Shikamaru Nara era abituato a
cambiare reggimento.
Da quando era entrato nell’Unità
per
Lui non c’era mai andato, a
combattere con i suoi compagni; un elemento troppo valido per morire in un
misero scontro, gli aveva detto un colonnello una volta, dopo l’ennesimo
genocidio di soldati avvenuto a sud della regione.
La sua intelligenza gli aveva
assicurato la vita fino a quel momento, tutti lo trattavano con rispetto e
riguardo nonostante il suo basso grado.
Tutti.
Ma quando giunse alla base K, a
nord della regione, capì subito che la sua vita passata al sicuro dietro le
spalle dei maggiori, sarebbe finita presto.
[Don’t
resent me and when you’re feeling empty, keep me in your memories.
Leave
out all the rest.]
1
Non riusciva mai a dormire bene e
profondamente, durante la notte si svegliava più volte per il freddo o per il
materasso bitorzoluto e rimaneva in uno stato di dormiveglia che al risveglio
gli faceva venire un mal di testa pari solo ai dopo
sbronza.
Durante l’estate le cose
miglioravano, il caldo almeno permetteva di farsi qualche pisolino nei campi di
grano vicini durante le pause, un venticello soffiava leggero e il silenzio
coccolava i suoi sogni.
Ma l’inverno era una vera
tragedia.
Fu quasi grato quando avvertì una
mano scrollargli energicamente le spalle.
Shikamaru aprì gli occhi
leggermente appannati e voltò lento la testa verso il suo compagno di pattuglia
per quella mattina: Naruto Uzumaki lo guardava allegro come sempre, gli occhi
stanchi ma il sorriso gentile e amichevole sulle labbra.
“Abbiamo la ronda, preparati.”
Nara annuì e velocemente si alzò dal letto, sentendo le proprie ossa
scricchiolare in modo sinistro.
Quando fu pronto, imbottito di
lana e il fucile carico in spalla, Naruto lo attendeva già fuori dalla camerata.
In silenzio percorsero i bui e freddi corridoi della base, incrociando a metà
strada Kiba Inuzuka e Neji Hyuuga che rientravano dalla loro ronda, il primo
palesemente distrutto, la faccia completamente deforme dai continui sbadigli; il
secondo perfetto nel suo comportamento, nessun segno di stanchezza lo tradiva,
una perfetta macchina della distruzione, così lo
definivano.
“Dicono che passerà di grado,
Neji..” bisbigliò Naruto nell’orecchio di Shikamaru, una volta raggiunto
l’esterno della base. Il sole doveva ancora sorgere e le fiaccole che
delimitavano il confine sembravano dei fiori arancioni
indistinti.
Intorno a loro c’era completamente
un deserto di erba bassa congelata, il confine che delimitava le due regioni era
fatto d’aria; solo una piccola muraglia, alta poco più di quattro metri e
costruita solo recentemente, delineava il territorio da proteggere, la linea che
divideva loro e gli altri, gli alleati e i nemici, i buoni e i cattivi (ma in
quel momento, Shikamaru non sapeva proprio dire chi erano gli uni e chi gli
altri).
Naruto salì gongolante le scalette
di pietra della muraglia, passando a pochi centimetri dalle fiaccole accese che
davano un vago senso di calore; il suo sguardo cristallino si posò allegramente
sulle sagome che s’intravedevano verso sud: le casette del piccolo villaggio
erano buie e silenziose (e comunque Naruto non avrebbe potuto vedere nulla con
quella nebbia), ma nella sua testa s’immaginava i panettieri che aprivano i loro
forni, accendevano il camino, preparavano la pasta per il pane. Li vedeva tutti
vestiti di bianco, vedeva le loro facce sporche di farina che impastavano con un
sorriso felice dipinto sulle labbra; era quella normalità semplice e gaia che
Naruto aveva visto nel suo villaggio prima di arruolarsi, e quelle immagini
sarebbero sempre rimaste dentro di lui come su di una roccia
scolpita.
