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Autore: Lux in Tenebra    30/01/2015    4 recensioni
[-Creepypasta-]
(Volevo raccontare la storia di uno Slenderman diverso dal solito, ispirata da alcune fan art e racconti che si trovano sul web (e non intendo le solite ficcy xD). Se siete fan della versione crudele dello Slender vi consiglierei comunque di leggere questa fic perché offre una visione differente sul personaggio. Tutta la storia è incentrata dal punto di vista del nostro protagonista maschile.)
La vita era una lunga routine, piena di mal di testa, rose invadenti, vestiti alla moda e pois multicolore che apparivano misteriosamente sulle sue cravatte.
Slender voleva fuggire via da quel caos, ma non poteva lasciare i suoi fratelli senza una guida.
Probabilmente si sarebbero autodistrutti.
Nel profondo c'era qualcosa che gli diceva che doveva restare e che, forse, prima o poi ci sarebbe stato un cambiamento, uno spacco in quel circolo vizioso:
Una tempesta si approccia impetuosa, scaraventando via tutte le barriere che proteggono il cuore e l'anima di quella creatura chiamata mostro.
Solo una cosa è certa, niente sarà più come prima.
Genere: Comico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Offenderman, Slenderman, Splendorman, Trendorman
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le disavventure degli Slenders'
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16. Home.




