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Autore: s1mo94    29/01/2015    4 recensioni
Thomas e Manuel sono due ragazzi diciannovenni con un passato non troppo semplice alle spalle.
Quando le loro vite si incontreranno, saranno costretti a fare i conti con i propri sentimenti e con la paura di vivere un amore che forse è troppo grande per loro.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Thomas aveva aperto gli occhi già da una decina di minuti quando suonò la sveglia. La impostava solo per sicurezza, visto che era sempre in grado di svegliarsi prima che essa facesse il compito per il quale era stata progettata.
Si mise a sedere sul letto, poggiando i piedi a terra, si strofinò gli occhi e sbadigliò, prima di alzarsi definitivamente.
La prima cosa che gli venne in mente fu il compito di matematica che ci sarebbe stato alla prima ora. L’anno precedente era stato rimandato proprio in quella materia, e sperava con tutto sé stesso che non sarebbe stata una delle materie che avrebbe dovuto fare all’esame di maturità.
Andò in bagno senza fare rumore, cercando di non svegliare sua madre, la quale lavorava come cameriera in un pub. Avrebbe voluto trovare qualcosa di meglio, che non la facesse tornare a casa tutti i giorni all’alba, ma dovette adattarsi, visto che da quando il padre di Thomas era sparito nel nulla, loro dovevano sopravvivere con un solo stipendio, e la metà di esso andava via solo per pagare l’affitto della casa.
Thomas entrò nella doccia e si fece avvolgere dal getto d’acqua bollente.
Restò lì per un quarto d’ora, quindi decise di uscire. Si vestì solo per metà, poi si guardò allo specchio: i suoi capelli neri erano bagnati e disordinati, le sue guance leggermente arrossate a causa del calore dell’acqua che fino a poco fa scivolava sul suo corpo esile. Lo specchio rifletteva il suo viso privo di difetti e i suoi occhi azzurri come il mare. Occhi che nascondevano qualcosa di brutto, ma non lasciavano intendere a chi li guardava se si trattava di paura, dolore, solitudine, malinconia, tristezza o tutte queste cose insieme.
I suoi pensieri furono interrotti da un rumore di passi nel corridoio.
Il rumore si avvicinò sempre più alla porta del bagno e si accorse che non era il passo di sua madre, ma chi altri poteva esserci in casa se non lei?
Prese l’asciugacapelli che avrebbe dovuto usare per rimettere a posto i capelli, non sapendo quanta difesa avrebbe potuto dargli.
La porta si aprì e sulla soglia comparve un uomo che, pensò Thomas doveva avere poco più di quarant’anni.
- Scusami - disse quest’ultimo portando le mani avanti in segno di innocenza - non sapevo fosse occupato.
- E lei chi sarebbe? - Thomas usò il pronome di cortesia solo perché era molto educato, ma avrebbe voluto tirargli l’asciugacapelli in testa non appena lo vide. Fu fermato dalla sensazione che quell’uomo non doveva essere pericoloso, anzi, sembrava abbastanza a disagio in quel momento.
- Io…ehm…sono un amico di tua madre - rispose puntando il pollice della mano verso il corridoio.
- Giacomo? - domandò, scacciando il lieve senso di timore che aveva provato quando sentì i passi nel corridoio.
- Già - l’uomo si rilassò, sorpreso ma allo stesso tempo soddisfatto perché pensò di non dover dare troppe spiegazioni al ragazzo.
- Mia madre mi ha parlato di lei - Thomas distolse lo sguardo dall’uomo e lo rivolse allo specchio, accese l’asciugacapelli mentre con il pettine indirizzò i capelli al posto giusto e si sistemò con cura la frangetta   - non si preoccupi - riprese alzando leggermente la voce per coprire il suono dell’asciugacapelli - non sono uno di quei figli che odiano i compagni delle proprie madri, però almeno mia madre poteva mandarmi un messaggio per avvisarmi.
- Non voleva rischiare di svegliarti - ribatté l’uomo come se avesse preso le veci della donna - sono andato a prenderla a lavoro visto che soffro d’insonnia e non riuscivo a dormire quindi…
Thomas lo fermò con un gesto della mano ancora occupata dal pettine: - Non ho bisogno di alcuna spiegazione - disse accennando un timido sorriso, poi mise a posto il pettine e l’asciugacapelli - le lascio il bagno, ho finito.
Si spruzzò velocemente un po’ di deodorante, dopodiché prese la maglietta e si diresse in camera sua.
 
