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Autore: AnyaTheThief    28/01/2015    2 recensioni
"... Magari lei è tornata" espone la sua teoria ai compagni che lo guardano seri ed in silenzio per tutta la durata del suo discorso, mentre il giovane neo-Moschettiere tenta di esprimere tutta la sua preoccupazione.
Entrambi all'unisono scoppiano in una risata fragorosa.
"E tu hai capito tutto questo da...? Un ghigno sotto ai baffi?" lo deride Aramis.
Il povero D'Artagnan sospira rassegnato, ma anche un poco divertito. E va bene, forse ha esagerato e viaggiato un po' con la fantasia, sicuramente un po' di alcool ha fatto la sua parte.
"Fidati, amico, Athos sta benone." lo rassicura Porthos appoggiandogli una sonora pacca sulla spalla. "Per quanto bene possa stare uno che ha rischiato di morire più volte per mano della moglie che credeva di aver ucciso." aggiunge poi, prima di scoppiare a ridere di nuovo assieme ad Aramis.
Anche D'Artagnan ritorna ad immergersi nell'atmosfera leggera e spensierata, e a sorseggiare dal suo boccale, costringendosi a fingere solo per un attimo che i suoi amici abbiano ragione. Ma lui sa che non è così, ed andrà a fondo in questa cosa.
E poi è davvero tanto, tanto curioso.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Athos, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In quella notte tiepida d'estate non tutti sono andati già a dormire. Ma Liv non distingue quelle sagome che vede appannate attraverso le lacrime. Ha corso più che poteva, ed ora inizia a mancarle il fiato per tutto quell'affannarsi e singhiozzare; il petto le duole da morire, e sente le gambe che ormai non la reggono più ma continua ad andare avanti, senza nemmeno sapere dove si stia dirigendo.
E' costretta ad accostarsi ad un muro soltanto quando il cuore le pulsa così forte che non ha bisogno di appoggiarvici una mano sopra per sentire lo scandire dei battiti: è già nella sua testa, e batte rapidissimo. Deve piegarsi in avanti e respirare a pieni polmoni per qualche istante, ma il pianto prende di nuovo il sopravvento; si porta una mano alla bocca per soffocare i singulti e non attirare l'attenzione. La gola le brucia.
Non riesce ancora a crederci.
Era davvero Ollie quello che l'ha trattata in quel modo? Non avrebbe mai pensato di farlo infuriare a tal punto con il suo gesto... E cos'aveva contro quei fiori? Perché avrebbe dovuto temere la fioraia che vede tutti i giorni nella bottega a fianco?
E non era poi il caso di... fare ciò che ha fatto.
In quel momento, quando l'ha presa per le spalle e spinta contro al muro, mille ricordi sono tornati vividi nella sua mente. Ricordi che per tutto quel tempo aveva cercato di cancellare, di seppellire, aveva cercato di costruirvici sopra pensieri più felici, di loro due assieme...
Ma tutto è tornato prepotentemente a galla ed ogni immagine la ferisce come una scarica di mille coltelli che allo stesso tempo le trafiggono il cuore ed il cervello, che ora paiono essere un tutt'uno.
Muove le labbra, per la prima volta dopo tanto tempo, come a formulare una frase, ma nemmeno un suono che non sia un sussurro confuso esce dalla bocca. Quella preghiera che ora vorrebbe urlare al cielo l'aveva confortata nel buio della soffitta, per anni ed anni.
