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Autore: EffieSamadhi    30/01/2015    4 recensioni
{Su YouTube è disponibile il trailer della storia: http://www.youtube.com/watch?v=apvuVPBtiug}
Fingi di non avermi mai incontrato, fingi di non essere mai stato attratto da me, fingi di non avermi mai baciata, fingi che la mia presenza non abbia mai toccato la tua vita. [...] Addio, Daria
28 novembre 2013: a Parigi, in una stanza d'albergo, Shannon sente il proprio cuore cadere a pezzi; a Torino, in camera propria, Daria chiude i ricordi in una scatola e li spinge fuori dalla propria vita.
Due mesi più tardi: a Los Angeles, Shannon sta ancora cercando di ricomporsi; a Torino, Daria si sente pronta per ricominciare.
Ma il passato torna a morderti il didietro proprio quando meno te lo aspetti, e per quanto sia dettagliato il tuo piano, non c'è nulla che il destino non possa sovvertire.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Direzioni ostinate e contrarie.'
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La lunga strada verso casa - 1
Non dirò nulla per tentare di farmi perdonare, questa volta. Mi limiterò a citare quanto affermato dal personaggio interpretato da Hugh Grant in “Notting Hill”, ovvero: “Sono una cazzona avariata”. Me ne vergogno, ma vi giuro che ci sto lavorando.
Buona lettura, o almeno spero,
EffieSamadhi






La lunga strada verso casa






Capitolo diciottesimo
Sono l'elefante, che posso fare,
inchiodato al suolo e a questo amore.1


Los Angeles, 1° marzo 2014


    «Ferma tutto, ho appena avuto una grande idea!» Nel sentire quella frase, Emma interrompe immediatamente la chiamata che ha appena fatto partire e rimane in attesa – non di ordini, ma della prossima cavolata che uscirà dalla bocca del proprio capo. Mancano poco più di ventiquattro ore alla cerimonia degli Oscar, e Jared sembra essere andato completamente fuori di testa – non soltanto ha cambiato mille volte idea circa l'outfit con cui presentarsi alla serata, ma ha sovvertito tutte le decisioni precedenti, rischiando più volte di causare nella propria assistente un raptus omicida. Emma sospira, aspettando l'ennesima rivelazione, rimpiangendo la semplicità di Shannon e Constance, gli accompagnatori di Jared alla cerimonia, che sono riusciti a decidere cosa indossare in meno di dieci minuti. «Niente nero, il nero mi sbatte troppo. E poi ci sarà già Shannon vestito di nero. E il nero è troppo mainstream, lo indossano tutti.»
    «Quindi la tua grande idea quale sarebbe? Presentarti in mutande?»
    «Non sono così estremo, cara la mia miscredente» la rimbecca lui, aprendo l'armadio e tirandone fuori un completo bianco. «Eccola qui, la mia grande idea. Che ne pensi?»
Emma piega la testa di lato, fissando il vestito con aria concentrata e provando ad immaginarsi come starebbe addosso a Jared. «Beh, di sicuro non ti confonderesti in mezzo alla folla» commenta. «Sei davvero convinto di volerti vestire di bianco?»
    «Conosci qualcun altro così coraggioso da fare una mossa tanto azzardata?»
    «Tu non sei coraggioso, Jay. Tu sei completamente pazzo, è diverso» lo corregge lei. «Comunque no, non conosco nessun altro in grado di mettersi una cosa del genere addosso. Ma d'altra parte tu sei uno che sale sul palco avvolto in una tenda da doccia, perciò non capisco perché le tue idee mi sconcertino ancora così tanto.»
    «Quindi credi che farei una buona figura?» domanda ancora lui, appoggiandosi il vestito davanti al corpo e guardandosi allo specchio, esattamente come una ragazzina alle prese con la scelta dell'abito per il ballo scolastico.
    «Sì, Jared, saresti davvero carino» sbuffa Emma, quasi stanca di star dietro ai continui cambiamenti di umore e di idee dell'uomo. «Ti avverto, però: questo è l'ultimo cambio d'abito che ti concedo. Quello che deciderai di indossare adesso è quello che indosserai domani sera. Niente ripensamenti.»
    «Ma io...»
    «Niente ripensamenti, Jared. Sei peggio di una donna. Sai quanto ci ha messo tua madre a scegliere l'abito da indossare? Cinque minuti, più o meno. Comportati da uomo, adesso. Intendi indossare questo completo, domani sera?» Jared apre la bocca per rispondere, poi cambia idea, ci riflette ancora su e infine annuisce, con un sorriso degno di un bambino che ha appena ricevuto il regalo più bello della vita. «Bene» sentenzia Emma, prendendogli la gruccia dalle mani. «Te lo faccio trovare lavato e stirato per domani mattina alle otto» aggiunge prima di lasciare la stanza.
    Rimasto solo, Jared si guarda attorno, osservando il disordine da lui stesso creato: non è da lui essere così indeciso su cosa indossare, tanto più che spesso non riflette affatto prima di vestirsi, ma questa storia della cerimonia degli Oscar lo sta decisamente scombussolando. Strano, perché lui è abituato a stare sotto i riflettori, al centro dell'attenzione, ad avere gli occhi del mondo puntati addosso in ogni luogo e in ogni momento. È stato a migliaia di festival, di feste importanti, di ricevimenti, eppure questa volta si sente diverso – in fondo, la cerimonia degli Oscar non è una serata come tutte le altre: è una serata cui partecipano soltanto i più grandi, soltanto i numeri uno, e ci si va soltanto per scoprire chi sia il migliore di tutti. Sapere di essere stato invitato, ma soprattutto di essere uno dei possibili numeri uno in assoluto, è una sensazione che non si riesce a descrivere del tutto: è qualcosa che lo lusinga e lo eleva, ma che allo stesso tempo lo schiaccia sotto il peso di una responsabilità troppo grande, una responsabilità che lo fa sentire quasi sporco, come se in fondo il suo successo non fosse il frutto di un grande talento, ma soltanto di una buona dose di faccia tosta e fortuna.
    Non che accada spesso, ma a volte anche a Jared Leto capita di sentirsi confuso e perso – solo che adesso, a differenza del passato, sa che basterà un piccolo gesto a fargli tornare il sorriso.


