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Autore: G RAFFA uwetta    30/01/2015    2 recensioni
Dal testo: "Sconvolto si lascia trasportare da quella voce roca e gentile che lo culla, come una barca in mezzo al lago placido in un pomeriggio estivo."
Storia AU dove non esiste la magia se non nell'amore puro verso un dono venuto dal cielo.
Questa storia si è classificata quattordicesima al contest "Forever shot [contest libero per linkare one-shot a tutto spiano]" indetto da CeciliaMargherita sul Forum
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Famiglia Malfoy, Harry Potter, Nuovo personaggio | Coppie: Draco/Harry
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Il bimbo dagli occhi viola

 

L'uomo osserva il panorama attraverso l'oblo dell'areo. Intuisce, più che vedere, il lungo fiume illuminato a giorno da migliaia di luci in movimento. Filamenti rossi si inseguono, come piccole bisce, disperdendosi nel nero della notte.

L'altoparlante, gracchiando, annuncia la discesa facendolo irrigidire. Tra pochi minuti sarebbe atterrato sul suolo britannico, sono ormai molti anni che non torna in Patria. Dall'alto della scaletta guarda verso gli edifici indugiando, lievemente scosso dall'ansia.

Una tenera manina si insinua nel pugno chiuso, alleggerendone la tensione. Il capo si piega e il sorriso esplode spontaneo accarezzando il viso fanciullesco. Il bambino risponde con il medesimo, seppur sdentato, sorriso. Ha cinque anni e la sua nascita ha del miracoloso.

Con il cuore un po’ più leggero scende i gradini mentre ad ondate i tristi ricordi invadono la sua anima.

Sembra passato un secolo quando partì giovane, ricco e di belle speranze senza un sogno da inseguire. Si era iscritto alla prestigiosa Università di Medicina di Godric's Hollow solo per far felici i genitori.

Dopo il primo semestre abbandonò gli studi. Viveva una vita sregolata tra sesso, alcool e droga, insieme ai ricchi amici che l'avevano seguito dall'Inghilterra, fino a quel maledetto giorno in cui la sua esistenza ebbe un brutto risveglio.

Lo strattone del braccio lo riporta al presente. Il bimbo al suo fianco, con sguardo ammirato, gli rivolge un'infinità di domande a raffica su dove come e quando è successo questo, quello e soprattutto gli immancabili perché, in fondo lui non ha mai visto Londra. Rassegnato, attraversa l'immensa hall dell'aeroporto portandosi appresso quel vulcano di curiosità che Deneb Ankaa* sembra intenzionato ad esaurire tutto in un volta. Ignorando l'insistente cicaleccio si lascia trasportare dai ricordi che, come fiumi in piena, lo sommergono.

Il ristorante di classe dalle comode poltrone pervinca è il luogo ideale per festeggiare i suoi non-tre-anni di università.

Tiger, un grosso stupido gorilla, barcolla sul marciapiede mentre canta sguaiati inni alla luna. Gli amici ridono con lui delle sue prodezze mentre perde l'equilibrio al sopraggiungere di un'auto.

Lo schianto è inevitabile. Il botto è assordante. Il rumore delle lamiere accappona la pelle mentre l'asfalto stride e fuma corroso dai copertoni in frenata.

Per un secondo sembra fermarsi il tempo, congelato in una macabra istantanea, poi si riavvia l'immagine e i rumori esplodono prepotenti. Le signore urlano spaventate, pericolosi scricchiolii arrivano dai resti contorti. Una pozza di liquido si espande sotto la vettura mentre il corpo, piegato in maniera innaturale, sembra nascerne come la Venere del Botticelli.

Guidato da una forza non sua, raggiunge la vettura cercando di aprire la portiera. Non guarda verso l'amico, il cuore sa che non vi è pìù nulla da fare. Il conducente è riverso sul corpo della donna, come a volerlo proteggere. Ha un taglio netto sulla schiena dove si accorge che parte del parabrezza vi si è conficcato. Lo estrae per le braccia e si catapulta di nuovo dentro. La donna, che ansima a scatti, ha occhi grandi e spaventati, mima con le labbra parole che non afferra mentre debolmente si massaggia il ventre. Con orrore si accorge che è incinta e, tra le gambe divaricate, esce un rivolo di sangue biancastro. In preda al panico la trascina il più delicatamente possibile lontano e l'adagia su un lettino improvvisato dai cuscini presi dal locale. La testa, dai capelli di un assurdo color cicca, ha un ultimo sussulto prima di spirare.

- Papà! Papà! Ci sono i nonni, guarda! - La voce eccitata del figlioletto lo riporta un'altra volta al presente.

Vicino all'uscita dell'ufficio doganale i suoi genitori lo attendono immersi in un aria di disprezzo che si sgretola alla vista del nipotino. Quest'ultimo, come un uragano monsonico, li travolge costringendoli a contenderselo per un abbraccio.

Sorride intenerito.