Era da un bel po’ ti tempo che camminavo, le strade della cittadina erano quasi vuote, cosa alquanto insolita. Mi ritrovai a pensare a quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che avevo camminato su quel suolo, ma per mia fortuna, o almeno da ciò che vedevo, quasi tutto era ancora dove lo avevo lasciato.
Proseguii, arrivando fuori città dove risiedeva la nostra villetta: una casa a tre piani, in uno stile che era una via di mezzo tra il vittoriano e il gotico, con un vasto giardino e una piccola torretta che sbucava nel bel mezzo della casa. I tetti rivestiti da qualche pianta rampicante erano di un colore verde scuro che contrastava con il grigio dei muri e le grandi finestre ornate da arabeschi in ferro battuto erano coperte da tende color crema che ne celavano l’ingresso.
Percorsi tutto il giardino, passando per il sentiero di ghiaia, e mi accostai alla porta, tirando la maniglia che attivava il campanello. Un piccolo uccellino meccanico sbucò fuori dal riquadro affianco ad essa e si appoggiò su un trespolo di ferro posto sul muro. Mi osservò con circospezione mentre il rumore di una campanella avvisò gli abitanti della casa del mio arrivo.
Il fringuello si posò sulla mia spalla, canticchiando allegro per un motivo a me misterioso. Aveva due grandi occhi sgargianti di granato rosso che mi fissavano curiosi, sembravano molto felici e fin troppo vivi per un piccolo automa come quello.
Lo toccai con il dito, era caldo, davvero molto strano per un oggetto inanimato, a meno che non avesse un motore.
Lui si ritrasse, cinguettando arrabbiato e beccandomi la testa senza però farmi male.
“Ehi!” esclamai indietreggiando mentre quello cercò di colpirmi ancora.
Il portone di legno scuro si aprì, rivelando la figura di uno slender molto alto, con un vestito rosso, ghette dello stesso colore, stivali neri ed un Alcheometro* in testa. Era decisamente invecchiato dall’ultima volta che ci eravamo visti.
“Figlio!” esclamò lui con stupore e allegria.             
“Padre!” pronunciai felice, una solenne nota di rispetto nella voce, inchinandomi leggermente al suo cospetto.
“Cosa sono tutte queste formalità, figliolo? Avanti, entra, questa è casa tua o l’avrai forse scordato?” chiese scherzosamente, mettendomi il braccio sulle spalle mentre l’uccellino gli volò sulla testa. Lui lo prese e lo mise in piedi sulle sue dita:
“E per quanto riguarda te… non sei autorizzato a beccare i miei figli se si comportano bene!” gli ordinò severamente. Quello alzò l’ala destra, stando sull’attenti, dimostrando di aver recepito gli ordini.
“Bene, riposo soldato” disse contento mentre l’uccellino volò in cima alle scale, salendo al piano di sopra.
“Come vanno le cose? Tutto apposto sulla Terra? I tuoi fratelli? L’hai trovata una fidanzata? L’avete già fatto? Io e la mamma non vediamo l’ora di diventare nonni!” mi chiese, inondandomi di domande, spiazzandomi e confondendomi allo stesso tempo.
“Papa’!” esclamai allontanandomi da lui di scatto, “Prima che questa cosa diventi troppo imbarazzante, no, non ho una fidanzata, quindi, per favore, non fate castelli in aria. Comunque le cose non stanno andando bene, è per questo che sono venuto qui” conclusi cercando di non sembrare imbarazzato per via di ciò che aveva appena detto. Non potevo certo dirgli della mia relazione con Aliaga. Conoscendolo, sarebbe andato su tutte le furie e l’avrebbe aperta in due. Metterla in pericolo non era neanche sulla lista dei miei pensieri, era totalmente fuori questione.
“E’ successo qualcosa di grave?” inquisì, accarezzandosi il mento.
“Splendor sembra avere qualche strana sorta di malattia e non sono riuscito a capire quale fosse, per questo sono venuto qui, nella speranza che tu sia ancora in contatto con il tuo vecchio amico, lui è l’unico che può aiutarci adesso” proclamai serio, sperando che mio padre non avesse tagliato i contatti con quello slender.
“Uhm… lo sai che quel tipo è completamente pazzo?”
“Si, ma devi ammettere che è un genio. Non sarei venuto fin qui se fosse stato un problema di poco conto e la situazione è molto seria. Per farla breve, sono disperato, padre. Se ti rifiuterai di aiutarmi, lo cercherò da solo!” esclamai torvo, muovendo un passo verso la porta.
“Piano ragazzo, la fretta non ti aiuterà. E poi chi ti ha detto che non voglio aiutarti? Non sarà forse che le chiacchiere dei parenti ti hanno influenzato a tal punto, durante tutto questo tempo, da portarti a credere che tuo padre sia così crudele come si dice in giro? Sciocchi senza cervello che parlano solo per dare aria alle loro fogne di bocche! Splendor è mio figlio, non solo tuo fratello, e bada bene di non scordarlo più!” pronunciò serio, fermandomi e togliendosi l’Alcheometro dalla testa, appoggiandolo su un tavolino. Prese la sua vecchia giacca nera e se la infilò addosso con tutta tranquillità.
“Certo…” dissi piano, intimorito dalla sua figura autoritaria, “dove andiamo?” chiesi, curioso di sapere dove il vecchio amico di mio padre si fosse andato a cacciare.
“Io? A trovare il nostro caro dottore. Tu? Tu non ti muoverai da qui” pronunciò con un tono che non ammetteva repliche, “e poi è da tanto tempo che tua madre non ti vede, non vorrai mica che lei venga a sapere che sei stato qui e non l’hai salutata? Potrebbe impazzire…”
“Ok…” sospirai.
“Questo è il mio ragazzo!” esclamò.

Pat pat!

“Papa’, sono un uomo adesso!” dichiarai imbarazzato ed imbronciato. Solo ai bambini si danno le pacche in testa!
“I figli crescono sempre così in fretta… soprattutto se sono lontani da casa per più di dieci anni…” dichiarò con voce malinconica “beh, è ora che io mi dia una mossa, la malattia di Splendor non si guarirà di certo da sola!” concluse, uscendo dalla porta principale, salutandomi con un cenno della mano e chiudendola dietro di se.
Sopirai, fissando per qualche secondo la porta chiusa, domandandomi se avessi fatto bene a lasciarlo andare da solo.