All'inizio piangeva sempre, urlava il nome di Ollie, ma poi le botte ed il digiuno forzato le avevano insegnato a sussurrarlo soltanto, poi a ripeterlo solamente nella propria testa. Infine aveva smesso di parlare del tutto: odiava con tutta se stessa l'unica persona con la quale poteva farlo.
Alla fine non si ribellava più nemmeno. Era tutto inutile, lei era troppo debole e suo fratello troppo scaltro per permetterle di fuggire; ogni tentativo era stato punito severamente, e alla fine ci aveva rinunciato.
Si asciuga le lacrime. E' questo dunque il suo destino: rinunciare.
Deve rinunciare a lui, un'altra volta. Lui non è felice, e Liv lo sa benissimo. Ha sempre cercato di soddisfarlo in tutto, ma non ha mai più visto il suo sorriso, quello vero...
Lo vede chiaramente che quando si perde nei suoi pensieri, con il suo sguardo malinconico ed un velo di delusione sui suoi occhi, non c'è nulla che lei possa fare per farlo tornare alla realtà. Che cosa voleva da lei? L'aveva cercata così a lungo che non sapeva rassegnarsi all'idea di averla finalmente trovata e di poter continuare a vivere in pace? O forse era rimasto contrariato da ciò che aveva trovato?
Perché non ha saputo farlo felice?
Come quel giorno in cui è arrivata a Parigi, si lascia cadere contro la parete. Solleva il capo ad ammirare le stelle in cielo, domandandosi se da qualche parte lassù suo padre e sua madre la stiano guardando.
Fa l'unica cosa che in questo momento potrebbe darle conforto. Chiude gli occhi ed intreccia le dita in preghiera. Tante volte lo aveva fatto da bambina, ma nessuna delle sue richieste era mai stata esaudita; tutti i giorni pregava che Ollie venisse a liberarla, che suo fratello si pentisse di ciò che le stava facendo, che mamma e papà la aiutassero... Che tutto quello che stava vivendo fosse soltanto un brutto sogno.
Aveva pregato per l'anima di suo fratello, ma ora prega soltanto per la propria, perché infine Roland non si era mai meritato la sua misericordia.
“Vi sporcherete quel bel vestito.”
Riconosce quella voce. Quando apre gli occhi, la scena le appare stranamente familiare. Si ritrova un fazzoletto bianco davanti a sé, e la persona che glielo sta porgendo è di nuovo la stessa che l'aveva aiutata tempo fa.
Con aria smarrita e le mani ancora giunte, solleva lo sguardo su Aramis, che ora si china per raggiungere la sua altezza. Sul suo viso si legge una sincera preoccupazione.
“Posso riaccompagnarvi alla bottega di Monsieur Leclerc?” domanda, tendendole una mano.“Non è sicuro girare a quest'ora da sola.”
Lei annuisce in uno stato quasi catatonico. Non riesce nemmeno più a piangere. Si aiuta a rialzarsi con la presa del Moschettiere, che la regge ancora per alcuni secondi, anche se ormai è già in piedi. Con attenzione, le asciuga una lacrima accarezzandole la guancia con il fazzoletto.
“Chi vi ha fatto questo?”
Per tutta risposta, lei abbassa il capo e a denti stretti cerca di darsi un contegno davanti a quell'uomo che l'ha sempre trattata in maniera troppo gentile. Allunga la mano verso quella di Aramis e la afferra, iniziando a camminare nella direzione dalla quale è venuta, ed invitandolo con quel gesto a lasciarsi condurre.
Il Moschettiere la segue senza fare più domande.

