone. Il bagno degli inservienti.
« Non credo sia il
caso di lasciarti girare per la città ridotto così...».
Poi il suo sguardo
si raggelò nel passare a guardare Ellen « potresti prestargli un po' dei
vestiti dei tuoi bei figlioletti...?» chiese con fare alquanto ironico.
D'altronde ben
sapeva che quelli erano letteralmente terrorizzati da lui.
E allora una
domanda sorgeva spontanea.
Si chiedeva per
quale assurdo motivo Ellen non lo cacciasse fuori dalla locanda, a suon di
calci.
Probabilmente per paura,
arrivò a concludere scuotendo il capo con fare rassegnato mentre si avviava
verso il bagno con finto fare allegro.
Ellen fece strada
al ragazzino, che la guardava con curiosità propria solo della sua tenera età.
Gli sorrise, trovandolo adorabile.
« Ti ha trovato per
strada...?» gli chiese, porgendogli una mano.
Jensen la prese
quasi subito, sorridendo: « Sì, il signor Giarrette mi ha invitato a venire da
Ellen...Sei tu Ellen?» chiese curiosamente, cercando di sembrare calmo. Dentro
di sè, la voglia di piangere sempre pronta ad
attaccarlo.
« Vieni Jensen» li
interruppe allora Jared che si mise in ginocchio davanti alla porta, il gatto
al suo fianco che miagolava quasi contento, la porta già aperta.
Ellen lo guardò con
un lampo d'odio negli occhi, notando il sorrisetto ironico che le era rivolto.
Sempre così. Sempre a testarla.
« Fottiti.» sbottò,
lasciando andare il bambino, che corse in braccio a Jared chiudendo gli occhi,
stringendogli le braccia attorno al collo con tutte le forze che aveva in
corpo.
Jared ridacchiò
appena, accogliendo il biondo fra le proprie braccia, lanciando un 'occhiata maliziosa a Ellen mentre affondava
appena il viso sul collo del piccolo. Senza mai distogliere lo sguardo dalla
donna.
Strinse Jensen
ancora più forte: « sei decisamente imbrattato... già...» accarezzò lievemente
con l'indice il collo del bambino, ridacchiando nel chiudersi in bagno assieme
a quello.
Ellen rimase a
guardare la scena impotente, senza capire più se correre a prendere la pistola
con pallottole d'argento, o andare a servire i clienti. Poi alzò gli occhi al
soffitto, grugnendo esasperata: « Non lo sopporto, quel cazzo di vampiro. »
dichiarò tornando al proprio lavoro.
Jensen si guardò
intorno, per quel poco che poteva muovere la testa a causa della stretta che
Jared teneva su di lui: il bagno era piccolo, quel tanto necessario per
accogliere una vasca, un water e un lavandino.
Fissò a lungo la
carta da parati di un bianco sporco, poi le manopole di ottone opaco, gli
appendini su cui v'erano riposti gli asciugamani.
«...Ellen ha detto
“casso”...?» chiese sollevando un sopracciglio.
Jared fissò lo
sguardo sulle zampe della vasca, sorridendo ambiguo: « si, ha detto
“cassonetto”. Cercava il cassonetto... non ha proprio una buona memoria...»
posò a terra il bimbo, mettendosi alla sua altezza « mi chiedo come faccia a
vivere a casa sua... è proprio una smemorata...» disse, cercando di dare al
piccolo una pessima della Signorotta.
Jensen annuì, come
per dargli ragione. In realtà, non aveva capito niente. Forse era stupido?
Guardò il gatto, comodamente seduto su di un angolo della vasca. Zanzi non
sembrava conoscere la risposta a quella domanda.