*



Torino, 1° marzo 2014


    Sulla scrivania non è rimasto spazio nemmeno per un granello di polvere, perciò ora tocca al pavimento riempirsi di libri, fotocopie, quaderni e appunti sottolineati, proprio come in quella canzone di Simone Cristicchi che parla dell'infinito mondo di una studentessa. Alice è seduta a terra, gambe incrociate e matita stretta tra i denti, ferma nella stessa posizione da tanto di quel tempo che ormai la spina dorsale le si è indurita come quella di sua nonna. Quando il cellulare squilla dapprima nemmeno lo sente, concentrata sul proprio lavoro, e quando si accorge della suoneria impiega qualche secondo per alzarsi e raggiungere il comodino dove ha lasciato il telefono. Durante il tragitto, ansiosa di rispondere, sbatte il piede contro la gamba del letto, e quando accetta la chiamata il tono sofferente del suo «Pronto?» arriva forte e chiaro all'orecchio di Jared.
    «Sai che la tua voce ha i toni acuti di una che ha fatto le scale di corsa urlando che la casa va a fuoco?»
    Alice fa una smorfia, cercando di distribuire equamente il dolore tra il mignolo in fiamme e la schiena anchilosata. «Pensavo fosse una telefonata importante. Se avessi saputo che eri tu, non mi sarei precipitata a questo modo. E non cercare di fare lo splendido citando i grandi attori. Conosco a memoria La gatta sul tetto che scotta
    «Non sapevo che ti piacessero i vecchi film.»
    «Non sono una fan del genere, ma Paul Newman resta sempre Paul Newman» replica lei, lasciandosi andare ad un sorriso. «Ma non cercare di cambiare discorso. Perché hai chiamato?» riprende un attimo più tardi, usando un tono sbrigativo dovuto più al fastidio per il recente infortunio che alla scoperta dell'identità del proprio interlocutore.
    «Gentile come sempre, vedo» la prende in giro lui.
    «Scusa, ma per rispondere ho sbattuto il piede contro uno spigolo, perciò non sono esattamente in vena di fare la carina. E poi sono molto impegnata con le ricerche per la mia tesi. Devi dirmi qualcosa o dovevi solo occupare una mezz'ora vuota tra un'intervista e una festa?»
    «In realtà avevo soltanto bisogno di sentire la voce di una persona amica» confessa lui, abbassando lo sguardo, «ma sembra che abbia sbagliato numero. O almeno momento.»
    In questo momento Alice si sente una persona davvero orribile: continua a dimenticare che, nonostante la persona all'altro capo del filo sia una celebrità, si tratta pur sempre di un uomo che, come tutti, ha bisogno, di quando in quando, di interagire con un altro essere umano, anche soltanto per cinque minuti. In fondo è capitato anche a lei di attraversare dei momenti simili, e di aver bisogno di un contatto con qualcun altro, anche solo per sentirsi di nuovo viva. Ripensa a tutte le volte che si è ritrovata a chiamare Daria o Federico anche alle quattro del mattino, magari soltanto per un saluto, e si sente davvero crudele, perché il fatto che Jared sia una celebrità non dovrebbe consentirle di comportarsi così da stronza. «Scusa, non volevo essere maleducata. È solo che... beh, è un momento piuttosto complicato. Questa tesi del cavolo mi sta succhiando via ogni energia. E quando sono stanca, poi divento scontrosa.»
    «Perdonata» sussurra lui, e lei non può impedirsi di sorridere ancora. «Ma non osare trattarmi di nuovo così male, altrimenti... disonore su di te, disonore sulla tua mucca!» Alice scoppia a ridere per quella incredibilmente veritiera imitazione del draghetto Mushu, e tra le sue risate si fa di nuovo strada la voce di Jared: «Ehi, non prendermi in giro!»
    «Non ti prendo in giro, è solo che mi stupisce che tu conosca quel film!»
    «Guarda che sono stato bambino anch'io.»
    «Sì, ma se i miei calcoli sono esatti, quando è uscito Mulan tu avevi... ventotto anni?»
    «Ventisette» la corregge prontamente. «E comunque non si è mai troppo adulti per innamorarsi di un film della Disney.»
    «Se lo dici tu...» ridacchia ancora lei, sedendosi sul proprio letto. «Sentiamo, perché avresti bisogno di una persona amica con cui parlare? Cos'è successo di tanto terribile al nostro impavido eroe?»
    «Credo di avere paura.»
    «Paura? Sul serio? Paura di cosa?»
    «Beh, non so se lo sai, ma domani sera consegneranno gli Oscar.»
    «E hai paura di impappinarti durante il discorso di ringraziamento?»
    «Io non mi impappino mai. Hai mai sentito certi monologhi che metto su durante i concerti? Sono un oratore nato. E comunque non è di questo che ho paura, perché difficilmente sarò io a vincere. Hai visto chi sono gli altri nominati per la mia categoria? Parliamo di Michael Fassbender, Bradley Cooper, Jonah Hill... non sono esattamente delle mezze tacche.»
    «Questo è vero, ma... ho visto il tuo film, Jared. Dire che il tuo personaggio non è così forte da meritare un riconoscimento così grande sarebbe come dire che la Terra è piatta.»
    «Stai forse cercando di blandirmi?»