Shikamaru prese posto sulla
muraglia, poggiò il fucile contro il parapetto e si mise a sedere incrociando le
gambe e stringendosi la giacca addosso. Se la prendeva comoda: nessuno sano di
mente li avrebbe attaccati con un freddo del genere, lui questo lo sapeva
bene.
Naruto si sistemò vicino al
compagno, lasciando un ultimo sguardo malinconico al villaggio prima di tirare
fuori dalla tasca una fiaschetta di liquore; la aprì con fretta, le dita che
tremavano per l’aria gelida, e ne prese un sorso lungo e avido. Sentì il liquido
che percorreva tutti i punti della gola, le pizzicava le pareti, e riscaldava il
suo stomaco vuoto; ebbe le sensazione che l’alcool gli entrasse anche nelle vene
e scrollò la testa, compiaciuto del risultato.
“Non dovresti bere così di botto,
ti farà male.” Lo riprese il giovane Nara affondando il naso nella soffice
sciarpa di lana.
“Lo so, scusa, è che non sono
abituato a tutto questo freddo. Al mio villaggio c’era sempre un bel sole
luminoso, faceva sempre caldo: tutto questo gelo ce lo sognavamo!” Naruto si
lasciò andare a una risata gioviale, sedendosi con un tonfo accanto al
compagno.
Era un tipo strano, Uzumaki.
Veniva da uno dei villaggi a Sud, proprio ai confini estremi, vicino al mare;
diceva che i suoi genitori erano morti quando lui era troppo piccolo persino per
camminare e che era stato cresciuto dal nonno. Non aveva mai conosciuto la bella
vita, non era mai stato nella grandi città; non conosceva praticamente niente
della vita mondana, delle ragazze, del gioco, degli affari, dei vizi; era
vissuto nella semplicità di un villaggio di pescatori, dove tutti conoscono
tutti e si fanno gli affari di chiunque, dove la gente lavora spaccandosi la
schiena ma nonostante questo ha sempre un sorriso sulle labbra.
Era una bella vita, quella che
aveva fatto.
Il perché se ne fosse andato, a
Shikamaru sfuggiva completamente.
Lui al contrario era stato
cresciuto e allevato nella periferia della capitale. La sua vita non era mai
stata speciale in alcun modo: era andato a scuola come i ragazzini normali,
aveva studiato come loro, aveva giocato con loro. Punto, fine.
A diciannove anni si era stancato
e pur di togliersi dalla casa di sua madre aveva preso la prima occasione per
fare un po’ di soldi; col suo cervello era stato facile entrare nell’armata,
progettava di fare carriera in fretta, racimolare abbastanza soldi e prendersi
una solitaria casa in campagna lontano da tutto e tutti. Sposare una donna
gentile, massaia, e metter con lei su famiglia, massimo due figli, aspettare che
crescessero e poi finire la sua vecchiaia con lei, nel più semplice dei modi.
Aveva progettato tutto nei particolari ed era contento.
Non voleva grandi cose, solo
tranquillità.
“Ti manca qualche volta lo stare a
casa, Shikamaru?” chiese dopo un po’ Naruto passandosi la lingua sulle labbra
prima di bere ancora dalla fiaschetta.
“Mi mancano le comodità: avere un
letto morbido, cibo pronto e tutto il resto. Per quanto riguarda gli affetti,
non ne ho bisogno.”
Naruto lo guardò con occhi incerti
e infine scoppiò in una risata rumorosa.
“Sei proprio strano, Shikamaru!
Tutti noi abbiamo bisogno di affetto!”
Nara non stette neanche a
rispondergli, lo guardò di traverso ma poi si sciolse in un ghigno divertito
notando le guance rosse del compagno: era evidente che il liquore nello stomaco
vuoto gli stesse facendo un effetto devastante sulla mente, per questo lo lasciò
a ridere da solo.
Stava per sistemarsi meglio la
sciarpa intorno al collo e sprofondare in uno stato di assoluta dormi veglia
quando il vociare delle altre vedette riempì il silenzio attorno a loro,
facendoli destare ritti e rigidi come dei birilli.