Tristemente, il
bambino si voltò appena, le lacrime agli occhi, sentendosi ben poco
all'altezza. Forse Jared non avrebbe voluto un bambino orfano, stupido e
puzzolente come amico. Si annusò un'ascella mentre sollevava un braccio. Fece
una smorfia disgustata. Lui non avrebbe voluto stare con qualcosa di così
orrendamente combinato. Gonfiò le guance, sentendosi di colpo molto, molto
triste. Le lacrime che già gli risalivano gli occhi, all'idea che Jared si
disfacesse di lui non appena si fosse fatto il bagno.
Anzi, forse non
avrebbe nemmeno aspettato che si lavasse! Forse se ne sarebbe andato non appena
avrebbe distolto lo sguardo da lui...
Jared lo fissò
chinando appena il capo.
L'espressione del suo
viso pressoché perfetto mutò dal corrucciato, al sorpreso, all'esilarato nel
percepire i pensieri del piccoletto.
Gonfiò le guance a
sua volta attirandolo a sé, permettendosi così di cullarlo per l'ennesima
volta: « finito il bagno, mangiamo insieme... va bene...? basta che non scappi
via...» sorrise accarezzandogli i capelli con calma.
« La polenta ti
aspetta ».
«...e il
sanguinaccio...?»chiese il bimbo tirando su col naso.
« Anche quello.
Basta che non piangi più » gli pizzicò una guanciotta sorridendo, prima di
andare ad aprire l'acqua calda « su, spogliati...»
Jensen arrossì di
botto, guardandolo senza dire una parola.
In testa, la
vergogna più nera. Doveva spogliarsi davanti a Jared?
Lo guardò,
rimanendo impietrito nel vedere che il suo protettore già si era tolto la
maglia, esibendo dei pettorali scolpiti, adulti, abbronzati.
Spalancò la bocca
senza saper più che fare, per poi alzare la maglia e guardare la sua pancetta
pallida e molliccia.
Jared sorrise
appena: « devo stare girato...?» accese l'acqua del lavandino, immergendovi la
maglia nera che aveva indossato fino a poco prima mentre qualcuno veniva a
bussare alla porta. Doveva essere Ash, uno dei figli
di Ellen.
Esibì un sorrisone
compiaciuto nell'andare ad aprire con un rapido scatto: «BUH!!»
Ash, un bambino di poco più vecchio di Jensen, urlò
terrorizzato, lanciando per aria i vestiti per il biondino; quest'ultimo che ne
approfittava per spogliarsi tutto di corsa e nascondersi sott'acqua. Vide il
ragazzino al di là della porta correre via gridando come un ossesso, quasi
avesse visto un mostro.
Guardò Jared.
Rifletté un attimo,
sguardo al soffitto.
Jared era troppo
figo per essere un mostro.
Nell'osservare il
bambinetto “Ash-Ascella”, come lo chiamava lui, e nel sentire i pensieri del
biondo dietro di lui, Jared si lasciò sfuggire una risata liberatoria
raccogliendo tutti i vestiti sparsi per terra, prima di richiudersi la porta
dietro le spalle.
Lanciò un'occhiata
divertita a Jensen prima di andare a ripiegare gli abiti appena raccolti: «
Figo, eh? » chiese, quasi si stesse rivolgendo all'aria.
Jensen arrossì per
l'ennesima volta, cercando di sprofondare sott'acqua. Completamente.
Per non mostrare
nulla.
Se non un ciuffetto
biondo che galleggiava solitario a pelo d'acqua.
Jared, che prese
una saponetta all'ortica, si avvicinò alla vasca, iniziando a passarla lungo la
schiena di Jensen che, a quanto pareva, aveva deciso di suicidarsi. Rise
appena, prendendolo per un braccio con delicatezza, tirandolo su: « vuoi
ammazzarti...? » chiese sorridendo, continuando ad insaponargli la schiena con
calma.
Jensen lo guardò
titubante, senza sapere cosa rispondere. Scosse il capo il tempo necessario per
riprendere fiato, cercando di riprendere il dominio della vasca immergendosi di
faccia.