    «Arrivati a questo punto, dovresti conoscermi abbastanza da sapere che non è nel mio stile blandire le persone. Io dico solo la verità. E la verità è che hai fatto un lavoro stupendo con Rayon. Non sono una ragazza che si commuove facilmente, ma... dannazione, in certi momenti eri così perfetto da star male. Riconosco di non avere i requisiti per far parte di una giuria, ma non posso immaginare che i giurati non si facciano influenzare un po' anche dal loro cuore. Sarebbero inumani, se non si lasciassero trasportare almeno un po'.»
    «Davvero l'hai visto?»
    «Naturale. Non mi perdo mai un film con Matthew McConaughey. È uno dei miei attori preferiti» ribatte lei con aria sicura, trattenendosi a stento dal ridere. Adora prendere in giro Jared, si diverte un sacco a gonfiare il suo già prorompente ego e bucarlo dopo un istante con un grosso spillone.
    «Molto divertente. Sul serio, sto ridendo come un matto.»
    «E va bene, torniamo seri per un istante. Di che cosa hai paura? Di inciampare su uno scalino come Jennifer Lawrence, di essere criticato per il bizzarro completo che indosserai, di...»
    «Come sai che cosa indosserò?»
    «Non lo so, ho tirato ad indovinare. Sei uno che ai concerti si fa le trecce come una squaw e indossa pantaloncini da boxe. Non credo che la formalità dell'occasione potrebbe spingerti a vestire in modo normale. Sembri il tipo d'uomo capace di sposarsi con indosso una muta da sub.»
    «Tu non nutri alcun tipo di fiducia in me, vero?»
    «Errato, io nutro molta fiducia in te, come artista. È il tuo guardaroba quello cui non mi avvicinerei nemmeno con una pertica.»
    «Allora preparati a restare sorpresa, perché ho scelto un completo molto sobrio. Farò la mia figura, ma senza farmi ridere dietro dagli occhi del mondo. E niente acconciature stravaganti.»
    «Chi sei, e cosa ne hai fatto di Jared Leto?»
    «L'ho ucciso e ho usato le sue spoglie per farmi un Jaredabito
    «Smetti di rubare battute ai film» lo ammonisce lei divertita, cercando di calcolare quante volte abbia visto Men In Black. «Sul serio, come hai intenzione di vestirti?»
    «Nessuna anticipazione, se vuoi saperlo dovrai guardare la diretta della cerimonia. Perché la guarderai, vero?»
    «Jared, qui da noi la diretta inizia verso mezzanotte e finisce verso le sei del mattino. Non puoi pretendere che passi la notte incollata alla tv soltanto per vedere come ti sei conciato. Non puoi chiedere una cosa del genere ad una laureanda in filosofia che sta impazzendo dietro ad una tesi sul pensiero di Nietzsche.»
    «Da qui a luglio c'è ancora un sacco di tempo, una serata di svago potresti anche concedertela.»
    «E me la concederò, puoi starne certo: uscirò a cena con qualche amica, magari andrò a farmi un paio di birre... la mia idea di svago di solito è questa.»
    «Quindi rinunceresti alla prospettiva di guardarmi in diretta mondiale solo per fare ricerche su un tedesco morto da più di un secolo?»
    «Ad essere sincera, l'alternativa sarebbe dormire. E comunque quale sarebbe il valore pratico del vederti in diretta tv?»
    «Godere della perfezione del mio viso non ti sembra sufficiente? A questo proposito, ormai sono mesi che ci parliamo, e ancora non ho idea di come sia fatta.»
    «E quale sarebbe il valore pratico del sapere come sia la mia faccia?»
    «Nessuno, a parte che così non mi sembrerebbe più di parlare con un fantasma.»
    «Sarebbe un modo carino per dirmi che mi vedi come una spaventosa entità paranormale?»
    «Sarebbe un modo per dire che vedere il tuo viso mi aiuterebbe a convincermi che sto parlando con una persona che esiste davvero. Parlare con te mi fa bene, non lo nascondo, e vorrei soltanto essere certo di confidare i miei pensieri ad una forma di vita fatta di carne ed ossa.»
    «Ti assicuro che sono reale, Jared» sorride lei, stendendosi sul letto per riposare la schiena. «Ti dirò, a volte mi sembra anche di esserlo troppo
    «E dai, regalami qualche dettaglio! Sei alta, bassa, bionda, mora... non ti sto chiedendo di fare sesso telefonico, ti sto soltanto chiedendo come sei fatta!»
    All'idea di fare sesso telefonico persino una ragazza indipendente e senza paura come Alice arrossisce, chiedendosi come sarebbe sentire quella splendida voce sussurrare cose sconce dall'altra parte del mondo. «Beh, il mio ex fidanzato mi diceva sempre che gli ricordavo un po' Emma Stone.»
    «La Emma Stone di Crazy, stupid love o quella di The help
    «Direi più quella di The Amazing Spiderman, visto che sono bionda.»
    «Beh, in ogni caso significa che sei una bella ragazza, a meno che il tuo ex non fosse un bugiardo patentato.»
    Alice si sente arrossire un'altra volta, chiedendosi se Jared non si accorga dell'eccesso di enfasi che mette nei suoi complimenti, quasi credesse davvero in tutto ciò che dice. «Di solito era piuttosto sincero, ma non escludo che questo possa essere uno dei rari casi in cui mi ha mentito» risponde, sperando di riuscire a sviare il discorso dallo scoglio sul quale sembra essersi arenato. «Comunque sia, c'è altro che vorresti dirmi? Perché altrimenti tornerei alle mie ricerche. Ho ancora così tanto da fare...»
    «No, certo, ti lascio andare, tanto tra un'oretta dovrei uscire... non ti stancare troppo, Gwen Stacy.»
    «Ci proverò, ma non ti prometto niente.»


