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Autore: Walter_Larini    28/01/2015    0 recensioni
A volte un dettaglio della tua infanzia, prima sfocato, si fa nitido, e acquista enorme importanza.
Un cancello, una musica, una storia..
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Genere: Avventura, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La villa è posta in mezzo alla radura, circondata da alberi che la nascondono quasi del tutto, ecco perché non l’avevo scorta attraverso il cancello. La luce della luna sbatte contro il lato sinistro della casa, allungando l’ombra dei balconi e delle decorazioni sporgenti delle finestre, che, proiettati contro il terreno, appaiono come denti affilati pronti a sminuzzarti le carni. Ogni finestra è chiusa da una serie di infissi in legno, tranne una, sulla parte sinistra della casa, a cui manca l’infisso destro. Il vetro scoperto riflette la luce della luna, e crea il bagliore che ho seguito. La porta d’ingresso principale è sbarrata a una serie di grosse assi di legno, che ne impediscono l’accesso. L’unico modo per entrare è dunque la finestra?Decido di girare cautamente intorno alla villa per cercare un’altra entrata. Cammino verso sinistra, verso la metà illuminata, questa volta con passo un po’ più deciso e meno timoroso. La luce è sufficiente a farmi vedere almeno tre quarti del giardino, mentre l’ultimo lato, completamente al buio, decido di non esplorarlo: non ho visto ancora nessuno, ne sentito alcun suono riconducibile ad animali feroci che possano danneggiarmi, ma resto comunque un fifone. Sul lato sinistro non vedo nulla che possa tornarmi utile , solo due fila di finestre completamente chiuse. Ma appena volto l’angolo noto qualcosa, a distanza di circa cento metri dalla villa, che mi provoca immediatamente sollievo: un capanno degli attrezzi!Proprio quello di cui avevo bisogno! Dentro troverò riparo per la notte, senza essere costretto ad entrare nella villa ed ad arrampicarmi per raggiungere la finestra. La luce della luna è appena sufficiente ad illuminare l’entrata del capanno, ma basta per poterlo raggiungere senza difficoltà, camminando con passo svelto. Arrivo davanti al capanno e prego perché la serratura sia aperta, abbasso la maniglia e tiro verso di me. La porta si apre senza difficoltà: finalmente un colpo di fortuna!Purtroppo il capanno è completamente buio all’interno, e i miei occhi, pur abituati alla semi oscurità, non vedono quasi nulla. Cerco un interruttore per la luce elettrica, sperando che questa casa non sia così vecchia, ma non lo trovo. Probabilmente nel capanno non è stata installata,  o la casa è davvero molto vecchia. Impreco virilmente (“per dindirindina!”) e mi guardo a destra e a sinistra , cercando qualcosa che possa tornarmi utile negli unici spazi ancora parzialmente illuminati. Vedo sulla sinistra un bastone, e sulla destra un vecchio comodino con tre cassetti. Un cassetto è bloccato, ma gli altri due si possono aprire, e con gioia trovo dei fiammiferi.  Dei fiammiferi!!Calore e luce!
Dentro al terzo cassetto trovo invece una forbice arrugginita. Raccolgo tutto e lo metto in tasca. Apro la scatola dei fiammiferi. La scatola è semi vuota, sono rimasti solo 7 fiammiferi. Merda.
Considerando che la scatola è rimasta in un ambiente umido quasi tutto il tempo, nessuno di essi funzionerà e saranno completamenti inutili. Preso dallo sconforto, mi siedo a terra, dando la schiena verso il comodino. Chiudo gli occhi, penso a tutti coloro che mi staranno cercando, mia madre in primis, la mia famiglia, la mia ragazza che probabilmente invece è solo incazzata perché non le rispondo da circa un sacco di tempo… me e la mia curiosità, nessuna persona normale sarebbe entrata in un cancello isolato, arrugginito e per di più chiuso con un lucchetto di ferro!!Irritato dal mio stesso comportamento, sbatto la nuca contro il comodino dietro di me. Mi faccio male, ma sento qualcosa cedere sopra all’oggetto vicino.  Cede di poco, non capisco cosa sia dal rumore, ma vale la pena scoprirlo. Mi alzo e mi allontano dal comodino, poi gli tiro un calcio con forza. Sento scricchiolare, qualcosa rompersi, scivolare ed infine cadere a pochi metri da me con un gran tonfo. L’estremità dell’oggetto viene rivelata dalla luce a pochi metri da me: una scala.