Jared ridacchiò,
sollevandogli il viso con sole due dita, prima di mostrargli la saponetta quasi
con fare dispiaciuto: « tieni... sei grande abbastanza, no? » sorrise in
attesa.
Il biondo provò a
prendere quella strana cosa vischiosa con entrambe le mani, guardandola con
strano interesse. Sua madre usava delle cose a scaglie, molto diverse da quel
piccolo rettangolo. Lo strinse un po' di più, curioso, e quell'aggeggio si
sparò fuori dalle sue mani, in faccia a Jared.
Sbiancò,
rifugiandosi di nuovo sotto acqua per paura di prenderle.
Il moro si passò
una mano al viso con fare perplesso, un sopracciglio alzato nel notare il
pessimo tentativo di rifugio del piccolo.
Senza mostrare
alcuna espressione, affondò la mano sott'acqua, inizialmente con l'intento di
ritrovare la saponetta ch'era caduta.
Sorrise sghembo nel
trovare, piuttosto, una gamba di Jensen.
Prese a fargli il
solletico, sporgendosi poco di più sulla vasca.
Il ragazzino
dovette riprendere fiato, ridendo nervosamente, senza riuscire a stare in
equilibrio nella vasca, cosa che lo fece scivolare nuovamente in immersione,
per di più facendogli bere un bel po' d'acqua.
Risalì, tossendo
convulso tra le risate: « Batttaaa!».
Jared sorrise,
smettendo all'istante, andando a battergli appena sulla schiena per farlo
riprendere: « su, finisci di lavarti... ho la maglia ancora in ammollo...» si
rimise in piedi, sospirando pesantemente.
Dopo pochi minuti,
Jensen uscì titubante dalla vasca, stando bene attento a non perdere
l'equilibrio per l'ennesima volta. Controllò che Jared stesse ancora guardando
la propria maglia, così si avvolse nell'asciugamano, prendendo con uno scatto
anche i vestiti dietro al giovane.
Si voltò, dandogli
di spalle, così da potersi vestire senza mostrarsi.
Un po' sapeva di
essere ridicolo, ma non poteva farci nulla. Anche se suo padre gli aveva spesso
detto che un uomo dev'essere sempre orgoglioso del
suo corpo, Jensen non riusciva ad esserlo davanti ai muscoli scolpiti di Jared.
Insomma...
Era decisamente
inferiore...
Mugolò appena,
contrariato, e prese ad infilarsi calzini e pantaloni sotto lo sguardo attento
di Zanzi, ma quando provò ad infilare anche il secondo piede nei pantaloni,
cadde all'indietro, scivolando a terra come un sacco di patate.
Inferiore,
inferiore, inferiore.
Jared sorrise
strizzando la propria maglia, osservando i vestiti precedenti del biondino in
ammollo dentro ad una bacinella blu.
Non si volse a
guardarlo più per non scaturire ulteriore vergogna sul piccolo, che per proprio
volere personale.
Se fosse stato per
lui, sarebbe scattato a prenderlo ancor prima che cadesse: « tutto bene...?»
chiese, per niente sicuro della risposta.
Jensen mugolò in
risposta un sì strascicato, infilando per bene i pantaloni dalla posizione in
cui era. Si mise a gambe incrociate, una mano alla testa e l'altra alla ricerca
della maglia che doveva indossare. Sospirò dolorosamente, infilando anche
quella, ma con scarso successo. Non ci passava con la testa.
Abbattuto e
frustrato, abbandonò le mani a terra, mettendosi a piangere senza ritegno,
tanto stanco era.
« Jareeett...Sono una sfranaaaaa!»
pianse disperato.
Quello sospirò,
voltandosi e mettendosi in ginocchio con lentezza misurata.
Gli sistemò un
ciuffo di capelli biondi, prima di baciargli la fronte tranquillo: « Non è
vero...» raccolse la maglia che Jensen aveva lasciato cadere, aiutandolo ad
infilarla con tutta la pazienza di cui era in possesso.