Oramai quel che fatto è fatto…

“Caro, ho sentito il campanello suonare, è arrivato qualcuno?” chiese flebilmente una voce a me familiare, facendomi sobbalzare.
La sua figura sottile apparve dalla cima delle scale, più bassa di me di due spanne, con dei lunghi capelli neri ed un lungo vestito dello stesso colore. La sua pelle era più bianca di quel che ricordassi, mentre l’unico occhio visibile, quello sinistro, era di un verde scuro.
Lei mi fissò incerta, appoggiandosi sulla stampella di legno, sbattendo ripetutamente la palpebra e guardandosi intorno incerta.
“S-slender… sei davvero tu?” chiese dubbiosa, scendendo lentamente un gradino. Sembrava che, dopo tutti questi anni, avesse ancora problemi a deambulare con l’unica gamba che le era rimasta.
“Certo mamma” dissi cercando di rassicurarla.
“B-bada bene a non essere un’altra illusione… dà sempre una bruttissima sensazione cercare di abbracciare i propri figli e ritrovarsi pochi secondi dopo con la faccia a terra!” esclamò con una nota di disperazione nella voce, appoggiando la mano libera sul muro per reggersi.
Arrivata a metà della scala, perse l’equilibrio, inciampando nel vestito e finendo diritta tra le mie braccia.
Mi fissò in silenzio, posando la sua mano sul mio viso.
“Sei davvero tu…” disse sgranando gli occhi.
“Si, sono io” le sorrisi mentre lei mi abbracciò, nascondendo la testa sul mio petto.

Sigh!

“Mamma…” sussurrai, abbracciandola a mia volta, lasciando che si sfogasse.
Quando smise di piangere, mi fissò intensamente:
“Quanto sei cresciuto… ora sei più alto di me!” dichiarò, appoggiandosi al mio braccio. Presi la sua stampella con un viticcio e gliela riconsegnai.
“Già, così sembra.”
Lei si appoggiò di nuovo ad essa e fece strada verso il salotto a passi lenti, accomodandosi poi sul divano, facendo segno di sedermi accanto a lei.
“E’ bello rivederti dopo tanto tempo” iniziò, congiungendo le mani, “sei venuto da solo?” concluse interrogativa, inclinando la testa.
In quel momento potevo fare solo due cose: dire la verità o mentire. La mamma era diventata molto fragile dal giorno in cui avvenne l’incidente in cui perse la gamba e tutti i suoi viticci, doverle dire che uno dei suoi figli era in uno stato alquanto critico era pericoloso per la sua salute, ma la stessa cosa valeva se avessi deciso di mentirle. Prima o poi avrebbe scoperto il mio inganno. Alla fine decisi di confidare nella sua forza e che non mi sarebbe convenuto mentirle, raccontandole tutto ciò che era successo, stando ben attento a non menzionare l’umana.
“Quindi tuo padre è andato a cercare Vender?” chiese lei, prendendo una scatola di latta familiare dal ripiano inferiore del tavolo. La aprì, tirando fuori un gomitolo di lana rosso cremisi e due ferri da maglia.
Venderman, o il dottore, era un vecchio amico dei miei genitori. Lo conoscevano fin da prima del loro fidanzamento ed erano stati grandi amici nei tempi andati, ma i metodi utilizzati da questo medico, definiti da molti come al limite della follia, gli hanno causato la cancellazione dall’albo. Nonostante questo rimane uno dei più geniali nel suo campo, curando in segreto malattie sconosciute e non.
“Esattamente…” sospirai, osservandola mentre lavorava a maglia.
“Tienimi il filo un secondo…” disse con calma “speriamo non sia niente di grave” concluse, sospirando anche lei.
Un grande silenzio scese sopra di noi. Non sapevo bene cosa dirle, c’erano mille cose di cui potevo parlarle ma nulla sembrava voler uscire dalla mia bocca. Allora il silenzio sembrava la scelta migliore, dato che la mia mente non aveva la minima intenzione di aiutarmi. Fissai i fili di lana che avevo tra le mani, rendendomi conto di cosa quel colore mi ricordasse.
Trovai alquanto bizzarro il fatto che, in quel momento, non riuscissi a pensare a nient’altro che a lei. Non avevo potuto salutarla, chissà come l’aveva presa: era forse arrabbiata con me? Triste? O semplicemente si era sentita sollevata?
Il terrore che avesse accettato di avere una relazione con me solo per pietà o per vanagloria mi invase, facendomi ghiacciare il sangue nelle vene.
“Slender, non ti preoccupare, vedrai che il dottor Vender riuscirà a guarire Splendor” pronunciò, avendo certamente notato la mia involontaria espressione prodotta da quei pensieri negativi e volendo consolarmi.
“Lo spero…”
Lei mi fissò, inclinando la testa da un lato mentre continuavo ad osservare la lana vacuamente.
No, non poteva essere così. Non dopo tutti quegli sguardi e quei fugaci contatti che avevano nutrito in me la speranza che fosse stato tutto reale e non solo un sogno, mentre i suoi baci bollenti avevano portato via una parte della mia anima. I suoi sorrisi non potevano avermi detto il falso, il mio cuore mi diceva che lei era sincera. Decisi di fidarmi, sapendo bene i rischi che correvo se mi fossi sbagliato. È difficile risanare un cuore in pezzi.
“Ti piace questa lana? La stai fissando da un sacco di tempo” dichiarò mia madre mentre un piccolo pezzo di stoffa rettangolare si stava formando sotto le sue sapienti mani.
“Eh? Ah… si! È molto bella!” esclamai, totalmente preso alla sprovvista, sentendo caldo sulle guance. Lei ridacchiò, senza mai interrompere il suo lavoro, e dopo un po’ di tempo ruppe nuovamente il silenzio:
“Allora, chi è lei?” mi chiese senza preavviso.

