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Autore: compulsive_thinker    28/01/2015    2 recensioni
La figura incappucciata prese le redini e le fece scivolare sul collo muscoloso dell’animale. Poi con la grazia di una rondine gettò il mantello al ragazzo, come si getta una monetina a un mendicante, e montò in sella. Il giovanotto rimase come inebetito nel vedere il ricco vestito di seta rossa che avvolgeva il corpo di una ragazza come non ne aveva mai viste in città, dalla pelle bianca e liscia come marmo. Lei rise del suo stupore e si lanciò al galoppo verso la campagna: Versailles la aspettava.
A ridosso della Rivoluzione Francese, le vicende della giovane Charlotte de Linage, damigella della regina Maria Antonietta, s'intrecciano con la storia, cambiando per sempre la sua vita.
NB. Ri-pubblicazione della storia per cambio account, se vi sembra di averla già letta, non è un plagio! ;)
Genere: Romantico, Slice of life, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
Capitoli:
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3 – Di nuovo a cavallo

 

Ignare di tutto ciò che accadeva nella vicina città, a Versailles le damigelle della regina trascorrevano le giornate tra pasticcini e chiacchiere.

Sedute nella stanza di Juliette, che rispecchiava in pieno la personalità di chi la occupava con al centro un letto a baldacchino con ricche coperte di broccato rosso e cortine di velluto scarlatto, le ragazze sorseggiavano calici di un ottimo vino di Borgogna e Marie iniziò a raccontare gli ultimi pettegolezzi:

 “Sembra che stia arrivando a Versailles un conte inglese. Dicono che venga per studiare il francese, ma secondo me ha già sentito parlare della nostra bellezza.”

“In questo caso gliene daremo un assaggio e non rimarrà affatto deluso!”

Commentò Juliette ammiccante. Charlotte alzò gli occhi al cielo: erano sempre state così, ma ogni volta riuscivano a sorprenderla per quanto si dimostravano civette! Disse quindi che non si sentiva bene e scappò nella sua camera, fece portare una poltroncina sul balconcino e si sedette a pensare, straordinariamente inquieta.

Era preoccupata per quello che le stava succedendo intorno, odiava starsene con le mani in mano proprio mentre gli Stati Generali decidevano le sorti del suo paese. Come se non bastasse, non parlava da giorni con suo padre, sempre pieno di lavoro, e iniziava ad annoiarsi terribilmente della vita di corte. Desiderava con tutto il cuore parlare con Charles, ma non aveva ancora avuto modo di incontrarlo. Era sempre così sfuggevole da quando erano iniziate le riunioni, lo aveva scorso qualche volta, a tarda sera, camminare nei corridoi del palazzo come uno spettro: un’ombra di barba incolta sulle guance, gli occhi celesti nascosti da un velo di stanchezza e angoscia, come se grandi e terribili pensieri ne tormentassero il sonno. Tuttavia non era ancora riuscita ad avvicinarlo in separata sede e sperava di avere presto l’occasione di sentire di nuovo la sua voce.

Come se non bastasse, le mancava sua madre. Non la vedeva da due anni ormai, aspettava con ansia la risposta alla sua lettera: anelava a ricevere notizie sulla salute dei suoi cari fratelli. Ripensando alla sua infanzia, non riusciva a non sentire una tristezza profonda perché era stato il periodo più felice della sua vita. Tutte le ragazze di famiglia nobile, però, erano destinate a quella vita e non avrebbe potuto farci niente, era un onore e un dovere. La sua prospettiva, sua come di tante altre, era quella di sposare prima possibile un nobile ricco e spocchioso e passare il resto della propria vita a invecchiare tra feste, balli e figli da vegliare.

Rimase a guardare il sole che scendeva e, quasi senza accorgersene, il suo pensiero corse allo stalliere. Forse la sua aria familiare era stata solo un’impressione?

Rientrò continuando a rimuginare su questi pensieri, che le tennero compagnia finché non cadde preda di un sonno profondo.

L’indomani mattina fu svegliata da una cameriera che le disse che la contessina De Sâle e la signorina Montrausseaux la aspettavano alle scuderie per andare a cavalcare. Alzò gli occhi al cielo al pensiero della tranquilla mattinata di lettura che vedeva sfumare davanti ai suoi occhi. Si preparò in fretta, indossando un abito di lino celeste semplice e pratico prima di raggiungere le amiche, questa volta meno eleganti ma più determinate a togliersi questo sfizio per potersi rivolgere altrove.

