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Autore: Happy_Pumpkin    28/11/2008    3 recensioni
Giappone feudale del 1500. Un misterioso assassinio, lotte interne per il potere e un unico uomo in grado di svelare la verità: Elle, aiutato da Matt, Mello e Near... i personaggi più strani che i samurai al servizio del daimyo avessero mai visto ma forse anche i più pericolosi.
Genere: Thriller, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: L, Light/Raito, Matt, Mello, Near
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Messaggio
Piccola premessa necessaria: l'ispirazione mi è stata data dalla fiction della mia cara ladyflowers, Chained Love, nella quale faceva accenno ad un film inventato, "Delitto misterioso al feudo di Edo."
Oltre a ridere per le sue battute ho pensato di trarne l'idea per creare una storia, ovviamente di genere ben diverso, simile ad un giallo solo che ambientato nel Giappone del 1500.
Ringrazio dunque la mia amica per avermi dato questa idea, che ho potuto sviluppare e articolare anche grazie alla sua collaborazione.



Messaggio mai rivelato



La luna sorgeva alta nel cielo, oscurata di tanto in tanto da qualche nuvola di passaggio.
Ukita avanzava a passo spedito, nonostante stesse camminando da ore e il freddo, nel pieno dell'autunno, si facesse sentire congelandogli i piedi protetti solo da dei leggeri tabi(*).

Maledetto il giorno in cui aveva deciso di lavorare per il Signore di Edo(*): nonostante non avesse le qualità per eccellere come samurai anziché mollare e darsi all'umile mansione di pescatore, come suo padre prima di lui, aveva pensato di poter essere utile in qualche altro modo, fino a che le sue capacità non fossero state notate almeno.

Messaggero.

Quello era il suo lavoro gravoso e, a dire il vero, ingrato.

Perché era lui a portare i dispacci dagli informatori che il daimyo(*), vuoi per prudenza, vuoi per precauzione, aveva sparsi per tutta l'area che circondava la regione, se non oltre.
Peccato che, oltre a dover soffrire fame e sete, in molte occasioni l'uso del cavallo era quasi un miraggio: troppo ingombrante, dava nell'occhio e, in casi di pericolo come il suo, non ci si poteva nascondere con un equino al freddo.

“Accidenti – borbottò sentendo le dita degli arti prossime a staccarsi, rosse e gonfie – chi me l'ha
fatto fare...”

Poi, lungo la strada buia, vide in lontananza le luci delle fiaccole che indicavano una sola cosa: era arrivato fino ad Edo.
La sua salvezza. Lì, una volta ottenuta la ricompensa, avrebbe potuto riposare qualche giorno e riprendersi dalle fatiche prima di ripartire a consegnare un ulteriore messaggio.

Sempre che tutto andasse secondo i piani.

Ukita si portò una mano al petto, avvertendo una fitta: no, quello non era il dolore dovuto allo sforzo immane di percorrere chilometri a piedi, bensì ansia.
Perché ciò che il suo cuore custodiva era un segreto di portata ben maggiore rispetto alle aspettative di un messaggero comune, uno dei tanti, che giravano per il Giappone.
Quel messaggio avrebbe potuto sconvolgere tutto l'apparato politico che in quegli anni, di sanguinose liti tra clan e faide interne, si era venuto a costituire nonostante l'arrivo di quei demoni con la croce, di quei falsi bonzi che predicavano l'esistenza di un unico dio.

L'uomo, quasi involontariamente, sospirò e giunse alle porte della città, sorvegliate da una serie di sentinelle in armatura. Nel momento in cui mostrò il sigillo del daimyo queste lo fecero entrare senza battere ciglio e i portoni in legno sembravano quasi gemere quando vennero spalancati appositamente per lui.
Senza perdere un istante di tempo quasi corse, facendosi strada per i vialetti sporchi e dissestati, fino a non giungere presso un'altura fortificata dove si ergeva, in tutta la sua possanza, il castello del daimyo, il potente Soichiro Yagami.

Un gruppetto di samurai, dai kimono di un color verde scuro, che stavano di guardia presso il massiccio portone, avanzarono fino a non circondare completamente Ukita il quale deglutì con un groppo in gola che gli impediva quasi di respirare.
Con uno sguardo colse, lungo i bastioni delle alte murature in pietra, gli arcieri che tendevano l'arco puntato verso di lui.