M’ha sgamato!

“L-lei chi?” chiesi facendo finta di nulla. Dovevo giocarmela bene, uno sbaglio o una parola sfuggita al mio controllo avrebbero potuto rivelare la mia relazione clandestina.
“La tua fidanzata, sciocchino! È più di mezz’ora che fissi quella matassa con lo sguardo perso di uno slender innamorato!” esclamò, poggiando la mano sulla guancia.
“Non c’è nessuna fidanzata” dissi seccamente.
“Allora la tua amante” pronunciò sicura.
“Non c’è nessuna amante”
“Sicuro?”
“Sicurissimo!” esclamai con tutta la sicurezza che avevo in corpo.
“Va bene…” disse mentre il suo sguardo esprimeva tutt’altro. Era incerta e sembrava solo aver deciso di lasciar perdere. Sicuramente avrebbe riportato a galla l’argomento in un'altra occasione, dovevo solo escogitare un modo astuto per evitare l’argomento e tutto sarebbe proceduto a gonfie vele.
Dopo qualche ora lei mi costrinse a riposarmi, conducendomi nella mia stanza e dicendomi di non preoccuparmi poiché mio padre sarebbe tornato presto.
Tutto era identico a come lo avevo lasciato, con l’aggiunta di uno spesso strato di polvere. Sbattei le coperte nere e rifeci il letto, accomodandomi poi sopra di esso.
Fissai il soffitto del letto su cui i miei fratelli, in gioventù, avevano avuto l’abitudine di scarabocchiare scritte infantili o disegni dalle dubbie e irriconoscibili forme. Quante volte mi ero arrabbiato con loro per quella brutta abitudine, ma, nonostante i miei continui rimproveri, avevano continuato imperterriti con il loro lavoro, perseguendo la loro “causa artistica”.
Nonostante il pisolino che avevo schiacciato durante il viaggio, mi resi conto di avere ancora sonno. Accomodandomi su un lato, fissai la grande finestra che portava al piccolo balconcino posteriore e, senza rendermene conto, mi assopii.






