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Autore: Leannel    07/02/2005    0 recensioni
Arathorn e Fengel erano due uomini molto diversi. Ma avevano in comune principalmente due cose. La prima:erano mortali. La seconda: non avrebbero fatto niente di buono nella loro vita,a parte i loro figli, chiaramente. Cosa c'è prima dell'inizio?
Genere: Avventura, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fengel teneva la testa sulle coscie di una donna. Questa donna gli accarezzava i capelli biondi. Si sentiva estremamente a suo agio, come un bambino. Respirava lentamente quell'aria profumata di pesca. Uno dei riccioli biondi della bella chioma di quella donna gli caddero sul viso. Alzò gli occhi verso di lei. Aveva degli occhi castani come non ne aveva mai visti. Nonostante continuasse a sentirsi perfettamente a suo agio, il suo cuore prese a battere forte.

“Che cosa è successo, allora?” disse lei, con la ua voce sottile.

“Non lo so. Forse sono troppo stupido per capire, ma non lo so. So solo che non ci sono più. Fastred era dannatamente in gamba, maledizione!”

“Sta' tranquillo” disse lei

“Voglio dire. Era davvero forte. Non ce n'era nessuno meglio di lui. Voglio dire. Era gemelli, lui e Folc. E nostro padre non sapeva a chi dare il suo regno. E Fastr è arrivato, una mattina presto, mentre facevamo colazione, e ha detto 'Come intellettuale non valgo nulla. Sono nato per comandare eserciti. A me non interessa il tuo trono, padre' Voglio dire. Era proprio così. A lui non importava di nessuno, eppure gli importava di tutti. Lui lo sapeva che sarebbe morto, maledizione. Lo sapevo anche io.” Fengel sentì improvvisamente le sue guance bagnarsi di lacrime. “E nostro padre era più stupito di me, quando lo ha detto. Folc era diverso. Era davvero un genio. Era uno che parlava bene, pieno di ragazze e tutto il resto. Uno che quando sei un bambino ti dici che vuoi diventare come lui. Folc è davvero complesso, però. Ora che ci penso forse sarei morto se fossi nato complesso come lui. Ma a Folc piaceva davvero troppo nostro padre. Per questo mi piaceva meno di Fastred. La sua perfezione era davvero stucchevole. Fastr, non meritava di morire, no, non lo meritava. Ma io ho solo quindici anni! Io non potevo fare nulla!”

“Com'è successo?”

“Non lo so bene. Quel soldato ha detto che Fastr era stato catturato e l'avevano ucciso. Invece Folc è morto, trafitto da una freccia. Di lui ci hanno portato anche la salma. Ma non di Fastred.”

“E a te, Fengel, cosa è successo?”

“No lo so. Sono triste immagino. Mi ricordo che quella notte feci una cosa dannatamente stupida. Sono proprio un imbecille, quando mi ci metto. Non cenai. D'altra parte non cenò proprio nessuno quella sera. A me mangiare piace in modo ragionevole. Ma non mangiai lo stesso. Faceva caldo. Mia madre vestita di nero. Mio padre solitario e pensieroso. Tanta gente che parlava. Soldati, ministri. Un sacco di gente. Mi sentii soffocare. Uscii. Non me n'ero accorto ma la notte aveva abbracciato il palazzo d'oro. Mi guarai intorno. Sotto il portico stava la salma bianca di mio fratello Fastred, con un velo bianco a copriplo fino alle spalle. Aveva quei fiori bianchi sparsi sul corpo. Quello mi fece arrabbiare. Cosa ne sapevano loro che Fastred avrebbe voluto essere messo lì, dove tutti avrebbero potuto vederlo? Cosa ne sapevano? Mi fece proprio arrabbiare. Mi misi anche a piangere. Mi sentivo stupido, ma non ne potevo fare a meno. Allora salii le scale strette. Erano scale di legno ed erano davvero piccole e fitte. Avevo paura di cascare e farmi male. Ero davvero un ragazzino. Poi arrivai. Ero sul tetto d'oro del palazzo d'oro. Da là la luna sembrava ancora più bella. C'era la luna piena. La fissai per qualche istante. I rese ancora più triste. Allora allargai le braccia. Mi sarei buttato di sotto. Aveva davvero intenzione di farlo. Dico sul serio. Ma so essere così imbecille che riesco anche a rovinare le cose imbecilli che faccio. Mi misi a cantare. Non mi ricordo che canzone fosse, ma me la cantavano quando ero piccolo. Sono davvero un idiota. E dovevo cantare davvero forte. Mi sentirono tutti quanti. Mia madre uscì per prima dal palazzo. Gridò e si gettò a terra. Tuti la seguirono. Tra gli ultimi, mio padre con la sua bella barba bionda. Ricordo che mi fissava severo, con gli occhi pieni di lacrime. La mamma gridava. Pensavo di buttarmi. Ma non con tutta quella gente. E poi pensai che se mi fossi buttato, mio padre non avrebbe parlato più, e mia madre non avrebbe mai smesso di piangere. Lo pensavo davvero, che sarei morto, ma non lo feci. Provi un senso di ripugno per tutti quelli là sotto. Poi, invece lo provai per me stesso. Andai verso la scala di legno. Scesi. Mia madre mi abbracciò. Ricordo che mio padre non mi rivolse la parola. Forse pensava che ero pazzo o qualcosa di simile. Mia madre mi abbracciò, invece. Mi disse delle parole strane. Mi disse che era fiera di me. Che ero stato altruista. A non buttarmi, penso. Lei non lo fu. I medici dissero che era stata la sua costituzione cagionevole. Ma si è uccisa, ne sono certo. Mia madre non magiava più, non usciva di casa, non parlava più. Si è consumata, ripiegata su se stessa e accartocciata, come della carta tra le fiamme. E come la carta, è scomparsa. La capivo. Folcred era stato mia madre, mio padre. E forse anche io ero mio fratello, per lo meno in parte. Mio padre penso non l'abbia perdonata. Da quel tempo io e mio padre non ci vediamo mai. Non mi piace, la mia, la sua vita. Non voglio regnare.”