“Chi sei e cosa vuoi?” chiese un samurai piuttosto anziano, sicuramente aveva oltre trent'anni, con la mano sull'elsa della spada.

Ukita si fece forza: “Sono Ukita e porto un messaggio urgente per il daimyo Soichiro Yagami.”

Il samurai esaminò attentamente il sigillo, sfregandosi una cicatrice che gli andava a deturpare la guancia sinistra (nd: no, non è Mello... ^ ^'), infine restituì bruscamente l'oggetto in argilla al proprietario dicendo con voce roca:
“Dammi il dispaccio, provvederò a consegnarlo al nostro feudatario.”

Ukita scosse la testa: “No, è strettamente confidenziale. Dovrò comunicarlo io direttamente al daimyo, quindi se mi lasciaste pass...”

Ma venne bloccato dall'uomo con un gesto brusco della mano, che lo spinse indietro:
“No no no, hai capito male. Di qui non si passa. Il signore è attualmente in riunione con dei suoi vassalli e tu non hai il permesso di entrare: o mi dai il messaggio o puoi anche andartene e tornare domani.”

Lo sbeffeggiò con una risata. Un rivolo di sudore colò lungo la fronte del povero messaggero che si trovò davanti ad un bivio ben peggiore di quelli innevati che a volte doveva percorrere.
Infine, con un dignitoso sospiro, Ukita rispose:
“E sia. Tornerò domani, ma dovrai assicurami che il signore mi riceva.”

I samurai ridacchiarono, mentre gli arcieri, rilassati, deposero le loro armi e di questo Ukita ne fu veramente sollevato.
Infine l'uomo dalla cicatrice alzò le spalle, non nascondendo un'aria di scherno.
“Vedremo cosa si può fare.”

In fondo, quell'ometto insulso e tremante, cosa mai poteva nascondere di talmente importante?

Con un altro spintone, e non dimenticando lo scintillio pericoloso della katana parzialmente estratta dal fodero, Ukita venne gentilmente sollecitato ad andarsene e lui, suo malgrado, dovette cedere.
Con le ginocchia tremanti per la paura, oltre che per il freddo, il poveretto si diresse presso la prima locanda che trovò.

Una volta ottenuta la camera si sedette sul tatami, godendo del calore che proveniva dal pavimento, e pensò ad alta voce, più per rassicurarsi che per convinzione vera e propria:
“Non importa, andrà tutto bene. Domani andrai dal daimyo e la faccenda si risolverà per il meglio.”
Eppure non ne era così sicuro. Ne era consapevole da quando l'informatore lo aveva contattato: la sua vita era in pericolo... perché lui sapeva.
Scosse la testa, prendendo a respirare profondamente, e scrisse due biglietti presi da una pergamena malridotta... sperava proprio che non gli sarebbero serviti ma, se lui fosse morto, qualcun altro avrebbe capito.

*°*°*°*

Per le strade, a notte fonda, non vi era praticamente nessuno, eccetto uomini ubriachi dopo aver frequentato case di piacere o geishe che rincasavano al proprio okiya(*), accompagnate dallo sguardo vigile delle sentinelle che di tanto in tanto perlustravano la zona.
Ukita aveva lasciato accesa una lanterna e teneva accanto a sé, come se fossero i suoi tesori, i due foglietti e, vicino al futon, un pugnale. Unica arma concessa a lui che non era riuscito ad essere samurai.

Improvvisamente, lungo lo stretto corridoio della locanda, sentì dei passi.
Leggeri, quasi accennati.

Si voltò di scatto, in un frusciare di coperte, con il pugnale saldamente in mano ma non scorse nulla nella penombra della stanza. E poi, pensò con ansia crescente, aveva sistemato della paglia lungo la soglia della porta chiusa... se qualcuno fosse entrato con poca accortezza l'avrebbe sentito, in ogni caso.

Improvvisamente i passi si arrestarono e, quasi in contemporanea, Ukita trattenne il fiato mentre aveva la fronte imperlata dal sudore e la mano con l'arma tremava.

Non è possibile. Già sanno del mio arrivo?!