    «Mi piace la tua casa» dice Luca, spostandosi verso il bancone della cucina per sedersi su uno degli sgabelli. Alzo gli occhi dai fornelli e gli sorrido, poi torno a concentrarmi sulla cioccolata. «Vivi qui da tanto?»
    «Mi sono trasferita a novembre» rispondo. «Di solito è molto più disordinato, ma sapendo che saresti passato ho dato una sistemata. Non sono molto brava come casalinga. Sembra una contraddizione, visto che è un'artista, ma in realtà è Francesca quella ordinata.»
    «Tu devi aver preso dalla mamma» replica lui. «Nemmeno lei è ordinata. Per fortuna c'è la signora Corelli, altrimenti non so come faremmo.»
    «Emanuele com'è, invece?»
    «Beh, lui è... è un informatico» replico, come se questo potesse essere abbastanza. «Insomma, lui è un tipo molto... quadrato. Sì, penso si possa descrivere così. Segue un rigido protocollo in tutto quello che fa. Più di una volta ho pensato che anche il suo cervello sia un computer» aggiungo con un sorriso. «A volte mi piacerebbe essere come lui, perché pensa in codice binario, e la cosa potrebbe essere utile per una come me, che sono un'indecisa cronica. Sai, per prendere decisioni tipo 'cioccolato fondente o al latte', 'camicia o maglietta', o quando ti trovi al supermercato e devi scegliere l'offerta più conveniente.»
    «Pensi che sia per questo motivo che non mi è ancora venuto a cercare?» mi sento domandare dopo un istante di silenzio. Mi volto di scatto, e vedo che Luca si sta tormentando le mani con l'aria di uno che vorrebbe sprofondare nel pavimento. «Insomma, forse non vuole che faccia parte del suo... codice
    A quelle parole mi si stringe il cuore. Nonostante lo frequenti assiduamente da più di un mese, continuo a dimenticare che Luca è un ragazzino molto più intelligente e maturo dei suoi coetanei, nonché un'anima estremamente sensibile, e che sicuramente il fatto che Emanuele non lo abbia avvicinato lo ferisce a morte. Dopo la bomba che ho fatto esplodere, Francesca non ha atteso più di una settimana prima di chiedermi di farli incontrare, e se possibile è diventata una sorella maggiore più apprensiva di me, al punto da scrivergli almeno tre volte al giorno per informarsi circa tutto ciò che gli accade. Emanuele, invece, non ha ancora fatto un passo – ma nonostante sappia quanto sia importante per Luca sentirsi accettato in egual misura da tutti e tre, non ho voluto fare nulla per immischiarmi. Conosco Emanuele, e so che se insistessi per fargli conoscere suo fratello finirebbe con l'odiare anche me, oltre a detestare la situazione nel suo complesso. Emanuele è sempre stato un ragazzo molto intelligente, ma sul piano personale è più incasinato di me – per questo non ho insistito, perché so che ha bisogno dei suoi spazi, e che presto o tardi farà la sua mossa... solo, forse non tanto presto. «Sono certa che presto o tardi si farà avanti» rispondo, cercando di non far trasparire la mia preoccupazione. «Sai, lui è diverso da me e Francesca. Gli ci vuole un po' più di tempo per abituarsi alle novità. Ma se c'è una cosa di cui sono sicura, e di cui vorrei che ti convincessi, è che lui non ti odia. Insomma, se non si è ancora fatto avanti è perché non si è ancora abituato all'idea, ma di certo lo farà.»
    «Non ho mai pensato che mi odiasse» risponde lui, mentre spengo il fornello e verso la cioccolata nelle tazze. «Più che altro penso di essergli indifferente, che è peggio.» In questo momento ringrazio il cielo di dargli le spalle, perché sento gli occhi farsi lucidi e le lacrime premere per uscire, e farmi vedere in questo stato non sarebbe proprio l'ideale, visto che il mio obiettivo è di risollevargli il morale. «Insomma, non è peggio quando una persona decide di ignorarti?»
    Ancora di spalle, mi premo una mano sulla bocca, per soffocare una specie di singhiozzo. Com'è possibile che a soli dodici anni questo ragazzino sia più saggio di me, che il doppio dei suoi anni e, si suppone, un'esperienza più completa della sua? È in momenti come questi che arrivo quasi a vergognarmi di me stessa, perché per Luca dovrei essere una guida, una dispensatrice di buoni consigli, e invece, ancora una volta, è lui a rimettere le cose nella giusta prospettiva, facendomi capire che della vita, a dispetto della mia età, non so proprio niente.