“Amender!!” gridò una voce disperata mentre le fiamme avvolgevano l’intera casa, minacciando di divorarmi. Sorprendentemente, la sua richiesta d’aiuto fu più forte della paura della morte, mentre il mio cuore gridava disperato.
Mi feci strada tra le lingue che mi bruciavano la pelle, cercando di ignorare il dolore, mentre la temperatura si alzava vertiginosamente. Arrivai nella sua stanza, trovandola riversa per terra, svenuta.
Riuscii a teletrasportarmi fuori prima che il soffitto cedesse e ci schiacciasse entrambi.
Fissai il suo corpo senza sensi, sperando che non fosse troppo tardi, scuotendolo con forza. Dopo un po’ di tentativi, proprio quando stavo per perdere la speranza, i suoi occhi si aprirono, muovendosi stanchi verso di me.
Era ancora viva, grazie al cielo!
Lei si rialzò, facendomi riacquistare in qualche modo coscienza del mio essere. Ripresi il controllo di me stesso, ma proprio quando mi avvicinai per vederla bene in viso, sperando che non fosse offuscato come al solito, uno squarcio netto attraversò l’aria, rompendo l’intero sogno. Il paesaggio sparì all’improvviso, mentre una foresta familiare prese il suo posto. Senza rendermene conto, mi sentii quasi come se fossi uscito dal mio corpo. Dietro di me lasciai ciò che doveva essere il corpo di Amender. Lo osservai da vicino, era uno slender molto alto, di sicuro più alto di me, vestito con un lungo completo nero molto antico e una lunga mantella. Cercai di toccarlo ma la sua immagine sparì nel nulla.
L’umana mi fissava incerta, indietreggiando a tratti. Mi avvicinai con cautela, cercando per l’ennesima volta di capire chi fosse ma, appena fui ad un passo da lei, quella iniziò a fuggire tra gli alberi.
“Aspetta, non voglio farti del male!” gridai, sperando ardentemente che si fermasse. Lei continuò imperterrita, finché non raggiunse un piccolo laghetto ghiacciato, inciampando al suolo e cascando per terra.
Mi fermai di botto, sperando che non provasse a fuggire di nuovo.
“Credimi, non ho cattive intenzioni!” dissi con il fiatone, cercando di recuperare una parte delle energie che avevo usato per seguirla fin là.
Lei rimase ferma lì, senza mai guardarmi in faccia, respirando affannosamente.
“Aiutami…” disse lei poi, sempre di spalle, iniziando a tremare leggermente.
“Cosa?” chiesi interdetto.
“Aiutala…” il suo viso si girò verso di me, il volto rigato dalle lacrime. Aveva due occhi di un verde molto vivace, i capelli lunghi color carota, una faccia sottile e due labbra rosee.
La fissai senza capire.
“Sta morendo!” esclamò poi, indietreggiando verso la superficie ghiacciata.
“Chi?” mi avvicinai di un passo con estrema cautela.
Lei rimase in silenzio, irrigidendosi all’improvviso. Proprio quando mi accostai a lei, il suo corpo si afflosciò, perdendo le forze. La presi tra le mie braccia, sperando che non le fosse accaduto nulla di grave.
Quando mi apprestai ad osservarla un altro squarcio attraversò l’aria, facendo vacillare quel sogno già instabile.
Notando che il corpo che avevo tra le mani era quello di qualcun altro, rimasi completamente scioccato da ciò che vidi. La sua pelle chiara piena di cicatrici fresche e sanguinanti, gli occhi ambrati socchiusi, quasi senza vita, e una massa di capelli rossi avevano preso il posto della donna sconosciuta. La fissai attonito, non credendo ai miei occhi, mentre una terribile fitta mi attraversò il cuore.
“S-slender…” disse lei flebilmente con una voce che conoscevo fin troppo bene.
“Aliaga!” esclamai, sorreggendola saldamente.
“M-mi dispiace…” pronunciò mentre le sue parole perdevano di consistenza. Avvicinai la sua mano al mio viso, cercando di trattenere le lacrime.
“No, non dire così… mio padre conosce un bravo medico, vedrai che riuscirà a… numi, chi ti ha ridotta in questo stato?” chiesi, cercando di controllare la marea di sentimenti che mi avevano invaso il cuore. Non potevo perdere il controllo o per lei sarebbe stata la fine.
Lei mi sorrise mentre i suoi occhi si chiusero lentamente e il corpo si afflosciò tra le miei braccia. La sua mano che fino a poco tempo prima era sul mio volto era ora sul suolo, priva di vita.
Fissai il suo corpo inerte, mentre la mia mente si rifiutava di accettare ciò che era appena accaduto.
Le lacrime mi rigarono in volto, mi sentivo il petto così pesante che facevo fatica a respirare e il cuore stracolmo di così tanto dolore che mai credevo possibile. Cascai in ginocchio, senza mai distogliere lo sguardo da lei, ammirando il suo volto immobile tra le mie braccia.
“No… non può essere… ti prego…” sussurrai, aggrappandomi come un disperato alla futile speranza che fosse stato solo uno stupido scherzo. Abbracciai il suo corpo senza vita, scuotendolo, chiamando il suo nome, pregando qualsiasi dio ci fosse in cielo di riportarla da me… ma oramai era troppo tardi.
Lasciai che le lacrime scendessero senza freni, perdendo il controllo di me stesso, mentre il dolore si trasformava lentamente in rancore e odio verso qualsiasi cosa mi si parasse davanti.
E poi, senza forze, mi accasciai al suo fianco, sperando che la vita scivolasse via dal mio corpo, raggiungendo così di nuovo la persona che avevo realizzato di amare troppo tardi.