Vide che erano le sette e venti, tra dieci minuti sarebbe passato l’autobus, quindi non avrebbe fatto in tempo a fare colazione, così come la maggior parte delle mattine.
Si mise una felpa, il giacchetto, prese lo zaino e uscì in fretta di casa.
Abitava all’ottavo piano, quindi prese l’ascensore.
Salutò il portiere e si diresse alla fermata. Nonostante era appena fine ottobre, la temperatura era piuttosto bassa e un timido sole faceva capolino tra le nuvole innocue, non riuscendo a scaldare la città.
La fermata dell’autobus era a pochi metri di distanza dalla sua casa, quindi ci mise solo un paio di minuti per arrivare.
Lì con lui c’erano i soliti ragazzi che attendevano l’autobus, con i quali non aveva mai fatto conoscenza. L’autobus passò quasi subito; non si sorprese di non trovare il posto a sedere, visto che quei mezzi erano sempre strapieni.
Si mise le cuffie e tentò di non pensare alla verifica che avrebbe dovuto fare di lì a poco, anche se forse era meglio pensare alla verifica piuttosto che farsi inondare la mente dai suoi pensieri.
Era un bel ragazzo, e su questo non c’erano dubbi; a scuola tutto sommato riusciva sempre a prendere bei voti, eccetto in matematica, ma a lui non poteva bastare questo.
Non aveva idea di cosa sarebbe successo in futuro, aveva scelto la scuola alberghiera non perché era ferrato in qualcosa in particolare, ma perché non sapeva cos’altro fare, ed era ancora indeciso.
Non parlava mai a nessuno dei suoi problemi, e forse ciò contribuiva a farlo sentire ancora più solo di quanto non lo fosse già. Le cose cominciarono fin da subito a prendere una brutta piega: da quando aveva memoria, non riusciva a ricordare un gesto affettuoso da parte di suo padre, né una parola di conforto, solo offese. Gli diceva che non sarebbe mai dovuto nascere, che era stata la rovina della sua vita. I suoi genitori avevano appena diciotto anni quando nacque Thomas, e questo lo fece convincere, anche ascoltando le parole di suo padre, che loro non erano ancora pronti ad avere un figlio. Quell’uomo lo picchiava, a volte si limitava a qualche schiaffo, altre invece arrivava a farlo sanguinare; lo faceva appena si presentava l’occasione: se si rompeva un piatto, se si rovesciava il bicchiere col vino, se arrivava una bolletta troppo salata, la colpa ricadeva sempre su Thomas, e sua madre non faceva niente per impedire al suo compagno di essere così violento con suo figlio, forse perché aveva troppa paura, o forse per qualche altro motivo che Thomas non avrebbe mai capito.
Quando l’uomo se ne andò di casa, lui aveva tredici anni, e quello fu il giorno più bello della sua vita fino ad allora, anche se fece di tutto per nascondere la sua felicità; da allora non lo vide più. Non portava rancore verso sua madre, sapeva che non avrebbe potuto fare niente per impedire a suo padre di fare ciò che faceva. Quando l’uomo sbatté la porta di casa uscendo per non tornare mai più, Silvia, la madre di Thomas, si lasciò andare alle lacrime. Madre e figlio si abbracciarono senza parlare, consapevoli che da lì in poi sarebbe cominciata una nuova vita.
A Thomas però mancava una figura maschile al suo fianco, era sempre mancata, forse era proprio per questo che cominciò a sentire di avere qualcosa di diverso, di essere diverso, rispetto ai suoi coetanei.
Era attratto dai ragazzi, cercò di accettare la cosa quasi subito, ma non ci riuscì con molta facilità; secondo lui era una cosa sbagliata e diceva a sé stesso che poteva fare finta di niente; nessuno avrebbe mai scoperto la sua omosessualità se lui l’avrebbe nascosta. Non voleva dare un dispiacere a sua madre, e non voleva essere deriso dai suoi compagni di scuola. Dopotutto, nessuno aveva motivo di sospettare che lui fosse gay.
Non era mai stato innamorato veramente, si era preso qualche cotta passeggera per qualche compagno di classe, ma cercava sempre di reprimerla, convincendosi che non sarebbe mai potuto stare con quella persona, e che quello che provava non era giusto. Affrontava tutto da solo, e riusciva a mantenere la calma nonostante aveva miliardi di parole intrappolate nella sua mente.
Siccome si trattava pur sempre di un essere umano, e non di un robot, aveva una valvola di sfogo, senza la quale era sicuro di non riuscire a vivere: si trattava del pianoforte; quando suonava si sentiva libero, scriveva anche delle piccole composizioni cariche di malinconia. Il piano era tutta la sua vita. Sua madre gli regalò quello strumento quando compì sette anni dicendogli che era di suo padre, il nonno di Thomas, morto per colpa di un cancro quando lui ancora non era nato.
Dal primo giorno che vide quello strumento se ne innamorò, e gli risultava difficile passare un giorno senza poterlo suonare almeno una volta.
Lo stridio dei freni dell’autobus mise fine ai suoi pensieri. Era arrivato a destinazione.
 