*



Los Angeles, 2 marzo 2014


    Il viaggio verso il Kodak Theatre è incredibilmente silenzioso, ma la cosa non mi preoccupa: quando si tratta di cerimonie Jared è sempre teso come una corda di violino, sia che si tratti di ricevere premi o anche soltanto di fare un semplice atto di presenza. Sembra strano, visto quanto si trova a suo agio sul palcoscenico, ma partecipare a cerimonie di questo tipo lo imbarazza sul serio, perché sfilare su un tappeto rosso vestito di tutto punto non è esattamente come agitarsi su un palcoscenico indossando imbarazzanti pantaloncini da boxe e agitando una bandiera. In più, se aggiungiamo alla miscela il fatto che questa è la cerimonia degli Oscar, ovvero uno degli eventi più attesi dell'anno, nonché il fatto che stasera potrebbe vincere uno dei premi più prestigiosi della sua carriera d'attore... beh, non biasimo mio fratello per la sua voglia di restare in silenzio. Seduta accanto a me, la mamma è altrettanto silenziosa, e se ogni tanto non la sentissi muoversi penserei che si tratti di una statua di cera: indossa uno stupendo abito nero, un capo elegante e sofisticato che un sacco di modelle con la metà dei suoi anni non riuscirebbero ad indossare con la stessa grazia, e nonostante i capelli bianchi sembra ancora una ragazza, una che ha tutta la vita davanti e ancora mille progetti da portare a termine. Sta guardando fuori dal finestrino scuro, e io non riesco a staccare lo sguardo dal suo riflesso: era soltanto una ragazzina quando si è scoperta incinta di me, ma invece di farsi prendere dal panico è riuscita a mantenere i nervi saldi e a rimboccarsi le maniche, regalandomi una vita piena e felice e tutte le occasioni giuste per consentirmi di seguire le mie aspirazioni. A volte mi domando quante cose abbia sacrificato per crescere me e Jared, a quanti sogni abbia dovuto dire addio, a quante e quali rosee prospettive abbia dovuto abbandonare per consentire a noi di seguire i nostri progetti – ma soprattutto mi chiedo dove trovi ancora la forza di sorridere, anche dopo aver rinunciato alla sua vita per curarsi delle nostre. Osservo il suo riflesso e ritrovo quell'espressione che conosco da sempre, quel mezzo sorriso che sembra voler dire milioni di cose, e che allo stesso tempo è maledettamente difficile da interpretare, un po' come quello di Monna Lisa. Abbasso lo sguardo nel preciso istante in cui ricordo chi altro possiede un simile sorriso, dandomi dello stupido – in fondo, l'hanno sempre detto che le donne cercano un uomo che ricordi il proprio padre, e che viceversa gli uomini cerchino in una donna lo spirito della madre. Chiudo gli occhi per un istante, cercando di scacciare dalla mente il sorriso di Daria, quell'espressione leonardiana che tirava fuori ogni volta che si sentiva insicura ma voleva mostrarsi forte. Mi passo una mano sul viso, sforzandomi in ogni modo di non pensare al passato, ma sembra che più acuta sia la voglia di dimenticare, più forte il pensiero di Daria si aggrappi a me – ma non è tanto il pensiero di ciò che c'è stato tra noi a disturbarmi, quanto il mio senso di colpa nei confronti di Christine.
    Sono passate quasi due settimane da quando ho bussato alla sua porta nel cuore della notte e lei mi ha accolto tra le sue braccia accettando le mie scuse insensate, e da quel momento sono iniziate le due settimane più complicate della mia vita. Sarebbe una bugia affermare che Christine non sia una donna importante, ma sarebbe una bugia peggiore affermare che sia esattamente questo ciò che fa per me. Con lei sto bene, è una donna straordinaria che farebbe la fortuna di molti uomini, ma ogni volta che siamo insieme mi dico che persino un cieco si accorgerebbe che non siamo affatto fatti l'uno per l'altra. È straordinaria, mi conosce e sa come trattare con me, sa comprendere il mio umore e sa cosa sia meglio per me, eppure nel profondo del cuore so che stare con lei non è, e soprattutto non sarà mai, la cosa migliore cui potrò aspirare. Le sto mentendo, e quel che è peggio è che ne sono pienamente consapevole, e nonostante questo non riesco a smettere di farlo. Ogni volta che ci separiamo e resto solo mi chiedo come sia possibile, per un uomo che come ha conosciuto la vera felicità, anche se per un mese appena, rinunciarvi e condannarsi a sopravvivere, ad accontentarsi di qualcosa che non potrà mai nemmeno lontanamente avvicinarsi alla perfezione. Ma più di tutto, mi chiedo come sia possibile che Christine non si sia accorta che non sono completamente con lei, che il mio cuore sia sempre lontano, anche quando sono fisicamente presente accanto a lei. O forse se n'è accorta, ma semplicemente non vuole accettarlo, o forse anche lei, come me, si sta semplicemente accontentando.