Mi risvegliai, agitato, cercando di alzarmi, ma finendo per barcollare per la stanza, mentre il mio corpo non era ancora del tutto sveglio. Appoggiandomi al muro, cercai di calmare quella profonda inquietudine che quell’incubo nefasto mi aveva portato in fondo al cuore.
Era stato tutto così terribilmente realistico da sembrare vero, spaventandomi fin nell’anima che non sembrava volersi calmare. Controllai l’orologio, erano già le otto di sera.

Dove diavolo è andato a finire mio padre?!

Mi chiesi, ancora turbato. Quella terribile esperienza aveva contribuito a rafforzare il mio desiderio di tornare indietro, non volevo perdere altro tempo. L’unico modo per calmarmi era ritornare sulla Terra con il dottore e andare a trovarla per assicurarmi che fosse sana e salva a casa sua.
Passai dal bagno per sciacquarmi la faccia e darmi un aspetto più presentabile e mi diressi al piano di sotto.
Sentii tre voci conversare: una che apparteneva a mio padre, una di mia madre e una che mi era vagamente familiare.
Scesi le scale in fretta, affacciandomi sul salotto.
Uno slender con un lungo camice bianco, un monocolo, un solo lungo capello che gli sbucava ritto nel bel mezzo della testa ed un paio di baffi marroni stava seduto sulla poltrona affianco a mio padre, intingendo un biscotto nel thè.
“Slender, finalmente ti sei svegliato!” esclamò mia madre con sorpresa, notandomi sulla porta.
“Lei deve essere Venderman” dissi, sperando che mia madre non se la prendesse a causa della mia estrema scortesia, “mi scusi per la maleducazione, ma mi è appena arrivato un messaggio e sembra che le condizioni di mio fratello siano peggiorate. Dovremmo avviarci immediatamente” mentii, non avevo più tempo da perdere in chiacchiere.
“Slender!” proclamò mio padre con una nota d’indignazione.
“Non ti preoccupare, Fender, il giovinotto ha ragione. Nulla è più importante della vita di un paziente, nemmeno l’educazione” dichiarò ridacchiando il dottore, infilandosi il biscotto in bocca e trangugiando tutto d’un sorso il thè.
Mia madre cercò di calmare mio padre, irato per la mia mancanza d’educazione, dicendogli che era per il bene di mio fratello e per fortuna ci riuscì. Li salutai facendogli un blando inchino e trascinando il vecchio dietro di me.
Ci teletrasportammo alla fermata dell’omnibus, sedendoci sulla panchina di pietra. Per quanto ci provassi, non riuscivo a calmarmi, volevo solo ritornare indietro in fretta.

Tap tap tap tap!!