L'algido genitore porta sul viso i segni del passaggio del tempo. Il bastone, con l'impugnatura blasonata, una volta sfoggiato per orgoglio, ora dignitosamente portato per correggere la leggera andatura claudicante. La madre, ancora bellissima nel viso, ha ingentilito l'espressione orgogliosa per accogliere sul seno la sua nuova ragione di vita: quel piccolo demonietto dagli occhi ridenti.

- Padre, Madre - inclina il capo come saluto. Poi, meravigliando anche se stesso, li stringe in un abbraccio commosso.

Il viaggio in taxi si riempie dalle chiacchiere di Deneb che informa i nonni sui progressi fatti nell'anno trascorso; dei nuovi amici che sicuramente avrebbe incontrato e di quelli che aveva lasciato a casa. Con il viso schiacciato sul vetro non si perde nessuna immagine di quella Londra di cui tanto aveva sentito parlare e che al suo papà mancava, con una dose di malinconia. Ogni tanto riprende fiato giusto il tempo di scoccare un bacio umido e sonoro alle guance dei nonni che, puntualmente, arrossiscono di finto sdegno solo per poi spupazzarselo di solletico. Le risate riempiono l'abitacolo e i cuori mentre percorre sonnolento la strada buia.

Mentre il sole albeggia, colorando di un rosa tenue il cielo, il veicolo si arresta davanti ad una fatiscente casa di un'anonima via cittadina. La cancellata in ferro battuto è spalancata, quasi si aspettasse il loro arrivo. Sulla soglia appare la figura bruna del padrone di casa che, senza indugio, li fa accomodare. Prende in custodia il bambino, crollato dalla stanchezza e dalle forte emozioni, lo porta a riposare nella camera ristrutturata di fresco.

Affacciato alla finestra osserva il pigro risvegliarsi della città.

I primi passanti che, frettolosi, raggiungono il metrò. Fattorini sulle loro biciclette. I policemen pazienti dare indicazioni a turisti muniti di macchine fotografiche dai flash impazziti.

I rumori attutiti dal vetro non impediscono di sentire chiaramente la sirena che urla prepotente e lo catapulta a quasi cinque anni fa.

Ormai nel panico più totale, cerca con lo sguardo se tra i curiosi vi è un medico. Urla alla folla disperato in cerca di aiuto. Qualcuno si avvicina cercando di allontanarlo ma, con uno strattone, si ribella.

Sente sotto le dita l'agitarsi del feto, probabilmente in carenza d'ossigeno.

Con un singulto strappa il telefonino all'uomo vicino e, febbrilmente, compone il numero delle emergenze. La voce quieta del centralinista lo informa che l'ambulanza sta già arrivando ma lui, caparbio insiste, dicendo che il bimbo deve nascere immediatamente e non sa cosa fare.

Passano pochi secondi che sembrano un'eternità, poi la voce carezzevole lo calma spiegandogli in chiare istruzioni come comportarsi.

Si fa portare un coltello dal ristorante con cui incide un taglio orizzontale appena sopra la corona dei peli pubici. Aspetta che il liquido smetta di fuoriuscire e inserisce le mani tastando fino a trovare il corpicino. Delicatamente lo estrae sostenendolo per la testa mentre qualcuno tiene allargato il taglio. Sempre seguendo le istruzioni dalla voce quasi ipnotica, blocca il cordone con una molletta da panni smaterializzatasi dal nulla. Con tovaglioli caldi pulisce il visetto cercando di togliere il liquido che sembra ristagnare nelle narici.

Il colore violaceo preoccupa tanto quanto la non reazione del corpicino. Lo mette a testa in giù dando leggeri colpetti al sederino invogliandolo così ad avere una reazione.

Proprio in quel momento sopraggiungono i medici che cautamente lo prendono in custodia dandogli finalmente il dovuto soccorso. Lo invitano a seguirlo sull'ambulanza, mentre il centralinista continua a parlargli per fagli superare lo choc.

Lo assicura dicendogli che alla fine del viaggio l'avrebbe accolto per dargli ulteriore conforto. Sconvolto si lascia trasportare da quella voce roca e gentile che lo culla, come una barca in mezzo al lago placido in un pomeriggio estivo. Osserva il muoversi frenetico dei medici come attraverso una lente sfuocata fino a quando sente chiaramente il primo vagito.

È amore.

Immediato.

Come un velo che si squarcia improvviso e tutto ricomincia a riprendere vita con nuovi colori, odori e sensazioni.

Le porte si spalancano e lui, di quei primi momenti concitati, ricorda solo il volto sereno di un ragazzo che lo abbraccia e lo accompagna in reparto. Lo sostiene mentre risponde a domande di routine. Lo incoraggia mentre guarda il frugoletto combattere attaccato a innumerevoli fili.

Sempre al suo fianco.

Nella notte più lunga della sua vita.