Fece per alzarsi in piedi quando un fruscio lo arrestò. Si girò di scatto, verso la piccola finestra.
Ma, proprio nel momento in cui si mosse verso di essa, una mano rapida e letale calò sulla schiena dell'uomo. Venne trafitta dalla lama di uno spadino del quale, ultima crudele ironia della sua vita, riuscì  persino ad avvertirne il gelo.

Cadde a terra, sentendo il suo stesso sangue bagnargli il kimono leggero e il futon candido, mentre la luce della candela tremolò.
Rantolando prese i due biglietti, sperando che potessero essere trovati.

Sto morendo
Realizzò con sofferta lucidità. Non un sussurro, non un'esitazione da parte del suo assassino.
Era stato troppo agile e lui troppo stupido.

Quando sentì il soffio della sua camminata cercò di voltarsi per riuscire perlomeno ad intravedere la figura che si allontanava ma non ci riuscì, ormai la vita lo stava abbandonando.
Ma stava davvero fuggendo l'assassino? Lo guardava ancora per assicurarsi che morisse?
Ukita non lo sapeva, era confuso e terribilmente stanco... l'ultima cosa che scorse, prima di chiudere gli occhi per sempre, fu una mano che gli prendeva il foglietto che a fatica teneva serrato tra le dita ormai deboli.

*°*°*°*

Da anni Tota Matsuda era un fiero samurai al servizio del proprio daimyo, il venerato Soichiro Yagami, come suo padre lo era stato prima di lui.
Sapeva bene di non essere particolarmente sveglio e a volte, lo ammetteva, si faceva figure non proprio eccezionali ma in un'epoca come quella la fedeltà era un bene prezioso, ben più dell'intelligenza.

O almeno così credeva.

Passeggiando per le strade di Edo, per i soliti controlli di routine, intravide una certa folla di gente ammassata davanti ad un'umile locanda i cui gestori erano fuori a inveire contro delle sentinelle che di solito si occupavano della ronda notturna.
“Sarà il solito ubriaco che ha dato fuoco ad una stanza... non sarebbe la prima volta...” borbottò Matsuda, richiamando con un cenno del capo altri samurai che lo accompagnavano.

Si avvicinò alla locanda e la crocchia di gente si fece da parte per lasciar passare il gruppetto, inchinandosi mostrando il rispetto che si doveva a quella classe di guerrieri.

“Che succede qui?” chiese mostrando un sorriso rassicurante. Il solito babbeo.

Una vecchia sdentata si fece avanti dicendo con voce isterica:
“Un uomo morto! Nella mia locanda! I clienti non verranno più, penseranno che sia maledetta dai kami!!”

Matsuda indietreggiò di qualche passo, sorpreso dalla veemenza dell'anziana signora, e la tranquillizzò dicendole:
“Stia tranquilla, vedrà che sistemeremo tutto. Ora mi faccia entrare, avete tenuto ancora il cadavere vero?”

La vecchia si inalberò: “Che mi importa del cadavere? Di certo non lo vado a profanare, per chi mi ha preso eh?!”
Un giovane le si avvicinò cercando di calmarla: “Nonna non comportarti così, lui non può farci niente...”

Matsuda alzò le spalle facendo cenno ai suoi uomini di rimanere sul posto e controllare che nessuno entrasse ed infine, guidato dal giovane di prima, entrò nell'edificio.

Salì le vecchie scale in legno fino a non percorrere un corridoio stretto e basso, davvero soffocante, e addentrarsi in una stanzetta priva di particolari ornamenti eccetto un futon e un tavolino basso.
Si portò una manica del kimono davanti al naso per trattenere i conati di vomito al sentire l'odore del sangue rappreso e del cadavere che ormai iniziava ad essere circondato dalle mosche.

Il giovane si voltò verso l'uscita bofonchiando disgustato:
“Questa mattina presto sono entrato per invitarlo ad uscire dalla camera ma era già morto.”

Matsuda in un primo momento non rispose, limitandosi a fissare l'uomo, con il ventre disteso sul letto e la schiena perforata coperta di sangue.
Non c'era alcun segno dell'arma usata, neanche una traccia di sangue.

Trattenendo a stento un conato di vomito, segno di quanto Matsuda fosse portato ad essere un guerriero, avanzò a passo cauto come se il morto potesse risvegliarsi da un momento all'altro e afferrò per una spalla il cadavere facendolo voltare per vederne il viso.
Rilasciò immediatamente la presa esclamando:
“Ma questo è Ukita!”