“Ragazzo, capisco che hai fretta, ma cercare di rompere il pavimento con il tallone non farà di certo andare il tempo più veloce!” esclamò Vender, mettendo la sua borsa affianco a se, e si appoggiò al suo bastone da passeggio, infilandosi successivamente la giacca che non era riuscito ad infilarsi perché l’avevo trascinato via prima che avesse potuto farlo. In un certo senso era un miracolo se era riuscito a prenderla.
Fissai la mia gamba destra che si muoveva senza freni e mi fermai prima che potessi fare danni.
Per nostra fortuna il mezzo arrivò qualche minuto dopo. Il cocchiere era cambiato ma, preso com’ero dai miei pensieri, non lo notai nemmeno, limitandomi a salirci sopra.
Il viaggio fu lungo e snervante, contribuendo solo ad aumentare la mia agitazione. Vender mi osservò silenzioso per tutto il tempo, decidendo saggiamente di farsi gli affari suoi.
Appena arrivati sulla Terra, tirai un sospiro di sollievo alquanto prematuro. Condussi il dottore verso casa nostra, teletrasportandolo con me all’interno dell’edificio.
Trender avvertì la nostra presenza e ci corse incontro:
“Finalmente, Slender! Ce ne hai messo di tempo…” disse con una voce terribilmente preoccupata.
“Dov’è il paziente?” chiese Vender senza remore, desideroso solo di compiere il suo dovere.
“Al piano di sopra, la prima porta a destra” dichiarò Trender.
“Trender, c’è qualcosa che non va? E perché Splendor è nella mia stanza?” gli chiesi quando il dottore entrò nella camera, rimanendo da soli.
“Slender… prima di tutto aspettiamo la diagnosi del dottore e poi ti racconterò tutto” proclamò riaggiustandosi gli occhiali con nervosismo.
Accettai silenziosamente, entrando in camera mia ed osservando Vender che stava visitando Splendor. Dopo una quindicina di minuti la visita si concluse.
“Si tratta di un accumulo di negatività nella sua anima, per fortuna ad uno stadio iniziale, qualche giorno e il problema sarebbe stato irrimediabile” dichiarò solennemente, rimettendo tutti gli attrezzi medici nella borsa “basterà lasciare il paziente in uno stato di calma e trovare qualcuno che possa estrarre la sua negatività a piccoli pezzi… se fosse estratta tutta d’un colpo sarebbe rischioso per la sua salute” concluse poi arricciandosi un baffo con le dita.
“Quindi, è una cosa che possiamo fare noi o abbiamo bisogno di qualcuno?” chiesi incerto.
“Non credo che gli slender sappiano usare la magia” esclamò scherzosamente.
“La magia?”
“Ma non è… illegale?” dichiarò Trender, leggermente intimorito.
“Certo che è illegale, figliolo. Secondo te perché la gente ha così tanta paura della magia al punto di bandirla?”
“Perché è pericolosa!” esclamò mio fratello sconcertato.
“Anche quello” disse ridacchiando “io comunque intendevo il potere. Un essere dotato di magia può fare cose che gli altri si possono solo sognare!” concluse con un’espressione estasiata.
“Arrivi al punto, dottore” dissi io torvo, spiazzandolo completamente.
“Mi dispiace, sarò breve. Quello di cui avete bisogno è di una strega con poteri guaritrici” dichiarò come se fosse stata la cosa più normale del mondo chiedere aiuto ad un tale essere malefico.
“Una strega!” gridò isterico Trender.       
“Dottore, si rende conto della gravità delle cose che sta dicendo?! Portare una strega qui equivale a firmare un contratto per inimicarsi l’Alto Consiglio e poi non credo che una strega sarebbe disposta ad ascoltarci prima di averci trasformati in rospi!” esclamai, sottolineando l’evidente stupidità della sua proposta.
“E poi ci sono i demoni, tutte le streghe fanno patti con loro o peggio!” proclamò Trender mettendosi le mani in faccia con estrema drammaticità. A volte mi viene da pensare che sarebbe perfetto come attore anche se questa scenata è totalmente giustificata.