Quando tornò a casa vide sua madre che stava preparando il pranzo in cucina. La casa in cui abitavano non era molto grande, ma ideale per poterci abitare in due. Da quando il padre di Thomas se ne era andato, anche l’aria aveva cominciato a prendere il sapore di una vera casa.
Un corridoio portava alle stanze dell’abitazione: la cucina era sulla sinistra e fungeva anche da sala da pranzo, più avanti, sempre a sinistra, c’era la camera di Thomas. Non era una stanza molto grande ma a lui andava più che bene. Non aveva nemmeno la televisione, se c’era una cosa che lo interessava, la guardava sul portatile.
Sul lato destro del corridoio invece, si trovavano la stanza di Silvia e il bagno.
- Allora? - La donna si accorse di suo figlio ma non staccò gli occhi dalla pentola - Com’è andata la verifica?
Rispose con un sospiro: - Spero di non aver preso quattro.
Sua madre si voltò verso di lui: - Non ti entra proprio in testa questa matematica.
- Già.
Il ragazzo andò in camera sua per posare il giacchetto e lo zaino. Poi, dopo essere andato in bagno per lavarsi le mani, tornò in cucina.
Si sedettero al tavolo e iniziarono a mangiare. Fu sua madre a rompere il silenzio:
- Giacomo mi ha detto che vi siete incontrati. Come ti sembra?
- Non so - rispose tenendo lo sguardo sul piatto - ci siamo scambiati solo un paio di frasi, non sono in grado di giudicarlo.
Lei annuì, poi Thomas riprese la parola, stavolta alzò lo sguardo verso sua madre:
- Comunque deve piacere a te, e l’importante è che sia una brava persona.
- Non preoccuparti, non è come papà.
Il ragazzo fece cenno di sì, ci fu un momento di silenzio, quindi Silvia fece un sospiro e assunse un’espressione non troppo serena:
- C’è una cosa che devo dirti, spero sarai d’accordo con me.
- Così mi fai preoccupare - ribatté lui assumendo a sua volta un’aria di chi non sa cosa aspettarsi.
- Sai che frequento Giacomo da un po’ di tempo, ormai ci conosciamo da più di sei mesi - Thomas annuì senza interrompere sua madre, che continuò - perciò abbiamo deciso di provare a convivere.
Il ragazzo non era contentissimo di ciò che sua madre gli aveva appena detto; in quella casa erano finalmente riusciti a creare un legame molto stretto, potevano dirsi felici di condividere quello spazio e lui non riusciva ad immaginare un’altra persona in casa con loro. Pensò comunque di non dire ciò che realmente pensava a sua madre, lei aveva diritto di essere felice, e non sarebbe stato lui ad impedirglielo.
- Va bene - disse cercando di caricare quelle tre sillabe con tutto l’entusiasmo possibile, con scarso risultato.
- Non credo che tu abbia capito - ribatté lei.
Thomas aspettò una spiegazione più dettagliata che non tardò ad arrivare:
- Dobbiamo trasferirci.
- Co…come trasferirci? - non riuscì a fare di nuovo finta di essere contento - Perché? Non può venire lui qui? Lui non ha nessuno, noi…
- Anche lui ha un figlio - lo interruppe Silvia lasciandolo a bocca aperta.
- Come ha un figlio? E perché non me l’hai mai detto?
- Non credevo ce ne fosse bisogno.
- Se ha un figlio, deve avere anche una moglie o una ragazza sparsa per il mondo come papà.
- Neanche lui era sposato, ma aveva una compagna che però è morta in un brutto incidente stradale insieme al loro secondogenito qualche anno fa - la donna cercò di spiegarsi - so che te ne avrei dovuto parlare prima, ma… - si interruppe, non riuscendo più a trovare le parole.
- No sta tranquilla, va bene - la tranquillizzò lui - però non sono sicuro di volermi trasferire.
- Lo capisco, ma qui paghiamo l’affitto e riusciamo a stento ad arrivare a fine mese. Se andiamo a vivere lì avremo due stipendi senza troppe spese, la casa è di Giacomo. Inoltre suo figlio ha la tua età e magari potrete anche diventare amici.
Pensò che la parola “fratelli” non era affatto adatta in quel momento.
- Lo ami? - le domandò Thomas abbassando lo sguardo.
Lei rimase spiazzata da quella domanda. Il ragazzo non ottenne una risposta immediata, così la guardò negli occhi e riprese a parlare:
- Dimmi che lo ami e io farò quello che desideri.
Silvia fece un sorriso a suo figlio:
- Lo amo - disse facendo cenno di sì.
- Perfetto.
Thomas non riusciva ad essere felice, Silvia se ne accorse e tentò di fargli capire una cosa che probabilmente lui non aveva ancora pensato:
- Potremo finalmente permetterci un maestro di piano.
Thomas tentò di sorridere, ma non ci riuscì.
- Non ne ho bisogno - disse infine alzandosi dalla sedia dirigendosi fuori dalla cucina, ma si fermò vicino a sua madre e continuò a parlare - ormai ho imparato a suonarlo, non mi importa di avere un maestro.
Su quello aveva ragione, in undici anni aveva imparato a suonare alla perfezione, seguendo qualche lezione on-line, scaricando degli spartiti di alcune canzoni, suonando musica classica e contemporanea; no, non lo voleva un maestro.
Mise una mano sulla spalla di lei, capendo di avere usato un tono troppo brusco:
- Scusa - disse sospirando - dimmi quando dobbiamo andare così comincio a fare le valigie.
La donna prese la mano del figlio e sorrise:
- Grazie - si limitò a dire.
Lui scosse lievemente la testa senza parlare, quindi andò in camera sua.
 