Naruto nascose prontamente la
fiaschetta e impugnò il fucile fermamente, Shikamaru recuperò il binocolo e
focalizzò l’oggetto delle urla all’orizzonte.
A qualche centinaio di metri dalla
muraglia, un gruppo abbastanza numeroso di persone si stava avvicinando a passo
d’uomo, ma erano poco visibili.
I soldati in prima linea davanti
alla muraglia avanzarono cauti dentro alla nebbia, andando incontro a quelle
persone che non sembravano minacciose: se lo fossero state, certamente non si
sarebbero fatte scoprire così facilmente. Naruto si avvicinò alla balaustra,
aguzzando gli occhi azzurri più che poteva.
“Sas’ke! Chi
sono?”
Shikamaru non vide nulla di
preciso, notava solamente che c’era del movimento in mezzo alla nebbia. Non
arrivò mai la risposta di Sasuke Uchiha, perché adesso il gruppo era molto più
vicino insieme a dei soldati e dalla base il colonnello Hatake avanzava verso di
loro, le mani congiunte dietro la schiena e uno sguardo di attesa dipinta sul
volto.
Un giovane soldato si avvicinò
correndo a lui, era piccolo di statura e piuttosto mingherlino, forse non aveva
nemmeno diciotto anni.
“Sono le spedizioni #4 e #5 di
ritorno dai villaggi ribelli a Nord. Portano prigionieri:
donne.”
Kakashi annuì piano congedando il
ragazzo e avvicinandosi ulteriormente per poter osservare meglio quelle figure
smilze e infreddolite che un passo stanco dopo l’altro avanzavano in quella
marcia piena d’agonia, come condannate su un patibolo.
Ma forse la morte era migliore
delle prigioni che attendevano quelle ragazze.
Il colonnello le scrutò in volto
una a una, nessuna forse superava i venticinque anni d’età; avevano lo sguardo
spento, rassegnato di chi ha perso tutto ma non ha ancora toccato il fondo; si
guardavano l’un l’altra con espressioni indecifrabili: Kakashi non sapeva dire
se di paura o altro.
Tra le teste more e rosse, una
testa bionda destò la sua attenzione, facendogli aggrottare le sopracciglia: una
ragazza d’una ventina d’anni lo stava guardando fiera, il viso alzato e gli
occhi che non tradivano emozione come segno di sfida, i polsi legati dietro la
schiena e un fucile puntato alla nuca non le toglievano il suo portamento
orgoglioso, da donna che non si fa sottomettere da
nessuno.
Kakashi le si avvicinò, facendo
tremare tutte le altre al suo passaggio, inclinando la testa per osservarla
curioso.
“Qual è il tuo
nome?”
La ragazza non rispose,
limitandosi a voltare la testa dall’altra parte.
“Se non vuoi che una di queste
ragazze venga fatta fuori all’istante ti conviene
parlare.”
La bionda guardò l’uomo con odio
prima di biascicare a denti stretti.
“Ino
Yamanaka.”
Delle risatine soffocate si
levarono dal gruppo di soldati; Shikamaru vide perfettamente il ghignò di
Naruto.
“Un nome poco.. delicato, per una
signorina.”
Hatake potè giurare che la ragazza
bionda davanti a lui stava già premeditando su come farlo fuori alla prima
occasione utile. Puntò la sua attenzione nuovamente sul resto del gruppo, non
soffermandosi su nessun viso in particolare.
“Portatele nelle prigioni. Sono
convinto che il generale troverà qualcosa da fare a queste
fanciulle.”
I soldati obbedirono e sorrisero.
Ovviamente quelle giovani ragazze non potevano minimamente sapere che le loro
sorti nelle prigioni erano già state decise.
To be
continued..
Naruto ©
Masashi Kishimoto
Titolo e sotto titolo della fic © Linkin Park, Leave out all the rest
Trama When my time comes © Coco
Lee