 

 

 

 

Le campane, le voci in strada, l'abbaiare dei cani, le ruote dei carri sui ciottoli... Tutti quei rumori che di solito lo aiutano a svegliarsi, ora non fanno che invogliarlo a restare ancora di più nel letto. Non capisce che ore siano, ma sicuramente è tardi: poco male, non ricorda nemmeno quale fosse il programma della giornata. Il forte odore di vino aleggia in tutta la stanza, permanendo anche grazie all'aiuto delle bottiglie sparse sul pavimento dalle quali pare essere colato a terra parecchio liquido; altrettanto alcol è scorso invece nella sua gola, che ora sente secca e bruciante.
Sono ormai mesi che non sperimenta un dopo sbornia. Non ha più bevuto così da quando... Sì, da quando aveva smesso di fare lo stronzo ed aveva ritrovato un po' di serenità. Ma ora cos'ha da perdere? Lei era tutto quello che lo faceva andare avanti, ed è riuscito a rovinare tutto. Inutile incolpare sempre Milady – o il suo fantasma – è stata soltanto colpa sua.
Continua a rivivere nella sua mente la scena, lo sguardo ferito di Liv, i suoi singhiozzi. E poi torna più indietro, ai momenti passati nella loro casa; rivede la sua faccia lentigginosa impegnarsi per scrivere lettere incerte e tremanti, gli occhi che le brillano ascoltandolo mentre racconta le cose più banali di sempre, solo per vederla sorridere. E poi la delusione che cercava sempre di nascondere, quando lui le diceva di doversene andare...
L'ha capito. L'ha capito benissimo che era insoddisfatta perché lui non riusciva a lasciarsi andare; quello che Liv non sa è che non si è mai lasciato andare così tanto con nessun altro. L'unico rammarico è che non fosse ancora riuscito a sentire la sua voce. Era quello che lo rendeva tanto pensieroso da spingerlo ad allontanarsi ogni notte: perché ancora non era riuscito a farla parlare? E se avesse smesso di farlo proprio per causa sua? Non riesce nemmeno ad immaginare cosa le sia successo in tutti questi anni, con quali mostri abbia dovuto convivere per perdere la parola in questo modo. Lui era l'unico che poteva risvegliarla ma aveva fallito. Ora però non ha più importanza.
Ha rovinato tutto.
Il terrore che si potesse essere messa in pericolo gli ha fatto perdere del tutto il controllo. Ed ora lei se n'è andata, e probabilmente non vorrà più vederlo. Gli ha lanciato quello sguardo, lo stesso che le aveva visto rivolgere quel giorno d'estate ai loro aggressori... Farebbe di tutto per tornare a quel momento e scappare con lei lontani da tutti, in un luogo dove si sarebbe sempre preso cura della sua Liv.
Della ragazza che ha sempre amato.
Non ha mai avuto il coraggio di dirglielo, ma quando le ha spiegato che quello che succedeva ogni sera era che loro due “facevano l'amore”, pensava di averlo reso piuttosto palese. Ma lei era soltanto rimasta lì a guardarlo con aria perplessa, e poi aveva sorriso come al solito. Probabilmente non aveva capito.. Nell'animo è rimasta una bambina, come l'aveva lasciata, e spesso si chiede se non abbia infangato in qualche modo quella ragazza pura ed innocente che non sapeva dove mettere le mani quando stavano sotto le coperte.
Gli viene quasi da ridere nel ricordare i loro primi momenti d'intimità assieme: sono memorie che lo divertono, ma che allo stesso tempo gli scaldano il cuore. Sono stati attimi indimenticabili, in cui si è sentito se stesso come non mai... Ma subito dopo gli sale un groppo alla gola.
L'ultima immagine che ha di lei la vede tenere per mano Aramis.
Nella sua fantasia la immagina fare con l'amico ciò che pensava potesse fare solo con lui. Quanto doveva essere egoista per averlo creduto? Soltanto perché lui era stato il primo, non significava che dovesse anche essere l'unico. Aramis è di certo più affascinante, più divertente, e sicuramente in grado di farla felice.
E allora perché vorrebbe soltanto prenderlo a pugni?
E' un altro dei motivi per cui ancora non si è alzato dal letto. Sa che il suo amico non ha nessuna colpa: è lui quello che vorrebbe essere preso a pugni.
Un battere insistente sulla porta, lo trascina a forza nella realtà.
“Athos, lo so che ci sei.”
La voce di D'Artagnan è come uno secchiata d'acqua fredda, ma invece di svegliarlo lo fa incazzare ancora di più. Adesso ha qualcun altro da voler prendere a pugni, oltre se stesso.
Lancia un lungo e sofferente uggiolato lamentoso, facendosi leva su entrambe le braccia per alzarsi: quantomeno riesce a mettersi seduto. Il giovane fuori dalla porta bussa nuovamente tre volte, e a lui pare che stiano suonando dei tamburi accanto al suo orecchio.
“Vuoi piantarla?!” sbotta, insofferente, portandosi le mani alle tempie pulsanti.
La porta si apre lasciando entrare una luce intensa ed improvvisa che non lo invoglia affatto a compiere quel passo per alzarsi del tutto dal letto. Si copre gli occhi con la mano, borbottando qualcosa di indistinto, ma viene travolto da un'ondata di vergogna. Sente lo sguardo del giovane addosso, si rende conto delle condizioni pietose in cui riversano la stanza e lui stesso.
“Che diavolo significa?” chiede il suo compagno, scuotendo il capo indignato.
Athos risolleva il muro dell'orgoglio, lasciando da parte l'umiliazione. E' solo così che riesce ad alzarsi del tutto – non senza sforzo – e ad andare a prendere una camicia poco pulita con movimenti scattosi e collerici.
“Significa... Fatti gli affari tuoi.”
“Me li faccio finché la tua assenza non compromette il nostro lavoro. Pensavo non stessi più bevendo.”
Cosa vuole quel ragazzino impertinente? Non si è già permesso un po' troppe domande? Athos lo lascia nel suo dubbio, ma pensa che si sia già risposto da solo alla domanda. Intanto si infila la camicia e si accinge ad indossare la divisa. Sente chiaramente la presenza di D'Artagnan ma gli dà le spalle, trovando comunque assai strano il suo silenzio prolungato. Una volta che ha terminato di vestirsi ed armarsi, cammina verso la porta, cercando di ignorare il Moschettiere suo compagno.
Ma si sente afferrare per un braccio con forza.
“Se dici di non star facendo nulla di pericoloso... Spiegami cosa sono questi.”
Sono davanti ai suoi occhi, nella mano di D'Artagnan, e lui è costretto a guardarli. Quei fiori dai quali è nato tutto; quattro innocenti fiorellini azzurri, che ora penzolano dal gambo tristi e mezzi morti, un po' come si sente lui in questo momento. 

  
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