Provò a concentrarsi sul libro di storia, ma la sua mente non ne voleva saperne di fascismo o di Mussolini. Riuscì solo a pensare che presto avrebbe avuto una nuova casa, con due persone sconosciute. E se quel Giacomo era peggio di suo padre? Se suo figlio era uno di quei figli ribelli che sanno solo rispondere male e prendersela con tutti? Come avrebbe potuto vivere in quel modo?
Pensò di scacciare quei pensieri, e per farlo c’era solo un modo: guardò il suo pianoforte e capì cosa doveva fare; suonò una canzone che aveva imparato da pochi giorni, “Eppure sentire”. Chiuse gli occhi, dato che conosceva i tasti a memoria, e si lasciò andare alla melodia.
 
Sua madre sentì il figlio iniziare a suonare; stava lavando i piatti, ma lasciò stare e si diresse nel corridoio, davanti la porta chiusa della stanza di Thomas. Sentendo quella musica, e consapevole del fatto che era suo figlio a suonare, si appoggiò alla parete di fronte alla porta e si lasciò andare ad un pianto silenzioso.
Amava suo figlio alla follia, e non riusciva a perdonarsi di avergli fatto avere un padre così, ma soprattutto non si perdonava di non aver trovato la forza di difenderlo, mentre suo padre lo picchiava con violenza, ma riusciva solo a starsene immobile, e si odiava per il suo comportamento da vile. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per vedere Thomas felice, e quel trasferimento lo stava facendo anche per lui. Amava Giacomo, non come suo figlio, ma l’amore che si prova per un figlio è totalmente diverso rispetto a quello che si prova per un uomo.
Lo sapeva bene, e sapeva anche che Thomas non era d’accordo sul trasferimento, ma era sicura che si sarebbe trovato bene con Giacomo e suo figlio.
Voleva fargli avere ciò che gli era mancato: l’affetto di una figura maschile.
Silvia non era sicurissima, ma immaginava, ed era più di una semplice intuizione, che suo figlio fosse omosessuale. Lui non gliel’aveva mai detto, e questo le diede un po’ di dispiacere, anche perché secondo lei non c’era niente di male ad esserlo; però capì che forse non gliel’aveva detto per paura della sua reazione. Lei non gli avrebbe mai detto di immaginarselo, perché, se voleva, sarebbe stato lui stesso a parlargliene.
Non poteva spiegare come faceva a saperlo, se lo sentiva e basta. Forse una madre conosce suo figlio più di quanto conosce sé stessa.
Per lei era un ragazzo perfetto, tutto ciò che una madre può desiderare, e credeva di non essere all’altezza, pensava di non riuscire a fare bene il mestiere della madre.
La musica cessò, Silvia si alzò, si asciugò le lacrime e si tirò indietro i capelli neri; scosse la testa come a scacciare qualche brutto pensiero, quindi tornò in cucina a finire il suo lavoro.
 
Thomas suonò ancora per qualche minuto, fino a quando non sentì di avere finalmente la mente libera; contro la sua volontà, decise di dedicarsi nuovamente al libro di storia ancora aperto sulla scrivania.





Salve a tutti :)
Eccomi qui con una nuova creazione (spero non fallimentare) :) vi spiego come si svolgerà il racconto: la storia è formata da tre parti, ma la prima parte è più lunga della seconda e della terza; il tutto si divide in 21 capitoli più l'epilogo. I capitoli saranno pubblicati ogni giovedì, e, salvo eventuali imprevisti, sarò puntuale con la pubblicazione, poiché la storia ce l'ho già pronta.
Per chi deciderà di seguire la mia storia, vi avviso già che il capitolo 10 sarà una delusione perché è molto corto (lo dico così eviterò insulti).
Bene, spero che questo racconto vi piaccia e ringrazio anticipatamente tutti coloro che seguiranno le vicende di Thomas e Manuel e che decideranno di lasciare qualche recensione :)
Buona lettura e a presto :)

 
  
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