CAPITOLO
1
Perché
non riusciva a togliersi dalla mente le loro parole?
Cosa
c'era di diverso dagli altri giorni?
Draco non
c'è
Seduta sui
gradini più alti della
Guferia pensava.
Pensava al
dolore.
Pensava alla
solitudine.
Pensava alla
morte.
Pensava.
Aveva preso una
sola decisione
nella sua vita, un solo atto coraggioso, solo uno: fuggire dalla propria famiglia.
L'aveva pagato, perdendo
l'uso della gamba sinistra, ma in fondo, si
può vivere appoggiandosi ad un bastone per camminare.
Ma si
può vivere soli?
Non
le interessava, anche se il forte dolore al cuore le suggeriva la
risposta. In
quel momento voleva solo esser lasciata in pace, non dover
più sentire le voci
della gente.
Si sentiva sola.
La sua Casa
ormai si era svuotata
e i pochi rimasti vivevano nel terrore a causa della loro condizione di
traditori, ma nonostante ciò gli altri non smettevano di
guardarli e studiarli
come fossero animali strani. Spie, li ritenevano, opportunisti.
Quel giorno
però stato era
diverso.
Quel giorno era
crollata davanti a
tutti.
Quel giorno non
aveva retto gli
sguardi della Brown. Quell'oca. Come si era permessa di
rivolgersi a lei così? Stupidi
commenti di una stupida Grifondoro.
Le lacrime non
smettevano di
scendere. Aveva freddo, ma non desiderava tornare. Voleva restare
lì e non
muoversi più. Lasciarsi andare e diventare parte del
paesaggio, confondersi con
ciò che la circondava. Non aveva
più voglia di continuare a vivere, perché tutto
si era perso quella mattina.
Quella mattina
la McGranitt
gliel'aveva detto.
Draco era stato
ucciso dagli Auror
in uno scontro con dei Mangiamorte.
Draco.
Lui non l'amava.
Lei
sì.
Sperava che
tutto sarebbe
cambiato; non voleva più essere sola e aveva scelto lui per
avere qualcuno
vicino.
Che stupida. A
lui interessava
solo portarsela a letto. Non era di lei che era innamorato. Lei non era
Daphne.
Daphne, l'ormai
vedova Malfoy,
colei che non si era ribellata ai genitori e aveva accettato il Marchio
con
orgoglio.
Ora
ripensandoci si domandava se
non avrebbe dovuto imitarla. Accettare di servire l'Oscuro Signore,
fare figli
Purosangue per la causa, uccidere babbani e mezzosangue…
Ma lei non
voleva combattere,
morire. Voleva solo continuare la propria vita: studiare,
innamorarsi,
lavorare, avere dei figli…
Ma quella che
stava vivendo in
quel periodo non era vita. Chiusa
nei propri pensieri era come se si fosse estraniata dal mondo.
Perché
lo stava facendo?
Era stanca.
Quei mesi passati
nell'apatia da quando era iniziata la scuola le avevano messo addosso
un senso
di impotenza, di pesantezza che non aveva mai provato prima.
Sospirando
provò ad alzarsi, ma la
gamba non la resse facendola crollare sui gradini e scoppiare a
piangere più
forte. Al colmo dell'esasperazione diede un pugno al muro accanto a
sé.
Odiava il proprio
corpo, odiava la propria gamba,
odiava non essere
in grado di alzarsi da uno stupido gradino, odiava i suoi genitori
che l'avevano ridotta così.
Provò
a puntellare il bastone sul
gradino più basso, ma il ghiaccio formatosi dopo l'ultima
nevicata lo
fece scivolare.
Ora odiava
anche gennaio.
Avrebbe potuto
fare un piccolo
incantesimo per sciogliere un po' di ghiaccio, ma era come se non
avesse
neanche la forza di prendere la bacchetta.
Per un attimo
pensò di aspettare
semplicemente che qualcuno si accorgesse della sua assenza e la venisse
a
cercare lì, ma scoppiò a ridere subito dopo
averlo pensato.
Chi avrebbe
potuto ?