    Seppur perso nei propri pensieri e nell'ansia che l'idea dell'imminente cerimonia gli causa, Jared si è accorto del repentino cambiamento d'umore di Shannon, che all'improvviso ha distolto lo sguardo, fissandolo sul paesaggio che scorre rapido dall'altra parte del finestrino oscurato – non che prima fosse l'emblema dell'allegria, certo, ma è come se all'improvviso uno strano pensiero gli avesse attraversato la mente, portandosi via il flebile sorriso che adornava il suo volto. Non hanno parlato molto dei loro affari privati, ultimamente, ma Jared sa che Shannon ha ricominciato a vedersi con Christine, e che ormai da un paio di settimane sembrano fare sul serio, esattamente come vent'anni fa. Non ci sarebbe nulla di male, certo, in fondo Christine è una donna seria, una di quelle persone che non fa mai male avere accanto, solo che Shannon non ha affatto l'aria di essere un uomo felice – e Jared, che era con lui a Parigi, sente di poter parlare con cognizione di causa. L'ha visto felice, ha visto di quale luce possano illuminarsi i suoi occhi e quanto contagioso possa farsi il suo sorriso, ed è certo che in questo momento Shannon non sia affatto felice, né tantomeno realizzato. Christine è sicuramente grandiosa, e certamente accanto a lei Shannon non starà male, ma non sarà mai, nemmeno in un milione di anni, quell'unica donna al mondo in grado di rendere il suo mondo completo. Jared sa che non dovrebbe impicciarsi negli affari di suo fratello, sa che Shannon è grande abbastanza per decidere del proprio futuro senza chiedere consiglio, ma allo stesso tempo gli si stringe il cuore nel vederlo così, troppo fragile per ammettere a se stesso di essere sul binario sbagliato.


*



Torino, 2 marzo 2014


    Nonostante le promesse fatte a se stessa, a mezzanotte Alice si lascia vincere dalla curiosità: prende in mano il pc e digita rapidamente sui tasti, cercando di trovare in fretta una buona piattaforma sulla quale seguire la diretta dell'evento. Una sbirciata e via, è ciò che si è ripetuta più e più volte, ma dopo ventiquattro anni ormai ha imparato a conoscersi, e sa che una volta iniziata la diretta non riuscirà a staccarsene, forse a malapena per una pausa bagno. È a questo punto che le viene quella che considera un'idea geniale: copia il link del sito e lo invia per messaggio a Daria, sperando di suscitare la sua curiosità – così almeno si sentirà meno idiota, sospettando che anche la sua migliore amica se ne stia incollata allo schermo del portatile.

    Il primo istinto, quando Alice mi informa del suo nuovo passatempo, è di cancellare il messaggio senza darle retta – poi mi dico che in fondo non ho altro da fare e domani non devo andare al lavoro, perciò potrei anche stare sveglia ancora un paio d'ore a guardare vip che si rincorrono sul tappeto rosso. Cerco il sito che mi ha consigliato, sperando nella benevolenza del wi-fi, e aspetto che si carichi il sito. Nemmeno a farlo apposta, la prima coppia che vedo transitare è quella formata da Colin Firth e sua moglie, Livia Giuggioli: lui è uno dei miei attori preferiti, e lei l'invidia di ogni donna, italiana o no – quale ragazza non sogna, in fondo al cuore, di far innamorare di sé un uomo di tale fascino? Subito abbasso lo sguardo, dandomi della stupida: ciò che quella donna ha trovato in Colin Firth io l'avevo trovato lo scorso autunno, non in un celebre attore ma in uno straordinario batterista – avevo anch'io un uomo che mi guardava nello stesso modo in cui lui ora guarda lei, e come una vera stupida gli ho dato un calcio, allontanandolo da me. Improvvisamente mi torna in mente che anche Jared ha ricevuto una nomination, e che probabilmente sarà presente alla cerimonia – e chi altri potrebbe volere con sé, se non suo fratello? Il primo istinto è quello di spegnere il portatile e mettermi a dormire, eppure le mie mani non si muovono – nonostante mi senta persino indegna di pensare a Shannon, figuriamoci di guardarlo attraverso uno schermo, non riesco a rinunciare all'idea di poterlo vedere ancora una volta, se non altro per assicurarmi che stia bene. Ci vogliono ancora venti minuti, ma alla fine il mio più grande desiderio – nonché la mia più grande paura – trova realizzazione. Jared appare alla fine della lunga striscia rossa che conduce all'ingresso del Kodak Theatre, accompagnato da sua madre, che potrebbe tranquillamente essere scambiata per una celebre attrice o per una sua fiamma, data l'innata eleganza e la straordinaria bellezza che la contraddistinguono. E poi, appena un passo indietro, vedo Shannon, e il cuore sembra fermarsi per un istante: è completamente vestito di nero, il che lo fa apparire più magro, e porta i capelli più corti, lasciando scoperta la triad tatuata dietro l'orecchio. Mi copro la bocca con una mano, trattenendo un paio di lacrime: è completamente diverso dallo Shannon scarmigliato – e soprattutto nudo – che ho lasciato a Parigi, eppure vederlo mi fa ancora lo stesso effetto di un tempo. Se non fossi seduta, sono certa che le ginocchia mi cederebbero, facendomi crollare a terra come un sacco di patate – per quanto sia lontano, per quanto sia soltanto un'immagine inviata attraverso un satellite, il suo volto ancora mi pare una delle cose più belle che abbia mai visto, e il suo sguardo è ancora una delle poche cose in grado di confondermi al punto di non ricordare il mio stesso nome. Prendo un paio di respiri profondi, cercando di calmarmi e nel contempo trattenendomi dallo scrivere ad Alice un messaggio minatorio, e proprio in quell'istante il telefono abbandonato accanto a me vibra, avvertendomi dell'arrivo di un messaggio. Neanche a dirlo, è proprio lei, la donna che diede origine al caos – in fondo, se non fosse stato per lei, la sottoscritta Shannon lo avrebbe incontrato soltanto nei propri sogni.