Gli rimane accanto anche quando prende la decisione di adottare quel prezioso regalo che il fato ha voluto donargli. Mesi di scartoffie da compilare, amici e genitori da convincere, ricominciare lo studio interrotto, trovare casa per se e per il bimbo che, finalmente, una serena giornata autunnale viene dimesso.

Sempre al suo fianco.

Ormai nel cuore non alberga più il terrore vissuto in quel giorno ma una tenue ansia per la vita delicata del piccolo Deneb. Appoggia la tazza di caffè sul vassoio accanto e raggiunge a grandi falcate la camera dove il bimbo dorme sereno, rannicchiato su un fianco.

Si stende e lo abbraccia stretto, cercano di non svegliarlo. Chiude gli occhi immergendo il viso nei suoi capelli perdendosi nel profumo di bimbo pulito.

Sulla soglia due figure sorridono mentre, discrete, chiudono la porta, tenendosi teneramente abbracciati. Lacrime di gioia trattenute inondano gli occhi della donna che sospira felice.

Ancora una volta i ricordi lo travolgono.

Mentre gira annoiato l'ombrellino nella bevanda annacquata ripensa a quei frenetici mesi dopo l'incidente. Harry l'ha invitato a vivere con lui nell'ostello gestito dalla rumorosa famiglia Weasley. la signora Molly è una donna energica e premurosamente generosa e lo accoglie senza storie dichiarandosi contenta di aiutarlo nel crescere il piccolo Deneb.

Seduto al bar, leggermente in disparte, a festeggiare la laurea di Harry, lo osserva mentre cerca di glissare le insistenti attenzioni della piccola slavata Ginny. Con il cuore che batte frenetico si accorge di essere infastidito. Vorrebbe alzarsi e scaraventare lontano la ragazza e pretendere la completa attenzione del bel ragazzo moro.

Sgrana gli occhi nel realizzare che è innamorato di Harry: del suo dolce carattere, dell'amorevole pazienza con cui si è preso cura di lui, dei silenzi che sa donargli, delle chiacchiere fino a tarda notte, della voce, quella voce, così roca e sensuale che lo ha guidato fuori dal buio del suo cuore.

In quel momento Harry si gira. Gli occhi, resi glauchi dalle luci sfocate, brillano di aspettava.

Per un attimo rimangono incatenati.

Senza distogliere lo sguardo, con passo sicuro, gli si avvicina, gli toglie l'ormai inutile bicchiere e, sorridendo malizioso, accosta le labbra al suo orecchio per sussurrare sensuale.

- Sempre al tuo fianco, qualsiasi cosa accada rimarrò sempre al tuo fianco. -

Lo afferra per il viso e lo bacia.

Inizia così la loro convivenza, tra pannolini e pappette, notti di veglia e corse in ospedale. Baci rubati tra studio e lavoro. L'amore sempre più consolidato al capezzale del piccolo Deneb che cresce gracile ma tenace.

Occhi vispi e intelligenti di un indefinito color viola. Guance dalla pelle diafana, una boccuccia pronta al sorriso e capelli castani lievemente ondulati.

La loro vita ha un nuovo brusco arresto quando i medici, dopo l'ennesimo ricovero, gli diagnosticano un'anomalia funzionale ai polmoni. Preso dal panico di perdere il suo adorato figlio consulta vari specialisti e, su consiglio del compagno, prendono la decisione di rientrare in Patria dove una equipe di specialisti è pronta ad accoglierli. Lasciano a malincuore la cittadina per andare a vivere in una casa lasciatagli da un vecchio conoscente di Harry a Londra.

Forse intuendo il tormento del genitore, Deneb si gira nel sonno e avvolge con le sue gracili braccine il collo del padre. Sospira felice nel sonno mentre un'ombra di sorriso gli piega le labbra.

Il letto sprofonda leggermente segno che un altro corpo gli si è adagiato di fianco. Un braccio forte e gentile sovrasta il suo andando a racchiuderlo in una morsa tenace. La mano copre la sua mentre trattiene quella del loro piccolo. Leggeri baci vengono depositati sul collo e le sue narici assaporano il forte profumo maschile del suo compagno. Carezze lievi asciugano quelle lacrime che nemmeno sapeva di aver versato. Vorrebbe sparire, portare con se le uniche gioie della sua vita. Vivere egoisticamente del loro amore.

Invece domani Deneb entrerà in ospedale, senza sapere a cosa andrà incontro. Rabbrividendo si raggomitola ancora di più stretto nel loro abbraccio.

- Andrà tutto bene, amore mio. Te lo prometto. Fidati di me come ti sei fidato in tutti questi anni. -

 

Note autrice: *Deneb Ankaa sono due stelle del nostro firmamento. In arabo significano Coda e Fenice.

Questa storia è stata difficile da scrivere, più volte rimaneggiata e quasi cestinata ho voluto comunque darle fiducia. Grazie a chi leggerà e a chi commenterà. Kiss kiss.

 

 

 

 

 

 

   
 
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