I pochi
Serpeverde rimasti
dovevano già occuparsi di loro stessi e gli altri,
probabilmente, avrebbero
pensato che si era unita al Signore Oscuro, avvalorando, con la sua
scomparsa,
la tesi di molti Corvonero: i Serpeverde rimasti sono in
realtà spie.
Si
girò leggermente per appoggiare
la testa al muro e distese la gamba. Le faceva male e il freddo non
aiutava di
certo.
Stava per
chiudere gli occhi
quando dei passi sulla scala attirarono la sua attenzione.
Magari era
Theodore.
"Parkinson,
è da un pezzo che
ti cerco! Guarda che se rimani qua fuori ancora un po' ti prenderai un
accidente!"
Dean Thomas era
in piedi davanti a
lei.
Dean Thomas la
stava cercando.
Era troppo
assurdo per essere
vero. La ragazza scoppiò a ridere mentre lui incrociava le
braccia sul petto
con un'espressione perplessa negli occhi scuri.
"Posso sapere
che c'è di
tanto divertente?"
Dean Thomas.
Dean Thomas,
l'ex compagno di
stanza di Harry Potter ormai da mesi alla ricerca di un modo per
sconfiggere
l'Oscuro Signore con i suoi amici, si era preoccupato per lei.
Pansy smise di
ridere e levando il
volto verso di lui gli rispose: "Tu."
"Io ti faccio
ridere? E posso
sapere il perché?"
Lei
sembrò valutare le parole da
usare, era stupita e amareggiata allo stesso tempo.
"Perché
sei venuto a
cercarmi?"
"Perché
ti ho vista andare
via dal castello piangendo e sinceramente penso sia assurdo isolare
ancora voi
Serpeverde, e non sono l’unico a pensarlo."
Se Dean si
aspettava qualcosa in
risposta non fu certo la risata di scherno che gli riservò
Pansy.
"Cos'è,
ora che Potter se ne
è andato vorresti fare tu l'Eroe magnanimo "ti
salvo la vita anche se sei un lurido Serpeverde"?"
Lui
sospirò e si sedette accanto a
lei, passandosi le mani nei corti ricci neri e sul volto come a
schiarirsi le
idee.
"Senti,
Parkinson, non sono
venuto qui a giustificare i miei comportamenti e quelli dei miei
compagni, ma
cerca di capire tutti! Abbiamo paura. La guerra è ormai
scoppiata da mesi e le
notizie di morti sono continue. I nostri compagni vengono ritirati da
scuola in
continuazione e Harry, Ron, Hermione e gli altri sono là
fuori a combattere
mentre noi siamo qui, troppo impauriti per unirci a loro e troppo
deboli per
farci accettare tra le schiere di chi combatte. Voi siete le stesse
persone che
fino a poco tempo fa giudicavano tutti. Vi comportavate da arroganti
Purosangue, pieni di voi. Ci rendiamo conto anche noi che siete
cambiati, siete
le ombre di voi stessi e per qualcuno siete diventati il capro
espiatorio su
cui sfogarsi."
Pansy rimase in
silenzio. Non
sapeva cosa rispondere perché non c'era niente con cui
rispondere. Aveva
ragione.
"Ora penso sia
meglio andare
prima che ti ammali davvero."
Dean si
alzò e scese qualche
gradino prima di voltarsi verso di lei che, ancora seduta sui gradini,
non
accennava a seguirlo.
"Allora? Vuoi
restare lì
ancora per molto?"
Stupido. Come
faceva a non
rendersene conto?
Pansy prese in
mano il bastone,
fissò i gradini e poi alzò lo sguardo verso il
Grifondoro, immobile, quasi
sfidandolo. Non voleva chiedere aiuto. Una Serpeverde non ha bisogno di
aiuto.
Puntò
il bastone tentando di
alzarsi ancora, ma ricadde sul gradino. Riprovò ancora e
ancora e ancora senza
riuscire. Tornò a guardare Dean ancora immobile davanti a
lei, aspettandosi una
risata da parte sua, un commento acido e invece no: sembrava triste.
Come la
faceva infuriare quello sguardo!
"Non voglio la
tua
compassione."