Alla fine gli
sorrise, scompigliandogli i capelli: « su...».
Socchiuse appena
gli occhi, infilando la maglia ora umida a sua volta.
Poi la collana, ed
infine la giacca che gli giungeva sino alla caviglia.
Si rimise in piedi.
Jensen lo guardò
fare con sguardo perso, alzatosi in piedi mentre l'altro si vestiva. Degluttì a fatica, sentendosi incredibilmente a disagio.
Fissando Jared, il
bambino dimenticava per lunghi momenti l'evento accaduto solo poche ore prima.
L'evento che aveva portato via con sé i suoi genitori e la sua vita. Per dei
lunghi momenti, perso nel candore della neve, aveva creduto di morire lì,
raggiungendo così i suoi genitori molto velocemente.
Ma ora si chiedeva:
e se Jared fosse stato un segno...?
Il messaggio ultimo
dei suoi genitori, il loro testamento...
« Jaretto...?» lo chiamò, un nodo strano alla gola che
gl'impediva di parlare con voce calma.
L'interpellato si
volse nuovamente a guardarlo con aria serena, tornando a mettersi al suo
livello, la porta non ancora aperta: « ora cosa non va? » chiese allungando una
mano verso di lui.
Si sistemò la
collana distrattamente con l'altra mano libera.
Jensen fece un
respiro profondo, lasciando cadere lo sguardo al pavimento:
«...secondo te la
mamma e papà voiono che io continuo...a vivere...?»
chiese, le mani strette al bordo della maglia, quasi nel tentativo di
allungarla.
Jared gliene
strinse una fra le proprie cercando di catturare lo sguardo di lui, più che
altro per fargli capire che stava parlando seriamente.
Sorrise, sicuro di
sé per una volta, limitandosi ad annuire con il capo, un ciuffo di capelli
castani che andava a nascondergli parte dell'occhio sinistro: « e non solo
loro...» lasciò la frase in sospeso, lanciando un'occhiata a Zanzi che sembrò
quasi approvare, con quella coda bianca, scodinzolante.
Jensen guardò la
propria mano chiusa tra quelle di Jared e si sforzò di sorridere.
Annuì a sua volta,
come per dare validità a quell'espressione, poi si lanciò su una gamba di
Jared, come fosse stato il suo unico appiglio.
«...Non mi lasciare
solo...» disse in un bisbiglio, per poi correre fuori dalla porta come un
fulmine, vergognandosi del suo stesso gesto.
Non voleva sentirsi
negare una simile richiesta.
Infantile, lo
sapeva, ma lui non riusciva a ragionare altrimenti.
Jared guardò il suo
gatto per l'ennesima volta, prima di voltarsi ad osservare i vestiti di Jensen
ben nascosti dietro il lavabo.
Controllò che tutto
fosse in ordine prima di raggiungere il tavolo in cui sedeva Jensen con fare
decisamente non comune.
Qualcosa in lui
trasmetteva in ogni suo singolo gesto una parvenza d’eleganza.
Si accomodò sulla
sedia, spostando lo sguardo su Ellen, pregando che si sbrigasse a portare il
cibo al biondino.
Quella giunse non
appena vide entrambi seduti, porgendo il piatto a quel bimbo dall'aria mesta.
Non le riuscì di non accarezzargli il capo, cosa che lui non sembrò nemmeno
notare, prendendo un cucchiaio ed immergendolo nella polenta molliccia e
gialla.
La donna sospirò,
voltandosi a guardare ora Jared, lo sguardo fermo come nessuno in quel luogo: «
Dobbiamo parlare. » disse severamente, un tono che non ammetteva alcun rifiuto.
« Non qui...»
rispose allora lui mettendosi in piedi, fissando Zanzi dritto negli occhi.
Quello sembrò capire, sistemandosi rigido sopra alla tavola, orecchie e coda
diritti. Vigile come sempre.