    Adesso Alice si sente in colpa, perché se Daria se ne sta incollata allo schermo del portatile a guardare in faccia il suo passato è soltanto colpa sua, che voleva sentirsi meno sola e perciò l'ha coinvolta in una delle sue idee balorde. «Scusa, non volevo farti soffrire» esordisce, rispondendo alla chiamata dell'amica.
    «Non sto soffrendo, tranquilla» risponde Daria, continuando a fissare lo Shannon fatto di pixel che sorride al giornalista di chissà quale canale tv. «Insomma, un po' sì, ma non è colpa tua. Beh, sì, in effetti è colpa tua, visto che sei stata tu a mandarmi il link, ma non credo ti ucciderò per questo.»
    «Che effetto ti fa?» domanda Alice, abbassando la voce come se si trattasse di un segreto – e in effetti di mezzo c'è un segreto, perché nonostante siano passati due mesi, ancora non ha confessato delle telefonate tra lei e Jared, che tra l'altro stasera, vestito di bianco, fa davvero una splendida figura, riuscendo a sembrare quasi normale... capelli a parte.
    «Rivederlo, dici? È strano. Non so come altro descriverlo, solo... è strano, ecco tutto.»
    «Immagino sia un po' diverso da com'era a Parigi.»
    «Molto diverso» annuisce Daria, sospirando. «Ha tagliato i capelli. Gli stanno bene.»
    «Io lo trovo anche dimagrito. O forse è solo un'impressione, visto che è vestito di nero. Insomma, il nero snellisce, giusto?»
    «Non lo so, forse hai ragione tu. Quel che è certo è che mi sembra...»
    «...felice?» completa Alice, azzardando quella parola che Daria, lo sa, non riuscirebbe mai e poi mai a pronunciare – non da quando ha completamente rinunciato a far parte di quella particolare equazione.
    «Non sembra anche a te?»
    «Mah, non saprei. Davanti alle telecamere sorridono sempre tutti. Non saprei dire se sia davvero felice o no.»
    «Quindi secondo te potrebbe avere il cuore a pezzi e sorridere soltanto per non far insospettire i giornalisti?»
    «Sinceramente? Ho paura di rispondere a questa domanda, ho la sensazione che potresti mangiarmi viva se dicessi qualcosa che non ti va a genio.» Attende in silenzio una risposta, ma dopo quasi un minuto di niente decide di tentare la sorte. «Che cosa ti fa credere che sia felice?»
    «Non lo so» ammette Daria, sospirando ancora. «In fondo è tornato alla sua vita come se niente fosse, non è... insomma, è andato avanti. Perché non dovrebbe essere felice?»
    Alice si morde un labbro, chiedendosi se non sarebbe il caso di dire finalmente la verità, di rivelarle che in realtà Shannon è tornato da lei, è tornato indietro con le migliori intenzioni del mondo, che è tornato per riprendersela, e che si è arreso soltanto nel preciso istante in cui si è accorto che era stata lei ad andare avanti. «Anche tu sei andata avanti, no?» dice infine, sperando di suscitare in lei chissà quali sentimenti.
    «Sì, e guarda quanto sono andata lontano.»
    «A proposito, come va con Marco? Lavorare a stretto contatto con lui è imbarazzante quanto credevi?»
    «Un po', ma è sopportabile. Credo che per lui non sia un problema così grande. Insomma, credo di essere io quella che fatica di più per far funzionare la cosa.»
    Nel tono di Daria, dimesso e anche un po' arreso, finalmente Alice intravede uno spiraglio per mettere in atto quella che in effetti era un'idea di Jared, ma che non le dispiacerebbe fosse stata sua. «E... che cosa hai intenzione di fare adesso?»
    «In che senso?»
    «Beh, adesso che hai capito che Marco non faceva per te e sei di nuovo single...» Alice mette da parte il computer, si alza e inizia a passeggiare per la stanza, molto nervosa per le parole che sta per dire. «Insomma, adesso che sei di nuovo single potresti... insomma, c'è ancora quella scatola sotto il mio letto. Non potresti magari...»
    «Cosa? Chiamare Shannon e chiedergli scusa per quello che ho fatto?» ribatte Daria, stupita dal fatto che Alice, da sempre sinonimo di schiettezza, non abbia trovato il coraggio di dirlo chiaro e tondo, senza tanti giri di parole. «Bella prova di serietà che darei. Prima me ne vado sgattaiolando via come una ladra, poi ritorno implorando perdono? No, non esiste. E poi non ha nemmeno senso» aggiunge subito, cercando di mettere in chiaro che non ha alcuna intenzione di tornare con Shannon. «Insomma, avrebbe senso se io fossi ancora innamorata di lui, ma non lo sono. Cioè, io non... non potrebbe mai funzionare, lo sai.»
    «Sai cosa mi stupisce? Che anche dopo tutti questi anni di amicizia continui a credere che ti riesca facile mentirmi. Non cercare di convincermi che di lui non ti importi niente, perché so che non è vero. Se lo avessi davvero cancellato dalla tua vita, non avresti mai lasciato Marco.»
    «Non psicanalizzarmi, Alice. Te lo chiedo per favore» implora Daria, senza sortire alcun effetto.
    «Non sto cercando di psicanalizzarti – cosa che tra l'altro mi riesce benissimo. Dico solo che Marco è un uomo praticamente perfetto, uno che ogni donna sarebbe felice di avere al proprio fianco. Perché lo avresti lasciato, se non...»
    «Forse non voglio un uomo praticamente perfetto, non ci hai pensato? Sì, la perfezione è intrigante, ma alla lunga può stancare. Lo sai, tu avevi Federico!»
    «Punto primo: Federico non è mai stato perfetto, e tu lo sai. Punto secondo: non è di me che stiamo parlando, ma di te. E tu, cara mia, sei ancora innamorata di Shannon, ed è assurdo che continui a negarlo. Sappi che se ti rifiuterai di ammetterlo, continuerò a ricordartelo ogni giorno della tua vita, finché non ti stancherai di me.»
    «Se è per questo, stai già iniziando a farti odiare» ribatte Daria con una risata, sapendo che Alice sarebbe in grado di tenere fede anche a quella promessa.
    «E allora perché sprecare tempo prezioso e pazienza? Ammetti che sei ancora innamorata di lui e che ti manca da morire, metti da parte l'orgoglio e chiamalo.»
    «Non posso» sussurra la ragazza dopo qualche istante di silenzio.
    «Perché? Perché non puoi?»
    «Perché significherebbe ammettere che ho sbagliato» sussurra ancora Daria, abbassando ancora la voce. «E non so se sono pronta ad ammettere tanto.»
    «Non sarebbe una cosa tanto tremenda, sai? La storia è piena di uomini e donne che hanno commesso degli errori e sono tornati sui propri passi per correggerli.»
    «Ma con quale faccia potrei continuare a guardarmi lo specchio, Alice?» ribatte Daria, tagliente. «E con quali occhi tornerebbe a guardarmi lui?» aggiunge, senza trovare il coraggio di pronunciare ancora il suo nome. «Resterei per sempre la donna che ha giocato con i suoi sentimenti, quella che se n'è andata e poi ha cambiato idea. Non riuscirebbe mai più a fidarsi di me.»
    «Se ti amasse davvero, cosa che io ritengo molto probabile, sono certa che riuscirebbe a passarci sopra. La felicità del tuo ritorno offuscherebbe qualunque altro pensiero, qualunque dubbio, qualunque incertezza» risponde Alice, il cuore gonfio della speranza di rivederli insieme – perché è fuori discussione che due persone come loro debbano passare la vita separate, soprattutto se divise da una cosa stupida come la paura. «Sono certa che capirebbe. È per paura che sei scappata da Parigi, sono certa che comprenderebbe le tue ragioni. Sono certa che anche lui si sia sentito come te, anche solo una volta. Comprenderebbe.»
    «Alice, ti prego, ti chiedo un favore. Mettiamo una pietra sopra questa discussione e non riprendiamola mai più. Non ti ho mai chiesto niente, almeno questa volta cerca di accontentarmi. Per favore
    Alice vorrebbe ribattere, esporre le proprie ragioni, gridare ai quattro venti la propria intenzione di continuare quella discussione, di continuarla se necessario all'infinito, perché lo vedrebbe anche un cieco quanto amore inespresso si celi dietro le parole e i comportamenti di Daria, perché persino il cuore più freddo si scioglierebbe di fronte alla forza del loro sentimento... eppure, incredibilmente, per una volta decide di tacere. Decide di tacere sapendo che potrebbe essere il più grande errore della sua vita, sapendo di commettere un efferatissimo crimine nei confronti dell'amore e di tutti coloro che combattono per esso, anche quando non c'è speranza, anche quando sembra che si sia giunti alla fine di tutto. Tace, Alice, e anche se dentro al proprio cuore sa che non è affatto la cosa giusta da fare, sente di doverglielo, sente di dovere questo terribile favore alla propria migliore amica, a quell'unica persona che le è sempre stata accanto, e che da lei merita questo ed altro.