La donna sospirò e sorrise.

“Io non merito di vivere. Per lo meno non quanto lo meritassero i miei fratelli”

Fengel la guardò negli occhi. Poi la donna, col suo profumo di pesca, scomparve.

Si svegliò. Aveva freddo. La finestra era aperta. Il mal di testa era passato, per lo più. Si chiese se lo avrebbero rimandato a casa. Non ne aveva voglia. Stava bene, dopotutto, in quel posto pieno di elfi. Si alzò. La porta che dava sul giardinetto era aperta. Reimer, seduto sull'erba, si voltò verso di lui e sorrise. Fengel non capiva.

“Non trovavo la mia stanza” rispose Reimer. Fengel sorrise.


Arathorn aveva divorato quel romanzo in una sola notte. Non tanto perchè gli interessasse, quanto erpchè voleva dimostrare a Reimer di esserne capace. Aveva letto tanto che gli facevano male gli occhi, e anche la cicatrice. Sospirò. Se ne sarebbero andati quello stesso giorno. La cosa non sarebbe piaciuta a Fengel. Sarebbe rimasto ovunque, purchè fosse lontano da casa sua. Probabilmente gli avrebbe chiesto di andare al nord con lui. Senza dubbio, se fosse accaduto, gli avrebbe risposto di no. Quel ragazzino era in ogni caso un re. Era un Re, anche se ad Arathorn non riusciva di immaginarlo con la corona sui capelli dorati. Né come un buon sovrano. Ad ogni modo la parte più difficile sarebbe stata convincere il ragazzo. Si alzò e cambiò d'abito. Preparò le borse di pelle riempiendole della poca roba che si era portato dietro, e che in effetti possedeva. Si chiese se avrebbe avuto il tempo di accompagnare il ragazzo a casa. Si rispose di no. Maledizione, si disse. Presa in spalla la sacca aprì la porta. Con sua sorpresa notò un vecchio fuori dalla porta. Sgranocchiava caramelle.

“Ne vuoi una?” disse. Era Gandalf. Il vecchio con l'aria simpatica ma non troppo, che era stato con loro e quegli elfi nella stanzetta. “Sto cercando di smettere con quell'erba pipa”

Arathorn alzò il sopracciglio. Non aveva mai sentito nominare niente con quel nome assurdo. Erba pipa. Quel vecchio era davvero bizzarro.

“Voi” chiese Arathorn “voi che ci fate qui?”

“Caro ragazzo” rispose “devi darmi un permesso”

“Di cosa parli?” senza accorgersene Arathorn si era comportato in maniera piuttosto ostile. Forse solamente perchè era arrabbiato. Non sapeva nemmeno lui con chi o perchè.

“Sta' tranquillo, ragazzo” il vecchio sorrise. “Voglio solo che tu mi dia il permesso di mentire a tuo figlio”

“Mentire? Ci sono diversi modi di mentire, vecchio”

Gandalf orrise di nuovo.

“Pensi davvero che mentirei per il suo male?”

“E voi tutti davvero credete così poco in me, nel mio sangue? Davvero non credete che io possa vivere abbastanza a lungo da poter mentire io stesso a mio figlio?”

“Incredibile. Non vi fidate di un vecchietto grazioso come me?”

“Non mi fiderei nemmeno di mio padre se tornasse in vita e mi parlasse”

“Oh, voi siete troppo teso, amico mio. Avevate forse intenzione di andarvene senza avvertire nessuno?” Gandalf rise più forte. Arathorn lo fissò. in quel momento lo odiava. Gli diede le spalle e continuò per la sua strada.

Corse quasi. Non era nelle sue intenzioni. Non avrebbe sopravvissuto ancora a lungo tra quelle mura. Bussò forte alla sua porta.

“Muoviti, Fen!” disse. In un istante fu soffocato da qualcosa di più denso delle lacrime. Doveva andarsene. Adesso.

“Cosa? Arrivo” rispose Fengel attraverso la porta.

Arathorn attese ancora per qualche secondo. Si sedette. Avrebbe quasi pianto. Si sentiva davvero soffocare. Il solo pensiero di dover convincere Fengel ad andarsene lo orripilava. Per qualche istante pensò di fuggire, senza nemmeno salutarlo. No, si disse, non avrebbe potuto fare qualcosa del genere.

Dopo qualche interminabile minuto, infatti, Fengel fu alla porta. Ma c'era qualcosa che Arathorn non si aspettava. Fengel portava al collo la sua borsa di pelle.

“Tra quanto partiamo?” disse. Arathorn si sentì stupito. Solo dopo qualche istante riuscì a sentirsi sollevato.

“Come..?” mormorò.

“Lo ha detto Reimer”

“Reimer?”

“Si, ha detto che viene con noi”

“Con noi?”

“Devi ripetere tutto quello che dico, Arathorn?”

“Si” disse Reimer, dietro le spalle sottili di Fengel “vi accompagno a sud”


  
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