Jared annuì
impercettibilmente, sollevato, allontanandosi il minimo necessario da quel
tavolo, trovando un angolo il più possibile isolato da occhi indiscreti:
« desidera...?»
chiese allora, sadico. Allontanando di malavoglia lo sguardo dal ragazzino che
cenava poco distante.
« Chi è? E dove
diamine l'hai trovato? » chiese senza voler fingere di essere irritata e
spaventata al contempo: « Non è opera tua spero.»
Il giovane si
limitò a sospirare, senza mostrare alcun segno d'apparente irritazione. Aveva
già capito ogni singola preoccupazione di quella donna.
E no. Non l'avrebbe
lasciato a lei. Mai.
« Si chiama Jensen.
E' stato Zanzi a notarlo. Stava rannicchiato a terra, al buio, tremante, in un
vicolo secondario nascosto anche alla luna. » dichiarò senza riuscire a donare
a quell'immagine un qualcosa di mortificante per i più.
« E no. Non ho
massacrato la sua famiglia. Credevo avessi capito che da anni non privo più
alcun umano della vostra preziosa linfa vitale » aggiunse, senza riuscire a
nascondere nei propri occhi una strana luce pressoché disgustata da tale
mancanza di fiducia nei suoi confronti.
Ellen sbuffò,
incrociando le braccia al petto: « Non sapevo il suo nome, però sapevo che non
è nel tuo stile bruciare la casa di una famiglia indebitata.» lo ammonì, per
poi guardare che il bimbo fosse al sicuro.
Stornò nuovamente
lo sguardo al suo interlocutore, amarezza dipinta sul suo volto: « Mi è giunta
voce che oggi, nella zona nord, le truppe hanno eliminato una famiglia, si
presuppone un burattinaio indebitato e una curatrice inesperta. Bruciato la
casa e distrutto ogni loro avere, ecco che hanno fatto. Ma nessuno ha parlato
di bambini.» sospirò, una mano alla nuca.«...Hanno ammazzato a coltellate la
donna...Ho provato a capire se c'era dell'altro, qualche indizio, o qualche
parente che sapeva qualcosa, ma sembra proprio che quella famiglia non tenesse
rapporti con nessuno. Eccezion fatta per i clienti, e per il duca. A quanto
pare, era con lui il debito. E quell'uomo sai quanto tiene ai suoi soldi...»
Jared respirò a
fondo, la mandibola serrata e gli occhi fissi in quelli di lei. Nervoso. Un
lampo rossastro nelle profondità di quelle iridi smeraldo.
Ellen gli diede una
gomitata: « Non guardarmi a quel modo. Non è colpa mia se accadono cose simili,
lo sai meglio di me. Comunque...la cosa che più resta in dubbio è il movente.
Si pensa che siano stati eliminati per via dei debiti, ma il loro notaio ha
dichiarato che i suoi clienti avevano pagato ogni centesimo al duca. Ancora tre
mesi fa.» disse tutto d'un fiato, controllando di nuovo il bambino.
« Per quanto
riguarda Jensen? » chiese con voce roca, gli occhi ora a guardare il biondino
con un moto d'esasperazione « su di lui...? » aggiunse.
La donna scosse
mestamente il capo: « Niente, te l'ho già detto. Lui sembra non esistere per lo
stato. Non è andato a scuola, non è stato registrato nelle nascite. un bene per
lui, pare...» dichiarò, una vena di amarezza nella voce.
Jared ridacchiò
quasi sollevato, alzando per un breve momento gli occhi al soffitto: « vorrà
dire che lo terrò con me senza troppe complicazioni. Lo alleverò come fosse mio
figlio » spiegò, sul volto una luce nuova. Felice di essere utile a qualcuno,
di poter condividere la propria esistenza con qualcuno.
Qualcuno che ora
poteva essere testimone della sua mera esistenza.
Ellen lo guardò con
aria di sfida:« tu? Figuriamoci. È già tanto che il tuo gatto sia vivo.» disse
con aria annoiata, guardando altrove.