Decido che nel capanno fa troppo freddo e lo spazio che riesco a vedere è troppo poco per passarci la notte, quindi prendo la scala e mi preparo ad entrare nella villa dalla finestra. Il trasporto fino alla villa non è facile: ho freddo, i guanti mi si sono bagnati, insieme al resto della tuta, durante il riposino pomeridiano in mezzo al parco, e con il freddo della notte si sono fatti gelati, impedendomi una presa salda sulla scala per più di 5 secondi. Porto la scala con una mano facendola strisciare sul terreno, tenendo l’altra mano in tasca per dare il cambio quando non sento più le dita. In questo modo ci metto 10 minuti ad arrivare davanti alla finestra dall’uscio rotto. Ormai ho i brividi, la tuta termica si sta raffreddando e i guanti bagnati non aiutano, devo assolutamente scaldarmi. Posiziono la scala: arriva circa alla finestra, dovrò appendermi al davanzale e issarmi con le braccia, facendo forza sull’ultimo piolo con il piede. Non sono particolarmente atletico, ma non dovrebbe rappresentare uno sforzo immane.
Quindi inizio a salire la scala. Appoggiando le mani sulle aste, sotto i polpastrelli sento i chiodi lunghi e arrugginiti che bloccano i pioli in legno, sembra molto vecchia. Il legno è marcio in alcuni punti, ma la scala sembra reggere il mio peso senza difficoltà, quindi arrivo all’ultimo piolo. Sopra di me, il davanzale, in quello che sembrerebbe essere cemento crepato dal tempo, mi attende. Allungo una mano e stringo la presa, poi allungo l’altra, afferrandolo . Sposto il primo piede e lo poggio sul piolo, quindi sposto tutto il peso su quel piede e faccio per allungare il secondo, quando il legno marcio cede. Per lo spavento l’altro piede urta l’asta della scala, che si sposta verso destra e cade, scivolando sul muro. Mi ritrovo a penzolare attaccato solo per le mani fredde e doloranti, con i piedi completamente persi nel vuoto.

Panico. I miei piedi cercano un appiglio freneticamente, mettendo a dura prova le mie mani e le mie braccia, che sono congelate e poco ancora resisteranno. Dopo poco lo trovano: una decorazione inutile e terribile, larga appena una decina di centimetri, che però ora mi sta salvando la vita.
Mi stabilizzo e mi calmo un poco. Il mio respiro è irregolare e frenetico, dovuto alla potente dose di adrenalina nel sangue, mi sforzo di calmarlo. Le mani, ora che hanno il sostegno dei piedi, sono più propense a collaborare, e potrebbero decidere di non cedere all’improvviso. Noto che sulla sinistra l’incavo fra l’infisso e la finestra è un appiglio più utile, cosi sposto la mano sinistra. La mia faccia e il mio collo sono appena sopra il davanzale, riesco a vedere la finestra ma non ho la possibilità di aprirla con un pugno, come contavo di fare. Devo issarmi sul davanzale, sperare che sia abbastanza ampio da permettermi l’equilibrio. Tocco con una mano per testare quanta distanza c’è fra la finestra e il bordo, tenendomi saldo con la mano sinistra all’ infisso, per non cadere all’indietro: circa mezzo avambraccio, non è molto, circa tre quarti del mio piede, ma posso farcela.
Pregando che questa volta trovi sostegno, spingo e contemporaneamente mi isso sul davanzale con il braccio.  Poggio un piede sul davanzale e mi tiro su sfruttando la mia presa sull’infisso sinistro. La mia gamba ora si trova sul davanzale, mentre l’altra penzola nel vuoto. Metto in una posizione comoda la gamba, dopo di che cambio mano a sostegno, mi tolgo il berretto e, con la mano più vicina alla finestra, tiro un pungo al vetro, mandandolo in mille pezzi. Apro la finestra a tentoni, cercando con il tatto la maniglia, poi rotolo dentro.

   
 
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