Le parole le
uscirono con rabbia,
stupendo lei stessa ancor prima di lui, che esclamò
sorpreso: "Non ti
compatendo! Sto solo riflettendo su quanto l'orgoglio sia una brutta
bestia."
Zittita lo
guardò. Non accennava a
muoversi, a spostarsi.
Cosa doveva
fare?
I minuti
passavano. Lei era sempre
nella stessa situazione e iniziava a chiedersi perché.
Perché era seduta su dei
gradini scomodi e freddi, perché non era in Sala Grande a
mangiare qualcosa di
buono, perché non era con altri ragazzi a parlare, ridere e
sperare? Perché
doveva sempre comportarsi da quella superiore che non
ha bisogno di
nessuno quando non era vero?
Perché?
Prendendo un
respiro profondo
Pansy col tono il più naturale possibile, fece una cosa che
non si sarebbe mai
aspettata di fare. Chiuse gli occhi e chiese "Mi puoi aiutare?"
Li
spalancò solo quando Dean la
prese in braccio senza particolare sforzo sorridendo, un sorriso
sincero.
"Ehi! Non sono
un'invalida!
So ancora camminare!"
Lui
scoppiò a ridere scendendo
velocemente i gradini con la ragazza in braccio.
"Lo so, ma
così facciamo prima
e ti porto subito in infermeria, magari hai la febbre. Ti rendi conto
che sei
stata fuori delle ore? È già tanto che non ti
abbia trovato congelata. Non hai
neanche preso il mantello per uscire!"
Pansy non gli
rispose. Si sentiva
strana. Appoggiò la testa sulla sua spalla godendo del
calore che lui le
trasmetteva.
Avrebbe voluto
che fosse Draco.
Arrivati
davanti all'infermeria
dopo essere passati davanti a un gruppetto di Grifondoro curioso, Dean
la
lasciò a terra. Il corridoio era deserto.
"Grazie."
Se quell'unica
parola era costata
molto a Pansy, il ragazzo non se ne accorse. Scrollò le
spalle e sorrise come
se nulla fosse.
"Figurati.
Stasera perché non
vi unite a noi per cena? Ormai siamo rimasti così pochi che
è un inutile spreco
sporcare quattro tavoli."
La ragazza lo
guardò sbalordita:
Serpeverde e Grifondoro allo stesso tavolo?
“Ehi, non
guardarmi così! Ne
parlavo oggi con la Abbott e Goldstein e sembravano d'accordo sul
dividerci su
due tavoli invece che quattro…"
Pansy era
convinta di non aver capito.
Era uno scherzo, sicuramente. Non era possibile una proposta del
genere. Lo
interruppe senza ascoltare la conclusione del suo discorso.
"Scusa, ma sei
sicuro di
stare bene? Io sono Pansy Parkinson, quella che era la ragazza di
Malfoy,
l'arrogante Purosangue, e potrei continuare la lista ancora per molto."
Lui si mise a
ridere come se lei
avesse detto qualcosa di assurdo.
Ma che
succedeva a quel ragazzo?
"Lo so, lo so,
ma come hai
detto tu, 'eri'. Ora Parkinson, anzi, Pansy…"
La stava
chiamando per nome?!
"…chiamami
buon samaritano,
ma ho promesso a me stesso che ti avrei fatto uscire dall'apatia in cui
sei
dall'inizio dell'anno e ho intenzione di riuscirci davvero. Da quando
Pansy
Parkinson non risponde a tono e non critica nessuno?"
"Su questo
posso darti
ragione, ma sul resto…"
"Dai, non fare
la preziosa.
Adesso chiediamo a Madama Chips di visitarti e poi se non hai niente
andiamo a
cenare che mi è venuto un leggero languorino. D'accordo?"
La guardava
sorridendo e lei si
trovò a sorridergli di rimando.
Da quando
qualcuno non le
sorrideva così? Da quando lei stessa non sorrideva a
qualcuno?
"D'accordo…"
s'interruppe un secondo quasi stupita di quello che stava dicendo, ma
tornò a
sorridere subito "…Dean."
In fondo il
coraggio ha molte
forme ed era ora di diventare una ragazza coraggiosa.