« Mi dispiace, così
ho deciso » fece per allontanarsi « ah. » fece poi, anticipandola « ho molta
più esperienza di te » le fece l'occhiolino, portando le mani in tasca,
tornando con nonchalanche al tavolo di Jensen.
Quest'ultimo gli sorrise,la bocca piena e il viso sporco di polenta.
Nel vederlo, Ellen
tradì il proprio intento di nascondere l'approvazione del gesto che Jared aveva
deciso di compiere. Aveva cercato di tener distante quel piccolo particolare,
troppo abituata alle “sbirciatine” che il vampiro adorava dare al cervello dei
poveri umani.
« Hei, testardo...» lo chiamò « Almeno lascia che ti dia
qualche vestito...Dati i danni alla faccia che posso notare...Non sa ancora
dov'è la bocca...» ridacchiò, mentre Jensen faceva il suo meglio per esibirsi
in un cipiglio perplesso.
« Ogni altro aiuto
è ben accetto, bellezza » rispose tranquillo sedendo a fianco di Jensen,
togliendogli con una mano i pezzi di polenta che aveva dispersi per il viso.
« E noi due
dobbiamo parlare, Jensen » iniziò pacato, accavallando lentamente le gambe.
Dopotutto non spettava a lui la decisione finale.
Le cose si
decidevano in due.
Jensen lo guardò
con un pezzo di polenta ancora sulla punta del naso: « Di che cos'è?» chiese,
senza comprendere perché Ellen si nascondesse la bocca con una mano.
« Prima provvedi a
pulirti quella faccia » disse con aria quasi severa, incrociando le braccia al
petto, facendogli un cenno al naso.
Quello si guardò
intorno senza sapere con che cosa pulirsi, finché Ellen non gli porse una
salvietta. Lui la prese, passandosela per tutta la faccia, tornando a guardare
Jared da sopra la salvietta che tenne sul naso.
« Fatto. E adesso?»
chiese, curioso di scoprire che sarebbe successo.
« Adesso mi ascolti
» spiegò tranquillo, socchiudendo leggermente gli occhi mentre andava ad
incrociare le dita delle mani « Capirai che noi, io ed Ellen, non possiamo di
certo abbandonarti a te stesso permettendoti di girovagare per le strade finché
qualcosa di brutto possa succederti » disse, velando ogni intento « quindi,
qualcuno dovrà badare a te » spiegò, sospirando pesantemente.
Zanzi nuovamente
sull'attenti.
Gli riusciva
difficile spiegare al ragazzino ciò che stava per succedere mascherando nel
miglior modo possibile ciò che lui, più di tutti, desiderava in realtà.
Jensen posò sul
tavolo il tovagliolo, guardandolo con aria divertita.
Per la prima volta,
davvero, sorrise: « Tu!» esclamò, prendendo il gatto tra le braccia: « e
Sanzi!»
Jared rise di cuore
abbassando lo sguardo al pavimento, passandosi una mano ai capelli: « bene...
non c'è bisogno di tanti discorsi complicati allora...» sussurrò lasciando
cadere la fronte sul tavolo, sollevato improvvisamente da un peso troppo grande
da sopportare oltre.
Odiava le
illusioni.
Odiava farsi
illusioni.
Ma, almeno quella
volta, non si erano spezzate.
Sentì una mano, che
da ben vent'anni conosceva, posarsi sulla sua spalla sinistra: Ellen che si
chinava per parlargli all'orecchio: «...Vedi...c'è qualcuno che ti vuole bene
davvero...anche se non sa nemmeno chi sei.»
Poi la donna si
scostò, guardando Jensen « Mi raccomando ragazzino, tieni d'occhio il nostro
Jared, ok?»
Il bimbo annuì
energeticamente mettendosi sull'attenti:
« Finché avrò vita,
capitano!» disse più che convinto.
To be continued→