La stalla brulicava d’inservienti che si muovevano febbrilmente intorno agli animali, lucidavano finimenti e spazzavano la paglia sporca. Charlotte divorò lo spazio con lo sguardo, provando una strana apprensione non vedendo il ragazzo. Poi però lo scorse, intento a strigliare con cura quasi ossessiva i cavalli. Le ragazze gli si avvicinarono tra i mormorii sommessi degli altri e alcuni deboli fischi di ammirazione, cercando di attirare la sua attenzione, ma questa volta non le degnò di uno sguardo.

“Gradireste sellarci i cavalli, perché vorremmo fare un’altra cavalcata?”

Domandò Juliette coprendosi il naso con un fazzolettino di pizzo per non sentire l’acre odore dei cavalli. Il ragazzo continuò a non guardarle, ma prese tre selle da uno scaffale e le appoggiò a terra, con un secco:

“Eccovi le selle. Chiedete a qualcun altro di accompagnarvi!”

Charlotte ammirò molto quel ragazzo e la sua aria di sfida, così chiamò il garzone più vicino, un corpulento giovane dai capelli rossicci, chiedendogli gentilmente di preparare gli animali per la passeggiata.

“Ferma! Sarà questo pezzente a sellarci i cavalli, altrimenti lo faremo sbattere fuori dal palazzo a pedate!”

La interruppe Juliette con voce stridula e sprezzante.

“Non mi sembra il caso di prendersela in questo modo, dopotutto è pieno d’inservienti qui! Basterà chiedere a un altro…”

Ribatté calma la ragazza. Marie, che era stata in silenzio fino a quel momento e aveva continuato a guardare per terra tentando disperatamente di non piangere, sbottò:

“È assolutamente oltraggioso! Non intendo subire quest’umiliazione un minuto di più!”

E corse via in lacrime. Juliette la rincorse fuori, sibilando:

“Non finirà qui! Vi faremo cacciare, se sarete fortunato!”

Charlotte era dispiaciuta per Marie, anche se ancora non riusciva a capire cosa fosse successo di così grave, e stava per seguirle, quando una voce dietro di lei disse:

“Non capisco perché vi preoccupiate tanto, sono solo due oche!”

Si voltò di scatto, domandandosi come mai il ragazzo, prima calmo, quasi assente fosse ora così aggressivo. Gli stava per rispondere a tono, quando lui alzò la testa e la ragazza rimase senza parole: aveva un livido giallastro su una guancia e il labbro pendeva da una parte, con un grumo di sangue rappreso da qualche giorno. Doveva senz’altro essere stato picchiato. Nonostante fosse conciato male, Charlotte rimase sbalordita da quanto era bello: aveva un viso perfetto con un naso identico a quello delle statue romane che la ragazza aveva ammirato in Italia, splendidi occhi azzurri come il cielo d’estate, labbra sottili e capelli ondulati e neri, puliti questa volta.

“Chi vi ha ridotto così?”

“Non è affar vostro! Per il poco che si guadagna qui, in città c’è chi ucciderebbe.”

Rispose evasivo, sfiorandosi il volto tumefatto, e la ragazza, che colse una sfumatura di rassegnazione nella voce, realizzò in un attimo quanto quella situazione fosse triste.

“Ma è terrificante! Qualcuno deve fare qualcosa, tutto questo è orribile!”

“Credete davvero che a qualcuno interessi cambiare? A chi potrebbe fare qualcosa interessa solo il proprio denaro, il proprio potere, non muoverebbero un dito per aiutare gli altri!”

“Non è vero! Ci sono molte persone a cui interessano le sorti del nostro paese, sicuramente qualcuno disposto a cambiare le cose c’è!”

Replicò Charlotte e, dato che il ragazzo non rispondeva, aggiunse:

“Anzi, proprio in questo momento gli Stati Generali staranno prendendo dei provvedimenti.”

“Non so se cercate di prendermi per stupido o se ci credete davvero! Sapete benissimo che nobili e prelati vogliono usare l’assemblea solamente per accrescere i loro guadagni continuando a tenere in disparte i borghesi!”

“Perché dite questo? Solo perché i borghesi non vivono a palazzo? O solo perché voi non siete nobile e dovete lavorare?”

Attorno a loro era calato il silenzio. Tutti si erano allontanati e si fingevano troppo impegnati per guardare o ascoltare: nessuno voleva essere immischiato nella lite tra un garzone da nulla e una damigella della regina. Il ragazzo scoppiò in una risata dura e sprezzante, prima di replicare:

“Esattamente quello che volevo dimostrare! Non siete diversa dagli altri, pensate anche voi di essere migliore semplicemente perché siete nata voi stessa! Vivete in questo bel palazzo, senza sapere che per tutti quelli che ci lavorano, palazzo vuol dire lavoro continuo in questa scuderia o nelle cucine o chissà dove, avanzi della tavola come cibo e un pagliericcio sporco in una stanza con altri venti servi. Non ve ne importa niente di chi non è come voi!”