Poco più in là notò gettato malamente a terra il sigillo del daimyo. Matsuda lo prese, stringendolo  tra le mani sconvolto.
Ukita era morto, brutalmente assassinato in una squallida camera.

Guardò un istante il giovane, pallido in volto, mentre la sua mente divagava, chiedendosi quali importanti informazioni il messaggero custodisse da indurre qualcuno ad ucciderlo.

Quando un altro degli uomini lo raggiunse Matsuda disse:
“Dobbiamo subito avvertire il daimyo!”

L'altro samurai, Aizawa, rimase pietrificato nel vedere il cadavere e, alle veloci e terrorizzate spiegazioni di Matsuda, si affrettò a correre via, premunendosi di dirigersi personalmente dal loro signore.

Matsuda, passandosi una manica del kimono sul volto, disse con voce incerta, rivolgendosi al giovane gestore:
“Fra poco verranno a prelevare il cadavere e le sue cose, assicuratevi che prima di allora nessuno prenda niente.”

L'uomo annuì agitato e accompagnò, tra il clamore della gente che aveva capito che qualcosa di grave era successo, Matsuda in strada mentre un bonzo già stava recitando alcuni sutra per scacciare il demonio.
Il samurai lasciò alcuni uomini di guardia e si diresse verso il castello con il cuore in gola e il sigillo di Ukita in mano... che accidenti stava succedendo?


Giappovocabolario °o

(*)Tabi: Calzini che hanno il pollice separato dalle altre dita, ideali per infilarsi i sandali.

(*)Edo: nome antico di Tokyo. A quell'epoca non era ancora capitale del Giappone, nonostante a partire dal 1603 vi risiedesse lo shogun (massima carica militare). Sarà nel 1863 che diverrà capitale col nome di Tokyo quando vi si trasferirà l'imperatore, la cui precedente residenza era a Kyoto.

(*)Daimyo:  Termine con cui veniva chiamato il feudatario. Generalmente più erano potenti più avevano samurai al loro seguito che si distinguevano dagli altri per un particolare colore e modello di kimono e per i simboli della casata di appartenenza. Ma questo avveniva per i feudi più ricchi, quelli con meno disponibilità economiche in genere non davano le divise ai propri samurai.

(*) Okyia: La casa dove alloggiavano le geishe, donne che intrattenevano uomini facoltosi nelle case da the con canti, danze e versando loro da bere.


La sala da té di Happy_Pumpkin.

Avviso: non pretendo di trasmettere alcuna verità storica con questa fiction. Vorrei semplicemente che respiraste l'aria di un Giappone diverso, ricco di tradizioni e culture affascinanti.
Quindi ci saranno, inevitabilmente, degli anacronismi, voluti o meno, che spero siano i meno possibili. Però, dove serviranno per la storia, temo che dovrò privilegiare la narrazione.
Credo che nessuno mi odierà per questo, no? ^ ^'

Siamo nel periodo del commercio Nanban, nella metà del Cinquecento quindi, epoca durante la quale gli occidentali cominciano a giungere in Giappone.
Soprattutto i gesuiti porteranno il loro credo e alcuni potenti daimyo li appoggeranno, semplicemente per tornaconto personale, ma in generale la popolazione sarà sempre invisa a questo tipo di religione.
Chiameranno erroneamente bonzi i monaci e, da un primo momento di fredda accoglienza, si passerà alla persecuzione non soltanto dei "missionari" ma anche degli stranieri.

Molto bene, dopo questa breve precisazione ho terminato questo fiume di parole.
Tra l'altro mi autocomplimento con vergogna per essere stata forse la prima ad aver iniziato una fiction su Deathnote solo con Ukita e Matsuda. Meriterei un premio o la fucilazione...
Inoltre compariranno, oltre ai personaggi messi nell'elenco, molte altre persone che in un modo o nell'altro avranno tutte un ruolo fondamentale.
Già dal prossimo capitolo le cose cambieranno... alla prossima.

Ne approfitto per ringraziare Elly_Mello, patri_lawliet, larxene e saku89  che mi hanno lasciato una recensione sulla fiction Sogno e Fe85 e Saku89 per averla messa tra i preferiti.
Grazie anche per averla soltanto letta!




   
 
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