“Esattamente” dissi confermando ciò che aveva appena detto mio fratello, incrociando le braccia. Vender ci guardò con la stessa espressione con cui si guardano dei bambini che fanno domande sciocche ai genitori.
“Beh, allora mi dispiace per vostro fratello ma morirà entro due settimane” proclamò con estrema freddezza.
Rimanemmo in silenzio, fissando Splendor, non sapendo cosa fare. Lasciarlo morire era totalmente fuori questione.
“Non c’è un altro modo?” chiesi speranzoso.
“No, non credi ve lo avrei proposto se l’avessi avuto?”
Mi fermai bene a riflettere, valutando tutti i pro e i contro, e alla fine mi arresi alla realtà.
“Va bene allora, farei qualsiasi cosa pur di salvare mio fratello” dichiarai sicuro.
“Ma-“ iniziò Trender riluttante.                                               
“Non abbiamo altra scelta, vuoi lasciare che Splendor muoia senza neanche provarci?” gli chiesi seriamente.
“No, hai ragione...”
“Allora, dottore, dove possiamo trovare una strega simile?”
“Sinceramente non saprei” disse lui piattamente.
“Come sarebbe a dire che non lo sa!” esclamai indignato.
“Non lo so e basta, insomma, non dovrebbe essere difficile trovarne una, no?” chiese, grattandosi la testa con imbarazzo.
Senza nemmeno rendermene conto, mi misi la mano in faccia, pregando gli dei del cielo di avere abbastanza forza per non saltargli addosso e prenderlo a pugni.
“Errr… forse ho detto una stupidata. Chiedo venia!” dichiarò lui sempre più imbarazzato “Ma se volete posso aiutarvi a cercarne una!”
“Un’aiuto in più può sempre fare comodo” dissi rilassandomi un po’ “a patto che lei non faccia cose strane”
“Questo è certo, mi comporterò in maniera impeccabile!” esclamò facendo un inchino “Ora, dove posso sistemarmi?” chiese infine con umiltà.
“Venga, le stanze degli ospiti sono da questa parte” pronunciò Trender, offrendosi di fare da guida al nostro nuovo ospite.
La mancanza di Offender era piuttosto normale, dato che amava bazzicare per la città a caccia di belle fanciulle. La cosa che mi insospettì di più era l’assenza della zia, non era possibile che non fosse ancora tornata.
Mi sedetti sulla sedia accanto al letto di Splendor, notando così la sua espressione sconsolata.
“Come ti senti?” gli chiesi appoggiandomi al letto con i gomiti.
“Non poi così male” disse lui piano.
“Sembri preoccupato, è a causa della tua malattia?” ipotizzai.
“No… non è per questo” dichiarò stringendo le coperte.
“Allora cosa?” inquisii curioso, mentre una strana angoscia aveva invaso il mio cuore.
“Ho paura che Offender non riesca a proteggere Aliaga dalla zia… chissà se è riuscito a trovarla prima di lei” disse con un’espressione estremamente sofferente.
Mentre le immagini del sogno che avevo fatto ore addietro mi ritornarono alla mente, una parte di me si congelò, mantenendo a stento uno stato di apparente calma.
“Non capisco… che cosa è successo mentre ero via? Cosa centra Aliaga in tutto questo?” chiesi confuso e terrorizzato, delle goccioline fredde iniziarono a sbucare dalla mia pelle, facendomi sentire come un pezzo di ghiaccio.
“Al ha deciso di portare via la zia per proteggermi da lei e non l’ha fatto con le buone purtroppo, non so di preciso cosa sia successo, ma ora la vecchia è tanto arrabbiata. Sono riuscito a convincere Offender ad andarle dietro per salvarla, ma ho paura che sia già…”
Mi alzai di scatto dalla sedia, catapultandomi fuori dalla casa.

No!! Fa che non sia vero! Fa che lei non sia…

Mentre il ricordo di quel terribile incubo riecheggiava nella mia mente.
 
°°°°
Glossario


Alcheometro= lente di ingrandimento portatile che può essere messa come una maschera. Utilizzata spesso per la creazione di piccoli macchinari.
   
 
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