*



Los Angeles, 2 marzo 2014


    Jared sta parlando con Matthew McConaughey e sua moglie, quando un tocco leggero sulla spalla lo distrae dalla conversazione, facendolo voltare verso sinistra. Il suo sguardo incontra il contagioso sorriso luminoso di Lupita, che lo costringe ad un abbraccio di congratulazioni. «Sono davvero fiero di te, tesoro» le sussurra all'orecchio, stringendola a sé per qualche secondo. «Sei stata magnifica.»
    «Detto da te, Bart, è un complimento stupendo» replica lei. «Congratulazioni anche a te, Matthew. Sono davvero molto felice per te. Hai fatto un lavoro semplicemente superbo.»
    «Basta con i complimenti, Lupita, ti prego» sorride l'altro uomo. «Ho finito il mio repertorio per i ringraziamenti.»
    Lupita sorride ancora, prendendo sottobraccio Jared con fare amichevole. «Va bene, smetterò di elogiare il tuo talento e andrò in giro a dire a tutti che il tuo premio non è stato meritato per niente e che sei un attore di serie b, ma soltanto se adesso mi concedete di portarvi via quest'uomo stupendo. Ho bisogno di parlare con te a quattr'occhi» aggiunge, rivolgendosi all'amico.
    Matthew risponde con un cenno del capo. «Soltanto se prometti di parlare malissimo di me.»
    «Userò parole di fuoco, non temere» replica lei, alzando il bicchiere per suggellare la promessa.
    Non appena si trovano ai margini della sala, lontani dalla calca di persone che intendono complimentarsi con loro, Jared si scioglie delicatamente dalla presa di Lupita, si appoggia alla parete e punta gli occhi in quelli della donna, ispezionandoli attentamente alla ricerca di risposte. «Come mai tutto questo mistero, signorina N'yongo? Stai per confessarmi di aver corrotto la commissione al fine di vincere questo premio?»
    «Niente affatto, signor Leto. Ho un motivo molto più importante. Si tratta di tuo fratello.»
    «Shannon? Che cos'ha combinato?» replica Jared, facendo saettare lo sguardo per tutta la sala per cercare di individuarlo.
    «Non ha combinato niente, tranquillo. In effetti è proprio di questo che ti volevo parlare» aggiunge la donna. «Mi rendo conto che forse non è il luogo più adatto per sostenere questo tipo di conversazione, ma sembra che nella tua agenda non ci sia nemmeno un minuscolo buco per i tuoi amici.»
    «Scusa se sono una persona molto impegnata. In effetti ci sto lavorando su, e...»
    «Non è il momento di scherzare, Jared» lo interrompe lei, lo sguardo improvvisamente serio, simile a quello di una madre che sta per farti una ramanzina degna di essere ricordata. «Non è assolutamente mia intenzione rovinarti la serata, ma sento che se non lo dico ora non troverò un altro momento, e non potrei mai perdonarmelo.»
    «Hai intenzione di piantarla con questa sceneggiata alla James Bond o vuoi tenermi sulle spine ancora a lungo?»
    «E va bene, sarò diretta, ma non lamentarti se quello che dirò non ti piacerà» taglia corto lei. «Qualche sera fa ero fuori con alcuni amici, e ad un certo punto siamo passati davanti al Blue Moon. Hai presente di quale locale sto parlando?»
    «Sì, non è quel club sul Sunset Boulevard? Ci sono stato diverse volte, è un bel posto. Qual è il punto, Lupita?»
    «Il punto, Jared, è che quella sera ho visto Shannon uscire dal Blue Moon. Lui non mi ha vista, e sono quasi sicura che nessuno dei miei amici lo abbia notato, ma... beh, il punto è che non mi sembrava affatto in buone condizioni.»
    «Che intendi dire?»
    «Intendo dire che aveva l'aria di uno che si è fatto un bicchiere di troppo. Lo so, lo so che non dovrei giungere a conclusioni affrettate» aggiunge subito dopo, appoggiando una mano sul braccio di Jared, che nel sentire quella parte della storia si è inquietato, «ma ci conosciamo da tanti anni, e penso di potermi ritenere una tua amica. E anche se non conosco così bene lui, mi sento in dovere di preoccuparmi per il suo benessere. Mi conosci, sai che non riuscirei a farmi gli affari miei nemmeno con una pistola puntata alla testa. Ho semplicemente pensato... beh, ho pensato che dovessi saperlo.»
    «L'hai visto fare qualcosa di particolare? Insomma, lui ha... ha combinato qualche guaio?»
    «No, non che io sappia. Solo... beh, se fossi stata con lui non gli avrei permesso di guidare. Non aveva l'aria di una persona tranquilla, se capisci cosa intendo.» Jared annuisce, senza riuscire a parlare. Capisce perfettamente la preoccupazione di Lupita – di più, la condivide, anche perché sa di cosa potrebbe essere capace Shannon. Lo sa, l'ha visto accadere, e ha vissuto per anni con la paura che potesse accadere di nuovo, che capitasse sulla sua strada qualcosa in grado di distruggere quel precario equilibrio costruito con tanta fatica. «Jared, è successo qualcosa? Per caso avete litigato, c'è qualche problema tra di voi, o con la band?»
    Lui scuote la testa, abbassando lo sguardo. «Il motivo è molto più semplice, quasi stupido, se vogliamo metterla così. Una ragazza gli ha spezzato il cuore.»
    «Stai parlando sul serio? Shannon che si lascia spezzare il cuore da una donna?»
    Jared invita Lupita a sedere e con calma, cercando di tenere lontane le orecchie che non devono sentire, riassume brevemente tutta la storia, partendo dal concerto di novembre ad Assago ed arrivando alla serata che stanno vivendo, senza dimenticarsi di far tappa a Parigi e a Torino, confessandole anche di quella sfortunata sera che ha distrutto ogni speranza. «Se devo essere sincero, avevo una paura folle che si arrivasse a questo punto. Adesso Shannon dice di aver ricominciato, dice di essere felice con Christine, ma che razza di fratello sarei se non riuscissi a vedere la menzogna in ogni cosa che dice? Io l'ho visto con i miei occhi, Lupita, ho visto quanto era felice con quella ragazza. Sembrava avesse finalmente trovato l'equilibrio che aveva sempre cercato, e adesso... no, adesso non è felice, non lo è per niente. Cerca continuamente di convincermi di sì, cerca di convincersi che sia così, ma io lo so. E quello che più mi ferisce è che non accetta il mio aiuto. Invece di accettare un aiuto preferisce fare da sé, e così...» La voce gli muore in gola, il tono si incrina al pensiero di quello che potrebbe accadere se il terreno si spaccasse di nuovo sotto i loro piedi, se l'abisso li inghiottisse di nuovo. Questa volta nessuno di loro ne uscirebbe vivo, ne è certo.
    «C'è qualcosa che posso fare per aiutare?» domanda Lupita, gli occhi pieni di sincera tristezza e voglia di rendersi utile.
    «Non credo ci sia qualcosa che puoi fare, Lupita. A meno che tu non possa andare a prendere quella ragazza, convincerla che abbia bisogno di Shannon tanto quanto lui ha bisogno di lei e portarla qui.» Si guarda le mani, quelle mani che non hanno tremato nemmeno prendendo in consegna il premio, e si rende conto che riportare indietro Daria è l'unica soluzione, l'unico modo per salvare Shannon, per tirarlo indietro dall'orlo del baratro prima che muova quel passo in più che distruggerebbe il mondo che tanto faticosamente hanno creato.



1Sono l'elefante, che posso fare, inchiodato al suolo e a questo amore. | Il titolo del capitolo è ispirato ad un verso della canzone L'elefante e la farfalla del cantautore romano Michele Zarrillo, tratto dall'album omonimo (1996).
   
 
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