La villa
è posta in mezzo
alla radura, circondata da alberi che la nascondono quasi del tutto,
ecco perché
non l’avevo scorta attraverso il cancello. La luce della luna sbatte
contro il
lato sinistro della casa, allungando l’ombra dei balconi e delle
decorazioni
sporgenti delle finestre, che, proiettati contro il terreno, appaiono
come
denti affilati pronti a sminuzzarti le carni. Ogni finestra è chiusa da
una
serie di infissi in legno, tranne una, sulla parte sinistra della casa,
a cui
manca l’infisso destro. Il vetro scoperto riflette la luce della luna,
e crea
il bagliore che ho seguito. La porta d’ingresso principale è sbarrata a
una
serie di grosse assi di legno, che ne impediscono l’accesso. L’unico
modo per
entrare è dunque la finestra?Decido di girare cautamente intorno alla
villa per
cercare un’altra entrata. Cammino verso sinistra, verso la metà
illuminata,
questa volta con passo un po’ più deciso e meno timoroso. La luce è
sufficiente
a farmi vedere almeno tre quarti del giardino, mentre l’ultimo lato,
completamente
al buio, decido di non esplorarlo: non ho visto ancora nessuno, ne
sentito
alcun suono riconducibile ad animali feroci che possano danneggiarmi,
ma resto
comunque un fifone. Sul lato sinistro non vedo nulla che possa tornarmi
utile ,
solo due fila di finestre completamente chiuse. Ma appena volto
l’angolo noto
qualcosa, a distanza di circa cento metri dalla villa, che mi provoca
immediatamente
sollievo: un capanno degli attrezzi!Proprio quello di cui avevo
bisogno! Dentro
troverò riparo per la notte, senza essere costretto ad entrare nella
villa ed
ad arrampicarmi per raggiungere la finestra. La luce della luna è
appena sufficiente
ad illuminare l’entrata del capanno, ma basta per poterlo raggiungere
senza
difficoltà, camminando con passo svelto. Arrivo davanti al capanno e
prego perché
la serratura sia aperta, abbasso la maniglia e tiro verso di me. La
porta si
apre senza difficoltà: finalmente un colpo di fortuna!Purtroppo il
capanno è
completamente buio all’interno, e i miei occhi, pur abituati alla semi
oscurità, non vedono quasi nulla. Cerco un interruttore per la luce
elettrica,
sperando che questa casa non sia così vecchia, ma non lo trovo.
Probabilmente
nel capanno non è stata installata,
o la
casa è davvero molto vecchia. Impreco virilmente (“per dindirindina!”)
e mi
guardo a destra e a sinistra , cercando qualcosa che possa tornarmi
utile negli
unici spazi ancora parzialmente illuminati. Vedo sulla sinistra un
bastone, e
sulla destra un vecchio comodino con tre cassetti. Un cassetto è
bloccato, ma
gli altri due si possono aprire, e con gioia trovo dei fiammiferi. Dei fiammiferi!!Calore e
luce!
Dentro al terzo cassetto trovo invece una forbice arrugginita. Raccolgo
tutto e
lo metto in tasca. Apro la scatola dei fiammiferi. La scatola è semi
vuota,
sono rimasti solo 7 fiammiferi. Merda.
Considerando che la scatola è rimasta in un ambiente umido quasi tutto
il
tempo, nessuno di essi funzionerà e saranno completamenti inutili.
Preso dallo
sconforto, mi siedo a terra, dando la schiena verso il comodino. Chiudo
gli
occhi, penso a tutti coloro che mi staranno cercando, mia madre in
primis, la
mia famiglia, la mia ragazza che probabilmente invece è solo incazzata
perché non
le rispondo da circa un sacco di tempo… me e la mia curiosità, nessuna
persona
normale sarebbe entrata in un cancello isolato, arrugginito e per di
più chiuso
con un lucchetto di ferro!!Irritato dal mio stesso comportamento,
sbatto la
nuca contro il comodino dietro di me. Mi faccio male, ma sento qualcosa
cedere
sopra all’oggetto vicino. Cede
di poco,
non capisco cosa sia dal rumore, ma vale la pena scoprirlo. Mi alzo e
mi
allontano dal comodino, poi gli tiro un calcio con forza. Sento
scricchiolare,
qualcosa rompersi, scivolare ed infine cadere a pochi metri da me con
un gran
tonfo. L’estremità dell’oggetto viene rivelata dalla luce a pochi metri
da me:
una scala.