La ragazza rimase a bocca aperta, sentendosi ferita e allo stesso tempo sorpresa: davvero non aveva idea che i domestici e i servi di Versailles vivessero così, nella sua casa in campagna erano trattati decisamente meglio. Ma perché quello sconosciuto doveva prendersela proprio con lei? Forse aveva ragione, ma non era colpa sua se lui era in quella situazione! Era troppo orgogliosa per ammettere di essere in torto, quindi rispose, fingendo di credere in ciò che stava per dire:

“Sentite, non so perché sto qui a parlare con voi, ma non è colpa mia se sono nobile e voi no!”

“Ah è così? Dunque non è colpa vostra se esistono persone più povere? Non è colpa del re e della regina, che tutti disprezzate ma tentate comunque d’ingraziarvi, se le casse dello stato sono vuote, se le guerre continuano e se il popolo mangia topi morti mentre voi vi abbuffate come animali di ogni sorta di prelibatezze? Basterebbero gli avanzi di un vostro banchetto a sfamare ogni bambino della città!”

Si fermò un attimo, ansante, guardandola in cagnesco. Poi tornò repentinamente a quell’atteggiamento noncurante, come una marionetta a cui vengano tagliati i fili che la legano al burattinaio. Prese una pala e iniziò a spalare la paglia sporca, dicendo:

“Ora, per favore, andatevene. Andate a raccontare alle guardie quello che vi ho detto, almeno così sarò cacciato fuori da qui e, se sarò fortunato, mi avranno giustiziato prima di domani!”

Charlotte era sempre più sbalordita, ma se ne andò silenziosamente e si mise alla ricerca delle sue amiche, quasi correndo attraverso il grande parco.

Era a dir poco furiosa: come si permetteva quel ragazzo? Non la conosceva nemmeno e pretendeva di sapere tutto di lei, semplicemente perché conosceva la maggior parte dei nobili. Ripensò alla folla ammutolita al passaggio del corteo: probabilmente avevano tutti quel pensiero fisso nella mente, ritenevano di poter definire una persona solo in base alla sua classe sociale.

Sferrò un calcio a un sasso, senza curarsi delle morbide scarpette di raso. Avrebbe dovuto farlo mandare via… Ma non voleva. Perché non riusciva a togliersi dalla testa l’idea che lui aveva ragione, che a palazzo si viveva davvero troppo bene rispetto agli altri. Ne era perfettamente consapevole, ma non avrebbe potuto farci niente, o almeno così aveva sempre creduto. La discussione con quel ragazzo le aveva fatto venire dei dubbi sulla sua effettiva possibilità di cambiare le cose, la aveva fatta sentire in colpa e non sapeva nemmeno lei perché.

Cercò di non pensare a lui, alle sue parole e si mise a correre. Attraversò senza fermarsi l’Avenue de Trianon, dirigendosi verso il palazzo del Trianon, sperando di trovare conforto in quel luogo dove si era tanto divertita. Si addentrò nella vegetazione lungo uno dei vialetti, perfettamente tenuti, finché non raggiunse una piccola radura con una fontanella. Si sedette un attimo e immerse le dita nell’acqua fresca, chiudendo gli occhi e ascoltando il cinguettio degli uccelli. Ma a un tratto quella piacevole melodia cessò, sostituita da una specie di rantolo, un mugolio sordo e continuo. Aprì gli occhi di scatto e si trovò di fronte una sagoma nera che ansimava, pronta a lanciarsi alla carica. Uno dei cinghiali scappati! Non avrebbe dovuto avventurarsi fino lì e ora era sola, in serio pericolo di vita. Cercò di appiattirsi contro la fontana, stringendo le ginocchia contro il petto, senza fare movimenti troppo bruschi. L’animale intanto la scrutava, misurando ogni suo movimento. Era terrorizzata e avrebbe voluto gridare, ma la paura di aizzarlo ancora di più la bloccava. Rimase per un tempo indefinito immobile, come se il tempo si fosse fermato poi improvvisamente il cinghiale si lanciò contro di lei con un grugnito. Si rannicchiò il più possibile, fino a entrare nella piccola vasca che però non poteva offrirle protezione; attendeva il colpo, il dolore, sentì solo un grugnito acuto e penetrante, poi più nulla.

Ciao a tutti!!

Scusate il ritardo, ma sono impegnatissima con la sessione esami... :( Eccoci qui, torniamo a Versailles e vediamo come procedono le lunghe e pigre giornate delle nostre damigelle.

Spero di poter aggiornare di nuovo presto, un abbraccio a chi segue e recensisce questa storia, soprattutto la fedelissima MamW :)

C.

  
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