Decido
che nel capanno fa
troppo freddo e lo spazio che riesco a vedere è troppo poco per
passarci la
notte, quindi prendo la scala e mi preparo ad entrare nella villa dalla
finestra.
Il trasporto fino alla villa non è facile: ho freddo, i guanti mi si
sono
bagnati, insieme al resto della tuta, durante il riposino pomeridiano
in mezzo
al parco, e con il freddo della notte si sono fatti gelati, impedendomi
una
presa salda sulla scala per più di 5 secondi. Porto la scala con una
mano
facendola strisciare sul terreno, tenendo l’altra mano in tasca per
dare il
cambio quando non sento più le dita. In questo modo ci metto 10 minuti
ad
arrivare davanti alla finestra dall’uscio rotto. Ormai ho i brividi, la
tuta
termica si sta raffreddando e i guanti bagnati non aiutano, devo
assolutamente
scaldarmi. Posiziono la scala: arriva circa alla finestra, dovrò
appendermi al
davanzale e issarmi con le braccia, facendo forza sull’ultimo piolo con
il
piede. Non sono particolarmente atletico, ma non dovrebbe rappresentare
uno
sforzo immane.
Quindi inizio a salire la scala. Appoggiando le mani sulle aste, sotto
i
polpastrelli sento i chiodi lunghi e arrugginiti che bloccano i pioli
in legno,
sembra molto vecchia. Il legno è marcio in alcuni punti, ma la scala
sembra
reggere il mio peso senza difficoltà, quindi arrivo all’ultimo piolo.
Sopra di
me, il davanzale, in quello che sembrerebbe essere cemento crepato dal
tempo,
mi attende. Allungo una mano e stringo la presa, poi allungo l’altra,
afferrandolo . Sposto il primo piede e lo poggio sul piolo, quindi
sposto tutto
il peso su quel piede e faccio per allungare il secondo, quando il
legno marcio
cede. Per lo spavento l’altro piede urta l’asta della scala, che si
sposta verso
destra e cade, scivolando sul muro. Mi ritrovo a penzolare attaccato
solo per
le mani fredde e doloranti, con i piedi completamente persi nel vuoto.
Panico. I
miei piedi
cercano un appiglio freneticamente, mettendo a dura prova le mie mani e
le mie
braccia, che sono congelate e poco ancora resisteranno. Dopo poco lo
trovano:
una decorazione inutile e terribile, larga appena una decina di
centimetri, che
però ora mi sta salvando la vita.
Mi stabilizzo e mi calmo un poco. Il mio respiro è irregolare e
frenetico,
dovuto alla potente dose di adrenalina nel sangue, mi sforzo di
calmarlo. Le
mani, ora che hanno il sostegno dei piedi, sono più propense a
collaborare, e
potrebbero decidere di non cedere all’improvviso. Noto che sulla
sinistra l’incavo
fra l’infisso e la finestra è un appiglio più utile, cosi sposto la
mano
sinistra. La mia faccia e il mio collo sono appena sopra il davanzale,
riesco a
vedere la finestra ma non ho la possibilità di aprirla con un pugno,
come
contavo di fare. Devo issarmi sul davanzale, sperare che sia abbastanza
ampio
da permettermi l’equilibrio. Tocco con una mano per testare quanta
distanza c’è
fra la finestra e il bordo, tenendomi saldo con la mano sinistra all’
infisso,
per non cadere all’indietro: circa mezzo avambraccio, non è molto,
circa tre
quarti del mio piede, ma posso farcela.
Pregando che questa volta trovi sostegno, spingo e contemporaneamente
mi isso
sul davanzale con il braccio. Poggio
un
piede sul davanzale e mi tiro su sfruttando la mia presa sull’infisso
sinistro.
La mia gamba ora si trova sul davanzale, mentre l’altra penzola nel
vuoto.
Metto in una posizione comoda la gamba, dopo di che cambio mano a
sostegno, mi
tolgo il berretto e, con la mano più vicina alla finestra, tiro un
pungo al
vetro, mandandolo in mille pezzi. Apro la finestra a tentoni, cercando
con il
tatto la maniglia, poi rotolo dentro.